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giovedì 8 agosto 2019

Abhor / Abysmal Grief - Legione Occulta​/​Ministerium Diaboli

#PER CHI AMA: Black/Psych/Horror
Due nomi storici del metal nazionale hanno pensato bene di unire le proprie forze in questo split EP di soli tre pezzi, in cui i 13 minuti iniziali sono affidati a due song degli Abhor ed i rimanenti 13 minuti ad una sola song degli Abysmal Grief. L'esorcismo inizia con "Legione Occulta" che vede i padovani Abhor proporre il loro classico occult black maligno fatto di ritmi cadenzati, grim vocals ed in sottofondo, quella che sembrerebbe essere una reale registrazione di un esorcismo (palesato anche da un'inequivocabile cover cd). Non è da meno “Possession/Obsession” che prosegue sulla falsariga dell'opener sia in fatto di tematiche trattate che musicalmente, con quel rifferama un po' retro su cui va ad installarsi il mefistofelico organo di Leonardo Lonnerbach, che a mio avviso rappresenta il punto di forza del sound deviato e sghembo della band veneta che da oltre 20 anni calca il sottosuolo italico, il tutto senza dimenticarci ovviamente dello screaming ferale del buon vecchio Ulfhedhnir e dell'innata capacità della band nel creare splendide atmosfere da incubo (ascoltatevi a tal proposito il finale della traccia). È poi il turno dei genovesi Abysmal Grief, un altro in gruppo in giro da una ventina d'anni con un bel po' di esperienza in cascina ed una grande abilità di spiazzare l'ascoltatore con le loro insane trovate: in questo caso i 13 minuti di "​Ministerium Diaboli" altro non sono che un lungo e minimalistico rituale che dopo ben otto minuti muta in forma canzone, con una sezione ritmica vera e propria dai fortissimi connotati psichedelici su cui poggiano delle grida in sottofondo. Insomma alla fine un buon riempitivo, in attesa delle nuove release delle due band fiore all'occhiello del metal italiano. (Francesco Scarci)

mercoledì 7 agosto 2019

The Rite - The Brocken Fires

#PER CHI AMA/FOR FANS OF: Black/Doom, Celtic Frost, Cathedral
I The Rite altro non sono che un nuovo side project internazionale che vede la partecipazione di P. Guts dei nostrani Krossburst, in compagnia di A.th dei Black Oath, altra band italica, ed infine Ustumallagam dei blacksters danesi Denial of God. Il risultato di simile incontro non può portare inevitabilmente a nulla di buono, non tanto in termini qualitativi, ma in fatto di sonorità. Preparatevi pertanto ad affrontare un concentrato offensivo di black doomeggiante, che non vede grossi stravolgimenti al genere, se non una certa vena rituale in alcuni esoterici fraseggi dell'EP, che sembrano per certi versi richiamare Mercyful Fate o Death SS, anche se qui le voci si palesano arcigne e malvagie. Se le prime due tracce sono un intro a cui segue una sferzante tempesta black, è con la title track che si vedono le cose migliori della band, proprio per quel suo incedere lento e magico, fatto però di una magia nera pulsante oscuri malefici e quant'altro, che chiama addirittura in causa un che dei Cathedral più tenebrosi, uniti a Celtic Frost e Samael, per un risultato complessivo che riserva qualche buono spunto. Soprattutto quando i nostri affidano alla cover "Acid Orgy" (originaria dei Goatlord) la chiusura del disco per un melmoso finale che già mi aveva pienamente convinto anche con la quarta "Heed the Devil's Call". Come si dice, chi ben inizia è a metà dell'opera. (Francesco Scarci)

Voto: 66

The Rite is a rather new international band founded in 2017 by musicians located both in Italy and in Denmark. It’s increasingly becoming more common to see bands with members whose locations are quite far, thanks to internet and the new recording equipments, which make possible to compose and record music even if the members don´t spend a single second together. I don´t know if this is the case, but it´s clear that the current technologies made easier for P.Guts, who plays the drums, A.th who plays the guitars, bass and keys, and Ustumallagam, who is the vocalist, to create The Rite. It didn´t take too much time until they could release their first effort entitled 'The Brocken Fires', with the ex-member Gabriel on guitars, as all the members were already experienced musicians with several previous projects. Almost all of them were closely related to extreme metal subgenres as black metal or doom metal. Unsurprisingly, The Rite is a band which mixes black and doom metal and whose main influences are classic bands like Celtic Frost, Samael or Goatlord, among the others. As previously mentioned, The Rite released 'The Brocken Fires' only one year after the band´s inception and though initially it was only released as a cassette, this debut EP has caught Iron Bonehead Productions attention which has decided to re-release it on CD and vinyl. Thanks to this 'The Brocken Fires' is gaining a bigger attention through the underground scene. This initial effort consists in a short intro called "Prayer to Satan", three new tracks and a Goatlord cover entitled "Acid Orgy". All the tracks deliver a solid mix of black metal with heavy doom metal influences, especially in the somber tone of the compositions and the generally slower pace in comparison to an archetypal black metal song. This gives a greater room to the band to create truly heavyweight riffs that are the indisputable strongest point of this EP. The first track entitled "A Pact With Hell" is a fine example of this description, delivering powerful riffs which remind me in a few moments Celtic Frost and accompanied by solidly executed vocals by Ustumallagam. His vicious and strong voice is the perfect companion to the black/doom esque riffs, which at times can sound slightly more melodic, this is in my opinion, a nice point which enriches the composition and adds variety to this song. Another strong point is that the band tries to escape from creating songs with a monotonous pace and at times introduces fast sections, which are an interesting add. The aforementioned song and the last song created by the band, "Heed The Devil´s Call" have a quite similar structure and though both are solid efforts, is the second song, the homonymous "The Brocken Fires", which is in my humble opinion the highlight of this EP. Structurally, it’s the most varied one with slow, mid and also fast sections, the riffs are excellently composed and delivered with powerful notes, but not exempt from inspired melodies. Apart from that the band introduces some organs, which enhance the bleak atmosphere of the track giving the extra point that makes the song even better. In conclusion, 'The Brocken Fires' is a pretty solid debut by The Rite. Though it doesn´t hit the ground with something especially original, the ideas behind these compositions are pretty well executed and make this EP a work which deserves to a listen. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Records - 2019)

Scythe Lore - Through the Mausoleums of Man

#PER CHI AMA: Death Old School, primi Entombed, Vomitory, Aevangelist
In attesa di capire cosa ne sarà degli Aevangelist e delle loro dispute intestine cosi come quali novità attenderci dai nuovi Entombed AD, perchè non dare una chance al debut EP dei teutonici Scythe Lore. La proposta della misteriosa band germanica racchiude infatti le oblique e sinistre sonorità dell'estremismo odierno e penso appunto a Aevangelist e Portal, miscelate con il death old school di anni '90, Entombed e affini. Tutto è racchiuso all'interno di questo folle 'Through the Mausoleums of Man' e certificato attraverso le sei schegge impazzite che ci aggrediscono con la veemente "Eschatology Speaks All Tongues", ci demoliscono con la brevissima "Jhator", ci annichiliscono con la mortifera e più doomish "Behind 7 Walls and 7 Gates". Gli ingredienti sono i classici del passato con le ferali ritmiche del death metal made in Stockholm, le splendide rasoiate inferte dalle chitarre soliste (molto in stile 'Left Hand Path'), le growling vocals catacombali, il tutto riproposto con lo sghembo ardore del death sperimentale di oggi. Se proprio devo trovare un difetto alla proposta dei nostri, è una batteria plastificata che proprio non si può sentire e mortifica un po' il risultato finale di questo 'Through the Mausoleums of Man'. Per il resto lascio a voi il piacere di addentrarvi nelle paludose sabbie mobili delle restanti song, che non promettono assolutamente nulla di buono. (Francesco Scarci)

Daniele Maggioli - La Casa di Carla

#PER CHI AMA: Alternative Pop Rock
La diroccata "Architetture" in apertura non è che un elegant-pop cantautoriale architettato, progettato e costruito attorno ad una semplice melodia di piano, contrappuntato da un esile substrato elettronico, vagamente reminescente il Battiato dei secondinovanta ("L'imboscata", "Gommalacca", "Ferro Battuto") e, nei contenuti, della figura biblica del patriarca Lot. Specularmente, l'arpeggio di piano nella conclusiva "Madame" tenderà a dissolversi, nel finale, in una lunga e catartica celebrazione del senso medesimo dell'assenza (pensate a Umberto Maria Giardini, a Dente, a quella gente lì, insomma). Sono apparentemente (e volubilmente) leggeri gli episodi intermedi: l'apocalyp/swing scanzonato e, persino in misura maggiore, lo psych/stomp in levare di Nosei/ana memoria ne "Il Cannibale". Giusto per vostra informazione, le cinque canzoni contenute ne 'La Casa di Carla', sono state pensate dall'autore nel 2014 per lo spettacolo teatrale "Approssimazioni", prodotto e ideato da un certo Alex Gabellini. (Alberto Calorosi)

Allone - S/t

#PER CHI AMA: Death/Doom/Black/Viking, Bathory
Gli Allone sono una band inglese almeno sulla carta, perchè poi vai a sfrucugliare sul web e scopri che uno dei due membri, Andrzej Komarek, altri non è che il bassista e chitarrista dei polacchi Praesepe ed ex-chitarrista dei Diachronia, una band di cui non sentivo parlare da oltre un decennio. Gli Allone, che includono nelle proprie fila anche l'inglese P.K. ed una infinita serie di guest star polacche tra cui l'ex chitarrista dei Vader, il chitarrista dei Macabre Omen ed un altro ex questa volta dei Themgoroth, hanno avuto la buona sorte di firmare per la Aesthetic Death, che li supporta in questo loro debut album omonimo. Che non siano degli sprovveduti e che il loro background affondi nel death doom, lo si evince dall'opener "Alone with Everybody I", una traccia monolitica di otto minuti, dotata di un riffing solenne su cui si stagliano le vocals pulite e disperate di P.K., in pieno stile Quorthon, in una song che richiama incredibilmente e in più occasioni, 'Twilight of the Gods' dei compianti Bathory. Epici, non c'è che dire soprattutto per aver risvegliato in me sentori che avevo completamente perso dai tempi di 'Nordland I e II'. E allora abbandoniamoci agli arpeggi del duo anglo-polacco, alle suggestive ambientazioni al limite del viking, ma non solo, visto che l'incipit della lunga ed ispirata "A Challenge to the Dark", strizza l'occhiolino anche agli Shining (quelli svedesi mi raccomando) cosi come pure ad una versione più edulcorata dei Praesepe stessi. Un lungo entusiasmante prologo acustico che ci prepara all'arrivo di grim vocals che ci mostrano una versione degli Allone decisamente più virata al black metal, ma niente paura, la band sa come mantenere salda l'attenzione sulla propria proposta e lo fa propinando una serie di eccellenti cambi di tempo, ottime melodie e litanici chorus di sottofondo che rendono il tutto ancor più interessante, aggiungendo peraltro alle proprie influenze un che dell'avanguardismo degli ultimi Obtained Enslavement, un pizzico di insania alla God Seed ed una vena progressiva alla Enslaved. Niente male davvero, anche se con "Alone with Everybody II" si va a pestare il pedale di un ibrido black death assai melodico, ma che poche migliorie apporta al suono fin qui goduto; forse la song meno riuscita delle quattro, ma che si eleva tranqullamente oltre la sufficienza, soprattutto grazie ad un finale più avvincente. Si arriva alla fine con la strumentale "Ruins", oltre 11 minuti di melodie raffinate (e spoken words) che suppliscono all'assenza della voce che fino a qui aveva fatto bene, in ogni sua forma espressiva. Ottimo debutto, band assolutamente da tenere nei radar. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2019)
Voto: 76

https://allone2018.bandcamp.com/album/allone

lunedì 5 agosto 2019

Deathcrush – Megazone

#PER CHI AMA: Noise/Crust/D-Beat/Digicore
Interessante debutto sulla lunga distanza (fuori per Apollon Records) di questa giovane band norvegese che riesce nell'intento di proporre qualcosa che sia fuori dalle righe e non inquadrato negli schemi. Quindi, l'accostamento di generi come il noise, il digitalcore, il crust punk, con il sound laccato ed oscuro degli anni d'oro dell'epoca Batcave, riesce a generare quel suono genuino, moderno, trasversale e ricco di pulsioni alternative che incuriosisce ed appassiona non poco ogni amante di novità soniche. La musicadei Deathcrush è prevalentemente una sorta di catarsi ritmica che ricorda una via di mezzo tra gli Amen e gli Atari Teenage Riot, lasciati in ammollo negli acidi del noise ribelle dei primi, seeminali, The Curve, con una voce femminile in quasi tutte le canzoni (in "Push,Push,Push" emerge anche la parte vocale maschile), che emula il proibito dei Garbage, il rock dei The Primitives e il controcorrente di Kim Gordon. Se poi ci versiamo sopra una buona dose di nero alla Alien Sex Fiend o Cabaret Voltaire, con quel gusto macabro, robotico e noir che, nonostante la forte voglia di spaccare, si trascina appresso un'orecchiabilità fenomenale, arriviamo alla giusta conclusione che questo 'Megazone' è un gran bel disco, adrenalinico e tagliente, sensuale, aggressivo, devastante come possono esserlo solamente i sussulti giovanili di anime sotto effetto di urgenza creativa. L'artwork, a mio avviso poi, è ben fatto ma non così interessante (dal taglio punk di primi anni '80) e meriterebbe di più, visto il valore della musica al suo interno e la capacità di risvegliare seriamente nell'ascoltatore, il concetto di piacere verso un suono il cui battito è da vera e credibile rockstar alternativa. Le tracce sono tutte sparate in faccia, di corta durata o al massimo superano di poco i quattro minuti, rendendo l'ascolto velocissimo, immediato e senza lasciar prigionieri. Desta un po' di sospetto la conclusiva traccia nove, "State of the Union" (uscita peraltro come singolo), con i suoi finti 24 minuti dichiarati: dopo i primi consueti quattro minuti inizia infatti un interminabile silenzio (modello traccia fantasma) fino ad un minuto dalla fine del disco dove riemerge uno spezzone di brano al rovescio, cosa riciclata che poteva andar bene al vecchio Marilyn Manson o ai Nofx d'annata. Ad ogni modo, l'album resta un grande disco (bello anche il video di "Dumb") per il trio di Oslo, dinamico, giovane e piacevolmente rumoroso nel suo aspetto acido e trasgressivo, scritto da giovani che cercano di non farsi sommergere dalla deformazione imposta dalla grande metropoli. Bello in tutte le sue tracce che potrebbero essere tutte delle potenziali hits, un disco da ascoltare in pompa magna e pieni di voglia di ribellione. Ottima prova al fulmicotone! (Bob Stoner)

(Apollon Records - 2019)
Voto: 74

https://deathcrush.bandcamp.com/album/megazone

Erancnoir - S/t

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Middle East is not known for being an easy place to play any kind of modern music, not to mention metal and, for obvious reasons, any subgenre closely related to extreme metal. The combination of particularly conservative societies and the extremely restrictive applications of religious beliefs, in this case the Muslim religion, make truly difficult to have an active scene. But even in the hardest scenarios passion, talent and inspiration can arise from the shadows and show to us that good music can appear in any place. Iran, or Persia if you prefer, is a country with a vast heritage, both historically and culturally, and it is known that its inhabitants are usually quite cultured people. But it is surprising how a single person can almost create a little scene around him. This is the case of Harpag Karnik, the young Persian behind the excellent projects like Forelunar, Ethereldine or the band I am reviewing right now, Erancnoir. All these projects play atmospheric black metal with distinctive touches and characteristics, but all of them are focused on a very well executed and emotionally intense atmosphere. His creativity seems to be unstoppable as he has released a healthy amount of releases in only two years, which is undoubtedly pretty impressive.

This time is the moment to review one of his most impressive personal projects, Erancnoir, which released its third and homonymous album just one year after the debut, which is truly amazing. I have known one-man bands which have a similar or even higher rate of releases, but Erancnoir is, without any doubt, on the top in terms of quality. 'Erancnoir' doesn´t differ too much from its previous works and like happened with the sophomore work 'Frostfallen', it contains two and remarkably long tracks with a combined length of around forty minutes. Both tracks have similar structures, which try to explore the darkest realms of atmospheric black metal. Keys play an important role, but they are not overused. For example, in the first track entitled 'Erancnoir' they initiate the track with a mystic intro, which immerses you in a vast and desolated landscape. This initial calm section is abruptly broken by a furious walls of guitars and blasting drums with a remarkably fast pace. This speediness is kept for a few minutes making the song quite grim, still atmospheric thanks to the accompanying keys. As mentioned, the song has a rather homogeneous structure but it is still able of capturing the attention due to its hypnotic nature and a little changes in its rhytmh. Vocals are, as expected, quite high pitched and indecipherable, but reasonably well performed. As the song slightly slows down, we can enjoy some nice touches like an accompanying guitar or keys which enrich the song and reinforce its captivating nature. The next track, 'Mehr', follows a similar path including the expected intro, this time way shorter. The initial furious part evolves to a very nice mid-tempo section, where the keys play a bigger role until the song becomes a pure ambient track. This supposes a beautiful ending for the album like the calm after the storm.

In conclusion, Erancnoirs´s third instalment is another excellent piece of atmospheric black metal where structures don´t vary too much, though this is not especially problematic as its great melodies and spellbinding nature are the reason behind its quality. We can only hope that Harpag with continue its impressive rate of great releases in the upcoming years. (Alain González Artola)


(Morrowless Music - 2019)
Score: 82

https://erancnoir.bandcamp.com/

mercoledì 31 luglio 2019

Umberto Maria Giardini - Futuro Proximo

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Transitori ("Onde"). Distanze ("Il Vento e il Cigno"). Impossibile misurare lo spazio e il tempo se non attraverso le emozioni. Una conseguita, irrevocabile impossibilità di comunicare (cfr. la amniotica "Avanguardia") raccontati con un ermetismo gentile e obliquamente naif ("Noi, l'antimateria della realtà", "Mea Culpa"), imprescindibile tratto cantautoriale di U-M-G, the-artist-formerly-known-as-Moltheni. E poi c'è l'ignoto. Orizzontale: il futuro blandamente distopico fatto di nuovi amori tridimensionali, multinazionali, Cina e Islam, quello di "Alba Boreale". Verticale: il ficcante misantropismo che emerge dalla colloquiale "Caro Dio", collocabile grosso modo tra il Battiato di "New Frontiers" e il Ligabue di "Hai un Momento, Dio" ("Nel comportamento umano colgo lacune di concetto / valanghe nel cervello"). I suoni ventosi a tratti ricordano i momenti migliori dei CSI, con tinte dream-progressive, cfr. "Dimenticare il Tempo" e i 5/4 de "Il Vento e il Cigno", la wave (soprattutto nel titolo), cfr. "Onda", e sparute inclinazioni nordic-prog, cfr. l'eccellente strumentale "Ieri nel Futuro Proximo". Ascoltate questo disco cercando di contare tutte le volte che U-M-G trasforma in E le I con accento tonico (in "Dementecare el Tempo" ad esempio, ne troverete parecchie). (Alberto Calorosi)

(La Tempesta Dischi - 2017)
Voto: 76

https://www.facebook.com/UmbertoMariaGiardini/

lunedì 29 luglio 2019

Alice Tambourine Lover - Down Below

#PER CHI AMA: Psych Alternative Rock
Ottima nuova uscita per il duo bolognese degli Alice Tambourine Lover che, con un'apparente semplicità musicale, espressa attraverso chitarre cristalline e liquide, piccoli rintocchi ritmici ed una splendida voce femminile, vellutata, delicata e sognante, sfornano una perla sonora degna di lode. In una giornata strana, in attesa del temporale, mi appresto ad ascoltare questo 'Down Below', disco dalla copertina intrigante, dai colori vividi e psichedelici. Una psichedelia intima, vissuta, polverosa, sabbiosa, una calda estate ed un tramonto introspettivo che chiudono il giorno con un pizzico di nostalgia costruttiva. Ecco, questa è la giusta visione con cui inquadrare un disco completo, potrei dire quasi perfetto, carico di emotività ed esistenza liquida, un viaggio lisergico tra le note acustiche ed una manciata di soffici riff che colpiscono dritti al cuore. Senza dimenticare l'ambientazione Paisley Underground del contesto, il tocco alt country a stelle e strisce ed il rustico ruggito solitario alla Mark Lanegan, reso ancor più intenso dal bel duetto con il noto cantante, musicista e produttore, Dandy Brown (Hermano, Orquesta del Desierto, John Garcia) nella magnifica "Dance Away". Una registrazione ed un missaggio con i fiocchi a cura di Luca Tacconi ai Sotto il Mare Recording Studios, che rende omaggio all'America desertica e solitaria, attraverso un ampio set di strumenti, foot tambourine, armonica, resonator, dobro, percussioni varie, chitarre acustiche ed elettriche, in una sospensione eterea senza tempo che permette di viaggiare indisturbati tra un brano e l'altro, coi capelli al vento a bordo di una vecchia cabriolet yankee anni '50 per le polverose distese di campi americani. Otto brani ammalianti che toccano l'apice artistico del duo formato da Alice Albertazzi e Gianfranco Romanelli, senza mai scadere nella ripetitività e ricreando anzi una magia cristallina brano dopo brano. Complice l'ipnotica, delicata, suadente e spettrale voce di Alice, quanto poteva esserla quella di Kendra Smith in 'Empty Box Blues' dei mitici Opal qualche decennio fa, ci lasciamo trascinare dalle canzoni dei nostri in un vortice allucinogeno di grazia, libertà e sofisticato misticismo rock (ascoltatevi i capolavori "Follow" e "Into the Maze"), tutte composizioni dotate di un sound complesso, rarefatto e magico. Il grado di orecchiabilità dei brani è altissimo e mostra uno spessore artistico di tutto rispetto, una conoscenza del genere assai avanzata ed una padronanza della propria arte da far impallidire band molto più in voga nel panorama internazionale. Un disco bellissimo, un'opera che riempie l'anima, una nobile band da seguire ad occhi chiusi. (Bob Stoner)

sabato 27 luglio 2019

Ordinul Negru - Lifeless

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hellenic Black Metal, Rotting Christ
L'avevamo anticipato meno di un mese fa, in occasione della recensione di 'Nostalgia of the Full Moon Nights', che quest'anno la Loud Rage Music aveva fatto uscire qualche re-issue dei vecchi album degli Ordinul Negru. Dopo aver quindi tributato quell'album, ci spingiamo un po' più indietro verso le radici della compagine rumena, da sempre guidata dal buon vecchio Fulmineos. Ed eccoci quindi a parlare di 'Lifeless', il quarto disco dei nostri, che vedeva il solo polistrumentista gestire gli Ordinul Negru. E con un album di oltre 60 minuti e undici pezzi, non deve essere stata proprio una passeggiata. Il disco di primo impatto, risente fortemente del black metal ellenico, scuola Rotting Christ, il che, solo per questo, lo rende differente da 'Nostalgia...', che subiva invece una forte influenza norvegese. Interessante pertanto ascoltare le melodie dal sapore mediterraneo dell'opener "Wolves from the Ancient Forest" che pongono la one-man-band rumena molto vicina, per affinità musicali, agli esordi di Sakis e soci, penso a 'Thy Mighty Contract' o ancor prima, all'EP 'Passage to Arcturo'. Un po' fuori tempo massimo qualcuno avrebbe da obiettare, però il sound ellenico è un qualcosa che pare essere rimasto immutato nel corso del tempo attraverso le release dei Rotting Christ stessi ma anche di Necromantia, Varathron, Zemial, Thou Art Lord e molti altri. Allo stesso modo, la musica degli Ordinul Negru sembra possedere in questo 'Lifeless', la stessa insana magia di quei protagonisti che hanno reso illustre la scena. Quello che fa specie alla fine è che il nostro mastermind di oggi non sia greco, per il resto trovo che 'Lifeless', per quanto mostri ancora lacune importanti su più livelli (produzione, mixing, suoni rozzi e primitivi), incarni alla grande l'indomito spirito guerriero mediterraneo, il che si traduce in battagliere, feroci, tiratissime song, quali le brevi "Warewolf", "Eve Tales" o la più atmosferica "The Cold Spirit Arouse from a Forgotten Soul", passando poi per le più strutturate e lunghe (entrambe oltre i nove minuti) "Morbid Prophecy" e "Serpent's Promise" che delineano un black dalle tinte oscure, contraddistinto da un mid-tempo dotato di mistiche atmosfere orrorifiche declamate dalle magnetiche screaming vocals di Fulmineos, uno che vi ricordo aver cantato anche nei mitici Negura Bunget. Un pezzo che ho particolarmente apprezzato, più per le sue trovate tastieristico-sperimentali, è "Snow Covers the Blood of the Warrior", ma in generale è tutto l'album a convincermi, con la consapevolezza che è stato concepito oltre dieci anni fa con tutti i limiti del caso legati anche alle pesanti influenze che subisce. Fatte tutte le dovute premesse, trovo che l'occultismo di cui 'Lifeless' è intriso, lo renda più convincente del suo successore. (Francesco Scarci)

(Banatian Records/Loud Rage Music - 2008/2019)
Voto: 72

https://loudragemusic.bandcamp.com/album/ordinul-negru-lifeless

Halls of Oblivion - Endtime Poetry

#PER CHI AMA: Melo Death/Black
Formatisi addirittura nel 2007, i teutonici Halls of Oblivion si sono presi tutto il tempo necessario per arrivare al debutto sulla lunga distanza e se non è record questo poco ci manca, giusto perchè nel 2015, il quartetto di Stoccarda aveva fatto uscire un EP di sei pezzi. La proposta dei quattro tedesconi racchiude in questo 'Endtime Poetry', nove brani apparentemente devoti ad un guizzante melo death che si lascia ben ascoltare per la sua forte vena creativa. Lo si capisce nel brillante prologo di "Vanishing Woods", un pezzo che mette ben in evidenza tutte le peculiarità dell'act germanico in termini di gusto melodico, cambi di tempo, esplosività, preparazione tecnica e quant'altro, a delineare una prova già di per sè matura e che diventerà via via più convincente nel corso dell'ascolto del disco, dove molteplici altre influenze emergeranno infatti dai solchi di 'Endtime Poetry'. Parlavamo inizialmente di un death melodico, ma in realtà ascoltando "Under the Weeping Willow", potrei accostare la proposta degli Halls of Oblivion all'epicità dei Windir, in un'essenza peraltro davvero ispirata lungo i quasi nove minuti del brano, che mi farà gridare al miracolo più volte. La lunga chiusura semi-acustica del pezzo testimonia poi quanto stia scrivendo sulle capacità intrinseche della band. Nel frattempo mi avvio all'ascolto di "Last Glance Of The Sun". Questo è un brano ricco di groove, carico di melodie che si muove lungo un mid-tempo sognante e rilassato che vede qualche impennata chitarristica e poco altro ma che si lascia ben ascoltare, forte appunto di melodie orecchiabili, clean vocals, ottimi assoli e momenti atmosferici, vicini al gothic dei primi Crematory. "The Servant" prosegue lungo questo binario, premendo poco di più sull'acceleratore, ma preservando le caratteristiche melo-dinamiche della band germanica, dando grande spazio alla componente percussiva e dove a tener banco, rimane la chitarra solista e il growling aspro, visti i continui sconfinamenti nello screaming, del frontman. A me gli Halls of Oblivion francamente piacciono, avendomi catturato con le melodie delle loro chitarre, quell'alternanza frenetica tra pezzi che ammiccano al black metal con altri ben più ragionati e ruffiani, per quanto questa parola abbia qui una valenza totalmente diversa dal suo reale significato, ma con la quale voglio giustificare le melodie più soffuse di un brano come "A Poem of the End", un pezzo vario, più compassato ma davvero azzeccato. Cosi come l'intro patinato, tra acustica ed elettrica, di "Walking Dead" che sembra quasi presa in prestito dagli Amorphis, e che vede il vocalist nuovamente in versione pulita a fare da contraltare al suo più arcigno modo di cantare, in un brano che sembra risentire ancora una volta di quel gothic sound che rese grandi band come i già citati Crematory, Darkseed e in qualche modo gli Atrocity, e che richiama al "Sehnsucht" dello spirito romantico tedesco e a quello stato d'animo legato allo struggimento interiore. Ecco quello che sento (a tratti) nelle note di 'Endtime Poetry' (e penso anche a qualcosa di "A World Falling Apart"), questo perchè poi di sovente, la band cambia registro e ci lancia in pezzi più tirati (ad esempio nelle incendiarie "The Final Regret" e "The Hypocrite", che strizzano l'occhiolino maggiormente al sound svedese dei primi In Flames), uno status nel quale i nostri sembrano trovarsi molto a proprio agio, ma che a mio avviso li spersonalizza un pochino. Per il momento 'Endtime Poetry' a me sembra un ottimo biglietto da visita ove l'invito dell'ascolto deve essere un must per molti. (Francesco Scarci)

Brouillard - S/t

#PER CHI AMA: Depressive Black, Darkspace
Il factotum Brouillard l'avevamo menzionato in occasione dell'uscita di 'Loin Des Hommes' dei J'ai si Froid..., una transitoria distrazione dalla sua band principale. L'artista transalpino torna con un nuovo lavoro intitolato semplicemente come i precedenti tre, ossia 'Brouillard' (il cui significato sta per nebbia). Quattro pezzi intitolati banalmente "Brouillard", giusto per non creare eccessiva confusione anche con tutti i brani precedentemente prodotti e non lasciare il povero ascoltatore in preda ad eventuali dubbi sul ricordare un titolo o un altro della discografia della one-man-band francese, tutto semplice, tutto estremamente spersonalizzato, o forse eccessivamente personalizzato? Mah, ai posteri... Fatto sta che mi lancio all'ascolto del quarto disco dell'eccentrico musicista d'oltralpe e quello che mi trovo tra le mani è fondamentalmente un'altra visione depressive del misterioso mastermind di quest'oggi che rimanda in modo inequivocabile alle precedenti release dello stesso, cosi come pure al suo side-project. E allora le domandi sono molteplici: perchè avere due progetti distinti se poi i generi proposti confluiscono verso un comune depressive black? Ebbene, una risposta certa non so darvela, posso solo dire che gli oltre cinquanta minuti qui contenuti, contengono melodie e ritmiche che sono accostabili a quelle dei J'ai si Froid... o forse è vero il contrario, non lo so. Aspettatevi pertanto quel black fumoso, a tratti atmosferico già descritto nella precedente recensione, con suoni che variano dal marziale al depressive melancolico, scrutando infiniti desolanti, sorretti da piacevoli parti arpeggiate che placano l'irruenza malefica generata dai diabolici vocalizzi del frontman. A differenza del side project però, posso dire che mi sembra di captare una miglior produzione alla consolle, cosi come pure una minor sporcizia in fatto di lavoro alla batteria. Per il resto, gli ingredienti che trovai nel progetto parallelo di Mr. Brouillard, li ritrovo tutti anche in questo nuovo enigmatico capitolo della saga 'Brouillard' sebbene qui meglio curati: e allora adagiatevi su lunghissimi brani (dagli 8.45 dell'opener ai 17 minuti della song di chiusura), dilatate fughe strumentali in tremolo picking, break acustici, assalti black, arcigne grim vocals, parti di derivazione burzumiana (penso al terzo ed oscuro capitolo), epiche e bombastiche percussioni folkloriche (a metà della seconda traccia, la mia preferita), ammiccamenti vari ai Darkspace in quelle partiture cosmiche dai tratti minimalistico-glaciali che in tutta franchezza, mi sono ritrovato alla fine ad amare. E cosi, da un album che avevo ingiustamente etichettato come mero clone di se stesso, mi rendo conto che Brouillard in questo lavoro riesce ad esprimere molto di più di se stesso, delle sue inquietudini, della sua solitudine, delle sue paure, convogliando il tutto in questi fottutissimi 53 minuti di incubi spettrali. (Francesco Scarci)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Fleshgod Apocalypse - Veleno
Advent Sorrow - Kali Yuga Crown
Ultar - Pantheon MMXIX

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Shadowsofthesun

Bull Of Apis Bull Of Bronze - Offerings of Flesh and Gold
Raein - Ogni Nuovo Inizio
C r o w n - Natron

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Alain González Artola

False - Portent
Old Forest - Black Forests of Eternal Doom
Ashbringer - Absolution

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Five_Nails
 

Exhumation - Seas of Eternal Silence
Feradur - Epimetheus
Wormed - Metaportal

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Dominik

Sworn - Dark Stars and Eternity
Acathexis - S/t
Rykers - The Beginning......Doesn’t Know the End

giovedì 25 luglio 2019

Seine - 22

#PER CHI AMA: Experimental Rock, The Mars Volta
Un nome inusuale per un disco, '22' è una cifra che in numerologia pitagorica identifica l’archetipo del creatore, l’attitudine alla creatività e all’innovazione. Di creatività in quest’album ne abbiamo da vendere, una miscela esplosiva di shoegaze, electro pop e trip hop di stampo decisamente atmosferico ma con una base di follia quasi schizofrenica a ricordarmi band come i Deerhoof e i Ponytail. "Novče" con la sua chitarra rock e la sua voce stralunata ai limiti dell’intonazione, descrive un paesaggio squilibrato e assurdo, mi vengono in mente immagini a cartoni animati coloratissimi, come quando si deve rappresentare il trip lisergico di qualche personaggio. Tra nuvole rosa, elefanti verdi e arcobaleni che escono dai cespugli semoventi i Seine tracciano un percorso squisitamente personale, a volte forse troppo esagerato nella bizzarria sonora, ma sempre unico e originale. Interessante "Pitaju", uno dei pochi pezzi con una evidente vena malinconica, dimostrazione di come anche solo con una chitarra e voce si possa essere davvero stravaganti. Fiore all’occhiello di '22' è sicuramente l’attenzione alla ritmica oltre che all’atmosfera altamente inusuale ed eccentrica, il pezzo che lo dimostra meglio secondo me è "Borovnica", il mio pezzo preferito del disco, che si costruisce su una sola nota ostinata seguita da una ritmica ansiotica, claudicante e stordita ma allo stesso tempo molto complessa e dettagliata a ricordare, prendetelo con le pinze, i The Mars Volta e i Flaming Lips. Una prova sicuramente lodevole per il coraggio e per l’originalità, anche se non riesco proprio a capire se sia davvero efficace la scelta dei Seine, in quanto a volte l'eccessiva eccentricità rischia di sfociare nella strampalatezza, con il filo mai del tutto chiaro. Tuttavia in '22' si sente che la volontà è esattamente quella di rendere questa musica, gli arrangiamenti, il songwriting e il concept artistico il risultato di una ricerca e nulla, e che, per quanto strambo e strano sia, sia stato conseguito per caso. (Matteo Baldi)

(Moonlee Records - 2019)
Voto: 69

https://seine.bandcamp.com/album/22