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giovedì 29 novembre 2018

The Pit Tips

Francesco Scarci

Ingrina - Etter Lys
Abstract Void - Back to Reality
Windfaerer - Alma

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Alain González Artola

Ancient Blood - Mysterious Death Domains
Bloodshed Walhalla - Ragnarok
Utstøtt - Járnviðr

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Shadowsofthesun

Daughters - You Won't Get What You Want
The Ocean - Phanerozoic I: Palaeozoic
Morne - To The Night Unknown

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Dominik

Panzer Squad - Ruins
Nattsvargr - Night of the Crimson Thirst
Survival Instinct - I am the Night

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Five_Nails

Birnam Wood - Wicked Worlds
Tristania - Beyond the Veil
Soul Dissolution - Stardust

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Alejandro Morgoth Valenzuela

Oathbreaker - Rheia
Battle Beast - Steel
Helheim - landawarijaR

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Stefano Torregrossa

Whourkr - 4247 Snare Drums
Clutch - Book of Bad Decisions

Laconic Zero - Sun to Death

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Alberto Calorosi

Arabrot - Who Do You Love
Therapy? - Cleaver
Bruno Bellissimo - Ghetto Falsetto

martedì 27 novembre 2018

Ingrina - Etter Lys

#PER CHI AMA: Post Metal, Milanku
Ero preoccupato del fatto che 'Etter Lys' fosse un album strumentale (cosi riporta nei tag bandcamp) vicino a derive post-metal e post-hardcore; vista una durata che sfiora di sei secondi l'ora, la paura di annoiarsi, devo ammetterlo, era forte. Fortuna mia che questi oscuri Ingrina siano dei burloni, visto che già dall'opener, "Black Hole", il vocalist della band si abbandona a degli urlacci che supportano egregiamente un sound potente e carismatico, forte di una componente ritmica costituita da ben due batterie e tre chitarre. Le fondamenta di certo sono quelle del post-metal e la scelta di una cosi possente armata di musicisti, sembra evocare anche la formazione dei Cult of Luna. Fatto sta che il suono dei transalpini è godurioso, è raccomandabile peraltro di beneficiarne in cuffia, per assaporare tutte le sfaccettature di siffatta musica che tende a privilegiare la componente strumentale, tenendo ben presente l'importanza di avere una voce in seno alla band. I brani partono spesso in sordina, "Fluent" lo testimonia, ma poi crescono in intensità e ardore attraverso pluri-stratificazioni soniche deflagranti, urla disperate ma anche straordinarie aperture post-rock che smorzano una ferocia che ogni tanto sembra uscire dai binari del post e virare verso forme musicali più estreme. Niente paura perchè i nostri hanno una notevole padronanza del genere che propongono, quasi ineccepibile (lascio uno spiraglio di beneficio del dubbio) oltre ad un grande gusto per melodie in grado di generare una certa emotività di carattere malinconico. "Coil" è il terzo pezzo del disco e qui la monoliticità post-metal sembra cedere il posto ad un carattere più arioso ed etereo, in una sorta di post-rock e shoegaze, caratterizzati da ottime percussioni, vocals decisamente più diradate e giri di chitarra che sublimano in epiche fughe strumentali e rallentamenti atmosferici. Ragazzi, un pezzone dove tutto è straordinariamente bilanciato, potenza e melodia, rabbia e atmosfera, vocals e chitarre. Diverse sono le similitudini anche in "Resilience", piccola gemma strumentale incastonata in questo 'Etter Lys', mentre "Leeway" sembra strizzare l'occhiolino, in modo intermittente, un po' ai Cult of Luna e ai Rosetta, in un altro pezzone che mostra arrangiamenti da urlo, eccellenti partiture strumentali e momenti di grande atmosfera in grado più volte di indurmi brividi lungo la schiena. Si arriva ai quasi sedici minuti della suite "Surrender" e gli Ingrina mettono in mostra le loro capacità dronico ambientali in un pezzo che fa della sperimentazione il proprio punto di forza. L'andamento è lento, cantava qualche tempo fa un noto cantante italiano, e l'incedere della song emula proprio quell'ondivago avanzare, attraverso l'eccellente commistione di percussioni e chitarre che regalano sprazzi di grande classe musicale, che per certi versi, connette i nostri ad un'altra grande ex band della scuderia Tokyo Jupiter Records, i canadesi Milanku. Fatto sta, che a me questo disco piace, parecchio, lo trovo affascinante, creativo, intenso, regala grandi speranze per la vitalità del genere, un po' spentosi nell'ultimo periodo. L'ultima fatica è affidata a "Jailers", roboante nel suo incipit, cosi spettrale e magnetica nei rimanenti minuti che collocano questo 'Etter Lys' nella mia personale top three dell'anno in ambito post. Un piccolo capolavoro? Beh, manca davvero poco. (Francesco Scarci)

(Tokyo Jupiter Records - 2018)
Voto: 85

https://ingrina.bandcamp.com/album/etter-lys

lunedì 26 novembre 2018

Forteresse - Thèmes Pour la Rébellion

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Leaving behind the classic Norwegian or Swedish black metal scenes, there are some other quite strong scenes, which have risen in different parts of the world. Some nice examples are the Ukrainian or the Polish ones, among others. One of those which has been highly praised by fans over the world is the one of Quebec, in Canada. As many of you surely know, in Quebec, in contrast to the rest of the country, they speak in French and the nationalism is quite strong. In fact, they have held several referendums, where the pro-independence parties were very close to win, though the result was to stay in Canada. Here, black metal has been deeply influenced by this political movement and many of its bands show a quite political approach in their lyrics. Among them, we can find one of the most notorious acts, the Forteresse. The band was formed in 2006 and quite shortly after its inception, they released an acclaimed debut entitled 'Métal Noir Québécois', where their political views were pretty clear. This album is considered a classic effort in the scene and helped Forteresse to carve a respected status among the fans. Musically speaking, Forteresse plays a quite guitar driven form of atmospheric black metal, relentlessly fast but with a strong atmosphere, especially in the old albums where the production was rawer.

Anyway, the band evolved slightly through their career and more than ten years after its creation, the current line-up, formed by the two founders and other two musicians, decided to release a new opus, the fifth record in their history, to make clear that Forteresse is stronger than ever. A jubilee is always important and I assume that the members wanted to do their best. 'Thèmes Pour la Rébellion' is the title of the new beast and I can promise that it doesn´t disappoint. Comparing the new album with the oldest ones, the first big difference is the production. It is clearly louder, cleaner and more powerful. It abandons the classic raw but atmospheric sound, for a heavier one. This might disappoint some old fans, but in my opinion the band still manages to create songs, which are very strong though they keep an atmospheric touch. What has no changed is the energy and speed of their compositions. Fiel, who is no longer in the band, smashes the drums with a relentless pace. The compositions breathe energy and fury. As both the album´s artwork and the songs demonstrate, this album is a perfect inspiration for a, this time only musical, rebellion. After a short intro, the second track “Spectre de la Rébellion” makes clear that this work will take no prisoners. But probably, the highlight of the album, and also my favourite track, is the next one, “Là Où Nous Allons”. What a beast of a song, believe me. Since the initial riff the track oozes strength and fierceness. The guitars are excellent, the riffs are hypnotic yet powerful, while Athros screams with all his fury. As I have already mentioned the cd is quite guitar driven, more than ever I would say, and I can´t recall a moment where the keys are audible, if they are used. Arrangements wise, what I like are the choirs they used a few times, like in “Vespérales”. Those voices give an epic touch to their compositions and I wish they could use them more oftenly.

In conclusion, Forteresse has expanded its musical boundaries releasing in 2016 (but re-edited in 2018) their most poignant and furious album so far. The atmospheric nature of the compositions is still there, though it’s partially buried by the relentless fury and speed of the new tracks. At the end, it is a great album and from the beginning to the end, the tracks will be able to capture and mantain your attention, mainly thanks to the awesome work with the guitars. (Alain González Artola)

Tritonica - Disforia

#PER CHI AMA: Post Hardcore/Alternative
I Tritonica sono un power trio formato da chitarra/basso/batteria che hanno debuttato l'anno scorso a Roma con un EP e quest'anno ha pubblicato questo 'Disforia', full length prodotto da Dischi Bervisti. Il digisleeve cartonato a due ante è caratterizzato da un artwork astratto con spruzzi di colore potenti, dove i colori blu e rosso predominano. Se in psichiatria la disforia è l'alterazione dell'umore con una predominante inclinazione verso la depressione, i Tritonica esprimono tale concetto attraverso undici brani in bilico tra post-hardcore, alternative ed influenze grunge/stoner. Nel loro percorso attraverso la psiche umana, la band romana sprigiona ansia e terrore con la opening track "al-Ghazālī", dove le granitiche distorsioni e le dissonanze ad irritare i nostri neuroni, la fanno da padrone. Un brano veloce e rude, che urla contro il progresso e l'industria tramite ritmiche affannate e discontinue che si dilatano nell'intermezzo psichedelico. Se la parte strumentale richiama i Bachi da Pietra, il cantato in italiano confonde le idee, assomigliando prima a Cristiano Godano, diventando poi più rabbioso e incontrollato per enunciare un testo impegnato e accusatorio. "Alchimia del Fato" si sintonizza su frequenze diverse, ballando a lungo intorno al falò della vita alla ricerca del proprio io su un tappeto di funghi allucinogeni che cresce e monta verso il riff distorto che ne chiude il viaggio dopo circa sette minuti. Lo schema appena visto continua anche con "Jimi" che dopo un incipit soave e lisergico, si lancia in una progressione hard blues con pattern improcrastinabili e riff di chitarra e basso dall'impatto devastante in pure stile desert rock. Vari stop and go si susseguono lasciando spazio ai fraseggi di basso inizialmente quieti e leggeri che trasmutano in maniera oscura verso il finale. 'Disforia' è un concept album complesso a livello lirico, strumentalmente là dove serve, che si rilassa poi per dare spazi di riflessione alla mente che vive battaglie intestine di continuo. Solo alla fine, si arriva all'accettazione della pazzia che ci circonda e "Mimonesis" lo fa senza l'uso di parole, con continui sbalzi di decibel in una lunga e struggente sessione di jam che sembra morire ogni volta, ma invece riprende sbattendo la coda come un pesce che vuole aver salva la vita. A tutti i costi, perché è l'istinto di sopravvivenza a guidarci. (Michele Montanari)

(Dischi Bervisti - 2018)
Voto: 75

https://tritonica.bandcamp.com/album/disforia

giovedì 22 novembre 2018

Runeshard - Dreaming Spire

#PER CHI AMA: Orchestral Dungeon Metal, Bal Sagoth
Chi si ricorda dei Bal Sagoth alzi la mano: bravi, è una black metal band inglese, capitanata da Lord Byron, concentrata su temi prettamente fantasy che trattano di civiltà barbare nate "prima di Atlantide", re-guerrieri, necromanti e sacerdoti di terrificanti divinità legate all'immaginario orrorifico di H.P. Lovecraft. Perchè questa mia introduzione? Perchè l'ensemble di oggi sembra essere posseduto da quello spirito chtuliano che caratterizzava Lord Byron e soci nei loro lavori. 'Dreaming Spire' è il debutto assoluto dei Runeshard, anche se Bálint Kemény, uno dei due membri, milita anche in Astur, Elanor e Ignotus Enthropya. L'EP consta di tre pezzi più "The Coronation", una bella intro suonata con l'organetto. Ma è dalla seconda song, la title track, che le cose divengono palesi e la vicinanza stilistica con gli albionici, quasi plagio. I pomposi synth sembrano infatti provenire da uno dei fatati lavori dei Bal Sagoth, penso in particolare a 'Battle Magic' e alle sinfonie magniloquenti in esso contenute. Analogamente, la traccia dei Runeshard srotola quasi sei minuti di sonorità epico-sinfoniche, il cui tema sembra strettamente collegato con draghi e castelli incantati, cosi come certificato anche dall'artwork di copertina. La musica pertanto qui, come nelle successive "Crimson Gates" e "Atlantean Sword", si muove su riffoni heavy - no, non posso dire black - montagne di dungeon synth ed orchestrazioni trionfali, suoni da menestrello e vocalizzi che si alternano tra un growl graffiato e calde voci pulite, in 17 minuti votati a battaglie insanguinate per salvare la nostra principessa dal perfido incantesimo di un mago o presunto tale. Che la saga dei Runeshard abbia pertanto inizio, spero solo che, a differenza dei Bal Sagoth, i nostri possano trovare più variazioni al tema, che alla lunga rischia di stancare notevolmente. Intanto, fiato alle trombe e godetevi questo 'Dreaming Spire'. (Francesco Scarci)

mercoledì 21 novembre 2018

Avast - Mother Culture

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze, Deafheaven
Sono passati quasi due da quando recensii il primo album dei norvegesi Avast. Era infatti il 25 dicembre del 2016 quando pubblicammo, sulle pagine del Pozzo, la recensione dell'EP omonimo della band. Due pezzi che mi avevano colpito per quella loro selvaggia ed inquieta emotività di fondo. Oggi, i ragazzi di Stavanger tornano con un nuovo capitolo, 'Mother Culture', che tocca temi scottanti e d'attualità come quelli dei cambiamenti climatici, che cosi da vicino ci stanno coinvolgendo, dagli incendi della California alle concomitanti furibonde nevicate della East Coast, arrivando alle devastanti calamità che da poco hanno colpito anche il nostro paese. Su questi temi e il rapporto natura-uomo, ecco insinuarsi la musica degli Avast, attraverso sei pezzi di un blackgaze che risponde con forza e convinzione alla proposta degli statunitensi Deafheaven. Tutto questo è assai palese sin dall'opener, la title track, che si prende la grande responsabilità di aprire l'album. Signori chapeaù. La song è debordante, una maligna cavalcata post black (e con qualche ricamo hardcore), che nei suoi attimi di quiete, cede ovviamente il passo ad aperture eteree degne del miglior post rock d'autore e ad atmosfere che ricordano da vicino quelle degli Alcest. Un pezzone insomma, che trova conferma nell'esplosività di "Birth of Man", passando però prima attraverso le ispirate note strumentali della suadente e splendida "The Myth". La terza traccia conferma tutto l'ardore palesatosi nell'opening track, forse qui ancor maggiore; ci pensano però i break acustici a spezzarne la furia e stemperarne gli animi. E le chitarre tremolanti del duo formato da Ørjan e Tron, abbinate al drumming furente di Stian ed ai vocalizzi al vetriolo di Hans (peraltro anche bassista), rendono 'Mother Culture' un disco davvero degno di nota. "The World Belongs to Man" ha un piglio decisamente più orientato verso il post metal: affascinanti le linee melodiche, le ferali urla del frontman, cosi come le sfacciatissime accelerazioni post black di metà brano e il malinconico tremolo picking nella seconda parte del pezzo, in una salita emotivamente incandescente che avvicina i nostri ai miei preferiti di sempre, i nostrani Sunpocrisy. Arriviamo nel frattempo a "An Earnest Desire", song dalla quale i nostri hanno estratto il loro notevole video in bianco e nero, un viaggio dall'alto su desolate spiaggie, accompagnato dalle splendide sonorità blackgaze del quartetto norvegese. Ahimè, siamo già all'ultimo pezzo e "Man Belongs to the World" sancisce quel doppio filo che vede l'uomo legato alla natura e viceversa, in un'ultima galoppata, decisamente più ritmata delle precedenti, dove l'essere più controllati non significa per forza essere meno convincenti. Forse il pezzo perde un po' in fatto di imprevedibilità, ma il bel break acustico a metà brano, mette d'accordo tutti sulla qualità eccelsa degli Avast (anche in termini di produzione) e non fa altro che aumentare il mio desiderio di ascoltare quanto prima una nuova gelida proposta musicale dei quattro scandinavi. Nel frattempo, vi suggerisco di procedere in ordine, ascoltare il debut EP, e poi consumare questo 'Mother Culture' nel vostro lettore preferito, non ve ne pentirete di certo. (Francesco Scarci)

(Dark Essence Records/Karisma Rec - 2018)
Voto: 80

https://avastband.bandcamp.com/

martedì 20 novembre 2018

From Ashes Reborn - Existence Exiled

#PER CHI AMA: Swedish Death, Amon Amarth, primi In Flames
Formatisi appena nel 2017, i From Ashes Reborn arrivano velocemente alla release del primo album, questo perchè i nostri non sono certo degli sprovveduti, avendo la formazione, per 4/5, militato in precedenza nei deathsters Badoc. Dalle ceneri di quella band, ecco quindi risorgere il quintetto che vede l'aggiunta in line-up di Ronni, il nuovo vocalist. Il risultato è 'Existence Exiled' e le otto song in esso contenute. Le danze si aprono con le melodie sognanti dell'intro "The Onerous Truth" che in poco più di un minuto consegna a "Fight for the Light" il compito di aprire ufficialmente le danze, in modo più efficace. Presto detto, la band inizia a macinare montagne di riff fumanti, strizzando l'occhiolino al melo death di matrice scandinava. Non mancano pertanto i riffoni roboanti, i break acustici, le growling vocals e le immancabili linee di chitarra un po' folkish che guardano ai primi In Flames ma anche agli Amon Amarth. Ce n'è per tutti i gusti, basta solo accomodarsi e prestare un po' di attenzione alla proposta dei nostri musicisti teutonici e provare a non farsi schiacciare dalla loro furia vibrante, soprattutto quella contenuta in "Follow the Rising", un brano energico (pure troppo a livello di drumming) e ficcante, che soffre il solo problema di voler imbastire la linea ritmica con un po' troppe cose correndo il rischio di sovrassaturare il sound. Questo torna fortunatamente ad essere più intellegibile nella sua esaltante sezione solistica, davvero da urlo. "The Essence of Emptiness" apre un po' nel modo dei vecchi album di Anders Friden e soci, con un bell'arpeggio su cui poi si poggiano un riffing corposo e la bella voce in growl di Ronni, in una song incisiva dall'inizio alla fine. Si può dire altrettanto della breve schiacciasassi "Infected", incazzata e roboante nel suo incedere sempre comunque pregno di melodie che rendono per lo meno il disco piacevole da ascoltare, soprattutto a livello di solismi, sempre davvero ineccepibili e coinvolgenti. Un po' più tradizionale ed incentrata su un mid-tempo invece la title track, con nessuno spunto davvero degno di nota, se non i vivaci virtuosismi alla sei corde che davvero donano parecchio brio al pezzo. Il bombardamento prosegue in "Homicidal Rampage", un altro buon brano che necessita ancora di uno snellimento a livello ritmico per risultare più centrato; qui da sottolineare un riffing più marcescente che si fa ad altri classici spinti al versante death metal, mentre la coppia di asce prosegue il proprio dibattimento in fatto di supporto ritmico+assolo. Demoliti da quest'altra carneficina, arriviamo all'ultima "The Splendid Path", gli ultimi tre minuti e mezzo strumentali che chiudono con eleganza 'Existence Exiled', un disco interessante che abbisogna, come dicevo, di un maggiore alleggerimento a livello sonoro per evitare quell'effetto caos che talvolta si respira durante l'ascolto del disco. Per il resto, direi che siamo sulla strada giusta. Un'ultima cosa, dimenticavo: la produzione di 'Existence Exiled' è stata a cura di Markus Stock (Empyrium, The Vision Bleak, Sun of the Sleepless) nei Klangschmiede Studio, mica l'ultimo degli sfigati, pertanto non sottovaluterei fossi in voi questo lavoro. (Francesco Scarci)

Petrolio - L+ES

#PER CHI AMA: Experimental/Noise/Ambient
Petrolio: non esiste monicker migliore per il progetto avviato nel 2015 da Enrico Cerrato (già con gli Infection Code, Moksa e Gabbia Inferno), una miscela in precario equilibrio tra ossessioni industriali alla Godflesh ed esplosioni harsh noise in grado di proiettarci in un mondo oscuro ed estraniante. Descrivere le emozioni che ci trasmette l’ultima fatica, dal titolo 'L+ES' (letteralmente “Le Esistenze”), nata in collaborazione con altri sei artisti del panorama sperimentale (Aidan, Sigillum S, Arbeit, Mai Mai Mai, Fabrizio Modenese Palumbo e Nàresh Ran, ognuno dei quali contribuisce a due delle dodici tracce dell’album), rappresenta una vera e propria sfida, in quanto la potenza di questa marea nera è tale da costringerci ad una continua lotta per non essere sopraffatti. Questo viaggio negli abissi sonori che rappresentano le nostre vite alienate comincia con “Ne Tuez Pas Les Anges” (ft. Aidan), una lenta marcia tra desolanti effetti ambient, tastiere grondanti tristezza e ritmiche meccaniche, efficace preludio alla definitiva immersione nel tunnel industrial-noise di “La Maladie Connue” (ft. Sigillum S), inesorabile come un male fisico. In “Scindere 2 Animes” (ft. Arbeit) la tensione è portata agli estremi da un crescendo di austere note di piano e rumori indistinti che a sorpresa si evolvono in una diafana melodia piena di malinconia, forse presagio di un pronto ritorno a galla sulla spinta della batteria saturata e degli scroscianti synth di “Fish Fet” (ft. Mai Mai Mai). Petrolio ci rivela l’inganno facendoci nuovamente sprofondare con la maestosa estridente “L’Eterno non è per Sempre” (ft. Fabrizio Modenese Palumbo), un pezzo che potrebbe tranquillamente far parte della colonna sonora di un film di Lynch e che ci avvia alla parte più disturbante dell’album: “Ceralacca e Seta” (ft. Nàresh Ran) è una finestra aperta sull’abisso di una nevrosi da cui sgorgano disperati farfugliamenti, seguono il caos rumoristico e i feedback maligni di “Heilig Van Blut” (ft. Aidan) e la martellante “Peregrinos De Almas” (ft. Sigillum S). Stiamo per toccare il fondo, la quiete della superficie è solo un vago ricordo evocato dai miraggi sonori di “Wood and the Leaf Rite” (ft. Arbeit): ciò che resta di noi, ormai schiacciato da un peso opprimente, si ritrova a vagare nei sepolcrali bassifondi di “Cut The Moon” (ft. Mai Mai Mai) e “Ojos, Eyes and l’Ecoute” (ft. Fabrizio Modenese Palumbo), alla ricerca di una qualche fonte di luce che si può solo intravedere in mezzo alla pioggia battente di effetti ambientali e percussioni ossessive. Il pachidermico groove di “Vuoto a Perdere” (ft. NàreshRan) ci riporta ad una realtà ancora più tetra dell’incubo: è l’allucinante grido finale che esplode nella cacofonia della nostra quotidianità quando la sopportazione giunge al limite (“è come se qualcuno mi spingesse o mi tirasse giù”), la voce dell’Es (forse richiamato nel titolo) che erutta spazzando via ogni repressione e tentativo di controllo conducendoci alla pazzia. In questo suo lavoro (la cui edizione fisica vedrà le tracce separate su due supporti, dalla 1 alla 6 su vinile e dalla 7 alla 12 su cassetta), Petrolio arricchisce il suo nero fluido col contributo di ogni ospite, dosandolo ed amalgamandolo come un alchimista, fino ad ottenere un vero e proprio elisir del disagio esistenziale: 'L+ES' non è certo l’album da ascoltare durante una bella giornata di sole in compagnia, bensì una prova da affrontare in solitudine, che vi sbatterà in faccia ogni vostro malessere a cui solo i più forti riusciranno a sopravvivere. (Shadowsofthesun)

(Audiotrauma – 2018)
Voto: 90

https://petrolio.bandcamp.com/releases