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mercoledì 21 novembre 2018

Avast - Mother Culture

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze, Deafheaven
Sono passati quasi due da quando recensii il primo album dei norvegesi Avast. Era infatti il 25 dicembre del 2016 quando pubblicammo, sulle pagine del Pozzo, la recensione dell'EP omonimo della band. Due pezzi che mi avevano colpito per quella loro selvaggia ed inquieta emotività di fondo. Oggi, i ragazzi di Stavanger tornano con un nuovo capitolo, 'Mother Culture', che tocca temi scottanti e d'attualità come quelli dei cambiamenti climatici, che cosi da vicino ci stanno coinvolgendo, dagli incendi della California alle concomitanti furibonde nevicate della East Coast, arrivando alle devastanti calamità che da poco hanno colpito anche il nostro paese. Su questi temi e il rapporto natura-uomo, ecco insinuarsi la musica degli Avast, attraverso sei pezzi di un blackgaze che risponde con forza e convinzione alla proposta degli statunitensi Deafheaven. Tutto questo è assai palese sin dall'opener, la title track, che si prende la grande responsabilità di aprire l'album. Signori chapeaù. La song è debordante, una maligna cavalcata post black (e con qualche ricamo hardcore), che nei suoi attimi di quiete, cede ovviamente il passo ad aperture eteree degne del miglior post rock d'autore e ad atmosfere che ricordano da vicino quelle degli Alcest. Un pezzone insomma, che trova conferma nell'esplosività di "Birth of Man", passando però prima attraverso le ispirate note strumentali della suadente e splendida "The Myth". La terza traccia conferma tutto l'ardore palesatosi nell'opening track, forse qui ancor maggiore; ci pensano però i break acustici a spezzarne la furia e stemperarne gli animi. E le chitarre tremolanti del duo formato da Ørjan e Tron, abbinate al drumming furente di Stian ed ai vocalizzi al vetriolo di Hans (peraltro anche bassista), rendono 'Mother Culture' un disco davvero degno di nota. "The World Belongs to Man" ha un piglio decisamente più orientato verso il post metal: affascinanti le linee melodiche, le ferali urla del frontman, cosi come le sfacciatissime accelerazioni post black di metà brano e il malinconico tremolo picking nella seconda parte del pezzo, in una salita emotivamente incandescente che avvicina i nostri ai miei preferiti di sempre, i nostrani Sunpocrisy. Arriviamo nel frattempo a "An Earnest Desire", song dalla quale i nostri hanno estratto il loro notevole video in bianco e nero, un viaggio dall'alto su desolate spiaggie, accompagnato dalle splendide sonorità blackgaze del quartetto norvegese. Ahimè, siamo già all'ultimo pezzo e "Man Belongs to the World" sancisce quel doppio filo che vede l'uomo legato alla natura e viceversa, in un'ultima galoppata, decisamente più ritmata delle precedenti, dove l'essere più controllati non significa per forza essere meno convincenti. Forse il pezzo perde un po' in fatto di imprevedibilità, ma il bel break acustico a metà brano, mette d'accordo tutti sulla qualità eccelsa degli Avast (anche in termini di produzione) e non fa altro che aumentare il mio desiderio di ascoltare quanto prima una nuova gelida proposta musicale dei quattro scandinavi. Nel frattempo, vi suggerisco di procedere in ordine, ascoltare il debut EP, e poi consumare questo 'Mother Culture' nel vostro lettore preferito, non ve ne pentirete di certo. (Francesco Scarci)

(Dark Essence Records/Karisma Rec - 2018)
Voto: 80

https://avastband.bandcamp.com/

domenica 25 dicembre 2016

Avast - S/t

#PER CHI AMA: Post Black/Metal, Wolves in the Throne Room, Isis
Il 2016 può considerarsi l'anno di consacrazione (e chissà, forse già di saturazione) del post-black. Ne abbiamo sentite di tutti i colori e da quasi qualsiasi parte del mondo, con una certa prevalenza tuttavia negli Stati Uniti, in Francia ed in Germania. Pensavo che a questo fenomeno, spaventosamente brulicante in tutto il pianeta, fosse rimasta indenne la sola Norvegia, cosi ancorata ai fasti di un passato ormai dimenticato. Mi sbagliavo perché il terzetto degli Avast (da non confondere con il famoso antivirus) ha rilasciato nella prima parte dell'anno un EP omonimo di due pezzi, devoti totalmente a questa imperante forma di black estremo, e che delizia per i miei timpani. "Declare" soffia gelida come il vento che sferza la banchisa alle isole Svalbard, grazie a ritmiche tiratissime e melodiche, cosi cariche di rabbia, cosi intrise di un'emotività irrequieta e malsana. Un'inquietudine di fondo che nemmeno nell'acustico break centrale trova pace al proprio tormento interiore, fatto poi di ritmiche al fulmicotone come solo i Wolves in the Throne Room sanno fare, sporcate però di una vena blackgaze che sembra apparentemente ammorbidire un lavoro che in realtà di morbido ha gran poco ma che aggrega in modo eccellente il post black con venature semplicemente post (metal e rock che siano). "Fire and Ice" ha una lunga parte introduttiva strumentale, poi è il battito tribale del drummer Ørjan a catturare la scena, accompagnato dalle urla infernali di Hans Olaf e dalle malinconiche chitarre in tremolo picking di Trond. La song scivola in un catartico sogno ad occhi aperti in cui avrete modo di ritrovare gli idoli di sempre, gli Isis, in una cangiante traccia di puro post metal, in grado di regalare attimi di piacere estatico come se immerso tra il candore dei ghiacci polari. Spaventosamente efficaci, peccato solo che questa onirico viaggio duri solo quindici minuti. Ora attendo con ansia il comeback discografico di questi guerrieri per infondere nuova linfa vitale ad un genere che sembra già avviato al tramonto. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 80