Cerca nel blog

domenica 18 giugno 2017

Sula Ventrebianco - Più Niente

#PER CHI AMA: Alternative/Indie Rock
Un rock ruvido e fuzzy (pensate al quasi-punk strafottente primi Marlene di "Wormhole", quasi al confine col groove, oppure della stessa "Arkham Asylum" più avanti. Oppure alle suggestioni deserto["Merak"]-sabbatiane["Batticarne"] o ancora al riffone piombo-zeppeliniano di "Dubhe") eppure gloriosamente eutettico, intenzionalmente pronto a liquefarsi nell'elettronica anni zerozero ("Diamante", la stessa "Merak", i Tool in gelatina di "Attraverso") o in certi ritornelli pop-oriented ("Sale in Sogno", i Tre allegri ragazzi strafatti di "Subutecs", o ancora certo brit-punk graham-coxoniano ("Metionina", la stessa "Subutecs"). L'attitudine progressive de "L'Ade a Te" potrebbe ricordarvi i Quintorigo di De Leo, o forse i Pain of Salvation più roadsaltizzati, ma abbinati a un, diciamo così, espressionismo vocale tutto partenopeo (avete in mente quel diavolo di donna che di nome fa Teresa de Sio?). Quarto album in otto anni. Una produzione intrigante e orgogliosamente analogica coordinata da Alberto Ferrari (Verdena), mirabilmente sintetizzata nella fischiettante "Yellowstone" in apertura e nella conclusiva, dissolvente, "Amore e Odio". (Alberto Calorosi)

(Ikebana Records/Goodfellas - 2017)
Voto: 75

http://www.sulaventrebianco.net/

sabato 17 giugno 2017

Viscera/// - 3 | Release Yourself Through Desperate Rituals

#PER CHI AMA: Black/Post Metal
Decisamente un album controverso e dalla duplice anima, la nuova release targata Viscera///. '3 | Release Yourself Through Desperate Rituals' è un disco che può essere idealmente suddiviso in due tronconi: una prima parte comprendente i primi tre pezzi, urticanti e rabbiosi, che mantengono un certo punto di contatto con il passato estremo della band ed una seconda metà relativamente più accessibile. "Uber–Massive Melancholia", la opening track, è un assalto di musica anarco punk, come solo gli Impaled Nazarene agli esordi hanno saputo fare, muovendosi poi in territori sludge/doom, da cui ripartire con accelerazioni isteriche affidate ad un riffing di matrice post black ed una cavalcata che viene interrotta da una deriva lisergica che ha il grande merito di spiazzare chiunque si avvicini all'ascolto di questo nuovo delirante lavoro. Tra grida e caustiche vocals sempre e comunque intelligibili, si arriva dopo oltre undici minuti, a "Martyrdom For The Finest People", con il riffing iniziale che sembra prepari al peggio: e difatti si parte subito con un'altra cavalcata punk black, nei cui accordi di chitarra si nasconde una melodia che si insinuerà ben presto nella mia testa. Nel frattempo i nostri si divertono giochicchiando con ritmiche dai battiti accelerati, che finiscono per rallentare e cedere il passo a passaggi post rock laddove il vocalist modula la propria voce su toni più pacati ed intimistici. Una brevissima parentesi perché l'incedere punkettone tornerà a materializzarsi in pochi secondi, sebbene la seconda parte della song rallenti paurosamente fino ad impantanarsi nelle sabbie mobili del post metal di scuola Neurosis. Poi, un altro break di un minutino che ci consente giusto il tempo di riprendere fiato prima dello strappo conclusivo, in cui qualcosa sembra stia per cambiare e donare una nuova forma musicale. "Tytan (Or The Day We Called It Quits)" forse funge da ponte di collegamento tra la prima e la seconda metà del disco (forse anche per un cantato pulito simil Novembre), essendo assai più breve delle due precedenti e preparatoria per “In The Cut”, dodici minuti di un sound pur sempre abrasivo ma apparentemente più orientato verso lidi rock, per cui mi sembra quasi di aver a che fare con un'altra band, complici vocals ora pulite, ritmiche che potrebbero tranquillamente stare su un disco dei Katatonia, giri di chitarra più morbidi e quella vena punk che contraddistingueva il cd fin qui, praticamente scomparsa, lasciando posto ad un mood malinconico più orecchiabile. L'ultimo scoglio da superare è rappresentato dagli ultimi venti minuti di "Anxiety Prevails", una traccia che vede la partecipazione in veste di guest vocals di Kevin K. (parecchi sono gli ospiti nel lavoro) e che esordisce su linee di chitarre quasi deathcore, decisamente dirette nel volto, in una song a tratti furente (bella a tal proposito la cavalcata post black dopo cinque minuti) capace di mettere a segno anche un bell'assolo. Dopo un vorticoso approccio iniziale, la tempesta sonora sembra placarsi e lasciare posto solo al suono dei tuoni in lontananza e ad un lungo parlato, presente peraltro solo nella versione cd (un po' troppo lungo a dire il vero) che prepara agli ultimi sei minuti del disco, affidati alla cover "True Faith" dei New Order, un pezzo del 1987, all'insegna di una forma sonora moderna e pop che potrebbe stonare per chi fino a pochi minuti prima stava ascoltando un ibrido tra Napalm Death, Impaled Nazarene e Neurosis. Sicuramente una provocazione della compagine italica, contraddistinta anche in sede di artwork scelto per la cover dell'album, con lo sguardo psicotico di Jim Jones, colui che si è reso responsabile del suicidio di massa di Jonestown nel 1978. Lavoro di grande fattura per una delle band italiane dal respiro europeo, anzi mondiale. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records/Wooaaargh/Unquiet Records - 2017)
Voto: 75

https://viscera3stripes.bandcamp.com/album/3-release-yourself-through-desperate-rituals

mercoledì 14 giugno 2017

Dö - Astral: Death / Birth

#PER CHI AMA: Stoner Death, Ufomammut
Dopo aver affrontato il tema della distruzione in 'Tuho', tornano i finlandesi Dö, questa volta con una tematica delicatissima, incentrata su un argomento che da millenni cruccia l'uomo, la morte e la nascita. Tuttavia, approfondendo maggiormente le liriche, capisco che il tema dei nostri è ben più ampio e verte piuttosto sull'incerto futuro del genere umano, mai cosi nebuloso come in questi difficili tempi. Il terzetto di Helsinki prosegue il proprio discorso musicale all'insegna dello stoner death doom sempre contraddistinto da granitici chitarroni sui quali si stagliano i vocalizzi mortiferi di Deaf Hank. Due le tracce a disposizione in questo 'Astral: Death / Birth', appunto "Morte" e "Nascita", per una durata complessiva di venti minuti tondi tondi. I nostri non si scomodano più di tanto dal precedente lavoro, ed imperterriti proseguono nel generare quelle atmosfere pachidermiche, in un sound che essi stessi definiscono döömer e che a livello ritmico, nell'iniziale "Death", richiama irrimediabilmente i Black Sabbath a cui aggiungerei io, anche i nostrani Ufomammut e gli immancabili Cathedral degli esordi. Non male l'assolo che trancia la song a metà, contraddistinto da un tipico feeling settantiano. La band finlandese infarcisce il proprio sound con una sublime componente esoterico psichedelica che esplode nella tribalità ossessiva di "Birth", con i vocalizzi arcigni del frontman che cedono questa volta a chorus che sembrano provenire da un qualche rituale catartico, mentre la voce dello stesso Deaf Hank abbandona il suo torvo growling per un litanico parlato, tutto questo almeno nella prima metà. I restanti cinque minuti della song infatti si imbastardiscono e con essi anche la voce del carismatico cantante che torna oscura e possente, cosi come il downtuning chitarristico sempre più ancorato ad abissi death doom, enfatizzati peraltro da una registrazione lo-fi ottenuta durante una sessione live, volta a catturarne lo spirito indomito dei nostri. Splendidi gli assoli posti ad un terzo e a due terzi del brano, con la chitarra sorretta da un buon lavoro al basso dello stesso vocalist. Insomma, graditissimo ritorno, peccato si tratti solo di un paio di brani, che abbassano di mezzo punto la mia valutazione conclusiva. Ne vogliamo di più!! (Francesco Scarci)

martedì 13 giugno 2017

Rites to Sedition - Ancestral Blood

#FOR FANS OF: Swedish Black, Unanimated, Dissection
North Carolina-based melodic black metallers Rites to Sedition have taken their influence from the old-school melodic black metal scene to craft an ambitious effort upon the origins of man and his epic quest to overcome occult mysteries. This is mainly built around the utterly phenomenal riff-work present, featuring plenty of thrilling tremolo patterns full of fiery rhythms and a multitude of tempo changes that allows this one to generate a slew of exciting rhythms. By adding in a technicality to these riffs alongside the ability to utilize the grandiose soundscapes throughout here, this manages to acquire a feeling of explosive icy black metal riffing that develops a variety of tempos and patterns throughout here as the vast array of exceptionally glorious rhythms throughout here which help to make the melodic leads all the more impressive. Running over furious tempos as well as plodding mid-paced efforts makes a huge impact on their rhythms by enabling this one to readily shift focus into the varying tempos and not lose any sense of power or grandeur in the attack, making this a spectacular showing that’s able to generate these varying moods and atmospheres here. It does feel it’s length at times because of the lengthy songs sometimes generating a few unneeded parts here and there but on the whole, that’s a minor gripe here just to pick at it. Intro "Waveform 66," "Echelons of Imposition" and "Sorcerers of Atlantis" manage to combine these together exceptionally well, while the epics "The Moon Titan Phylon" and "The Golden Aeon of Saturnia" fit them into even longer segments to really boost this considerably. However, overall there’s not much really wrong with this one. (Don Anelli)

lunedì 12 giugno 2017

Wolfmother - Victorious

#PER CHI AMA: Stoner/Hard Rock
Nel quarto fragoroso disco della più omologata e crescentemente solipsistica band di vintage-rock australiano, i Wolfmother, pardon, il Wolfmother (a.k.a. Andrew Stockdale, autore di musiche e testi, cantante, chitarrista, bassista, ordinatore di pizze al telefono e co-produttore assieme a Brendan Volpone O'Brien; gli altri due contano più o meno quanto il due di bastoni in una gara di scorregge) prosegue quel processo di (in)consapevole nerosabbatizzazione già intuibile in 'Cosmic Egg'. La title track, nonché primo singolo radiofonico, "Victorious", pare fuoriuscita da 'Paranoid', non vi pare? Se il giochino vi attizza, provate con: "The Love That You Five" cfr. "Vol. 4", The Simple Life" cfr. "Never Say Die", "Gypsy Caravan" cfr. "Sabotage" e, beh, con un po' di fantasia anche "Happy Face" cfr. il primo Ozzy solista. Bene quando, altrove, il suono s'impenna e diventa più cosmico ("Remove Your Mask", la stessa "Gypsy Caravan"), così così il glam clap-clap di "Best of a Situation". Pessime certe concessioni power-pop, individuabili, per la precisione, in quella specie di Paul Simon imprigionato nel furgone di Andreas Johnson che è "Pretty Peggy". Poca ispirazione e tanta maniera. Ma capitava molto spesso anche nei caleidoscopici seventies. (Alberto Calorosi)

(Universal Music Enterprises - 2016)
Voto: 70

http://www.wolfmother.com/

domenica 11 giugno 2017

Lvx Hæresis - Descensŭs Spīrĭtŭs

#PER CHI AMA: Black mid-tempo, Blut Aus Nord, Traumatic Voyage
Dalle Valli del Rodano, ecco un'altra band a testimoniare l'eccellente stato di forma musicale della Confederazione Elvetica. L'avevamo già sottolineato in occasione della recensione delle esoteriche liturgie dei confederati Arkhaeon, e oggi ci troviamo al cospetto di un'altra compagine che propone un sound ritualistico ed occulto, che trova alcuni punti in comune proprio con quella band. Si tratta dei vallesi Lvx Hæresis, attivi dal 2013 che arrivano solamente nella primavera del 2017 al loro full length di debutto, sebbene un singolo abbia visto la luce già nel 2015. Le song contenute in questo 'Descensŭs Spīrĭtŭs' sono sei, anche se la seconda "II-III" può far pensare a due sottotracce. Il genere come scrivevo, si rifà ad un oscuro e malato black mid-tempo che scava nella notte dei tempi e trova come punti di riferimente del quartetto di Sion, storiche figure della loro terra natia, e penso a Celtic Frost, Coroner, primi Samael e Sadness perché no, per assemblare una proposta musicale che ha certe affinità anche con il modernismo degli ultimi arrivati Schammasch. Tutte band svizzere avete visto e non certo gli ultimi arrivati poi, a dimostrare quando sia importante la scena elvetica per la progressione di questo genere arcano ed affascinante. I Lvx Haeresis, sebbene mostrino ancora qualche segno di immaturità, ci mettono del proprio, offrendo un concentrato sonoro torvo, maligno, mefitico, un essudato diabolico che sembra emergere dalle viscere infernali. Ecco spiegata in poche parole la opener "I", song atmosferica, compassata ed ipnotica quanto basta per rievocare anche i francesi Blut Aus Nord, non disdegnando poi neppure asfissianti rallentamenti doom. "II-III" è già più tirata, complici disarmoniche melodie non cosi facili da digerire, su cui poggiano gli aspri vocalizzi del misterioso frontman D.H. ed un finale spettrale ed orripilante, ideale colonna sonora per un film horror. Arriviamo alla terza "IV", song che si muove su qualche cambio di tempo in più e su lugubri atmosfere che ancora una volta sembrano estratte da spaventosi horror movie. Il sound è lento e per certi versi sfiancante a causa del suo litanico incedere destabilizzante e ad un epilogo che si avvicina ad un breve rituale esoterico. Le chitarre della quarta "V" mi evocano anche un che dei bavaresi Traumatic Voyage e del loro allucinato e primitivo black doom, perennemente cadenzato, che sembra districarsi tra i sulfurei fumi dell'Ade. "VI", pur palesando chitarre più ancorate ad una forma primigenia di black metal, mantengono inalterato il proprio mood rallentato e quella malvagità insita nelle corde vocali del cantante che ci prendono per mano e ci accompagnano fino alla conclusiva "VII", una vera summa del Lvx Hæresis sound, costituito da dieci minuti di sonorità ipnotiche che sposano alla perfezione la filosofia nichilista del Pozzo dei Dannati. Come punto di partenza, 'Descensŭs Spīrĭtŭs' si conferma un album più che discreto, ma ho la sensazione che le potenzialità di questo terzetto siano di gran lunga superiori. (Francesco Scarci)

(Atavism Records - 2017)
Voto: 70

sabato 10 giugno 2017

Asira - Efference

#PER CHI AMA: Post Black/Rock Progressive, Fen, Riverside, Alcest
Ancora una volta mi duole constatare che è uscito un album assai notevole e nessuno in Italia se n'è accorto. Che diavolo serve allora avere decine di siti che si occupano sempre e solo dei soliti nomi? Fortunatamente, il talent scouting è di casa nel Pozzo dei Dannati ed ecco spuntare dal cilindro gli inglesi Asira, quintetto proveniente da Reading, con quello che credo essere il loro debut, 'Efference'. E che debutto signori: il disco è fantastico sin a partire dall'orchestrale intro "Sanguine". Poi, ecco esplodere il post-black dei nostri con "Crucible of Light", una song tanto furente nel suo incipit, quanto elegante nel suo prosieguo che strizza l'occhiolino ai connazionali Fen (ma anche agli statunitensi Deafheaven), ma che palesa anche partiture sognanti in stile Alcest, con tanto di cori shoegaze, ed infine un mescolamento di vocals che vanno dallo screaming efferato al pulito. La musica nel frattempo si diletta tra accelerazioni furenti sorrette da efferati blast beat e divagazioni post rock, guidate da splendide melodie che per certi versi mi hanno evocato anche gli *Shels. Già estasiato per la proposta, mi rilasso ancor di più aprendo ulteriormente la mia mente al quintetto albionico: arriva la title track, con i suoi delicati arpeggi e il tremolio delle chitarre in uno scorrere languido e sognante che ammanta gli oltre otto minuti della song. Il brano ha modo di regalare uno splendido assolo che con la musica estrema ha ben poco da spartire, sembrando piuttosto un tributo ai Pink Floyd. La durata delle canzoni è abbastanza elevato, cosi pure "This Hollow Affliction" ha da offrire oltre dieci minuti di emozioni, ma alla fine si è cosi immersi nel suono caldo ed avvolgente della compagine inglese, che neppure me ne accorgo. Il brano mostra una prima metà dal piglio decisamente ambient, per poi pigiare un po' più sulla tavoletta del gas con una ritmica dal taglio black. Pochi attimi perché saranno ancora le celestiali melodie ad avere la precedenza, sebbene la musica si muova poi su ripetuti cambi di tempo e mood. Quel che mi preme sottolineare è il ruolo svolto dalle chitarre, eccellenti sia a livello ritmico, ancor di più nella veste acustica e solistica, di matrice tipicamente rock. L'intensità emotiva cresce a dismisura sul finale del pezzo, con una miscela di cori angelici e arcigne vocals. Ottimo il lavoro al basso di Chris Kendell in "Phosphorous", traccia corrosiva nei primi frangenti, poi ammiccante gli Opeth del loro periodo centrale, nei successivi minuti e ancora in preda a deliri black in un'evoluzione continuativa del brano. Ancora momenti di dolcezza, che forse faranno arricciare il naso ai fan più estremi, giungono con la calma "Whispers of the Moon", quasi una semi-ballad, fantastica peraltro nel suo atto conclusivo, in cui ho visto dei punti di contatto questa volta con i polacchi Riverside. Gli Asira non avranno inventato nulla di nuovo, son d'accordo, ma come amalgamano tutte le loro influenze ha dell'incredibile e merita solo per questo l'acquisto del coloratissimo digipack. Gli ultimi dieci minuti del disco sono affidati a "The Mortal Tide", song in cui il sound progressive della compagine britannica si miscela con il black metal, in un ultimo atto che sancisce l'elevata caratura tecnico-compositiva di una band di cui sentiremo parecchio parlare in futuro. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 80

https://asira.bandcamp.com/

V/A - Collected by Mizoo - Greenosophy Chapter II

#PER CHI AMA: Elettronica/Ambient
La Ultimae Records è come il canto delle sirene in mezzo al mare, ammaliante e luminosa, pericolosa e votata alla perdizione. Non si pensi a cose dannate ma bensì ad un bagno in acque cristalline, rinvigorenti anima e corpo, acque profonde che toccano i nostri più intimi stati d'animo, piccoli frammenti di sogno tolti alle nostre vite per divenire suono e musica. La nuova compilation 'Greenosophy Chapter II', uscita sotto le ali della etichetta transalpina dedita all'ambient più etereo, elettronico, minimale ed introspettivo, è il seguito naturale del primo volume dal titolo 'Greenosophy', uscito qualche anno fa ed è un assaggio curato dal DJ svizzero Mizoo, che raccoglie ed esibisce suoni dei tanti artisti dell'etichetta, da Scann–tec ad Aes Dana, passando per Miktek e tanti altri, per affrontare un suono stimolante e rilassante allo stesso modo, carico di spessore e micropulsioni elettroniche, figlie di sperimentazioni tra tecno sound e new age, sempre suggestive e mai banali. Come in uso alla Ultimae, la compilation è senza tregua e tutti i brani, seppur di autori diversi, trovano una direzione all'unisono, inducendo l'ascoltatore ad intraprendere un lungo viaggio a metà tra l'ipnosi e la mistica percezione, pura poesia per le orecchie, musica proiettata nel futuro, qualità sonora spettacolare (esiste anche la versione a 24 bit per i palati più fini), con l'usuale ottimo artwork (curato da Arnaud Galoppe and Vincent Villuis che si sono occupati anche della masterizzazione), dalla ricerca grafica inequivocabile e perfetta nel rappresentare il sound peculiare, maniacale, cinematico e viscerale delle release della label transalpina. Musica da ascoltare ad alto volume in concentrazione o in cuffia per capire veramente cosa si nasconde dietro a questi pezzi coalizzati divinamente da DJ Mizoo, che all'apparenza sembrano banale musica elettronica per ambiente lounge ma nel cui interno vi si nasconde arte finissima del mondo elettronico. Tra queste tracce, la cui matrice filosofica sembra ovvia e ben manifestata, vi si trova la magia di ambienti incontaminati composti pensando agli intoccabili Brian Eno, Sakamoto e Kraftwerk, rivisitati in chiave chillout. Non esiste un brano migliore di altri poiché il lavoro è omogeneo ed equilibrato a puntino, e tutto fila che è un piacere. Concedetevi un viaggio ai confini della realtà conosciuta, ascoltando 'Greenosophy Chapter II', farete del bene alla vostra anima! (Bob Stoner)