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giovedì 28 luglio 2016

Ithaqua - The Black Mass Sabbath Pulse

#PER CHI AMA: Black Ellenico, Rotting Christ
Non conosco l'esatto motivo, ma in estate mi sembra di avere per le mani un maggior numero di EP, soprattutto targati Iron Bonehead Productions, forse una coincidenza, mah... Quello di oggi è il 7" di debutto dei greci Ithaqua, un lavoro i cui suoni mi riconducono indietro nel tempo di oltre vent'anni, 23 per la precisione, ossia quando uscì 'Thy Mighty Contract', album immortale dei connazionali Rotting Christ. Un vero back in time per il sottoscritto in quanto "The Black Mass Sabbath Pulse" e "Walpurgis, The Flight Of Spectral Witches", i due brani ivi contenuti, pescano a piene mani proprio dal quel masterpiece. Sedici minuti che si rifanno alle antiche tradizioni e all'occultismo di scuola ellenica che ha dato regali natali a band quali Thou Art Lord, Septicflesh,Varathron e Kawir (di cui Echetleos peraltro, il chitarrista della band, ne è membro). Le atmosfere, i giri di chitarra, le flebili tastiere e le aspre growling vocals incarnano appieno quello spirito di metà anni '90, quando la scena greca era forse assai più florida di oggi. Se il side A riflette pedissequamente quei suoni, il lato B del dischetto aggiunge alla componente black anche un che di heavy doom classico, soprattutto a livello di suoni di chitarra nella prima metà. La seconda no, non potete sbagliare, puzza lontano anni luce di quell'odore di zolfo che impregnava indelebilmente tutti i dischi nati in quella fetta di Mediterraneo. (Francesco Scarci)

mercoledì 27 luglio 2016

The Basement Paintings - Mystic

#PER CHI AMA: Post Metal/Ambient, Isis, Russian Circle
Quando penso al Saskatchewan, mi vengono in mente gli indiani d'America, mi piace come suona questa parola, trovo che abbia un che di mistico. Da oggi però legherò il nome di questo grande stato canadese anche a quello del quartetto dei The Basement Paintings, e al loro nuovo album, il terzo, intitolato 'Mystic'. La band, proveniente dalla città di Saskatoon, condivide nell'ora a loro disposizione, la propria visione musicale, all'insegna di uno strumentale, atmosferico e cinematico post metal, che vede tra le proprie influenze act quali Godspeed You Black Emperor, Isis, Russian Circles e perché no, anche Pink Floyd. È proprio dalle visioni più oniriche e psichedeliche di quest'ultimi infatti, che prendono forma le prime due tracce del disco, "Nomad" e la lunga "Veda", diciassette minuti totali di musica ispirata, che fonde al suo interno panorami ambient/drone con suggestioni progressive assai ipnotiche che chiamano in causa, nelle oscure linee di basso, anche i Tool. Raffinati devo ammetterlo, però (c'è sempre un però), se ci fosse stata una voce (un qualcosa alla Steven Wilson per intenderci), staremo parlando di una release bomba. "River" è una breve traccia ambient che ci introduce a "Portal" e ai suoi astrali riverberi notturni cosi evocativi a livello di chitarre ma anche cosi carichi di alte dosi di groove. "Cave Dance" è un'ipnotica danza attorno alle cerimoniali fiamme di una qualche festa indiana, ma voi potreste sentire (e vedere) sicuramente dell'altro grazie a quel tribale battito di tamburi che va lentamente affievolendosi lungo l'evolversi del brano, lasciando spazio ad eteree chitarre ancestrali che evocano nuovamente i primordiali vagiti dei Pink Floyd, sebbene il finale si conceda una scarica elettrica dal flavour decisamente post metal. Ancora sospiri d'ambiente con "Pensive", prima della maratona conclusiva affidata ai 13 minuti di "Oneiros" che, come si evince dal titolo, riflettono paesaggi trascendentali e immaginari che contribuisco a sottolineare le eccelse qualità tecnico-compositive del combo canadese, capace di dispensare musica sopraffina, che trova il suo epilogo nella title track, posta come ultimo atto di questo mistico lavoro. "Mystic" è l'atto meditativo finale, la catarsi, l'ascesa verso il Grande Spirito Wakan Tanka. Sciamanici. (Francesco Scarci)

martedì 26 luglio 2016

lunedì 25 luglio 2016

Vira - S/t EP

#PER CHI AMA: Math/Stoner
Inizio questa recensione, citando il sito bandcamp del duo bolognese dei Vira: questo pezzo si basa sulla struttura dell'antica tragedia greca i cui personaggi condannati tipicamente passano attraverso tre fasi nel loro viaggio verso la rovina. Queste erano: ATE (Cecità) in cui il personaggio tragico commette involontariamente il suo errore fatale. HUBRIS (Arroganza) in cui il personaggio tragico offende gli dei con la sua arroganza. NEMESIS (Divine Retribution) in cui il personaggio tragico è severamente punito dall'ira degli dei. L'EP omonimo dei Vira è un'unica traccia digitale, scaricabile gratuitamente dal loro sito, che ingloba, lungo i suoi sperimentali e strumentali 23 minuti, proprio le tre fasi sopra descritte, in una song dal lungo incipit dotato di un incedere marziale, "Ate" appunto. Dopo quasi sei minuti finalmente, il sound dei due musicisti di Bologna, inizia a prendere lentamente forma, accelerando il proprio ritmo, ma solo per pochi istanti, prima di ripiombare in uno stato di venata malinconia che verosimilmente riflette la fase di drammaticità iniziale prevista dal canovaccio greco. Chitarra e batteria si impossessano della scena in "Hubris", in una circolare linea melodica che in taluni frangenti prova ad uscire dagli schemi, con un math ricco di venature blues rock, ma che prova a calcare anche alcune acide linee stoner/hardcore, in un turbinio sonoro alla fine non proprio semplice da etichettare, ma affetto, a mio avviso, da un unico problema, ossia risultare glaciale e asettico. Alla fine dell'ascolto del lavoro infatti, mi ritrovo perplesso e con un forte senso di vuoto dentro: ho ascoltato musica più che discreta, addirittura originale ma ahimè non ho provato emozione alcuna, anche durante i successivi ascolti, se non avendo apprezzato l'ultimo minuto e mezzo di "Nemesis". Non sono riuscito ad instaurare con i Vira alcuna empatia (sebbene l'ispiratissima cover del disco) e questo giustifica il mio basso voto. Tuttavia questo non presuppone che anche voi non siate in grado di entrare in sintonia con l'ensemble dell'Emilia Romagna; trattandosi di musica di fruibilità gratuita, un ascolto lo raccomanderei comunque. (Francesco Scarci)

domenica 24 luglio 2016

Elusive Sight - Beyond Light

#PER CHI AMA: Death/Doom/Gothic, My Dying Bride, Anathema, Madrugada
I polacchi Elusive Sight sono una sorta di magia del sottobosco musicale estremo europeo. Autoprodottisi in maniera spettacolare, il quartetto polacco ha tutte le carte in regola per saltar fuori dalla media delle release europee degli ultimi tempi, esasperando un suono che sbandiera nomi di band di culto, impegnate in vari e differenti generi, tra cui My Dying Bride, In The Woods, Anathema e i rockers norvegesi Madrugada. Tutti questi modi differenti di far musica estrema vengono convogliati e interpretati in 'Beyond Light' con una maestria tale che nulla possiamo dire alla band proveniente da Leszno Górne cosi come nulla che possa scalfirne la raggiunta maturità. Dopo un buon album di debutto, con l'utilizzo prevalente di una voce gotica femminile, datato 2013, la band, nata solamente un anno prima, modifica la propria formazione portando il vocalist Gordon in pianta stabile dietro al microfono: mai scelta fu cosi azzeccata per il sound del gruppo. Una voce straripante, drammatica, padrona assoluta della scena, tesa all'inverosimile e al contempo malinconica, avvolgente, poetica nel suo rendere ogni nota cupa e senza via di uscita. Il parallelo con i Madrugada di 'Industrial Silence' è d'obbligo, anche se qui si parla di musica decisamente propensa al metal d'avanguardia, oscura con punte volte al gothic e al doom più arido. La chitarra di Jarosław Mendrek poi rende tutto così astratto e delicato con il suo modo così inconsueto di intendere il doom che anche le parti più dure mostrano una malinconia al di fuori del già sentito, una realtà tagliente e dura, aspra, un continuo senso di ricerca interiore e un isolazionismo ricercato. Un album tanto bello quanto pericoloso, un disco che spinge su tutti i brani verso il crollo verticale dei sentimenti. Il modo anticonvenzionale di intendere il doom da parte degli Elusive Sight e quella loro innata verve depressiva piena di energia, ha creato nove splendide gemme, dal suono moderno, glaciale e stimolante sulla scia di band come i Lifelover ma rivolti più alla profondità e all'introspezione, con brani che sfiorano l'apoteosi della sofferenza e il mal di vivere, come l'iniziale "Of Heremit and the Absence of Light" o la centrale "To the Mountains". La splendida ballata "Haven" sembra rubata dal repertorio dei Madrugada, per essere resa dannata e immortale grazie alla voce sofferente di Gordon che, salmodiante, ci spiazza e rende inermi dinanzi a tale illuminato rock occulto. Gli Elusive Sight non hanno un nome scenografico e anche graficamente il cd potrebbe passare inosservato, ma la realtà è ben diversa, in quanto questi ragazzi hanno creato una sequenza di brani stratosferica, di qualità superiore, un disco che deve essere considerato in assoluto tra le migliori uscite underground del 2016. Una band dal potenziale incredibile e dalle doti compositive che colpiscono per un sound rigoglioso di oscurità e profondità, musica estrema per riflessioni interiori, per cadute senza fine. Non un capolavoro, il capolavoro! (Bob Stoner)

(Self - 2016)
Voto: 90

Negative Voice - Cold Redrafted

#PER CHI AMA: Death/Doom/Prog, Agalloch, Katatonia, Opeth
La sinergia tra Hypnotic Dirge Records e Solitude Productions inizia a sortire ottimi risultati. Ne è l'esempio lampante il nuovo album dei russi Negative Voice, il secondo per il quartetto moscovita, intitolato 'Cold Redrafted' e vera sorpresa per il sottoscritto, che aveva sottovalutato i nostri nel 2013, quando uscì 'Infinite Dissonance'. Ascoltato il nuovo lavoro, mi sono dovuto ricredere invece sulle potenzialità, all'epoca forse totalmente inespresse, dei nostri. Signore e signori, 'Cold Redrafted' è quello che giudico un gran bell'album, maturo, fresco, squisitamente melodico, ma carico di energia, in grado di regalare emozioni in quantità e di qualità. Otto i brani contenuti e quasi tutti sorprendenti, sin da "Limitation", che mi ha conquistato sin dal primo assolo che si delinea nel primo minuto e mezzo del brano, al suo intero evolversi. Splendido, tutto qui, non serve aggiungere altro. Poi solo una cascata emotiva che mi trascina in un vortice di sensazioni che spaziano dalla malinconia alla gioia, quella vera, capace di regalare lacrime copiose agli occhi. I quattro ragazzi, migrati ora nella capitale russa, regalano un death doom atmosferico in grado di scomodare gli Agalloch, gli Opeth ma anche i Novembre e i Katatonia, per un condensato notevolissimo di musica di ottima fattura che farà la gioia di coloro che amano la drammaticità del doom, ma anche di quelli che non disprezzano le cavalcate post black ("Nightmare Everlasting"), le sinistre atmosfere ("The City of Decaying Gaze"), o i tecnicismi del progressive ("Lighthouse"), per un pot pourrì di assoluto valore che non deve passare inosservato, per alcun motivo. Questa è la musica che amo, in grado di trasmettermi cosi forti emozioni, che mi guidano nella scrittura di queste mie parole, addirittura ad occhi chiusi, godendo della delicata raffinatezza di questi ragazzi, saggi nel saper quando colpire con irruenza, ancor di più nel selezionare i momenti per un break acustico, l'utilizzo di clean vocals piuttosto che del growling assai convincente di Evgeniy Loginov. Classe cristallina, che viene messa al servizio anche solo nell'aprire un brano come "Instant", una song più nervosa e meno lineare rispetto a quelle apprezzate sin qui, in quell'incredibile trittico di pezzi che apre il disco. "Instant" è sicuramente più criptica, cupa, nostalgica e ricercata, forse anche per questo la più complicata da assimilare, ma comunque splendida. Torno a citare invece i Katatonia (del periodo intermedio) per quel riguarda le linee di chitarra quando a scorrere nel mio stereo è "Impasse", un'altra piccola gemma da non perdere. Con "Karmic Pattern" si torna a sprofondare nel doom abissale, anche se nella sua seconda metà, gli echi degli Opeth tornano a farsi sentire. Per certi versi questa uscita dei Negative Voice potrebbe essere accostabile al nuovo lavoro dei loro compagni di etichetta (EchO), e come per gli amici bresciani, la band si dimostra già matura per il grande salto in una big label. 'Cold Redrafted' è infatti un ottimo lavoro, dotato di un certo carisma e di una spiccata personalità, che auspico venga sapientemente convogliata nella giusta direzione anche in futuro, perché probabilmente sentiremo parlare dei Negative Voice per lungo tempo. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music/Hypnotic Dirge Records - 2016)
Voto: 85

sabato 23 luglio 2016

Krigere Wolf/Waldschrat/Notre Amertume/Antiquus Scriptum - The Beginning of the End

#FOR FANS OF: Black/Death/Viking/Pagan
Gathering four bands together, this new split effort containing Italian black/death upstarts Krigere Wolf, Austrian black/folk metal newcomers Waldschrat, internationally-based atmospheric black metal group Notre Amertume and a lone track from Portuguese black/Viking metallers Antiquus Scriptum for a wholly enjoyable mixture and variety present. Starting with Krigere Wolf, their pummeling mixture of frantic tremolo-picked black metal with the dexterous tempo-changes and rather pounding rhythms here makes this quite a ferocious beast, making their swirling tremolo patterns at the forefront to create a dynamic and wholly-enjoyable up-tempo assault that rattles along at consistent speeds for maximum impact and devastation while still managing to successfully incorporate the sprawling majestic melodies in the appropriate manners for the perfect augmentation to the ferocity presented elsewhere. This is easily the best band on the split and really has a lot to like with their three blistering tracks. ‘War's Ancestral Prophecies’ uses an atmospheric intro that gives way to furious swirling riff-work and pounding drumming holding the frantic tempos along throughout the extended rhythms with sprawling atmospheric patterns off-set with the crashing drumming into a majestic epic makes for a fine opener. ‘Come to Die with Us’ takes rattling drumming and intense swirling riff-work pounding along through a series of frantic and intense rhythms pounding along through the tight rhythms full of swirling tremolo patterns and pounding drumming for a wholly dynamic and engaging highlight. Their last effort, ‘Supreme Energy of the Universe’ slowly moves through a sprawling opening into a frantic full-throttle series of blasting drumming and ferocious swirling patterns in the riff-work for a rather tight, ferocious series of patterns for a great conclusion to their efforts. With Waldschrat, again the omnipresent use of swirling tremolo patterns is at the forefront though instead there’s a far more pronounced blend of folk-influenced arrangements for the riffing. This still carries itself along quite well with plenty of strong and truly ferocious rhythms presented here, but the blasting tendencies are cut in favor of melodic swirling patterns and rather looser-fitting arrangements that are given a raw edge to the overall work with some great harmonic lines throughout which helps this out infinitely more to give another dynamic impact to the music. Some of the longer sprawling sections seem to go on far longer than they really should but overall there’s a lot to like here.‘Wer Wind sät…’ features tight, raw swirling tremolo patterns and utterly relentless drumming carrying the bouncy tempos along through the raging riff-work blending a series of ferocious patterns along into the frantic pounding tempos and charging tempos for a rather impressive highlight. ‘Die Ruhe vor dem Sturm’ uses a lighter series of rhythms and tight drumming to blast away at a fine mid-tempo charge with the more fervent melodic riff-work and lighter drumming making a far more relaxed and folk-leaning series of rhythms in a highly enjoyable effort. ‘...wird Sturm ernten’ crashes into a melodic mid-tempo series of swirling patterns and tight drumming careening along with majestic melodies and a series of frantic, simple drumming that brings the rawer riffing into play during the rather extended sprawling sections for another strong effort. Up next is Notre Amertume and the international project is the clear weak-link in this offering. The simplistic, sluggish nature of their tracks is hardly impressive next to the other works, and their cliched use of celestial-influenced arrangements, plodding drumming and lethargic doom-like sprawling sections predominant in their music isn’t that enjoyable with numerous other bands attempting those elements at far more pronounced and enjoyable mixtures. The main impetus holding them back is the lethargic, lifeless doom-like paces that don’t really give them much room to really express their atmospheric patterns and in the end their three contributions are on the whole eminently skippable. ‘Cella Serpentibus’ slowly works through a simple series of grand majestic patterns and heavy thumping rhythms that sluggishly lurch along to the melodic celestial swirling riffing with plenty of strong, heavy lines throughout leaving it a decent enough offering. ‘Tartaros’ features a simple, crushing pace with celestial swirling patterns and tight sluggish paces with plenty of simple rhythms carrying alongside the rather lame spoken-word section and letting the sluggish patterns continue on into the finale for a decent effort. ‘Le Sand d'Ouranos’ features a far stronger and tighter series of thrilling arrangements that keeps a far heavier and more dynamic series of riffing along the beginning before lowering into the rather lame spoken-word section and bringing the crushing doom-like paces along for a somewhat fun if again overall decent effort. Finally, Antiquus Scriptum contributes just a lone track, which is a highly enjoyable one even with all the different elements thrown into it. There’s symphonic keyboards, medieval-sounding horn-blasts, swirling tremolo riffing and more in the near-twenty-minute effort, and it does seem like overkill given the track has no need to go that long and really could’ve been trimmed down into a more digest form. Still, the generally up-tempo pace and convergence of influences makes for an overall fun time here and overall there’s a lot of rather enjoyable work here as there’s at least one or two sections present to appeal to most fans.‘Primordium / The Skeptic Beholder’ blares along with triumphant horn-blasting and pounding drumming that turns into utterly relentless tremolo riffing and full-throttle blasting drumming with a tight, heavy crunch and simplistic rhythms that continually swirl along into the epic lengths for an overall fun time here. (Don Anelli)

(Fallen-Angels Productions - 2015)
Score: 80

giovedì 21 luglio 2016

Celestial Grave - Burial Ground Trance

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Oranssi Pazuzu, Horna
Con i Celestial Grave ci trasferiamo in Finlandia per un po' di insano e oscuro black metal, con questo sconosciuto duo, che arriva all'esordio in digitale e in cassetta, grazie alla teutonica Iron Bonehead Productions. Tre le tracce contenute in 'Burial Ground Trance', per un totale di poco meno di un quarto d'ora di musica da godere tutto di un fiato. Se l'apertura "The Heartbeats Drum" sembra di primo acchito consegnarci uno scontato black old school, col passare dei secondi si percepisce, nel ritmo infernale imposto dai due musicisti, una forte vena epico malinconica che esalta la seppur primitiva e semplicista proposta del combo. Melodie lineari, un po' ridondanti, un largo uso di blast beat e di chitarre ronzanti potrebbero ingannare chiunque, ma quando poi uno splendido assolo elettrizza l'atmosfera contenuta nella opening track, un sussulto mi scuote dalla sedia. L'originalità della scuola finlandese si ritrova alla fine anche nel demo più underground che mi sia passato tra le mani nell'ultimo periodo e si conferma con la ritualistica e occulta seconda traccia, "The Bearer Of Death", pregna di melodie glaciali ma anche di tetre atmosfere, contrappuntate dallo screaming malvagio del vocalist. Sinistri e stravaganti seppur propongano black metal, ma si sa che quando si parla di band finlandesi c'è da aspettarsi di tutto, quindi nell'ultima title track non stupitevi di incontrare una ritmica punk (di reminiscenza Impaled Nazarene), stoppata da un break doom e un incandescente finale post black in una malatissima proposta che miscela straordinariamente il sound di Horna, Oranssi Pazuzu e Wolves in the Throne Room. Da seguirne attentamente l'evoluzione. (Francesco Scarci)

Faith & Spirit - Glorious Days

#PER CHI AMA: Hard Rock/Blues, Led Zeppelin
I "giorni gloriosi" per la band francese dei Faith & Spirit sono quelli che hanno visto l’egemonia del rock blues sulla scena musicale internazionale. Che siano quelli lontani dei Led Zeppelin e degli Stones o quelli più recenti e di tendenza di gruppi come Black Keys e White Stripes poco importa. 'Glorious Days', il loro nuovo secondo EP, si muove appunto sulla scia dei citati illustri colleghi. Cinque brani originali sono un assaggio ben calibrato delle potenzialità della band capitanata da Vivien Thielen, voce e chitarra ritmica nonché autore di tutte le canzoni. Il disco si apre con “I’ll Be Your Man”, una cavalcata ritmica dove tastiere e chitarra dialogano in perfetta sintonia, scaldando l’ambiente per il secondo brano, stesso titolo dell’album, in cui i toni partono ruvidi e si fanno via via più dolci, grazie al sapiente intreccio di tastiere, chitarra e voci femminili. Un buon inizio, non c’è che dire, ma la sorpresa arriva dritta alla terza canzone: “Everybody Gets It Wrong” è una ballata acustica che ha tutte le caratteristiche del classico, secondo le coordinate espresse all’inizio di questa recensione. In sintesi, questo è il loro piccolo capolavoro. L’EP prosegue rialzando il tono del groove con “Black Moon”, pezzo potente e quadrato e si chiude con “Down the Road”, dove organo hammond e armonica fanno vibrare le casse in un crescendo che culmina con un solo di chitarra suonato con il più classico dei wah wah. La produzione del disco è solida e ben bilanciata, sicuramente frutto di una conoscenza e di una forte passione per la scena rock blues sia vintage che moderna. Nessun imbarazzo nella voce del leader, che risulta calda e sicura nella pronuncia. La musica dei parigini Faith & Spirit può tranquillamente varcare i confini francesi. Il mio consiglio è uno solo: cercateli in rete e aprite le vostre orecchie per un ascolto accurato. (Massimiliano Paganini)

mercoledì 20 luglio 2016

Blood Red Throne - Union of Flesh and Machine

#PER CHI AMA: Death Metal, Cannibal Corpse
I Blood Red Throne da sempre rappresentano sinonimo di qualità tecnica messa a servizio della brutalità. Il nuovo 'Union of Flesh and Machine', ormai ottavo album per i veterani della scena death norvegese, non si discosta più di tanto dai precedenti capitoli e prosegue imperterrito nella propria mission di proporre atterrente death/thrash metal. Undici brani trita budella che non rinunceranno però a conquistarvi con un bella dose di groove che affiorerà già dalle note di "Revocation of Humankind", song bella dritta, con riffoni ultra distorti, i consueti cambi di tempo, ma che nel suo finale, ha anche modo di partorire (udite udite) delle parti melodiche. Melodia che viene subito spazzata via dalla tempesta sonica di “Proselyte Virus”, traccia in cui a mettersi in mostra, accanto ai biechi latrati di Bolt (efficace sia in fase growl che nei più rari urletti scream), c'è soprattutto la prova imperiosa del batterista Freddy. "Patriotic Hatred", la song che ha fatto da apripista all'album è famosa, oltre che per il suo incipit in parlato, anche per il lyric video che compare su youtube (dategli un occhio), ove la traccia è stata utilizzata come soundtrack per il videogame 'Hatred'. La song poi, come d'altro canto le successive (di cui vorrei citarvi la killer "Martyrized", la mia preferita), si muovono su di un rifferama che non viaggia quasi mai ad altissime velocità (fatto salvo per le crivellate del drummer in alcuni episodi sporadici), con il quintetto di Kristiansand che continua ad offrire asfissiante death metal fatto di articolati cambi tempo, ferali vocals, acuminati e granitici riff di chitarra, qualche spruzzata di groove (nella title track ad esempio), qualche isterica galoppata ("Legacy of Greed"), qualche assolo qua e là (nella già citata "Martyrized" e in "Exposed Mutation") fino a proporre la cover dei Judas Priest, "Leather Rebel", riletta ovviamente in chiave estrema, ma che comunque lascia trasparire quelle che erano le caratteristiche originali del brano contenuto in 'Painkiller'. 'Union of Flesh and Machine' alla fine è l'ennesimo album che non deluderà di certo i fan del combo norvegese, ma che sicuramente non aprirà a nuovi iniziati, se la band non farà leva su una proposta più fresca e meno ripetitiva. (Francesco Scarci)

(Spinefarm/Candlelight - 2016)
Voto: 70

https://www.facebook.com/pages/Blood-Red-Throne-Official

lunedì 18 luglio 2016

Elio Rigonat - EgregoЯ I

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Carcass, Arch Enemy
I confini del Pozzo dei Dannati si allargano sempre più: oggi ci conducono alla scoperta della one man band serba capitanata dal polistrumentista Elio Rigonat, che propone un roboante death melodico. 'EgregoЯ I' rappresenta l'album di debutto per l'artista di Belgrado, il cui risultato non è affatto male. Dieci i pezzi a disposizione (in realtà "Alpha" e "Omega" rappresentano intro e outro del cd) per poter catturare la vostra attenzione, convincervi della bontà della proposta, e poi abbattervi come alberi nella Foresta Amazzonica o se preferite, più ecologicamente, come birilli in una pista da bowling, grazie ad un sound potente che mostra i propri muscoli nell'onda d'urto prodotta dalle sue chitarre thrash (eloquente a tal proposito "Chaos Factory"), con vocals che si assestano tra il growl e lo scream, ma soprattutto una componente solistica davvero invidiabile, che forse ne fanno il punto di forza del musicista serbo. "I Am the Reason" ha uno sviluppo molto classico del brano con le componenti strofa-ritornello-strofa messe nel punto giusto che si riflettono in un riffing sincopato di scuola "carcassiana" ma che ancora una volta sorprendono per l'esito esaltante a livello di assoli, che esaltano le capacità tecnico-compositive del bravo Elio. Se l'album scorre via in modo molto lineare (senza particolari sussulti) nella sezione ritmica, richiamando alternativamente Carcass e Arch Enemy (indovinate qual è il punto di contatto tra le due band), sarà poi avvincente godere delle affilate stoccate di Elio in chiave solistica. Da brividi le evoluzioni sonore dell'axeman in "Rise", song che poggia su un tappeto chitarristico ribassato, ove il folletto serbo ci delizia con primizie appena colte. "Stitching My Soul" è palesemente debitrice ai gods sopraccitati, talvolta si sfiora il plagio e questo mi innervosisce non poco, ma quando è la chitarra indemoniata di Mr. Rigonat a prendersi la scena, la mia rabbia scema e mi lascio andare alle estasianti melodie heavy rock della otto corde di Elio. "Death Incarnates" parte piano, per poi lanciarsi in un'altra cavalcata di death melodico, dove il groove colante dai suoi arrangiamenti, preparano il terreno a quello che arriverà da li a breve: un bell'assolo rock. Erano anni che non sentivo ululare le chitarre in quel modo e il bravo Elio mi ha ricondotto indietro nel tempo di una ventina di anni (escludendo l'ultimo capitolo della saga Carcass). Nella cupezza sonora di "4th Dimension" sembra esserci spazio per una forma personale di metal anche a livello ritmico, in una song al limite del black, contraddistinta da tratti schizofrenici e altri al limite dell'ambient, con un finale affidato a sferzate di scuola Children of Bodom. Con "Remodeled" e "Norther", i Carcass tornano ad essere il punto di riferimento primario per il mio nuovo guitar hero, che si nasconde con le sue lame affilate, dietro al robusto riffing di accompagnamento. Insomma, direi che 'EgregoЯ I' è un bel biglietto da visita per Elio Rigonat, autentica sorpresa di questo luglio, non troppo infuocato, del 2016. (Francesco Scarci)

domenica 17 luglio 2016

Interview with Process of Guilt

Follow this link to know much more about Process of Guilt, the Portugese death doom band: 



The Charles Ingalls - S/t

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Ecco ciò che questo quartetto francese originario di Chamesol, riporta per descrivere se stesso e la propria musica: "I The Charles Ingalls (chissà se il moniker fa riferimento ad uno dei protagonisti de "La Casa nella Prateria" ndr) sono una band proveniente dalla Francia orientale, ai confine con la Svizzera, persa tra i boschi e i monti nebbiosi, una terra di boscaioli coraggiosi. Il nostro "woodrock" è influenzato da Black Sabbath e dall’heavy metal di fine anni 70”. Mi verrebbe di chiudere qui la recensione, perché c’è davvero ben poco altro da dire su un EP di quattro brani e 17 minuti di durata in cui i transalpini fanno la loro cosa esattamente come te la aspetteresti avendo letto la definizione qui sopra. Tanto cuore, tanta passione, come traspare anche dall’artwork curato e da un aspetto da cui cui si intuisce che non siano esattamente di primo pelo, e una devozione sincera per i modelli di riferimento, ma non molto di più. Il loro è uno stoner saturo e pestone di grana piuttosto grosso che nulla aggiunge al genere e a quanto detto mille altre volte e mille volte meglio da tante altre band in giro per il mondo. Detto questo, è innegabile che i brani siano in fondo piacevoli coacervi di stereotipi rock'n'roll (di Sabbath ce ne sono pochini, giusto nello pseudo doom di, appunto, "Thulsa Doom") che possono divertire e intrattenere senza offendere le orecchie, e che probabilmente la dimensione migliore per apprezzarli è quella live. Troppo poco per ora per dare un giudizio che non sia per forza di cose parziale, la sufficienza se la sono comunque guadagnata e pure un qualcosa di più, di incoraggiamento, per la simpatia e la passione. (Mauro Catena)

At the Graves - Cold and True

#PER CHI AMA: Post Rock/Metal, Solstafir, The Black Heart Rebellion, Neurosis
Inizierei col chiarire che la band del Maryland di oggi non va confusa con l'omonimo ensemble dedito ad un melo death ma proveniente dalla Pennsylvania. Ben Price, la mente, il factotum che si cela dietro agli At the Graves, suona infatti uno sludge/post rock contaminato assai accattivante, ricco in termini di groove e carico di una forte componente emotiva. 'Cold and True' è il secondo album (il primo in cui Ben si cimenta completamente da solo in tutti gli strumenti) dopo 'Solar' datato 2012; in mezzo e prima, una sfilza di ben cinque EP. Veniamo comunque a questo nuovo capitolo della discografia della one man band di Arnold, che ci viene introdotto dalla delicata vena melodica di "Viscous State" che sottolinea quelli che sono i capisaldi dell'At the Graves sound: sognanti atmosfere post rock che poggiano su di una ritmica post metal di scuola Cult of Luna in una versione più meditabonda, per un risultato in grado di stamparsi nella mia testa con una certa facilità, grazie a delle soffuse linee di chitarra che facilitano non poco l'approccio alla musica dell'artista statunitense. Con "Fulgor" le cose non cambiano e lo stile, ricercato, colpisce sicuramente per l'immediatezza della proposta, qui resa ancor più onirica e protesa a dare ampio respiro alla componente strumentale, con un'eleganza di fondo impostata dai delicati tocchi alla sei corde di Ben (peraltro vocalist caleidoscopico ed assai originale) e da un drumming fantasioso costantemente in primo piano. Il disco (o se preferite la cassetta, fate pure la vostra scelta) prosegue dilettandosi tra le lugubri, distorte e tribali melodie di "Between Two Thirds", che potreste immaginare come una danza sciamanicadi una tribù indiana attorno al fuoco, con i sensi che lentamente abbandonano la realtà. Il colpo di grazia viene inferto però dalla successiva "Repress I", che contribuisce, nonostante la sua brevità, a palesare le visioni lisergiche del bravo Ben. "Shimmer" continua nella sua opera di destrutturazione del sound degli At the Graves, con alcuni frangenti che strizzano l'occhiolino addirittura al grunge rock, pur mantenendo un'atmosfera decisamente noir che comunque, attraverso la mutevole voce di Ben, ha modo di spaziare all'interno di più generi, tutti caratterizzati da una profonda dose di emotività. La title track potrebbe essere assimilabile ad una versione più nera dei Neurosis, seppur mantenga i contorni delicati del post rock e incanti per la distorsione delle sue linee di basso, il suo essere ridondante e per le corde vocali di Ben, qui bagnate di whisky, che chiamano in causa gli islandesi Solstafir. Lentamente arriviamo alla conclusione di questo spettrale lavoro: "As a Dirt" ha il compito di trasmettere le ultime malinconiche note di dolore di 'Cold and True' e direi che assolve pienamente al suo compito. Un'altra band nel frattempo mi è venuta in mente mentre ascoltavo e riascoltavo questo disco: i belgi The Black Heart Rebellion nel loro capolavoro 'Har Nevo' e la definizione che inquadrava quell'album, blues apocalittico, che ben calzerebbe anche per gli At the Graves. Insomma, 'Cold and True' è un riuscitissimo lavoro di sperimentazione sonora in cui convogliano un sacco di influenze e idee stravaganti, per cui sarebbe davvero un peccato negare la vostra attenzione. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 80