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venerdì 26 giugno 2015

Kera – Kera

#PER CHI AMA: Death Progressive
La band parigina dei Kera (di cui si sono riuscito a recuperare poche informazioni) si presenta con ottime prospettive in ambito death metal progressivo e melodico, con una potente produzione ed un'esecuzione di qualità superiore alla media, firmata Thanatos Production. Tre brani per un totale di circa venti minuti con un sound che incanala la forza d'urto dei Darkest Hour in un vortice di stili che si sposta dai Misery Index agli immortali Machine Head, passando per i Superjoint Ritual e Soilent Green, per quel pizzico di sludge metal in più. All'interno di questo mini cd si può inoltre trovare un certo classicismo oscuro alla Monstrosity e una buona dose del granitico sound degli High on Fire, cui la voce, in più situazioni, trova più di qualche riferimento. Un grande calderone dove tutto il mescolato ha un unico intento, creare un pesante e strutturato prodotto sulla falsariga dei maestri Mastodon e dei loro concept mastodontici, anche se i Kera calcano la mano e spingono l'acceleratore più sul metal che sull'heavy psichedelico. Tutti i brani sono degni di nota ma forse "Silence", in chiusura del disco, apre alla band nuove soluzioni sonore, verso lidi veramente progressivi, sfoderando un assolo pirotecnico, che occupa circa metà del brano, dotato di un sano retrogusto seventies. Un EP che va preso in seria considerazione anche se la band, che ha tutte le carte in regola per raggiungere vette altissime, deve cercare una sua esatta identità sonora che la possa contraddistinguere da altre inserite nello stesso ambito. Lo stile dei nostri attinge a piene mani dalle opere di tante realtà metal che a tratti rischiano di nuocere all'originalità stessa della proposta. Una band dalle enormi possibilità, per tre brani davvero molto interessanti! (Bob Stoner)

(Thanatos Production - 2015)
Voto: 70

Vlasta Popić - Kvadrat

#PER CHI AMA: Alternative Noise, Shellac, Sonic Youth, The Ex
Nuova vibrante uscita per la Moonlee Records. L’etichetta slovena continua la sua meritoria opera di scoperta e valorizzazione delle migliori rock band dell’area balcanica. Ora è la volta dei croati Vlasta Popić, che giungono con 'Kvadrat' al loro secondo album. Diciamo subito che il disco si pone ai vertici qualitativi dell’intero catalogo della label, assieme a quel 'Dobrodošli Na Okean' degli ottimi serbi Repetitor, risalente ormai a tre anni orsono. Come i “Sonic Youth di Belgrado” anche i Vlasta Popić collocano in maniera prominente il loro suono nell’ambito dell’alternative a stelle e strisce. Oltre alla band di Thurston Moore e Kim Deal, a cui viene spontaneo riferirsi (anche per via delle vocals femminili), i tre rocker di Zagabria sono assimilabili per certi versi agli Shellac, anche se l’impianto ritmico è sempre piuttosto sostenuto, una sorta di ibrido pop-punk dalle forti componenti noise, per cert versi vicino ai grandissimi The Ex. 'Kvadrat' mette in fila nove brani ruvidi ed energici, spigolosi e martellanti, cantati nell’idioma madre, che si dimostra lingua inaspettatamente versatile e adatta al rock. Si viaggia cosí senza un attimo di posa tra i riff granitici e tiratissimi dell’opener “Tržište”, al tiro irresistibile di “Ako Nisam Dobra”, fino alle sfuriate chitarristiche di “O Vodi”, la furia punk di “Slijepa Naša (Mržnja)” e il power pop al rumor bianco di “Maštanje”. Non ci sono cedimenti lungo questi 38 minuti scarsi, non ci sono momenti di stanca o di eccessiva pesantezza. Uno dei dischi che potreste finire per ascoltare di più in questi torridi pomeriggi d'estate. Piacevolissima sorpresa che vorrei tanto vedere alla prova del live. (Mauro Catena)

(Moonlee Records - 2015)
Voto: 75

Misty Morning - GA.GA.R.IN

#PER CHI AMA: Stoner Doom Psichedelico
Torniamo a parlare di band italiane e oggi andiamo a conoscere i Misty Morning, una band romana che vede la sua fondazione nel lontano 1995. Solamente nel 2007 la band concretizza i suoi obiettivi e grazie al consolidarsi della line-up, auto produce il primo album 'Martian Pope'. In seguito iniziano i live che raggiungono anche il nord europa e permette alla band di firmare con l'etichetta Doomanoid Records (UK). Alla band si aggiunge anche il quarto ed ultimo elemento che con le tastiere avrà il compito di dare più ampio respiro ai suoni dei nostri e divenire così una band stoner doom con influenze psichedeliche e prog. Nasce così questo 'GA.GA.R.IN' (Galactic Gateways for Reborn Intellects), un concept album complesso, ricco e dalle buone qualità. Dopo la prima traccia acustica introduttiva che fa molto 'Into the Wild' & Eddie Vedder, si inizia con la traccia che da il titolo all'album. Un pezzo sporco e cattivo, dai riff incalzanti, ritmica martellante e tastiere velocissime che scatenano un'energia incontenibile. Varie influenze serpeggiano tra le note, ma la band ne esce a testa alta con un brano costruito ed eseguito con stile e sapienza. I suoni sono vintage, ma con quelle sfumature "Silicon Valley", meriterebbe un voto superiore pari a 100 perché rappresenta la perfezione in tema di musica ambient elettronica, con suoni pieni ed avvolgenti, ricchi di misticismo spazio-temporale che pulsa all'unisono con l'universo. La traccia sfuma e annuncia "Mourn o’Whales", un inno alla antica specie cetacea che in universo parallelo domina e distrugge, una sorta di culto di Cthulhu rivisitato. Dopo alcuni campionamenti del soave canto del gigantesco orrore dei mari, le chitarre aprono con un riff epico e pregno di riverbero e delay. I suoni post rock accompagnati da batteria e basso, esplodono nel main riff, oscuro e tenebroso, in stile Black Sabbath. Il timbro del vocalist calza a pennello, ruvido e dissacratore che decanta le lodi di una natura marina che domina incontrastata e dove ogni specie ha il suo ruolo ben definito. Lo stesso dicasi degli strumenti e degli arrangiamenti dei Misty Morning, che utilizzano cambi di ritmica, assoli e quant'altro per plasmare gli oltre dieci minuti di canzone. Simpatica la trovata di introdurre una traccia cantata in giapponese, ovvero "Doomzilla" (presente anche nella versione inglese), una cavalcata rock classica che regala un'atmosfera interessante grazie alla lingua orientale, oltre che rappresentare una buona idea per agganciare il mercato giapponese. Direi che 'GA.GA.R.IN' alla fine è un bell'album che avrebbe potuto essere ancora meglio se le tastiere fossero utilizzate in modo attivo nella composizione dei brani. I vari interludi sono avvolgenti, mistici e spaziali, veri trip sensoriali che meriterebbero più spazio, e non solo quello tra un brano e l'altro. I testi sono belli e pregni di atmosfera, non la solita cantilena di frasi messe giù a caso che si infilano senza fatica nelle strofe e ritornelli. Quindi all'interno del disco c'è tutto quello che deve esserci; se la band riuscisse a focalizzare meglio alcune idee, direi che il botto che i nostri possono fare si sentirà non solo a Roma, ma fino nelle profondità oscure e tetre dell'abisso liquido. (Michele Montanari)

(Doomanoid Records - 2014)
Voto: 75

domenica 21 giugno 2015

Chromb! - I & II


#PER CHI AMA: Jazz/Post Rock, John Zorn, Frank Zappa
Avevo già avuto modo di dire come avessi la netta sensazione che la Francia fosse uno dei luoghi più fertili e brulicanti della musica piú interessante, libera e difficile da incasellare, e la scoperta di questo quartetto di Lyon non fa altro che avvalorare la mia tesi. Difficilmente infatti, mi è capitato di trovare negli ultimi tempi tale e tanta vitalità e vivacità quanto in questi due album licenziati dai Chromb!. A partire dagli splendidi artwork (entrambi i lavori si avvalgono delle illustrazioni di Benjamin Flao), è evidente la cura che i Chromb! ripongono nel loro progetto, musica libera e senza schemi, affidata alla creatività di una formazione di stampo quasi jazzistico (basso, batteria, sax e tastiere). 'I' esce nel 2012 e incanta col suo mix di rock, blues e jazz, il tutto molto free-form e innervato di umorismo in dosi massicce. Le sei tracce oscillano tra pulsioni jazz con scansioni drum n’bass dell’opener “Il l’a Fait Avec Sa Seur”, il caos controllato e latineggiante di “Apocalypso”, il blues sofferto e cantato con voci stridule in stile Les Claypool (“Tu Est Ma Pause Dèjeuner"), fino alle sperimentazioni libere di “Maloyeuk”. Il tutto lascia in bocca il gusto inafferrabile e beffardo di certe cose di sua maestà Frank Zappa. La parola normalità non sembra far parte del vocabolario dei quattro, e quindi di normalizzazione non c’è nemmeno l’ombra in 'II' che esce nel 2014 e anzi spinge ancora più a fondo sul pedale dell’imprevedibilità e dell’eclettismo sonoro. Il suono è ancor più curato e le invenzioni dei musicisti più raffinate, in particolare il tastierista Camille Durieux fa un uso più esteso del pianoforte, come nelle parentesi classicheggianti di “Monsieur Costume”. A volte i francesi giocano a spiazzare con architetture non lineari, come nella dance-music dislessica di “Il Dansait La Chance”, o negli accostamenti volutamente azzardati di “A Fond De Chien”, che non potrei definire altro che punk barocco. Difficile poi non restare a bocca aperta di fronte a “La Saulce”, trascinante meticciato tra hard-prog e Beastie Boys. Difficile rimanere indifferenti, anche se a volte il voler seguire forzatamente percorsi non lineari, può far correre il rischio di perdere la strada. Tuttavia la stravaganza musicale dei Chromb! non sembra essere frutto di una scelta deliberata e ostentata, quanto di una necessità di deragliamento dai binari prestabiliti, per attingere in continuazione nuove energie da tutto quello che li circonda, senza vincolo e costrizione alcuna. Stravaganti e vitali, in una parola, eccitanti. (Mauro Catena)

(I - Self - 2012)
Voto: 75

(II - Self - 2014)
Voto: 80

sabato 20 giugno 2015

Ashtar - Ilmasaari

#PER CHI AMA: Black Doom, Sludge
C’è fermento nell’ultimo periodo in Svizzera. Non c’è infatti solo la Hummus Records a regalarci ottimi esempi di sonorità post. Si aggiunge la Czar of Crickets Productions, che già avevamo avuto modo di apprezzare qualche tempo fa con gli Unhold e che oggi, a dimostrazione che non si trattava di un episodio sporadico, ci presentano un misterioso duo di Basilea, gli Ashtar. Formatisi nel 2012 e composto dalla gentil donzella Witch N. (voce, basso, chitarra e violino) e dal feroce (almeno in foto) Marko Lehtinen (voce, chitarra e batteria), i nostri si fanno portavoce di un oscuro black dalle forti sfumature sludge. Sei le cupissime tracce a disposizione del duo elvetico per convincermi(vi) della bontà della loro proposta. Il cd si apre con l’ossessiva amalgama doom di “Des Siècles Qui…”, brano denso e melmoso, come nella migliore tradizione sludge, il cui unico punto di contatto con il black, è rappresentato dalle arcigne vocals dell’affascinante strega e qualche sfuriata a livello ritmico. Non so se “She Was a Witch” voglia ribadire la natura magica della front female svizzera, ma ciò che emerge forte dal brano è la malvagità che trasuda dalle sue nebulose note che ne evidenziano un piglio quasi tribale a livello della batteria e un che di stoner nei riff delle chitarre. Sicuramente pregno di tensione, acuita anche da una certa reiterazione dei suoi angusti suoni, il debut album degli Ashtar si rivela ancor più interessante nella lunga “Celestial”: tredici minuti di avvolgenti e dilatate sonorità mefitiche, che mettono un forte senso di angoscia quando una diabolica chitarra acustica si affianca al muro ritmico su cui si ergono gli striscianti vocalizzi della streghetta Witch N. Ma la traccia ha modo di muoversi ariosa in diversi interludi post rock che trovano ampi spazi in lunghe e fluttuanti fughe strumentali. “Moons” è un altro esempio di stoner doom, dotato di una indiscutibile carica groove che gli consente di prendere le distanze dalle sonorità funeral doom tipiche dell’est Europa o dai classici del passato, My Dying Bride o primi Anathema. Se proprio fossi costretto a darvi qualche punto di riferimento, ecco che opterei piuttosto per gli Esoteric, ma credo che l’influenza sia più che altro dettata dalla presenza dietro la consolle di Greg Chandler. “These Nights Will Shine On” è una traccia più movimentata, in cui compare finalmente anche il grugnito di Marko ad affiancare Witch N. alle voci, in quella che è la song più “nera” di ‘Ilmasaari’, ma in cui emergono prepotenti le qualità e le potenzialità degli Ashtar, nel dipingere un sound buio quanto una notte di novilunio. Il suono mefistofelico di una chitarra acustica e di un magico didjeridoo, spalancano le porte della conclusiva “Collide”, l’ultima tappa di questo viaggio verso le viscere della Terra. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets Productions - 2015)
Voto: 75
 

Vola - Inmazes

#PER CHI AMA: Modern Metal, Meshuggah, Raunchy, Devin Townsend
Se anche nel metal ci fosse il cosiddetto disco dell’estate, i danesi Vola si candiderebbero sicuramente per la vittoria finale. ‘Inmazes’ è un disco incredibile, a cui non manca praticamente nulla, dalla traccia furiosa alla ballad, passando per la semi-ballad e un’altra bella manciata di song stracariche di Groove (per non parlare poi della notevole cover). Collocare stilisticamente il quintetto di Copenaghen non è nemmeno poi un così grande sforzo: immaginate infatti i Meshuggah che suonano Nu Metal, strizzando l’occhiolino a Devin Townsend. Tutto chiaro no? Immergiamoci allora nel sound roboante dei Vola, che aprono le danze con “The Same War” e le sue chitarrone granitiche di matrice “meshugghiana”, con le vocals pulite, qualche urletto “korniano” e una porzione corale davvero notevole. In questi frangenti, le tastiere surclassano la possanza delle 6 corde, passando attraverso una lineare fluidità melodica carica di suoni assai accattivanti. “Stray the Skies” è un altro imperdibile pezzo da potenziale top ten del metal: chitarre sincopate stoppate solamente da un altro magnifico coro e splendidi break di synth, da non perdere assolutamente. “Starburn” ha un inizio che si muove tra il fluido space rock e le tipiche partiture djent dei Born of Osiris. Asger Mygind inizia poi a cantare con la sua notevole timbrica pulita e il ritmo si fa molto più tiepido, anche se qualche growl fa capolino qua e le chitarre, nel loro articolato incedere, mostrano una delicata vena malinconica. “Owls” è una traccia un pochino più schizofrenica a livello ritmico: certo che quando Asger canta, tutto si ferma e viene catalizzato sulle sue caratteristiche corde vocali, che in talune circostanze, riescono addirittura ad evocare i Depeche Mode degli anni ’80! Ma “Owls” è una semi-ballad che vi farà venire la pelle d’oca solo ascoltandone la sua mite linea melodica, dotata com’è di una certa inclinazione onirica che la rende la mia song preferita insieme alla opening track e alla già citata "Stray the Skies". Con “Your Mind is a Helpless Dreamer” si torna ai crushing riff di scuola svedese su cui si instillano le tastiere di Martin Werner e successivamente le vocals di Asger, che in questa song arriva anche a ruggire ferocemente. Il ritmo comunque è sempre oscillante e la musica dei Vola si muova tra fasi brutali di poliritmia tonante, sublimi sprazzi di metal moderno ed intermezzi elettronici (quasi nintendocore!). “Emily” (la ballad che mancava) potrebbe stare bene su ‘Mezzanine’ dei Massive Attack cosi come su ‘Dummy’ dei Portishead o in uno qualsiasi dei dischi degli Archive, per la sua sognante veste elettronica. “Gutter Moon” unisce ancora in modo superbo l’elettronica al metal, grazie alla sempre più convincente performance vocale dei nostri che si candidano con questo album a sfidare i grandi del metal, e piazzarsi nella mia personale top ten del 2015. “A Stare Without Eyes” evidenzia ancora una volta la dicotomica faccia dei nostri, abili a muoversi musicalmente in un inedito ibrido Korn-Meshuggah. Il richiamo ai gods svedesi si fa più preponderante nell’incipit di “Feed the Creatures”, anche se da lì a breve, i Vola intraprenderanno la propria personale strada a cavallo tra elettronica e rock progressive, nell’ennesima cavalcata ricca di groove che annovera tra le influenze dei nostri anche i loro conterranei Raunchy. A chiudere ‘Inmazes’, l’ipnotica e malinconica title track che arriva a citare anche i The Contortionist, il tutto a certificare l’assoluto valore di questo combo danese, da tenere sotto traccia fino alla fine dei vostri giorni. (Francesco Scarci) 
 
(Self - 2015)
Voto: 90

https://www.facebook.com/vola

venerdì 19 giugno 2015

Cosmic Letdown – Venera

#PER CHI AMA: Psych Rock
Dopo un EP e un singolo, ecco finalmente arrivare l’esordio sulla lunga distanza per questo combo russo, dedito alla psichedelia più lisergica e “viaggiante”. Perfetto come colonna sonora per un trip a base di psilocibina, 'Venera' mette in fila 10 brani per circa 47 minuti al termine dei quali sarete imbevuti di acido fino alla punta dei capelli. La psichedelia messa in scena dai Cosmic Letdown non è quella addomesticata e abbeverata al fiume del pop dei Tame Impala, ma pesca a piene mani da quanto fatto anni orsono dagli Spaceman 3 di Jason Pierce o piú di recente dai Black Angels, quindi un rock basato su mantra ricorsivi, riff semplici e ipnotici, gorghi chitarristici, organi chiesastici e ritmiche ossessive, nella miglior tradizione psych. Il tutto, però cantato nella lingua madre, a dare un ulteriore tocco straniante ed allucinatorio (provate ad ascoltare queste nenie sommerse dai watt cantate in russo e poi mi saprete dire). Sarà forse la suggestione data dal luogo di provenienza, forse una certa solennità nell’incedere di brani come “Mary” e “Moonlight”, ma a me hanno ricordato in qualche passaggio i C.S.I del capolavoro 'Ko de Mondo', per la capacità della chitarra di trascinare l’ascoltatore in un luogo al di fuori del tempo e dello spazio. Lavoro ben realizzato e ben prodotto, 'Venera' avvolge fin dal primo momento con le sue spire che intrappolano facilmente chi ascolta. Il problema, forse, può risiedere in una certa ripetitività, peraltro insita in questo tipo di musica, che potrebbe risultare alla lunga un tantino monocorde. Difficile, per questo motivo, citare pezzi che si staglino al di sopra degli altri. Oltre ai già citati, menzionerei le maestose “Jesus” e “Venera-6” e la sognante “Up in the Sky”. Non mi resta che invitarvi a togliere le scarpe, mettervi comodi, spegnere le luci e prendere il volo premendo il tasto “play”. Viaggioni. (Mauro Catena)

(Opium Eyes Records - 2015)
Voto: 70

giovedì 18 giugno 2015

Deer Blood - Devolution

#FOR FANS OF Thrash Groove, Overkill
Heralding in the debut full-length from this self-described 'groove/thrash metal' band is one minute of clean, bluesy guitar licks. Unexpected, but certainly appropriate for the atmosphere this album is about to set in stone. Looking for exploratory, progressive thrash a la Heathen? Nope. Looking for speed-obsessed toxic thrash metal in the vein of Nuclear Assault or Carnivore? Sorry! What the listener is treated to here is a modern version of the oft-maligned mid-90s groove/thrash hybrid. Familiar with Overkill's 1993 opus "I Hear Black"? Well Deer Blood's 'Devolution' bears a strong similarity. For the most part, this bodes well and the album can really rollick along! However, there are a few bumps along the road... The first obstacle standing between this album and 100% enjoyability is the production job. 'Devolution' isn't raw in the pleasing, early-80s Megadeth kind of way. Its mix is just incredibly uneven. The drums are far too tinny and quiet, the guitar possesses too much treble, the bass is non-existent, and Alexandre Bourret's unimpressive voice is FAR too loud! Alright, so thrash metal vocals aren't supposed to be up to Fabio Lione standard, but there are many points where a pseudo-tough narration simply won't do. Either employ some attitude-filled barks like Tom Araya, or back off and let the riffs take charge. The riffs are where the band really shine. Not only are they memorable, but some of them are truly unique and are formed using scales and keys not often found within this sub-genre. The opening riff to "Trapped Inside" is notable for this characteristic. Sure, there's a lot of blues-scale raping, but they're played with so much gusto and enthusiasm that songs like the title-track become an absolute triumph. As well as proving his credentials as a competent riff-crafter, guitarist Julien Doucin isn't afraid to simplify when necessary, in order to enhance the rhythmic power (see the 1:57 mark in "Born Strong, Live Young, Die Hard, Born Again"). As a whole, the album is structured interestingly, with two lengthy thrash epics bookending the endeavour. These two tracks ("Bushmaster" and "Scared to the Bone"respectively) unfortunately don't shine anywhere near as much as the rest. The band's songwriting talent proves itself when the tracks are more structurally compact and concise. The occasional gang-shouts are indeed welcome, and remind me even more of Overkill's mid-90s phase. Whilst the artwork and imagery is nothing to celebrate, the band name is admittedly brilliant - and I hope they continue under this moniker. In a nutshell, what we have here is a pleasing fusion of Sanctity and mid-90s Overkill. As a whole, the vocals let down an otherwise fascinating, enjoyable and headbang-able first release. I look forward to a slightly bigger budget in the future - allowing for a cleaner production quality, more structural concision, and a vocalist who doesn't sound like an angry 14-year-old who lost his favourite Star Wars poster. (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 65