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martedì 28 giugno 2022

Epitaphe - II

#PER CHI AMA: Death/Doom
Li avevo recensiti nel 2019 in occasione del loro primo atto. Tornano oggi i francesi Epitaphe con il secondo capitolo della loro discografia, intitolato semplicemente 'II', ed altri cinque pezzi che coniugano quel death doom corrosivo degli esordi con divagazioni funeral e aperture decisamente più melodiche. Si parte dall'introspettiva e strumentale intro "Sycomore" e si capisce che già qualcosa è cambiato in seno al quartetto di Claix. E infatti quando irrompono le ritmiche dissonanti della seconda "Celestial" e quell'intrigante ricerca sonora, ecco che capisco di avere fra le mani un piccolo gioiellino. Si perchè i 19 minuti del brano si muovono tra partiture death, altre decisamente più brutali e ampi frangenti acustici, il tutto corredato peraltro da voci sia in formato growl che pulito (forse la novità più ecclatante di questa seconda release). Poi la song, in tutta la sua infinita durata, vive di sussulti death devastanti (citavo i Morbid Angel nella precedente recensione e non posso che confermare) di nuovo interrotti da rallentamenti più claustrofobici, escalation black e nuove bordate death, prima del più tranquillo finale arpeggiato. "Melancholia" e altri 19 minuti davanti, introdotti da una furibonda ritmica techno death che trovo davvero spiazzante. L'avevo appreso già da 'I' che i nostri non sono davvero quello che sembrano, lo confermo in questo nuovo lavoro, che si palesa nuovamente ostico da esser digerito ma si arricchisce per lo meno di arrangiamenti death progressive e break acustici che in più di un'occasione mi hanno evocato gli Opeth dei primi album. Colpiscono le eteree clean vocals, i momenti più ambient, le derive post rock e per questo non possono che esserci grandi applausi. Ora, poi dopo tutto questo ben di dio, essere preso a cinghiate da altre raffiche death, si potrebbe rivelare esperienza sempre più destabilizzante e per questo stimolante. "Insignificant" apre con un arpeggio di opethiana memoria, con tanto di crescendo incluso che per oltre tre minuti (dei quasi 19 complessivi), ci prepareranno all'incombente sassaiola death che mi aspetto da lì a poco. In realtà, i giri del motore rimangono per un po' a basso regime, ma le emozioni non mancano, non temete. La band ha infatti modo di esibire un bridge melodico, un intercalare doomish, per poi lentamente spingere sull'acceleratore con una natura percussiva alquanto originale che prenderà il sopravvento nella seconda parte del brano e che troverà ancora modo di proporre qualche rallentamente decisamente più bilanciato prima di un finale davvero significativo. Altro pezzo strumentale a chiusura del disco che mostra le progressioni musicali dei quattro francesi e tutte le potenzialità che la band potrà sviluppare nelle prossime uscite. Se potessi migliorare qualcosa, smusserei del tutto gli isterismi estremi del sound dei nostri per una ricerca più progressiva del suono perfetto. Per ora bene cosi, ma ho aspettative parecchio elevate per il futuro degli Epitaphe. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2022)
Voto: 76

https://epitaphe.bandcamp.com/album/ii

domenica 5 aprile 2020

Snorlax - II

#PER CHI AMA: Death/Grind
Avevo voglia di un cambio radicale di genere, un desiderio di un qualcosa che potesse martoriare le mie orecchie ed eccomi accontentato. Mi sorprende che siano gli australiani Snorlax (un nome che deriva peraltro da una specie di Pokemon) gli artefici di tale maciullazione dei miei sacri timpani, visto che si tratta in realtà di una one-man band. Brendan Auld si fa portavoce di questo ferocissimo concentrato di grind attraverso il suo full length di debutto, 'II'. Che goduria per le mie orecchie e le mie coronarie. Quando "Infernal Devourment" esplode nelle mie casse, il rischio d'infarto è infatti elevatissimo: una grandinata poderosa di suoni death grind mi si abbatte sulla testa con il growling catacombale del buon Brendan (uno che vanta altri quattro progetti estremi) ad affossarmi. La tempesta è servita e funge da antipasto per la seconda "The Resin Tomb", una scheggia dedita a sonorità malefiche, ottantatre secondi impattanti e schizofrenici (peraltro con guest star al microfono, Mathew Budge dei Consumed) che ci conducono in un batter di ciglia alla terza "The Chaos ov Iron Oppression", un brano apocalittico, non tanto per le sue atmosfere, ma per quell'aura di morte che sembra attanagliare la song, complice anche il vocione profondamente growl del mastermind di Brisbane. La song trova modo anche di rallentare vertiginosamente (almeno in un paio di occasioni), una pausa dovuta, anche se di pochi secondi, per preparci al meglio a serie successive di bombardamenti ritmici. Arriviamo a "Mind ov Maggots", la song più lunga del lotto, ben sei minuti che fortunatamente si rivelano trattenuti in rumori di sottofondo per almeno i primi 120 secondi, prima di inquinare nuovamente i nostri sensi di suoni molesti, che mostrano anche una certa ricercatezza in quei frangenti ben più ritmici e rallentati (quasi al limite del doom), proposti dal terrorista sonoro del Queensland che qui più che altrove, sembra voler tributare i connazionali Disembowelment. C'è ancora tempo per maciullare le nostre orecchie con altre due song, "Encapsulated Apocalypse" e "Impending Abysmal Wretchedness", la prima dall'incauto inizio rallentato (successivamente dinamitarda), la seconda a rappresentare un altro brano propulsivo che vede la partecipazione ala voce di Anthony Oliver dei Descent, un'altra delle creature in cui milita Brendan. 'II' è un disco breve ma efficace che non deluderà certo i fan di sonorità cosi estreme, a cavallo tra death, black, grind e hardcore. (Francesco Scarci)

(Brilliant Emperor Records - 2020)
Voto: 70

https://snorlaxbm.bandcamp.com/album/ii

lunedì 4 marzo 2019

The Universe By Ear - II

#PER CHI AMA: Psych/Alternative, Motorpsycho
Muoversi tra la psichedelia degli It’s Not Night, It’s Space e la scatola musicale dei Motorpsycho, passando per stoner e allucinazioni solari della vecchia scuola degli On Trial, deve essere un compito arduo ed estremamente complicato se al suo interno ci si vuol mescolare anche un'attitudine punk old style americana alla X ed un certo prog alla Pain of Salvation (periodo 'Road Salt'). Coretti e lyrics ben studiati (con evidenti richiami alla scuola alternative rock), equilibrio musicale e una orecchiabilità da tener conto, sono l'arma migliore degli svizzeri The Universe By Ear, giunti al loro secondo lavoro, 'II'. Il progredire dell'album è fluido e sempre fantasioso, già nel secondo brano la natura freak e lisergica di questa creatura sonora si mostra con aperture psych molto interessanti, anche se quello che colpisce rimane sempre la gioiosa cantabilità dei brani, che potremmo paragonare, valutandone l'alta qualità, ad una forma underground dei R.E.M. liberati dal mainstream ed immersi in acido. I nostri musicisti elvetici, si muovono con facilità ed esperienza in contesti psichedelici vari, con l'ausilio di una produzione molto intelligente che li avvicina a certe sonorità care ai Tame Impala e agli Oasis (quelli di 'Dig Out Your Soul' per intenderci) lasciando sempre una porta aperta verso lo stoner rock più allucinato della prima ora (vedi "Core"). È straordinario intuire quanto sia maturo un brano come "Follow the Echo" nel suo pulsare con reminescenze hard blues e 60's, la ballata alla Frusciante di "Fall", l'occhiolino strizzato verso il mood radiofonico tra Hendrix, EODM e primi Heels in "Bad Boy Boogie", oppure il mantra dilatato di "Sand...". Di sicuro si sente che non cercano di emulare altre band, prendono spunti e si coprono di originalità nel loro mescolare generi inerenti al rock desertico, psichedelico e solare. Sono svizzeri dicevamo e si sente, nel loro stile così certosino, nella ricerca della qualità, ma a Basilea, il sole non splende alla stessa maniera della California e questo li rende più interessanti e originali allo stesso modo dei norvegesi Motorpsycho, un'anomalia geografica che giova al suono del gruppo in maniera più che ottimale. 'II' nasconde a suo modo anche un'impostazione neo progressive non convenzionale, con l'album che si srotola lungo dodici brani suonati ad hoc andando via via ad evolvere e migliorare, ma anche stravolgendosi in una veste più garage, psych e vintage, concetti e sperimentazioni musicali presenti e ben espresse anche nel primo album. Ma 'II' è ancor più ricco di sfumature, e tutto da scoprire! (Bob Stoner)

venerdì 3 marzo 2017

John, the Void - II

#PER CHI AMA: Post-Metal, Cult Of Luna, Amen Ra
Sono cresciuti. Questa è la prima cosa che mi passa per la mente dopo i primi minuti di 'II', il nuovo lavoro dei bad boys di Pordenone, John, the Void. Dalla regia però mi dicono che tecnicamente è il loro primo full-length, sinceramente non ricordo se il loro primo lavoro l'avevo vagliato come un EP, ma se non ricordo male le tempistiche erano piuttosto prolisse (mai quanto questo, s'intende). Si nota subito che i brani sono più strutturati, più pensati e completi rispetto all'impressione avuta dall'ascolto del precedente self-titled. E il suono è sicuramente più ricercato e calibrato per far emergere sensazioni e scenari durante il suo ascolto. Quello che mi balena in mente è: degrado provinciale notturno, ruggine e vetri rotti. "John Void" è ossessione, ripetitività, inadeguatezza alla vita. Opener lunga, lacerante e schietta nel dire chi si è, cosa si vuole, perché non si è e perché non si vuole. La successiva "Enter" (traccia che a mio parere sintetizza nei suoi oltre 14 minuti, tutto l'album e la proposta del gruppo), dato il titolo e i suoi primi minuti, sembra voler dire che la song precedente era solo un avvertimento e ora comincia il vero viaggio promosso dai John, the Void. La voce è tagliente, incontrastabile, grama nell'incidere tra le cupe bordate chitarristiche, le quali creano polverosi vortici sonori, mentre i ritmi monolitici trascinano inevitabilmente nell'abisso creato dal sestetto friulano. Queste prime tracce che segnano la prima metà del disco sono d'impatto, enormi, violente, fanno muovere (al giusto ritmo) la testa nei momenti aggressivi e svuotarla nelle parentesi più dilatate. Si apre quindi la sezione oserei dire più "soft", con l'eterea "Obscurae Terrae", la quale segna una cortina dal sapore droneggiante a metà del disco. La seguente "Neon Forest" anche se movimentata da caustiche accelerazioni, corrode la prospettiva claustrofobica con delicati inserti melodici, mentre l'ultima "Season" culla fino alla conclusione di questo viaggio con pacata dolcezza. Le tracce si amalgamano perfettamente l'una all'altra, tanto che è facile lasciarsi trasportare e non rendersi conto che il disco è già ricominciato. In conclusione, 'II' è un lavoro che corrisponde ai canoni compositivi del post-metal ma con una propria personalità evidenziata dagli inserti elettronici molto più marcati rispetto al disco precedente e dall'atmosfera qui fredda e oppressiva. Atmosfera che vale tutto l'ascolto dell'opera. (Kent)

(Drown Within Records/Dullest Records/Dingleberry Records - 2016)
Voto: 70

https://johnthevoid.bandcamp.com/album/ii

domenica 21 giugno 2015

Chromb! - I & II


#PER CHI AMA: Jazz/Post Rock, John Zorn, Frank Zappa
Avevo già avuto modo di dire come avessi la netta sensazione che la Francia fosse uno dei luoghi più fertili e brulicanti della musica piú interessante, libera e difficile da incasellare, e la scoperta di questo quartetto di Lyon non fa altro che avvalorare la mia tesi. Difficilmente infatti, mi è capitato di trovare negli ultimi tempi tale e tanta vitalità e vivacità quanto in questi due album licenziati dai Chromb!. A partire dagli splendidi artwork (entrambi i lavori si avvalgono delle illustrazioni di Benjamin Flao), è evidente la cura che i Chromb! ripongono nel loro progetto, musica libera e senza schemi, affidata alla creatività di una formazione di stampo quasi jazzistico (basso, batteria, sax e tastiere). 'I' esce nel 2012 e incanta col suo mix di rock, blues e jazz, il tutto molto free-form e innervato di umorismo in dosi massicce. Le sei tracce oscillano tra pulsioni jazz con scansioni drum n’bass dell’opener “Il l’a Fait Avec Sa Seur”, il caos controllato e latineggiante di “Apocalypso”, il blues sofferto e cantato con voci stridule in stile Les Claypool (“Tu Est Ma Pause Dèjeuner"), fino alle sperimentazioni libere di “Maloyeuk”. Il tutto lascia in bocca il gusto inafferrabile e beffardo di certe cose di sua maestà Frank Zappa. La parola normalità non sembra far parte del vocabolario dei quattro, e quindi di normalizzazione non c’è nemmeno l’ombra in 'II' che esce nel 2014 e anzi spinge ancora più a fondo sul pedale dell’imprevedibilità e dell’eclettismo sonoro. Il suono è ancor più curato e le invenzioni dei musicisti più raffinate, in particolare il tastierista Camille Durieux fa un uso più esteso del pianoforte, come nelle parentesi classicheggianti di “Monsieur Costume”. A volte i francesi giocano a spiazzare con architetture non lineari, come nella dance-music dislessica di “Il Dansait La Chance”, o negli accostamenti volutamente azzardati di “A Fond De Chien”, che non potrei definire altro che punk barocco. Difficile poi non restare a bocca aperta di fronte a “La Saulce”, trascinante meticciato tra hard-prog e Beastie Boys. Difficile rimanere indifferenti, anche se a volte il voler seguire forzatamente percorsi non lineari, può far correre il rischio di perdere la strada. Tuttavia la stravaganza musicale dei Chromb! non sembra essere frutto di una scelta deliberata e ostentata, quanto di una necessità di deragliamento dai binari prestabiliti, per attingere in continuazione nuove energie da tutto quello che li circonda, senza vincolo e costrizione alcuna. Stravaganti e vitali, in una parola, eccitanti. (Mauro Catena)

(I - Self - 2012)
Voto: 75

(II - Self - 2014)
Voto: 80

giovedì 16 aprile 2015

Eibon - II

#PER CHI AMA: Sludge/Death/Black/Doom
Un vento torrido mi brucia la faccia quando il primo magmatico riff irrompe nelle casse del mio stereo, facendole vibrare in modo assai pericoloso. Ecco il preludio inferto dai transalpini Eibon e dal loro secondo disco, 'II', uscito nel 2013 sotto l'egida della Aesthetic Death. 'II' come le due tracce contenute in questo platter di quasi 43 minuti, fatto di profondi riff di chitarra che si muovono tra momenti sludge, parentesi black e abissali digressioni funeral doom, il tutto però impreziosito da un'impensabile dose di groove tipica dell'hard rock anni '70, in grado di rendere godibile questo disco anche a chi mostra qualche remora nell'avvicinarsi a sonorità cosi estreme. Non so se sia merito delle lunghe parti strumentali, o di un'intrinseca capacità del quintetto parigino, che di classe ne ha a fiotti, nell'offrire la propria musica sul piatto d'argento, ma con le psichedeliche partiture di "The Void Settlers", mi sento conquistato senza alcuna esitazione, ingurgitato in scalcinati anfratti di decadenti quartieri di Parigi, ubriacato da un sublime vino rosso e allo stesso modo mi ritrovo inebriato dalle vibranti linee di chitarra dei nostri che mi conducono ipnotizzato fino al termine della opening track, in cui è l'impetuosa ritmica a prendermi a schiaffoni senza nemmeno che io me ne renda conto. Magistrali non c'è altro da dire. Eccellente è pure la voce di Georges Balafas, non troppo esuberante nella sua performance, a cavallo tra un acido screaming e un growling profondo. A dir poco stordito dall'incipit devastante dell'ensemble francese, arrivo alla seconda e ultima traccia, "Elements of Doom", titolo che la dice tutta su quanto mi troverò davanti da qui a poco. L'inizio è affidato a rumori indistinguibili che creano una certa suspance. Il brano parte cattivo, e anche abbastanza anonimo, palesando tuttavia una palpabile tensione di sottofondo. Della lisergica matrice affidata alla prima song non vi è più traccia nemmeno dopo i suoi primi dieci minuti. Un lunghissimo (e splendido) assolo in tremolo picking, rivela la natura bizzarra della seconda parte del pezzo, in cui i cinque musicisti si rincorrono attraverso claustrofobici meandri, in cui il black dei nostri invoca nella mia mente un'insana follia omicida. Quando gli animi si placano, cala il sipario su una notte senza stelle ove la pioggia cade copiosa e il disco si chiude languido nei suoi rimanenti sei minuti di suoni lontani. Sublimi. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2013)
Voto: 85