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venerdì 29 maggio 2015

When Reasons Collapse - Dark Passengers

#PER CHI AMA: Deathcore, The Black Dahlia Murder
Uno dei trend del momento, o meglio, degli ultimi anni, sembra essere quello di “imbastardire” il death metal (più classico a volte, altre volte più techno death) con il metalcore di chiara matrice statunitense. Ne è un classico esempio questo lavoro intitolato 'Dark Passengers' del quintetto francese dei When Reasons Collapse. Mi trovo qui ad analizzare il debut album della band, che conta tra le fila anche la tostissima vocalist Cristina; sfido chiunque, ad un primo ascolto e senza sbirciare il booklet, a capire che il growl che ci viene sparato in faccia, è prodotto da una voce femminile. La formazione si completa con le classiche due chitarre, basso e batteria; faccio subito i miei complimenti a tutti i musicisti che sfoderano una prestazione pregna di tecnica ma allo stesso tempo capaci di creare passaggi dalla pesantezza immane. Il CD è composto da 11 tracce compresa un'intro strumentale in apertura, che mettono subito le cose in chiaro per quanto riguarda la proposta musicale offerta dal quintetto: musica veloce, senza troppi slanci melodici, che rispetta i canoni del metalcore classico, con intermezzi rallentati e davvero heavy, che invitano al più scatenato degli headbanging. Doppia cassa in abbondanza, chitarre accordate bassissime e linee di basso killer, il tutto condito da un pregevole gusto musicale, che evita di far cadere il prodotto nella tamarraggine assoluta; altri prodotti, fidatevi, non hanno questo meritevole pregio. Da sottolineare positivamente il lavoro di produzione del CD, che sparato a volumi “seri”, mostra il meglio di sé, senza distorsioni, con gli strumenti belli cristallini che evitano il tanto odiato effetto “pastone”. Di tutto rispetto anche il lavoro dell'artwork, con un bel libretto e i testi leggibili. Tirando le somme, un buon prodotto, che potrebbe tranquillamente essere pubblicato da una major, anche se personalmente ritengo il genere proposto un po' troppo saturo al momento, con conseguente difficoltà per i gruppi indipendenti di trovare il giusto spazio che meriterebbero (ma è anche per questo che esiste “Il Pozzo”). L'unico difetto che ho trovato lungo i ripetuti ascolti è quello dell'effetto “monolite”, ma nel senso peggiore del termine; 40 minuti non sono molti, ma rischiano di diventare eterni se le canzoni sono poco varie e il metronomo si sposta di alcuni bpm da una traccia all'altra. Una maggiore varietà nelle composizioni, sopratutto negli incipit delle canzoni, gioverebbe all'ascolto. Nonostante tutto, da segnalare assolutamente come tracce di rilievo: “No Time for Regrets”, “When Reasons Collapse”, “Come to Me” e “Bitterness and Grief”, che rendono bene l'idea della qualità proposta dal quintetto. Presenti su Facebook con una pagina ben curata, provate a scoprire questi ragazzi francesi: voi non ve ne pentirete di sicuro, qualche problemino potrebbero piuttosto averlo i vostri timpani. Potenti. (Claudio Catena)

(Self - 2015)
Voto: 75

giovedì 28 maggio 2015

This Empty Flow - Nowafter

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Dark Sperimentale, Radiohead
Nati nel 1994, dalle ceneri degli storici doomster finlandesi Thergothon, i This Empty Flow hanno avuto vita breve se pensiamo che già nel 1997 venne posta fine al progetto. Un vero peccato, dato che in soli tre anni di attività i This Empty Flow hanno saputo comunque scrivere delle pagine di importanza non marginale all'interno del vasto panorama musicale underground e con una classe così unica che oggi il loro nome ha lasciato il segno. La formazione, composta inizialmente dagli ex-Thergothon Jori Sjöroos (voce/chitarra) e Niko Sirkiä (tastiere), fu presto affiancata dal bassista Aku-Tuomas e nel marzo del 1996 debuttò per la nostrana Avantgarde Music con 'Magenta Skycode', un album stupendo che a causa di una scarsa promozione passò purtroppo "in sordina" e non ottenne così l'attenzione che avrebbe meritato. Il successivo 'Three Empty Boys' non ebbe sorti migliori e fu pubblicato dalla Plastic Passion solo nel 1999, quando il gruppo era ormai sciolto. Questa raccolta, uscita per l'italiana Eibon Records nel 2001, racchiude sei brani fino ad allora inediti, cinque già contenuti nel secondo album 'Three Empty Boys' e tre tratti da 'Useless and Empty Songs', un cd-r realizzato nel 2000 sempre dalla Plastic Passion nella limitatissima quantità di 111 copie. Il cd si apre con le sei registrazioni inedite (ultime composizioni del gruppo risalenti all'estate del 1997), che oscillano tra sonorità alla Radiohead e sfumature trip-hop; ne sono un esempio il bellissimo brano d'apertura "Je(n!)i Force", in cui violino e chitarra accompagnano l'incedere lento e ritmato del pezzo e "Marmite", inframmezzata da insolite parti rappate. Dopo gli accenni psichedelici di "Stilton" è la volta delle melodie dilatate di "Shoreditch", tra le quali affiora lo spettro dei Pink Floyd e dove timidi arpeggi di chitarra sostengono la vocals sommesse di Jori. In "And also the Drops", rifacimento del brano "Drops", emerge un gusto pop accostabile ai primi Suede, mentre in "Ashby-de-la-Zouch" i toni gravi e drammatici degli strumenti a fiato si diffondono tra una voce sospesa e i riverberi di liquidi synth. Con "One Song of Solitude" l'influenza The Cure si fa abbastanza evidente e ci trascina in uno stato di abbandonica e piacevole malinconia, sensazione che ci avvolge anche in "Angel's Playground" e in "Dubby", dove le melodie struggenti della chitarra colorano i nostri pensieri delle sfumature più cupe. Fragili, malinconici e toccanti, i settanta minuti di musica contenuti all'interno di 'Nowafter', sono il testamento di una band che ha avuto poca fortuna nella sua breve carriera, rendiamo allora un giusto tributo ai This Empty Flow, facendo nostra questa bellissima raccolta e non dimenticandoci di loro. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2001)
Voto: 85

Tezza F. - The Guardian Rises, Part 1

#FOR FANS OF: Power/Prog Metal
Rummaging through underground power metal acts is like treading on thin ice. You may discover a hidden gem such as I have with the likes of Fogalord and Dragon Guardian - or you may end up subjecting yourself to 45 minutes of dull and badly-produced drek like Skylark. Fortunately, Italy's one-man band, Tezza F, is one of the latter. Though having never heard his first full-length album, the quality of metal on show for this EP is nothing if not promising. Yes, you heard! A one-man power metal band! This minimal form definitely benefits the outcome of this release. It's clear that Fil Tezza, its sole member, is playing things by his own rules, whilst totally relishing and savouring every note. This is a man who loves what he does - and what he does best is worship the Falconers and Vision Divines that went before him; using these influences to create his own brand of melodic power metal. The production is admittedly superb. It's hard to fathom how major mainstream acts like Metallica are still struggling to secure a decent sound quality when humble artists such as Tezza can achieve such a crystal clear timbre on their meagre budget. The drums are crisp, the guitars are full and rounded, the leads are clear and the vocals sit comfortably at the forefront. Tezza understands how an EP should be structured. There is no wasted space here, just a well thought-out tracklist consisting of original material. Even the 2-minute introductory title-track feels necessary and substantial - its declamatory tones paving the way for the bombast to follow. "The Sign of the Holy Cross" may not have been the best choice of opener considering its march-like tempo. The soaring hymn "Jolly Roger", or the galloping "Wildfire" would fare better. But the brevity of this EP allows all tracks to be highlighted in their own right. With the addition of some quirky compositional devices (the growled vocals in particular were a lovely additional element) Tezza F has proved that he has major potential in the Italian power metal scene. 'The Guardian Rises, Part 1' is the correct way to push your band's name forward whilst remaining stylistically loyal. Well done, sir! (Larry Best)

(Heart of Steel Records - 2015)
Voto: 85

Andy Rive - Acclimation

#PER CHI AMA: Metalcore/Progressive
Pensavo che Andy Rive fosse un musicista solista, o che almeno un membro della band si chiamasse Andy; niente da fare, chi risponde a questo moniker è infatti un quintetto di Freiburg, Germania, fautore di un interessante e sperimentale metalcore. Sapete quale sia lo scarso appeal che esercita questo genere sul sottoscritto, che ritiene tale proposta ormai usurata dal tempo e che ha smesso di dire qualcosa di innovativo forse 5 anni fa. Eppure, quando per la prima volta ho dato un ascolto al sound dei nostri sul web, sono rimasto folgorato per la scorrevolezza, la dinamicità e la freschezza di idee di questi ragazzoni teutonici. E allora, ecco trovarmi finalmente in mano l'EP 'Acclimation', che consta di 5 tracce (riproposte anche in versione strumentale), che dopo la rituale intro, si presentano brillantemente con le melodie di "Prisoner", una cascata di chitarre sincopate, costruite sull'asse Philipp/Martin, le due asce dell'act germanico e sulle corrosive vocals di Domi. Cambi di tempo azzeccatissimi, qualche chorus lontano, una ritmica profonda, rendono il tutto godibilisissimo. "Blizzard" è la seconda traccia del disco che mette in mostra certe velleità progressive del 5-piece della regione del Baden-Württemberg. Dicevamo delle chitarre, sempre in primo piano a dipingere splendidi e ammiccanti giri melodici, mentre in background il drumming spettacolare di Benny è coadiuvato dalle slappate di basso di Lukas. Per chi cerca un disco veloce, sappiate che 'Acclimation' non lo è minimamente (fatto salvo per la furia sporadica di "Weightless"); potrete trovare ritmiche chirurgiche di scuola Meshuggah, arzigogolati giri di chitarra, spaccati atmosferici, growling vocals, giochi di luce, che potrebbero valere anche un accostamento ai Cynic, ma soprattutto tanta tanta energia. "Salvation" è l'ultimo pezzo, il più vicino alle radici metalcore della band, almeno nei suoi primi 30 secondi. Subentreranno infatti sprazzi ambient, tonate di basso, isterici giri alla 6-corde, roboanti intrecci strumentali, fiumi di parole (addirittura in pulito), il tutto contrappuntato sempre da splendide melodie, che me la fanno eleggere il pezzo preferito dell'EP, sicuramente anche il più vario; peccato solo per quella chiusura di pezzo sfumata brutalmente. Per ovvi motivi non commenterò le song in versione strumentale: vi basti sapere che senza, il forse eccessivo, cantato di Domi, si riesce ad apprezzare ulteriormente la perizia strumentale del combo tedesco, nonché le eccelse melodie che gli Andy Rive producono. Un mezzo punto in meno per la scarsa durata dei 5 pezzi, però davvero bravi. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 75

mercoledì 27 maggio 2015

Fabiano Andreacchio - Bass R-evolution

#PER CHI AMA: Heavy Metal strumentale, Fretless bass
Recensire dischi solisti non è mai facile, quando poi, anziché esserci una chitarra ci si trova un basso, tutto diventa ancor più complicato. Fortunatamente il talentuoso Fabiano Andreacchio, ex bassista dei Mothercare, ci dà una mano, confezionando un lavoro non cosi difficile da avvicinare. 'Bass R-evolution' consta di 11 tracce in cui il buon Fabiano, in compagnia di diversi amici, si diverte non poco, combinandone un po' di tutti i colori e facendomi perdere più volte il ricordo che questo è un disco strumentale, in cui il bassista assurge ad assoluto protagonista. Il lavoro, uscito per la Italian Way Music, si apre con "Sexonnia", traccia da cui è stato anche estrapolato un videoclip e il cui titolo rimanda a un disturbo del sonno che porta a compiere atti sessuali nel bel mezzo della notte. Ovviamente manco a dirlo, è il basso di Fabiano a irrompere con la sua pulsante ma dinamica frenesia ritmica, coadiuvato comunque da una drum machine che ne detta i tempi. L'ipnotico modo di far cantare il proprio strumento trova spunti più melodici in "Strange Kind", in cui le chitarre si affiancano, in un insidioso avanzare tra riffoni granitici, cambi di tempo ubriacanti, strappi melodici, scale vertiginose e attimi di follia. La sorprendente vena compositiva di Fabiano è anche la sua ancora di salvezza; raramente infatti il musicista mantovano abbandona il proprio sound sotto una coltre di noia. "Dream of a Far Landscape" è un interessante esperimento dark, in cui echi dei The Cure, che amavano particolarmente l'utilizzo del basso acustico, sembrano emergere. "Rebel Yell" è la prima cover del disco, un pezzo addirittura del 1983 di Billy Idol, in cui si percepisce forte la vena più hard rock oriented del bass-hero italico, in una traccia comunque bella tirata. "Texas Skull Revolver" potrebbe essere più un pezzo blues rock, questo a dimostrare l'ampio raggio di azione in cui si muove Mr. Andreacchio, e in cui Fabiano dà maggiormente sfoggio della sua classe. È invece il theme di 'Terminator' quello che si cela nelle delicate e cibernetiche note di "The Machine Behind", traccia che mostra una certa voglia di sperimentazione ma che in realtà poco ha da dire. Con "Epic Dusk", i toni si fanno decisamente più incazzati, forse un retaggio thrash metal che emerge, un tributo ai Pantera riletti in chiave moderna, o semplicemente il desiderio di sprigionare un bel po' di energia distruttiva, fatto salvo per un suadente break centrale. Nelle ultime song ecco far capolino le guest star. Doofybass Ares presta il suo basso, in "Into the Black", in un attacco bilaterale dai rimandi black sinfonici, una goduria per le mie orecchie, per cui eletta ovviamente mia song preferita. Ale "Darkoniglio" è la seconda guest in "The Last Kiss", brano dai contorni malinconici, in cui i due artisti duettano abilmente con le loro "bocche da fuoco" in spalla. Che musica vi aspettereste invece per il vostro funerale? Fabiano l'ha immaginato e ha scritto "My Funeral", un pezzo che mette in risalto nuovamente una forte componente nostalgica, guidata dalle soffuse e calde note del suo basso. Arriviamo alla fine di questo trip musicale con "Fly Over", l'unica canzone cantata del disco dallo stesso Fabiano e aiutato da Nicola Cisamolo ai synth: un pezzo rock, un po' ruffiano, che mette comunque in mostra le ottime capacità vocali dell'artista lombardo, in un pezzo che si snoda tra cyber, metalcore, industrial e sperimentalismi vari, un esperimento che invito caldamente di ripercorrere in futuro. 'Bass R-evolution' è il primo tassello della discografia solista di Fabiano Andreacchio, un nuovo disco sembra già in cantiere, chissà che attendersi ora. (Francesco Scarci)

(Italian Way Music - 2015)
Voto: 75

martedì 26 maggio 2015

One Last Shot - First Gear

#PER CHI AMA: Heavy/Thrash/Punk
Dopo le più eterogenee classificazioni dei generi musicali, ora posso aggiungere anche quella dei One Last Shot: dust metal. Il quintetto francese, Parigi per l'esattezza, ha origini recenti e nonostante ciò, si sta dando da fare per bruciare le tappe e arrivare dritto al sodo. La band infatti si fa promuovere dalla Dooweet, grossa agenzia francese di comunicazione e marketing, quindi grosso investimento con grandi aspettative. Parlando di musica invece, il "dust" metal dei One Last Shot non è nient'altro che un mix di Southern rock e Nu metal, i Motorhead, Guns 'n' Roses e Lynyrd Skynyrd in salsa moderna per capirci. Le cinque tracce sono ben registrate e lo stesso vale per la scelta dei suoni, adatti al genere, quindi un pacchetto pronto per il mainstream del settore. L'EP apre con "Brawler", brano velocissimo, caratterizzato da riff potenti, grancassa martellante con trigger ovunque e cori al momento giusto. I musicisti se la cavano, ma non aspettatevi chissà quali soluzioni creative, il brano va esattamente dove ve lo immaginate. Riuscirete ad anticipare il mega assolo di chitarra, i cambi e quant'altro, tutto perfetto e fatto ad hoc per un motoraduno pieno di bikers che sono abituati ad ascoltare tribute band di vario genere. "G.A.S" ha addirittura qualche passaggio death metal, ma dura talmente poco che verrete riportati alla dimensione Motorhead quasi istantaneamente. Il vocalist ha il timbro tipico del genere, adatto anche al thrash, ma la monotonia è una brutta bestia da combattere quando vi spinge a premere il tasto skip del lettore cd. Probabilmente è il brano più azzeccato, ben arrangiato e strutturato per entrare nel subconscio dell'ascoltatore. Anche qui gli assoli si quantificano un tanto al chilo, mentre la doppia grancassa scatena l'inferno. Il basso segue le linee melodiche senza protestare, in una sezione ritmica di tale portata, che molto spesso risulta difficile distinguerlo. Riesce però ad avere il suo momento nell'intro di "Prophesick", ma con l'arrivo delle chitarre e lo scatenarsi della batteria, la situazione precedente si ripresenta. La song si presenta veloce e potente, fortunatamente la band ha preferito dare il meglio in fatto di aggressività e potenza con questo EP, soprattutto se l'eventuale ballad sarebbe stata la classica litania da focolare in spiaggia. Che dire, la band è tecnicamente preparata e i musicisti sono quelli giusti per un progetto che probabilmente mira a voler sfondare nel music business al più presto. Probabilmente il quintetto parigino sta facendo la mossa giusta, riproporre il metal di qualche hanno fa in chiave moderna potrebbe spingere una parte dei nostalgici ad ascoltarli ed apprezzarli. In bocca al lupo, vi auguro che il vostro primo full length innesti finalmente la seconda marcia. (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 65

lunedì 25 maggio 2015

Caronte - Church of Shamanic Goetia

#PER CHI AMA: Doom, Black Sabbath, Pentagram, Saint Vitus
I Caronte sono una di quelle band che una volta ascoltate dal vivo ti segnano per sempre. La loro musica, l'esperienza live e tutto quello che gravita attorno al loro mondo, ti catapultano in una dimensione parallela e ti ritrovi a sogghignare senza sapere il perché. Cosa manca ai Caronte per essere tra le migliori venti doom band al mondo? Nulla e allora comprendi, il tuo terzo occhio si apre e vedi quello che è sempre stato li davanti alla tua cecità: una band di Parma nata cinque anni fa che scrive e suona come i Black Sabbath, Pentagram o Saint Vitus. Il quartetto formato da tre fratelli e un amico d'annata, ha alle spalle l'ottimo album 'Ascension' del 2012 e da poco sono usciti con 'Church of Shamanic Goetia', distribuito dalla tedesca Vàn Records. Innanzitutto il nuovo album si presenta in un digisleeve che potrei definire semplicemente stupendo e che ha pochi rivali in termini di fattura ed estetica: cartoncino nero di due millimetri di spessore (!!) con grafica impressa a caldo da entrambi i lati, inchiostro dorato per tutti i testi compreso il booklet, insomma un tripudio in edizione limitata che farebbe felice anche il più esigente dei musicofili. Considerando che l'etichetta avrebbe potuto mandarci una versione semplificata per gli addetti stampa, non posso che inchinarmi a cotanta generosità e cominciare ad aprire questo oracolo e ascoltarlo con profondo rispetto. Il cd contiene sette tracce che trasudano doom (precisamente "Shamanic doom" come piace dire ai Caronte) che ostenta misticismo e spiritualità in ogni singola nota. L'album apre infatti con "Maa-Kherus's Rebirth", un inno esoterico che affonda le proprie dita scarnificate nell'ancestrale storia africana e nel culto sciamanico egiziano. Mi scuso se quanto riporto non è corretto, ma attingendo dal web, leggo che Maa-Kherus è un' identità maschile (o femminile se indicato come Maat kheru) che ha raggiunto la maturità spirituale ed è quindi cosciente del proprio ruolo divino nel grande cerchio della vita. Ciò gli permette di essere sincero e di agire sempre nel giusto, un tema terribilmente attuale se si pensa a quanto sarebbe necessaria tale figura nella società moderna. Forse i Caronte esprimono al meglio la perenne ricerca della verità, del vita dopo la morte, guardando al passato in cerca di risposte e questo si riversa nella loro opera musicale. Il brano è puro doom onirico, cadenzato e pesante, ma mai funebre, proprio per sottolineare la celebrazione della rinascita. Grandi chitarre che divengono tappeto sonoro e contemporaneamente protagoniste delle melodie a colpi di riff. Basso e batteria sono l'altra metà perfetta del mix sonoro dei Caronte, decisi e senza mai esitazioni di sorta. La voce è il sigillo che completa il tutto, costantemente inneggiante al cielo e alla terra, un timbro che bilancia perfettamente il suono della band, infatti è tutt'altro che scuro e monotono. Ciò regala parecchia dinamica al brano e trasmette perfettamente le sensazioni di ogni singola parola. "Wanka Tanka Riders" innesta una marcia più alta mantenendo comunque lo stile Electric Wizard, incalzante ritmicamente come una ballata stoner e articolata grazie al break centrale che ci riporta alla meditazione dopo lo sfogo iniziale. L'utilizzo di effetti è ridotto all'osso e questo mette ancora più in gioco l'attenzione che la band deve avere per i riff e gli arrangiamenti. Le atmosfere sono sempre al top e gli otto minuti vi racconteranno una storia che vi catturerà dal primo accordo. Lo scopo ultimo della musica è proprio questo, come leggere un buon romanzo o farsi rapire da una pellicola. particolarmente coinvolgente. Al di la del genere, se il musicista riesce in questo, può considerarsi soddisfatto e guardare avanti per osare sempre di più. "Temple of Eagles" cambia ancora, con una possente intro noise-drone a fare da apripista al classico stile celebrativo del doom marchiato Caronte. Da questo brano è stato anche tratto l'ultimo video della band che racchiude un sapiente montaggio fatto di immagini che raffigurano indiani americani, popolazioni asiatiche, simbologia esoterica, fumatori di oppio e tanto altro, da vedere. Un brano colossale, artisticamente complesso perché studiato nei minimi particolari dove niente è stato lasciato al caso. Suoni sempre in linea con i temi trattati, soprattutto in questa traccia dove si celebra l'aquila che raffigura il psicopompo per eccellenza, colui che accompagna l'anima dello sciamano. Un concept album da avere, non solo per il delizioso packaging, ma perché avrete la prova inconfutabile che i Caronte sono una band eccezionale per cui vi assicuro, che verrete rapiti dal loro viaggio senza tempo... (Michele Montanari)

(Vàn Records - 2014)
Voto: 90

domenica 24 maggio 2015

Deadalus - Remnant of Oblivion

#PER CHI AMA: Techno Death, Meshuggah
La Kreative Klan sale in cattedra proponendo il full length d'esordio dei belgi Deadalus, fautori di un ultra tecnico concentrato di death metal con i controcazzi. Solo sette pezzi per una mezz'ora scarsa di musica bastano e avanzano per sancire l'eccezionale bravura di questi quattro ragazzotti di Liegi che devono essere cresciuti a pane, birra e Meshuggah. "An Adverse Event Horizon" attacca con un riffone bello compatto che sembra sul punto di esplodere da un momento all'altro. La traccia si mantiene invece granitica, infliggendo cambi direzionali da urlo e mantenendo costante un senso di tensione che mai trova sfogo nell'evoluzione della song, che sottolinea il dualismo vocale (scream/growl) del frontman Nico. L'ubriacante lavoro alle chitarre di Séba trova più spazio nella successiva "An Unthinkable Mess", dove la roboante ritmica ha lo stesso effetto di un cinghiale posto sullo stomaco. Quando poi Séba inizia a giochicchiare sul serio con la sua sei corde, non ce n'è davvero per nessuno, peccato solo che gli assoli non siano cosi lunghi, altrimenti fiumi di sangue sgorgherebbero anche dalle vostre di orecchie. Dalle mie sgorga già, complici quelle frustate inferte alla batteria dal funambolico Mykke, che insieme a Max al basso, completano il quartetto. Max che irrompe a gamba tesa nella terza "Fathom", altra song che mostra una contraerea lenta ma efficace. I cambi di tempo non si contano, i tempi dispari creano una certa difficoltà nel digerire alla prima botta il sound dei nostri, ma quando anche voi ci farete l'orecchio, non potrete che esaltare l'eccezionale tecnica del combo belga, che a livello solistico sembra risentire addirittura di certi influssi jazz fusion. Spaventosi, e quando parte "In Timeless Patterns", i Deadalus sembrano essere in grado di corrodere ancor di più i miei timpani, con un giro psicotico di chitarra che evoca gli stralunati Infernal Poetry. Potenti, ma mai sopra le righe con velocità supersoniche o quant'altro. Con un riffing che sembra preso in prestito da "This Love" dei Pantera, l'ensemble costruisce un disco intelligente e assai maturo che ha ancora da dare parecchio: l'assolo in "Bury Me" ha lo stesso effetto di una punta di diamante sulla portiera di una macchina e con quella sua linea ritmica a dir poco disturbante, la eleggo come mia traccia preferita di questo 'Remnant of Oblivion'. In "Axis of Entropy", sono ancora i cambi di tempo al fulmicotone, privi di alcuna sbavatura di sorta, a tenere banco con un impianto ritmico da far impallidire chiunque. La forza dirompente dei nostri risiede poi nella capacità intrinseca di suonare brutali pur non eccedendo mai in fatto di pesantezza o velocità. Arrivo frastornato alla conclusiva title track, quasi sfinito, eppure sono passati solo 23 minuti: vengo investito dalla traccia più lunga del disco, che ha il solo compito di darmi il colpo di grazia e condurmi alla follia totale. Attenzione quindi anche a voi, l'ascolto di 'Remnant of Oblivion' potrebbe risultare parecchio pericoloso. (Francesco Scarci)

(Kreative Klan - 2014)
Voto: 80

Cyber Baphotmet & Karna - Void 2.0

#PER CHI AMA: Electro Industrial, Samael
Quello dei Karna è un caso più unico che raro: la band russa sembra infatti sciolta da qualche anno, eppure ne continuano ad uscire release. Questa volta il terzetto di Azov condivide questo split album con i russi Cyber Baphomet, side project dei disciolti Baal Zebuth. Andiamo comunque con ordine, visto che i primi ad entrare in gioco sono proprio gli industrial electro blacksters Cyber Baphomet, che con 6 tracce a disposizione, mostrano di che pasta sono fatti. Intro di rito e poi si scatena "In(Sekt)", song che palesa gli interessi elettro cibernetici dell'act russo. Montagne di synth sovrastano infatti oscuri growling vocals e una gelida drum machine. Un po' Plasma Pool (ve la ricordate vero la creatura di Attila Csihar?), un po' EBM, ma soprattutto parecchio industrial, i nostri si lanciano in una galoppata dai tratti techno. Disorientati? Io si, parecchio. Si continua con suoni dai contenuti post-apocalittici e il titolo della terza traccia non può che essere "Postapokaliptik", che strizza l'occhio alle sperimentazioni elettroniche degli Aborym, con tappeti morbosi di sintetizzatori, dall'effetto asfissiante. Un po' di dark ambient con la breve "Tapping the Nekrotikk Sun" e tocca a "Speed-freak Satanik" tornare a movimentare il disco, con sonorità convulse, oscure, malate e anche un po' stantie. La verve danzereccia della prima song si è persa per strada e quello che rimane è una colata lavica di suoni dannati. Con la conclusiva "Unfuture", si tornano ad apprezzare delle melodie dark ambient, che tanto furon care a Burzum nel suo periodo di prigionia e nelle sue ultimissime produzioni. Con i Karna si dovrebbe cambiare registro: intro noise, una sorta di tuning radiofonico e poi "Silent Scorn". Della band russa, avevo apprezzato parecchio 'Raven' nel lontano 2006, poi ne ho perso un po' le tracce. Tornano quindi in sella con questo lavoro dedito a un lugubre sound elettro industriale, ove, a differenza della band d'apertura, di chitarre vi è per lo meno traccia e i vocalizzi sono ben distinguibili e non caotici. In questo caso è più l'eco dei Samael più sperimentali ad emergere dalle tracce a disposizione dei Karna, che si rivelano marziali nel loro incedere. Ancora synth ed effettistica varia con "Tolerance Zero", traccia ritmata che conferma quanto già scritto in fatto di influenze palesemente votate ai ben più famosi colleghi elvetici. Fortunatamente la presenza delle chitarre rende la musica un po' più digeribile, ma non aspettatevi grossi cambi di tempo, il pattern ritmico rimane infatti per lo più uguale dall'inizio alla fine del brano, fatto salvo per un intermezzo più dark oriented. Un brevissimo (6 secondi!) intermezzo e poi il lungo finale è affidato a "Black Mirrore Blaze", noiosissima traccia ambient, che fa scemare del tutto il mio interesse verso il cd, valutandolo alla fine come appena sufficiente. Ci vuole ben altro per scuotere i sensi degli ascoltatori che pseudo provocanti sonorità industriali. (Francesco Scarci)

(S.N.D. Productions - 2015)
Voto: 60