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giovedì 22 marzo 2012

Stigmhate - The Sun Collapse

#PER CHI AMA: Swedish Black, Marduk, Setherial
Dopo essere stato tramortito in sede live e averli ospitati in trasmissione nel Pozzo dei Dannati, finalmente giunge tra le mie mani il come back discografico (dopo ben sei anni!) dei violentissimi Stigmhate, con un lavoro che è più una sonora legnata nella schiena, e poi più giù all’altezza del cavo popliteo, subito dietro al ginocchio, a piegarci le gambe e a chinare il capo di fronte a cotanta furia e malvagità. Avremo anche aspettato tutto questo tempo per rivedere all’opera l’oscuro quartetto veneto, ma ne è valsa la pensa, perché i nostri sono tornati più tonici e in forma che mai, ben supportati dall’etichetta Bakerteam Records. Ebbene “The Sun Collapse” ci propone nove annichilenti tracce che, prendendo palesemente spunto dalla tradizione black svedese (quella di Marduk e Setherial), ci investe, sin dall’iniziale “Throne of the Eternal Flame” con tutta la rabbia che, verosimilmente l’ensemble ha tenuto represso, nel corso di questi anni. La musica del combo, come dicevamo, è un vertiginoso esempio di black metal, suonato alla velocità della luce, sorretto da una ritmica mostruosa e sontuosa, grazie a delle chitarre affilatissime e ad un drumming potente e chirurgico, capace poi di anestetizzarci in quei rari momenti, in cui un sound mid-tempo, assurge a ruolo di protagonista. Non temete perché questi istanti, utili soprattutto a recuperare un po’ di ossigeno, sono veramente assai sporadici. Dopo il carattere trita ossa delle prime due track, è la melodia di “Gathered of Isolation” a conquistarmi, con quel suo incedere minaccioso, grazie ad un sound a cavallo tra Dissection e Unanimated, insomma altri due mostri sacri della tradizione scandinava, a dimostrare quale eccellente esempio, la scuola italica abbia da offrire in questo filone, un tempo territorio quasi esclusivo delle band svedesi. Taglienti, feroci e tecnici, supportati peraltro da una brillante produzione, gli Stigmhate devono aver venduto l’anima al diavolo, proponendo un sound che più mefistofelico non si può. Probabilmente lo screaming maligno e brutale di Marco accompagnato dall’efferato lavoro alla chitarra di Mike, spingono gli Stigmhate a candidarsi nel minacciare il trono ai godz svedesi. Un’ultima menzione la voglio dedicare ad “Architects of Fate”, song dal forte carattere apocalittico e alla conclusiva “Luce”, song leggermente più pacata, cantata tra l’altro in italiano, che chiude le porte dell’infernale mondo degli Stigmhate. Diabolici! (Francesco Scarci)

(Bakerteam Records)
Voto: 80

Nekromorphine - Senseless Ecstasy

#PER CHI AMA: Black, Ambient
Nekromorphine è una band portoghese molto interessante, dedita ad un black metal d'ambiente e sperimentale. Lo stile è quello del black metal con una visione ampia e teatrale del genere. Una visione estesa alla “sperimentazione fantasy” come la intendono Bal Sagoth, Burzum e Sigh. I brani sono dilatati, psichedelici con stati d'animo eterei e di profonda tristezza, mai estremamente veloci, pieni d'atmosfera e carichi di sinistra emotività. L'uso della tastiera ha un vago rimando alla teatralità dei Moi Dix Mois. “Into the Grimness” sfiora una sorta di shoegaze oscuro, come se i primi Christian Death suonassero musica ambient. La voce è quasi perfetta, astratta, violenta, coinvolgente e oscura, mai banale! “To the End of Mine” è la più “black style”, “Voyage into the Realm of Smoke” è un azzardo nella sua costruzione da “concept”, un viaggio nel suo altalenarsi. Ascoltate il finale e non ditemi che non sentite un retro gusto di bubble gum music, new wave degli 80's e il visual key nipponico (innesto geniale e azzardatissimo per questo genere!). Il tutto andrebbe sofisticato un po' e meglio registrato, l'uso della batteria a volte risulta ancora primitivo e “scarico”. Non aspettatevi da Nekromorphine la solita violentissima black metal band stereotipata, c'è di più! Maligni come una black metal band, sinfonici e d'avanguardia come i Moi Dix Mois e Malice Mizer, teatrali e tetri come se Burzum suonasse una cover del miglior Alice Cooper. Di sicuro non piaceranno a tutti ma il coraggio di questa band potrebbe venir ripagato se sapranno focalizzare ulteriormente le loro idee! (Bob Stoner)

Eluveitie - Slania

#PER CHI AMA: Death Folk, Korpiklaani e Asmegin
Dopo averli visti dal vivo al Pagan Fest con Primordial, Negura Bunget, Solstafir e Heidevolk, non potevo non esimermi dal pubblicare una loro vecchia recensione: gli Eluiveitie, tornano nel 2008 con "Slania", a distanza di 2 anni da “Spirit”, e ritornano con il loro sound rude, ma atmosferico, caratterizzato dall'utilizzo di strumenti tipici della tradizione celtica (l'hurdy gurdy, la cornamusa e i flauti), tradizione alla quale si rifà la band alpina ma non solo, vista la presenza anche di altri strumenti tipicamente svizzeri come lo zugerörgeli (una specie di accordion) e il bodhràn. Più vicini alle sonorità di Korpiklaani e Asmegin, accomunati più per ideologia agli irlandesi Cruachan, l'act d'oltralpe rilascia questo interessante e suggestivo lavoro, addirittura per la Nuclear Blast e il risultato non è affatto male. Se conoscete le band sopraccitate, avrete già capito che si tratta di un death metal dalle tinte folkish, che mantiene la rudezza del genere, ma grazie a preziosi e ariosi arrangiamenti, è capace di spingerci a ritroso nel tempo di mille anni, dove i riti pagani si consumavano quotidianamente. A me questo lavoro piace senza ombra di dubbio, anche se rimango stupito di fronte all'incedere super indiavolato di un pezzo come “Bloodstained Ground” che di folk ha ben poco, se non il finale. Sorprendente è l'aggettivo che si deve dare a un disco di simile fattura, perchè in grado di rievocare con estrema efficacia, le tipiche melodie popolari irlandesi, pur mantenendo intatto l'approccio feroce del death metal: riffing veloci, nervosi e ritmiche sostenute delineano il sound di fondo di “Slania”; tocca poi al magico suono di flauti, cornamuse e violini donare quel quid in più ad un lavoro in grado di spingere la band verso il meritato successo... (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast)

Ekove Efrits - Conceptual Horizon

#PER CHI AMA: Black Ambient Post Rock, Tiamat
Non ho neppure avuto il tempo di riprendermi dall’eccitante lavoro dei francesi Netra, che tra le mie mani sbuca un’altra opera targata Hypnotic Dirge Records, che dimostra quanto oculata sia la scelta delle band del proprio rooster, da parte dell’etichetta canadese, capace di scoprire talenti addirittura nella terra della censura per eccellenza, l’Iran. Questa infatti, l’origine della one man band degli Evoke Efrits, costituita dal solo Saman N (o Count De Efrit). Il sound del nostro eroe persiano potrebbe essere inseribile nel filone suicidal black, ma circoscrivere la proposta musicale a questa sola etichetta, sarebbe limitante, se pensate che l’iniziale “Unmeaning Circle”, che denota subitamente una ricerca sonora lo-fi da parte dell’ensemble persiano, mi ha rammentato le cose più darkeggianti dei Tiamat di “A Deeper Kind of Slumber”: sound sognante, oscuro, vocals pulite molto vicine a quelle di Johan Edlund, prima che prenda il sopravvento un’epica cavalcata black. Incredibile ma la proposta musicale dell’act di Teheran mi ha già conquistato e mi fa enorme piacere constatare che dopo i Silent Path, un’altra band proveniente dall’antica Persia, popoli le pagine del Pozzo dei Dannati. La seconda “Faceless Moments” mette in mostra la componente più legata all’ambient depressive dell’artista medio orientale, che presenta come punto di riferimento per il solo riffing iniziale, l’onnipresente Burzum, prima di abbandonarsi a deliranti divagazioni lisergiche; le successive vocals campionate di bambini che popolano il brano, mi inducono a percepire una spettrale e angosciante presenza. La temperatura si abbassa, il vapore dell’alito si rende visibile, una sensazione raggelante mi percorre tutto il corpo, un forte desiderio di piangere mi stringe al petto, che diavolo mi prende? Colpa (o meglio, merito, per la sua enorme componente emotiva) va data alla musica del Conte de Efrit, che mette a freno ogni velleità black, per lanciarsi in meravigliose elucubrazioni post rock che nella struggente, epica, magniloquente (e strumentale) “All that We Lost”, trovano la loro massima espressione. Come il titolo lascia presagire “A Celebration for Sorrow” è invece un inno alla tristezza (d’altro canto cosa c’è da essere allegri al giorno d’oggi?). “Conceptual Horizon” potrebbe essere tranquillamente la fotografia del deprimente mondo in cui viviamo e le disperate chitarre che lo popolano (il cui riffing mi ha ricordato quello dei finlandesi Rapture), il potente mezzo che gli Evoke Efrits hanno per contagiarci con il loro profondo senso di inquietudine. Sprazzi di musica orientale si fondono con suoni ambient/cibernetici in “I Just Wish…”, mentre un’altra gemma incastonata in questo quasi capolavoro, è la teatrale e orrorifica “Hills of Ashes”, che cede il passo alla lenta e soffusa “We Can Fly Once More”, un altro omaggio al sound più intimista dei Tiamat e alle tetre composizioni dei Fields of the Nephilim. Dolcemente, attraverso una serie di song strumentali e ambientazioni oniriche, vengo accompagnato e abbandonato tra le braccia di Morfeo. Sorprendenti! (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records)
Voto: 85

http://www.ekoveefrits.com/

domenica 18 marzo 2012

Duality - Chaos Introspection

#PER CHI AMA: Techno Death, Avantgarde, Ephel Duath, Cynic, Atheist
Sono quasi convinto che nelle Marche ci sia qualche fungo particolare che i ragazzi si mangiano o fumano: dopo la follia cerebrale degli Infernal Poetry, la freschezza alternativa degli Edenshade, ecco giungere tra le mie mani la delirante proposta di questi Duality, nati nel 2003 grazie a Manuel Volpe e Giuseppe Cardamone. Lo so che vi starete chiedendo perché ho etichettato i nostri come deliranti, un attimo, vi tengo un po’ sulle spine. Beh, sapete com’è, quando si preme il tasto play e si viene investiti da una furia death è cosa normale a cui siamo tutti abituati, ma se dopo 30 secondi, il nostro quartetto inizia a fare un po’ quel diavolo che gli pare, uscire completamente dai binari, improvvisare con digressioni jazz schizoidi, prontamente interrotte da inequivocabile furia hardcore, non si può che rimanere attoniti di fronte ad una simile proposta. Poi, con il secondo pezzo, la title track, (in realtà un intermezzo di un minuto), il delirio aumenta: eh si perché la song sembra venir fuori dal flamencato “Elements” degli Atheist, solo che il caldo intreccio violino-chitarra spagnola ci riconduce a sonorità più vicine alla musica classica. Confusi vero, non vi aspettavate una simile proposta? Beh io lo sono ancor di più, soprattutto quando con “Intuition of Disorder” ho la pretesa di intuire, che i nostri vogliano assaltare la diligenza con la loro furia death metal, mi sbagliavo; di nuovo sprazzi di insania mentale prendono il sopravvento e cosi quello che attacca le mie orecchie come un mefitico parassita, è un sound che intreccia influenze derivanti dai Cynic, con quelle nostrane degli Ephel Duath. “Natural Seizure Syndrome” parte ancora una volta furibonda, con le chitarre del duo Diego/Giuseppe costantemente arroganti ed imprevedibili, per non parlare del basso slappato di Tiziano Paolini che sembra volerci condurre in territori funky; non temete però, perché poi le urla filtrate di Giuseppe, qui assai vicino al vocalist degli Infernal Poetry, ci tengono solo per qualche secondo con i piedi per terra, prima che i nostri ripartano per farneticanti e psichedeliche esplorazioni in suoni assai avanguardistici. Da paura! Da paura anche la conclusiva e arrembante “Hybrid Regression” che dichiara palesemente che nuovi fenomeni stanno crescendo sul suolo italico. E ora voglio il full lenght!! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 85
 

Domina Noctis - Second Rose

#PER CHI AMA: Symphonic Gothic Metal
Italianissimi, attivi dal 2001, i Domina Noctis possono essere l'alternativa più electro ai nostrani Lacuna Coil: la voce di Edera non ha nulla da invidiare a quella di Cristina Scabbia dei Lacuna Coil. “Second Rose” è il loro secondo lavoro, dopo “Nocturnalight” del 2005: un album energico, dinamico, come si può sentire fin da subito nella prima canzone, “Electric Dragonfly”, song dotata di suoni elettronici, ma anche di grinta e vitalità, grazie anche al ritmo veloce e alla voce dolce e grintosa al tempo stesso. In “Untold” l'animo si placa un poco per diventare più cupo, ma senza perdere comunque la sua verve: la canzone si presenta malinconica, dolce e profonda, piacevole all'ascolto, con il ritmo che ti penetra nella mente per cui alla fine non è difficile non mettersi a canticchiare il motivetto. “Into Hades” si avvale parecchio delle tastiere, mentre Asher alla chitarra, Azog al basso e Niko alla batteria accompagnano la dolcezza della voce femminile, inducendo comunque un headbanging sfrenato: se il loro scopo era quello di colpire, certamente hanno colto nel segno. “Because the Night” è la classica cover del pezzo di Patty Smith che, a mio avviso, è veramente azzeccata: questa è una delle cover meglio riuscite, da cantare e magari mettersi pure a ballare. Arriva il turno di “Lamia” e la voce viene portata ad una tonalità più alta del solito, senza stonature: questa è una delle tracce più semplici e leggere dell'album, ideale magari per chi vuole avvicinarsi al metal senza rimanere troppo schockato. “Sisters in Melancholy” riprende il sound iniziale, senza cambiarvi una virgola: verso metà le cose si fanno più toste e il sound acquisisce più aggressività, per terminare con un duetto batteria/chitarra. “Broken Flowers” ricalca il sound di “Lamia”, ma da metà in poi il ritmo rallenta e si fa più grave, mentre la voce diventa quasi sussurrata e il basso l'accompagna; Ruyen, alle tastiere, prende il sopravvento con un assolo dal gusto retrò. “Exile” si apre con un tono solenne: il cantato è pacifico, come del resto tutto il ritmo del brano; nella seconda metà del pezzo ecco un vibrante assolo di chitarra; il brano estranea, per un attimo fa scordare ciò che vi è attorno e porta lontano la mente, verso lande inesplorate. “The Mask” si avvale di sonorità orchestrali per dare un impronta più grandiosa al brano: con intervalli di chitarra acustica accompagnata da pianoforte, tutta la traccia diventa mesta, flemmatica, ma straordinaria, con la voce che viene portata ai massimi livelli giocando su tonalità sia acute che gravi: probabilmente un esame per vedere fino a che punto la voce può arrivare. Come ultima traccia vi è un'altra cover, più precisamente del brano di Sonny Bono “Bang Bang”: nonostante le molte cover, questa (esattamente come l'altra) è particolarmente riuscita, con la voce di Eden molto suadente e magica (decisamente migliore di quella languida cantata da Carla Bruni in uno spot automobilistico): un'ottima scelta per chiudere un album ricco di giochi vocali, di sensazioni ed emozioni che variano in base al ritmo variabile che ogni canzone presenta. In chiusura, ammetto che è stata una sorpresa sentire con quanto ardore questa band abbia registrato l'album: ha in sé una potenza che li porterà lontano, sicuramente da tenere d'occhio le loro prossime creazioni (magari avvicinandosi al symphonic metal). (Samantha Pigozzo)

(Black Fading)
Voto: 70
 

Mors Syphilitica - Feather and Fate

#PER CHI AMA: Gothic, Darkwave
Andiamo parecchio indietro nel tempo, 2001 e al terzo lavoro per gli americani Mors Syphilitica, terzo progetto di Lisa ed Eric Hammer, già conosciuti come Requiem in White e The Order of N.C.S. Dopo l’omonimo cd d'esordio ed il successivo “Primrose”, i coniugi Hammer ci propongono questo “Feather and Fate” che, in linea generale, non aggiunge nulla di nuovo a quanto già fatto in precedenza, ma che si presenta come un album carico di tutta la bellezza malinconica tipica dei Mors Syphilitica ed ha forse un tocco ancor più delicato e seducente. La materia sonora sulla quale Lisa poggia con grazia la sua finissima voce è un insieme di emozioni che a tratti sorreggono le parti vocali e a tratti reclamano, invece, uno spazio di primo piano, fondendosi con la voce e creando un tutt’uno morbido e armonioso. Durante l’ascolto di “Feather and Fate” arrivo quasi a percepire visivamente la musica ed essa appare ai miei occhi come una materia malleabile in continuo movimento… ma credo che la musica dei Mors Syphilitica in fondo sia proprio questo, cioè un insieme di note in costante mutamento che si muovono sinuosamente negli angoli più bui dell’anima dando vita a sensazioni intense, a volte così fragili da sembrare oniriche. In un album di questo tipo, nel quale le canzoni formano quasi un tutt'uno inscindibile tanto sono ben amalgamate fra loro, è difficile sostenere che ve ne sia qualcuna che emerge sulle altre, ma non posso mancare di affermare che “How Long?” e “Only a Whirlwind” mi hanno colpito, turbandomi profondamente, forse per la maggiore carica emotiva che esse sprigionano. In realtà tutte le canzoni sono intrise della bellezza sensuale e del fascino triste che Lisa ed Eric riescono a conferire loro ed è questo ciò che rende i loro lavori unici. (Laura Dentico)

(Projekt)
Voto: 80
 

Lex Decimate - Seas of Endless

#PER CHI AMA: Darkwave, Elettronica, Ambient, Gothic
Lex Decimate. Ovvero "distruzione della legge". Secondo quanto riportano le note di copertina, il significato che Lee Duis attribuisce al monicker del suo progetto è collegato al rifiuto delle imposizioni sociali e al tentativo di liberarsi da ogni dogma che possa minare la nostra identità. Attraverso la sua musica, Lex Decimate vuole condurci in una dimensione lontana da tali restrizioni, un posto in cui nessuno soffochi la nostra esistenza stabilendo quali persone noi dovremmo essere o quali dovremmo amare. Se questo è l'intento dell'artista americano, diversa è invece la natura del concept affrontato in “Seas of Endless”, un album incentrato sulla descrizione di un mondo distrutto in cui solo una parte esigua del genere umano è sopravvissuta. I "Mari dell'Infinito" non sono altro che le emozioni dei superstiti, la loro rabbia, le lacrime del ricordo unite ai sogni di un nuovo mondo che, timidamente, tenta la strada della ricostruzione. Riguardo l'aspetto prettamente musicale, “Seas of Endless” si articola in undici brani caratterizzati da una discreta varietà stilistica, anche se l'ambito in cui si muove Lex Decimate rimane indubbiamente connesso alla musica elettronica e alle sue varianti più "ambientali". Attraverso le algide tessiture dei sintetizzatori e del piano, l'uso di beat felpati, l'alternanza tra una base ritmica morbida e la battuta controtempo negli episodi meno pacati dell'album, Lee Duis è riuscito a creare veri e propri soundscape sonori, dei paesaggi di assoluta desolazione che ben si sposano al concept lirico dei testi. A questo si unisce un'impostazione vocale a volte greve, a volte melodica, altre volte sussurrata e criptica. In ogni caso, una prova canora sempre perfettamente intonata con l'umore oscuro e drammatico che permea ogni singolo brano. Non tutta l'opera vive di momenti entusiasmanti, ma “Seas of Endless”, “One Breath Gone” e “Find Myself”, sono ottimi esempi di come si possa suonare elettronica in modo intelligente e professionale, senza l'appoggio di una grossa etichetta, senza riciclare i facili cliché che le mode del momento impongono e, soprattutto, affidandosi agli unici ingredienti necessari alla buona riuscita di un prodotto: talento, passione e buon gusto. (Roberto Alba)

(Silencer Records)
Voto: 75

http://www.lexdecimate.com/