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martedì 15 marzo 2011

Raventale - After


Come back discografico per Mr Astaroth, leader della one man band ucraina Raventale, che a poco più di un anno e mezzo dal precedente “Mortal Aspirations”, torna col suo black doom atmosferico. Se tanto avevo apprezzato la precedente release, con “After” mi sembra che il talentuoso polistrumentista abbia fatto un leggero passo indietro, proponendo sonorità molto più derivative che in passato. L’album si apre con “Gone”, dieci minuti di un doom soffocante, cadenzato e desolante, in cui la voce del nostro eroe si conferma sofferente e disperata, senza tuttavia mai travalicare in uno screaming blackish. Il sound continua ad avere come punti di riferimento i grandi maestri del genere (quelli degli esordi però), Anathema e My Dying Bride, mostrando ritmiche permeate di un pathos e di una drammaticità, oramai vero marchio di fabbrica per l’artista di Kiev. Passaggi ambient si accavallano a frangenti acustici, in cui le sole emozioni ad emergere non possono che essere quelle di un’autunnale malinconia. Finalmente, il cd inizia a prender quota e posso riconoscere le qualità dei Raventale, che nella breve (per i loro consueti standard) title track torna a mostrare anche quella cattiveria palesata nei precedenti lavori, pur mantenendo comunque quell’alone mistico di sempre. Passano i minuti ed è il turno della strumentale “Youth”, altri 5 minuti di gelidi paesaggi tipici della steppa, in cui ancora una volta, si incuneano ritmiche che richiamano alla memoria gli Anathema di “The Silent Enigma”. Ben venga quindi in questo caso l’essere derivativi, anche se gli originali rimangono irraggiungibili, anche perché il limite del buon Astaroth, è quello di essere talvolta un po’ troppo ripetitivo nei suoi giri di chitarra. Siamo quasi alla conclusione del cd ed è il turno di “Flames”, song più orientata verso il black nordico piuttosto che capace di continuare a percorrere la strada del funeral doom ascoltato fino ad ora: un po’ Immortal (quelli più epici), un po’ Burzum (quello più melodico) e un po’ Dimmu Borgir (quelli meno sperimentali), i Raventale spingono il loro sound verso la Norvegia. C’è da dire però che questa traccia non è altro che una ri-registrazione di “Shredding the Skies by Fire”, brano presente nel debutto “Means on a Crystal Field”. Quando pensavo che ormai il cd si fosse concluso dopo la quarta traccia, fa capolino una bonus track di 7 minuti, che alla fine risulterà anche essere la mia traccia preferita del disco, sicuramente la più varia, anche se i fantasmi di Burzum e Satyricon emergono ancora una volta, in una song che fa del minimalismo il suo credo. D’altro canto lo dicevo in apertura di recensione, questo “After” è decisamente l’album più derivativo del nostro amico Astaroth, tuttavia potrei continuare con un bel “chi se ne frega”, se dopo tutto la musica che salta fuori dalle tracce di questo cd, si lascia ascoltare piacevolmente continuando a trasmetterci oscure gelide emozioni; vorrà dire che passeremo sopra anche questo peccato veniale… (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 75

Kraaker - Musikk Fra Vettenes Dom


Quando leggo nei flyer informativi Norvegia ed experimental black, non so perché ma un fremito mi percorre la schiena, tanta è la curiosità e il desiderio irrefrenabile di ascoltare qualcosa di davvero sorprendente in questa noiosa estate. Ahimè già dalle prime note di questa release, la mia eccitazione viene subito estinta dalla dabbenaggine della proposta musicale dei nostri. Non si può prendere per i fondelli i fans (tanto meno chi scrive le recensioni), spacciando qualcosa per ciò che realmente non è: eh si perché il nostro duo norvegese non fa altro che proporre un concentrato di black old school, con qualche piccola variazione al tema, ma alla fine gli ingredienti della scuola scandinava ci sono tutti: riffing mitragliato zanzaroso, vocals belluine, suoni glaciali e qualche rallentamento presagio della comparsa di qualcosa di realmente sperimentale che possa comparire da un momento all’altro, ma che ben presto, ho inteso, non arriverà mai. I nostri musicisti erranti, al pari di corvi oscuri (questa l’autocitazione di questi strani individui), non producono assolutamente nulla di interessante, nuovo o tanto meno sperimentale, ma solo un black thrash inconcludente che rende quest’estate tra le più noiosi di sempre… (Francesco Scarci)

(Final Earthbeat Prod)
Voto: 55

Folge Dem Wind - Inhale the Sacred Poison


Ormai bisogna ammetterlo, la Francia è diventata una fucina di talentuose band black metal; inutile negare l’evidenza, ma Deathspell Omega, Blut Aus Nord, Alcest, Pensees Nocturne, Les Discrets (e mille altre) arrivano tutte dalla nazione dei tanto odiati cugini e anche oggi mi devo arrendere davanti alla palese superiorità di questi Folge Dem Wind e andarli ad annoverare tra le più talentuose band d’oltralpe. Fatta questa larga premessa, posso anche dire che seguo il quintetto proveniente dalla sconosciuta Montgeron, fin dal loro Ep d’esordio, “Hail the Pagan Age”, e già d’allora la band mi aveva colpito per il sound oscuro e malefico, che si delineò più marcatamente nella prima ufficiale release, ma che a mio avviso, solo con questo notevole “Inhale the Sacred Poison” sfiora apici di genialità. E lo fa fin da subito con la malatissima title track che a cavallo tra sonorità black, avantgarde e suggestioni psicotiche, ci getta in un turbine di malsana follia con i suoi 7 minuti e passa. Con la successiva “…Of Blood and Ether”, la musica dei nostri, pur palesando le nerissime radici black, ci porta a spasso attraverso territori difficilmente esplorati da gruppi black. Certo non siamo di fronte alla schizoide proposta dei norvegesi Fleurety o alla dirompente classe dei già citati Deathspell Omega, ma sinceramente certe scelte armoniche, alcune dissonanze ritmiche, la costante presenza di melmose atmosfere (ascoltatevi “Behind the Grey Veil”) e la ricerca di frammenti intimistici, non fanno che confermare le enormi potenzialità dei nostri. La terza traccia l’abbiamo già menzionata ma vorrei citarvi il meraviglioso prologo che con la musica metal ha da sicuro ben poco da spartire (chi ha citato Jazz?) e proprio in questo sta il punto vincente dei Folge Dem Wind: attaccarci selvaggiamente con i loro spietatissimi riffs di chiara matrice black nordica e poi nell’incedere aggrovigliante delle song, saperci condurre in oscuri meandri della loro malatissima mente, complici anche le vocals strazianti di Kilvaras. Voglio farvi una ulteriore premessa: “Inhale the Sacred Poison” non è un lavoro di immediata assimilazione, servono decisamente diversi ascolti per poterlo assimilare e poterlo certamente apprezzare, ma quando vi sarà entrato nelle orecchie, sarà veramente difficile farne a meno, perché ha quel quid, quella caratteristica che solo le grandi band capaci di osare l’inosabile, in grado di creare qualcosa di duraturo e sono stra convinto che i nostri abbiano queste caratteristiche. Eccezionale “…Of Reptilian Fires”, song che in sé, racchiude tutta la raffinata ricercatezza di brutalità e sperimentazione, nonché della ineffabile semplicità nel gestire lunghi pezzi con estrema disinvoltura. Il disco gira che è un piacere tra stralunate linee di chitarra, urla disumane, inserti post metal, frammenti impazziti di jazz, facendo la gioia di chi come me, è alla costante e frenetica ricerca di sonorità fuori dal comune e quelle proposte dai Folge Dem Wind, di sicuro racchiudono qualcosa di magico, esoterico, onirico e profondamente malvagio. Seducenti! (Francesco Scarci)

(Code 666)
Voto: 75

lunedì 14 marzo 2011

Hierophant - Hierophant


Periodo florido questo per la scena italiana: dopo il post hardcore degli Amia Venera Landscape, il post metal dei A Cold Dead Body, il cyber metal degli Aneurysm o il death grooveggiante dei Mothercore, ecco approdare sulla scena un'altra interessante realtà, quella dei temibili Hierophant. L'album omonimo della band di Ravenna è un concentrato corrosivo di musica brutale che cammina su binari paralleli, (e che sia ben chiaro, mai si incontreranno), di black metal e hardcore, quest'ultimo tra l'altro, di quello più intransigente e selvaggio. Le nove feroci saette qui contenute, creano una miscela sonora corrosiva, soffocante e insalubre, che difficilmente potrà dare ossigeno ai vostri polmoni: 35 minuti al termine dei quali vi sembrerà di impazzire, schiacciati dall'insanità di cui è pregno questo cd. Già partendo dalla prima traccia, è possibile scorgere che nel DNA dei nostri è racchiuso qualcosa di malato, angosciante e psicotico, che ben presto prenderà il sopravvento. È lento ma assai minaccioso il suo incedere, pronto per esplodere nella seconda "I Am I, You, Nobody", tre minuti di musica lacerante e opprimente che propone malefici suoni black sorretti da strazianti urla, tipiche del movimento hardcore old school in pieno stile Integrity. E proprio il vocalist Dwid Van Hellion della band di Cleveland, compare in veste di ospite nella terza rasoiata, "As Kalki", che inizia all'arma bianca, all'insegna di un crust punk oltranzista per poi virare verso sonorità più ragionate. Lo stesso dicasi per la successiva "Mother Tiamat", song dall'aura decisamente sinistra che, senza mai pestare particolarmente sull'acceleratore, ha il pregio di captare la nostra attenzione su suoni che potremo immaginare come un inconcepibile mix tra Isis ed Enslaved. Non so, forse sto scrivendo cazzate, ma vi garantisco che non è affatto semplice caratterizzare il sound degli Hierophant, per quanto potrebbe essere facile e diretto fin dal primo ascolto. Ma è questo in realtà quello che mi frega e disorienta, perché ad un ascolto molto superficiale, l'idea che potremo farci di questo sorprendente ensemble, sarebbe totalmente sbagliata e finirei per etichettarlo come un classico hardcore, ma sta qui l’errore e la necessità di approfondire meglio l’ascolto di questa release e scavare a fondo nella psiche di questi ragazzi, sicuramente innamorati delle sonorità ancestrali punk/hardcore, ma di sicuro anche fortemente influenzati dalle devastanti e violente sonorità black metal di Darkthrone, Mayhem di primi anni ’90, in un inedito viaggio all’interno del diabolico mondo della musica estrema. Plauso per la finale “Hermetic Sermon Pt.3”, song che mostra l’amore viscerale dei nostri per Neurosis e compagnia. Vetriolo allo stato puro, ferali! (Francesco Scarci)

(Demons Runamok Entertainment)
Voto: 75

domenica 13 marzo 2011

Sonic Reign - Raw Dark Pure


Vengono dalla Germania, sono un duo e suonano un black metal dalle fosche tinte raw-depressive. I Sonic Reign esordiscono sulla lunga distanza, con un lavoro di difficile impatto, poiché il sound proposto dai nostri, richiama quel suono “moderno” degli ultimi Satyricon, miscelato alla ruvidezza dei Darkthrone di “The Cult is Alive”. Chitarre graffianti, ritmiche sincopate e vocalizzi malefici non possono che rievocare anche “Volcano” di Satyr e compagni. Rari fraseggi melodici, caliginose atmosfere autunnali, parti acustiche e schegge black old school, rendono “Raw Dark Pure” un prodotto caldamente consigliato a chi ama questo genere di sonorità, così glaciali e avulse ad ogni tipo d’influenza avanguardistica, in stile Arcturus. Il debut della band teutonica però non fa certo gridare al miracolo, perchè dischi del genere ne sono ormai usciti a tonnellate negli ultimi anni. Tuttavia, la band cerca di ritagliarsi un proprio definito sound, grazie ad un doppio uso delle vocals, screaming ed effettate, ma anche grazie a qualche soluzione assai rara nel black, gli assoli. La cosa che più mi stupisce è poi la scelta della casa discografica, la Metal Blade, che negli ultimi tempi aveva esclusivamente puntato, su band metalcore. Gelida la cover del cd in pieno Darkthrone style; con un po’ di lavoro in più, i Sonic Reign potrebbero essere la sorpresa del futuro... (Francesco Scarci)

(Metal Blade)
Voto: 65

Nine - It’s Your Funeral


Anche la Spinefarm ci si mette col produrre band di questo tipo? Avevo apprezzato l’etichetta finlandese per la sua coerenza di fondo nel produrre essenzialmente band provenienti dalla Finlandia e che suonassero black, death o power. Ora, con gli svedesi Nine, si passa addirittura ad una band che suona hardcore dalle influenze punk. Se dovessi citare di primo acchito una band di riferimento, penserei agli Entombed di “Uprising”, ma poi il lavoro evolve in modo strano: il cd comunque parte forte, aggressivo, con le ruvide vocals di Johan Lindqvist a dominare la scena. La terza traccia è già più tranquilla, con una piacevole melodia di chitarra, che ricama in sottofondo, inusuali giri per tale genere. Un peccato che la produzione penalizzi il suono dei vari strumenti, per porre in evidenza, a me pare, la sola voce di Johan. Le successive songs perdono un po’ della cattiveria iniziale e il cd si avvia stancamente verso una conclusione, forse troppo affrettata, in cui la band di Linkoping, sembra suonare in pieno stile Foo Fighters, ma con vocals al vetriolo. Decisione opinabile la loro, che tuttavia rende difficile anche per il sottoscritto, riuscire a dare una valutazione del tutto chiara, del disco. Mi verrebbe da definire il sound dei nostri come “post grungecore”, voi dategli un ascolto, magari potrà anche piacervi... (Francesco Scarci)

(Spinefarm)
Voto: 55

Vomitory - Terrorize Brutalize Sodomize


Ahia, quando ho letto sul pacchetto Vomitory, ho temuto il peggio per le mie orecchie già malandate di questo periodo. Torna la storica band svedese (in giro ormai dal 1989) con il sesto album, un attacco al fulmicotone costituito dal classico violento sound death a metà strada tra il brutal americano e il feroce death scandinavo. Dieci songs belle compatte, veloci e indiavolate, che costruiscono tonnellate di riffs, lanciate a mille contro l’ascoltatore. Gli ingredienti utilizzati dai Vomitory poi, sono sempre gli stessi: ritmiche efferate, growling catacombali, sfuriate al limite del grind, ma anche rallentamenti sconfinanti nel thrash. Rispetto al precedente “Primal Massacre”, le differenze sono assai poco rilevanti: forse in questo terrificante “Terrorize...”, i pezzi sono più brutali e diretti, contraddistinti comunque, sempre da un’eccellente produzione, pulita e potente, avvenuta presso i Leon Music Studios. Difficile identificare un brano piuttosto che un altro, perchè tutte le dieci tracks sono delle saette in grado di trafiggere il nostro costato. Le influenze dei vari Dismember e dei primi Entombed, nonché delle extreme gore bands americane, sono sempre ben identificabili nel background musicale dei nostri. 17 anni sono passati dal loro esordio, ma nulla è cambiato, il sangue continua a sgorgare a fiotti... Solo per amanti di sonorità estreme! (Francesco Scarci)

(Metal Blade)
Voto: 65

Ver Sacrum - Tyrrenika


In tutta sincerità mi aspettavo qualcosa di meglio da questa release, da più parti osannata per la scelta del combo toscano di celebrare le gesta di un popolo leggendario quanto mai sfortunato, gli Etruschi. E cosa c’è di meglio del black più feroce e tirato per compiere questa commemorazione? Mah in effetti la scelta dei nostri mi sembra quanto mai discutibile e scontata, ma si sa che quando si parla di orgoglio patriottico, non c’è miglior genere che quello oltranzista del black metal. C’è da dire però che il sound estremo proposto in questo lavoro non si limita ai suoni puramente graffianti del genere suddetto, ma convergono anche sonorità più tipicamente classicheggianti come quelle taglienti del death scandinavo o quelle corpose del thrash mittleuropeo. “Tyrrenika” rappresenta il debut album per questo quintetto senese e un po’ di ingenuità è ancora palese nei 40 minuti scarsi di questo platter. 40 minuti di ritmiche tiratissime sostenute da una batteria che più che uno strumento musicale sembra la contraerea delle notti senza stelle di Baghdad, per la sua spaventosa velocità. Le vocals gracchianti di Filippo "Veltha" Piermattei (evocative e suggestive, nei momenti in cui canta in latino) declamano, nel loro straziante incedere, la storia e le difficoltà incontrate dal popolo etrusco nella loro breve vita. In definitiva, nulla di nuovo all’orizzonte, anche se l’auspicio è che questo concept cd, sia un punto di partenza per i nostri e un punto di svolta per il black pagano italico, fiero dei suoi illustri antenati e della sua memorabile storia. Monolitici! (Francesco Scarci)

(Rock Over Records)
Voto: 65

sabato 12 marzo 2011

Grenouer - Lifelong Days


Ottima prova dei Grenouer, quartetto russo di Perm che con questo “Lifelong Days”, reissue di un album precedente uscito solo in Russia col titolo “Presence With War”, entra nel mercato europeo grazie alla Locomotive Records. Si tratta di un disco che abbraccia l’ascoltatore con un’atmosfera industrial per tutta la sua durata e che saprà soddisfare le esigenze di molti di quei metallari “duri ma non troppo”. Si inizia con la roboante “Indecent Loyalty” che introduce il disco senza troppi convenevoli per preparare lo spazio ai suoni incisivi e sincopati di “Addicted to You”: un piacevole e “diverso” momento, atto a drogare la mente di chi sa ascoltare. Stupenda “With no Concern” dove brevi e ben congegnate iterazioni, invitano la testa del metallaro al più sfrenato headbanging. La successiva “Away From Now” è solo preparatoria alla più congeniata e cattiva “Finding the One” dove la voce, a tratti growl, la distorsione delle chitarre, unitamente ad una buona prova del batterista, invitano al pogo più violento, trascinandoci in un’estasi mistica in cui tutto è concesso. La cattiveria si affievolisce solo debolmente in “Off the Back of Others” per poi essere ancora una volta riabbracciata in “The Unexpected”: una sapiente amalgama di chitarre, batteria e pause ben cadenzate tecnicizza “quanto basta” il pezzo senza scadere in eccessi. Con “Employed Beggar”, invece, il programma cambia: le chitarre diventano dissonanti, abbandonando il sound precedente. Ottima “Re-Active” di cui l’album offre anche il videoclip. A chiudere il disco la lenta, tranquilla e dalla voce questa volta pulita, “Patience” che ci riporta, purtroppo, alla cruda realtà, dalla quale le suadenti melodie di “Lifelong Days” hanno saputo solo momentaneamente strapparci. Coinvolgenti! (Rudi Remelli)

(Locomotive Records)
Voto: 80