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giovedì 27 gennaio 2011

Devar - Alternate Endings


Chi sono i Devar? Sono una band di Bergen, a sud-ovest della Norvegia, formatisi recentemente con un sound “originale e non tradizionale” (come descritto nel loro sito ufficiale), composta da Devar (voce), Ottoegil (basso), Obdsaija (batteria), Aadland (chitarra) e Odland (chitarra), e giunti nel 2009 al loro debutto discografico per la nostrana Code 666. L'album si apre con la (quasi) strumentale “The Siren”, song che si caratterizza per il canto suadente di una sirena tentatrice. L'inizio potente e la voce roca contraddistinguono “H.M.N.”, che ricorda molto il black metal di primi anni '90 per quel suo uso di blast beats: i ritmi si alternano, passando dal più veloce al più lento, con inaspettate influenze rock. Le cose cambiano in “Cold Slither”: qui il ritmo si fa veloce e serrato, a tratti folle, con la voce, nelle parti più rallentate, talmente strascicata che può ricordare vagamente Kurt Cobain nei suoi deliri. Lo stesso ritmo verrà poi ripreso in “...Of My Dead Skull”, invitando la testa a muoversi avanti e indietro, in un headbanging sfrenato. In “Shadow Feline” si può sentire un gioco di chitarre come nella tradizione rock "settantiana", con la litanica voce di Devar che ricorda quella di Marilyn Manson (non me ne vogliano i fan), le atmosfere si fanno più cupe, i ritornelli sono da cantare a squarciagola, i ritmi rallentati, insomma il tutto a rendere questo uno dei brani più adatti per i live. “Scourger” si presenta invece con un inizio di chitarra acustica e un sound che si avvicina più al progressive rock sempre degli anni '70 rispetto al dark metal. Dalla metà in poi dell'album, i suoni si fanno più gravi e la situazione si capovolge, con un inasprimento della ritmica, anche se non può mancare una nota orchestrale, che si può trovare in “Black 6”: solenne, colpisce nel profondo (è la mia song preferita), dal ritmo pacato e con semplici accordi, ma di grande impatto sul pubblico e di grande energia. Non poteva certo mancare anche una certa vena più sperimentale, cosa che caratterizza “The Dirge”: la voce si alterna tra campionamenti vari e urla strazianti, mentre tutto il brano si basa largamente su un tappeto di tastiere che contribuiscono a rendere più oscure le atmosfere, e con qualche sprazzo di batteria e chitarra portate ai massimi livelli. Ricordate il brano “Scourgerer”? Bene, “Watch Them Fly” ne riprende appieno il ritmo e il sound, ma con con un'enfasi maggiore, tanto da sentire il fiatone del cantante alla fine del brano. Senza neppure accorgermene, sono arrivata alla fine dell'album con “In Sanity”, song ideale per un sottofondo in un film thriller, cattiva e dura al tempo stesso. Le chitarre sono lasciate libere di fluttuare e dipingere astratti panorami psichedelici che, con l’apporto appena percettibile delle tastiere, chiudono al meglio questo primo album dell’act scandinavo. Band giovane, ma che promette grandi cose per il futuro: se mai verranno in Italia in concerto sarà sicuramente un'esperienza indimenticabile. Promosso a pieni voti e stra-consigliato! (Samantha Pigozzo)

(Code 666)
Voto: 85

Ancient Dome - Perception of this World


Se mi chiedessero “qual è la percezione di questo mondo che hanno gli Ancient Dome?”, risponderei con un “beh proprio ottimistica non direi”. Non crediate, però, che i nostri abbiano fatto un prodotto triste. Rabbia, energia, forza: queste le mie sensazioni dopo aver ascoltato le tracce del disco. Scopro qui per la prima volta questa band italiana, corro ai ripari e mi ascolto anche il loro, unico, precedente lavoro: “Human Key”. Un bel miglioramento, su tutto il fronte. Questo cd mi piace; mi piace per la carica, l’anima e la grinta che ci infondono. Sono curioso di vedere un loro performance dal vivo. Abbiamo 11 canzoni strutturate partendo dal thrash metal, con qua e là qualche lieve accenno ad altri generi più melodici e techno. Le tracce sono quasi tutte dirette. Batteria martellante, accelerazioni, cambi di ritmo, stacchi seguiti da ripartenze immediate: queste le cose che più balzano al mio orecchio. Niente male le chitarre: i riffoni, le scale e gli assoli sono ben fatti e non buttati lì a caso, solo per far sentire che la band ci sa fare con i propri strumenti. Ho però il dubbio che le chitarre non si sentano come dovrebbero, gli assoli in particolare. Apprezzabile anche il singer, abbastanza personale nel suo operato vocale. A proposito delle parti vocali, ascoltatevi con calma la power ballad “Dream Again”. Sì, va bene, è un lentone, non è il massimo dell’allegria, anzi ha al suo interno una decadenza strisciante che stride molto col resto del disco, ma detto tra noi, a me quelle sezioni vocali piacciono. Testimoniano, inoltre, la volontà del gruppo di uscire dal solito schema compositivo e ciò è decisamente un bene. Trovo nella title track un vero compendio dell’idee dell’album mescolate tra loro in maniera funzionale. La considero come la traccia più riuscita dell’ellepì. Più tirate invece "Predominance” e “Liar”. Le altre song sfoderano un po' meno personalità, cosi come pure le due solo strumentali che rimangono in secondo piano seppur ben eseguite. Ah, una nota divertente la potete trovare nel fumetto, che ha come protagonista la band, all’interno del booklet, ma non ve la svelo, andate a dare un'occhiata voi stessi. Alla fine del platter una certa stanchezza affiora, non per carenza tecnica o compositiva, ma per l'ipertrofia delle canzoni stesse. Qualche asciugatura non avrebbe tolto una virgola alla loro fatica e avrebbe reso il tutto più fluido. Da mantenere totalmente la loro attitudine ed energia. (Alberto Merlotti)

(Punishment 18 records)
Voto: 70

mercoledì 26 gennaio 2011

Beansidhe - De Mortis Eloquentia


Un fuoco ardente apre il cd dei ticinesi Beansidhe, band che è in giro da più di un decennio, ma che solo ora arriva al secondo tanto sudato EP, autoprodotto. Dopo l'intro scoppiettante di "Meditatio Mortis", ecco esplodere in tutta la sua furia il sound dei nostri, un black death, che nelle linee di chitarra più taglienti ha qualche richiamo allo swedish black dei mitici Dissection, ma che poi nell'incedere ritmico predilige un sound massiccio più tipicamente thrash death americano. Sei tracce che ben poco hanno da aggiungere alle produzioni attuali, per una certa carenza di fondo di idee in primis, ma anche per una certa difficoltà a produrre qualcosa di realmente interessante in un genere, che ormai ha già detto tutto. Anche se le qualità tecniche ci sono tutte per poter far meglio in futuro, qualche discreta idea, capace di donare un tocco di epicità all'intero lavoro (ascoltare "On Bloodsoaked Grounds Grenades They Ate" o "Shifting Samts" tanto per capire) compare qua e là, risulta ancora troppo poco per ritenere "De Mortis Eloquentia" degno di nota, perché sinceramente è ancora tutto in fase embrionale, cosicché non mi sento di andare oltre ad una striminzita sufficienza. Sicuramente le ritmiche assassine o le rasoiate delle chitarre sapranno catturare l'attenzione di qualche sprovveduto metallers, ma non la mia, che dopo quasi 25 anni di militanza, ne ha sentite davvero tante. Forza ragazzi, iniziamo a metterci più cuore in quello che suonate, per tirare fuori dalla melma un genere che presto rischierà di morire. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 60

Souldeceiver - Mankind's Mistakes


Premesso di non aver mai visto una copertina cosi brutta negli ultimi anni, ma soprattutto non riesco proprio a capire cosa sia preso alle nostre band nell'ultimo periodo, tutte alla ricerca di ricalcare sonorità ormai ultra datate nel tempo. Questo, non per dire che i toscani Souldeceiver siano dei brocchi musicalmente, ma per ribadire il concetto che la nostra musica, il metal, per sopravvivere abbia un forte bisogno di rinnovarsi. Il quintetto italico ci prova in ogni modo, già dall’iniziale “Memories of Centuries”, il cui risultato non sarebbe neppure neanche malvagio, ma quante volte abbiamo già sentito simili sonorità? Migliaia. Si prosegue con “Cold Eternity”, song spigolosa che mette in luce un buon riffing di matrice svedese e degli assoli veramente degni di nota, vero punto di forza di questo “Mankind’s Mistakes”, mentre le vocals di Francesco Meo, non brillano certo per energia o personalità nella progressione di questa release. “The Other Side” parte lenta con l’eccellente lavoro alle chitarre del duo Alessio Rossano e Luca Mosti, poi ancora una volta la song entra in un vortice di anonimato da cui sarà ben difficile uscirvi fino alla coinvolgente parte conclusiva, dove le 6 corde dei due axemen salvano la baracca con le loro sciabordate, ma quanto forte è l’eco di Chuck Schuldiner e soci in questa song, cosi articolata ma non del tutto riuscita. Anche “Automa X” e le successive songs cercano di ricalcare le gesta dei nostri paladini Death, ma mai nessuno (anche se confido fortemente nei Decrepit Birth) hanno mai colto nel segno. Voglio spezzare però una lancia a favore di questi Souldeceiver che tanto hanno studiato la lezioni dei maestri statunitensi, ma che ancora faticano a metterla in pratica: cercate di dare alla vostra musica una maggiore semplicità, non è di sicuro infarcendo i brani di giri arzigogolati di chitarra o l'essere ultra tecnici alla morte che si va a toccare il cuore dei fan, ma cercando di essere se stessi e lasciar parlare la vostra anima attraverso i vostri strumenti… però per favore cambiate le corde vocali del vocalist vero e proprio punto debole della band. La strumentale “Alchemical” (da panico la parte centrale e l’assolo conclusivo degno dei migliori Death di “Human”) ci fa prendere fiato prima dell’assalto conclusivo di “Terror of Knowledge”, la traccia dove i nostri sembrano osare maggiormente, alla ricerca di un proprio cammino, che sembra destinare i nostri sul percorso giusto. Un voto il mio, carico di fiducia per la difficoltà della strada intrapresa e consapevole che la band farà di tutto per concedersi maggiore libertà compositiva cercando di liberarsi dalle catene che li tengono legati ai canoni di un genere che invece dovrebbe essere rappresentato da pura libertà di espressione, cosi come il buon vecchio Chuck avrebbe desiderato… (Francesco Scarci)

(SG Records)
voto: 65

lunedì 24 gennaio 2011

The Archetype - The Fallen Grace


C’è personalità da vendere in questa nuova band proveniente dal suolo italico, ma forse in questo caso sono i mezzi a mancare ai nostri per azzeccare il colpo dell’estate. I The Archetype sono un quintetto proveniente da Firenze che ha tutte le carte in regola per fare bene: si parte con l’intelligente “The Fall”, song breve, diretta, melodica che stampa immediatamente il suo chorus nelle nostre menti, anche se le clean vocals non sono del tutto convincenti. Si prosegue con “Parasites” in cui il growling di Gianluca è molto più piacevole del suo stucchevole cantato pulito, mentre le chitarre disegnano ambientazioni oscure, ipnotiche, figlie di suoni progressive anni ’70 come nell’assolo conclusivo. C’è “Ghost”, ma l’approccio dei nostri non cambia, sempre a cavallo tra un death mai troppo esasperato, suoni decadenti in cui sono sempre le voci pulite a stonare in questo contesto, arrivando alla fine proprio a detestarle e con una batteria non propriamente all’altezza. Arriviamo a metà disco e finalmente le cose sembrano riprendersi con il duo “Ethereal” dal malinconico arpeggio iniziale e dall’andamento tranquillo,quasi da ballad, controbilanciata dalla ferocia di “Blinded by Sand”, la song più tirata dei nostri, probabile retaggio delle origini black/death dei toscani eppure interessante nel suo incedere, commistione di brutalità, melodia ed epicità. L’arpeggio che apre “Twisted Visions” ci lascia trasparire in un qualche modo l’amore che i nostri hanno per gli svedesi Opeth, ma la musica dei gods scandinavi ha tutt’altro spessore e presa: tuttavia l’alternarsi tra momenti intimistici e rabbia elettrica, lascia presagire che questa è la strada migliore che i nostri dovranno percorrere, con un piccolo suggerimento però: modificate il cantato pulito perché è a dir poco molesto per le mie povere orecchie. Chiude “Memoria”, song cantata in italiano che in un lavoro come questo non c’entra assolutamente nulla e denota ancora una volta una certa immaturità stilistica del combo italico. Se seguiti da vicino da qualche etichetta, le potenzialità per far bene in futuro ci sono indubbiamente, per il momento “The Fallen Grace” suona come un prodotto ancora acerbo che ha come grande pregio il concept sulla storia della follia omicida di un uomo e dei suoi controversi pensieri. Non sarebbe dunque il caso di dare un sound più adeguato a delle storie cosi orrorifiche? Attendo fiducioso la maturità di questo promettente combo italiano. Una promessa! (Francesco Scarci)

(Lost Sound Records)
Voto: 65

Cyber Cross - Mega Trip


Secondo lavoro per i patavini Cyber Cross, dopo l’interessante debutto di un paio d’anni fa, intitolato “Ira”. Ebbene, continuando sulla stessa scia del precedente platter, la band di Padova continua a sciorinare suoni che traendo spunto un po’ dall’industrial, fuso con il cyber death, riescono a catalizzare l’attenzione degli ascoltatori, anche se ho la vaga impressione (perché questo è l’effetto che “Mega Trip” ha avuto su di me), che la sua longevità non sia delle più lunghe e che si esaurisca molto in fretta la voglia di mettere il cd nel proprio lettore stereo. Comunque sia, partendo dalla title track, il cd si lascia piacevolmente ascoltare, con un sound mai troppo devastante, pregno di groove e con delle vocals che forse rappresentano il vero punto debole dell’act veneto. Interessanti già da subito le atmosfere da incubo che i nostri sanno creare, peccato per quella voce sguaiata che secondo me non rende giustizia ad un lavoro che forse meriterebbe maggiore attenzione. Si passa ad “Aggressive Side” e l’alone di oscurità che pervade l’intera release si conferma quanto mai solido e macabro, facendomi addirittura arrivare a scomodare un paragone con le sonorità degli svizzeri Sadness. Nella terza “Black Dynamite” mi sovviene un non so che dei Ramstein, anche se la classe dei tedeschi è mille volte superiore ai nostri che di strada ne dovranno fare parecchia per ottenere un po' d’attenzione da parte dei media. “Mega Trip” non è un lavoro malvagio, ma neppure tutto questo concentrato di idee meravigliose che possano indurci a considerare questo lavoro indispensabile per la nostra collezione di cd. Diciamo che il punto di forza di questo nuovo lavoro è senza dubbio la facilità d’ascolto ossia quanto velocemente le songs riescano ad isipregnare nei nostri circuiti neuronali, facendoci sobbalzare dalla sedia in headbangers sfrenati, ma altrettanto veloce sarà la capacità di dimenticare un lavoro che se non per qualche raro spunto di vivacità, dettata dall’adozione di qualche inusuale trovata, non finisce altro che peccare di scarsa personalità. Senza alcun dubbio preparati tecnicamente e coadiuvati brillantemente da un’ottima produzione che ne esalta la potenza dei suoni, i Cyber Cross devono ancora trovare una loro ben precisa identità, tanto è vero che il mio pezzo preferito risulta essere “Noir”, una song che mi sarei aspettato di trovare più su un disco dei Love/Hate piuttosto che su un cd di musica un po' più estrema. Comunque sia, i nostri raggiungono abbondantemente la sufficienza, complice la loro ecletticità di fondo nel proporre la loro musica, capace di passare da sonorità hard rock anni ’80 a pezzi di cibernetica memoria (The Kovenant docet) o altri in cui è più una componente prettamente swedish death metal a farla da padrone (stupefacente il riffing di “Regression”). Suggerimento: chiarirsi un attimo le idee giusto per capire da che parte stare e a chi poter offrire un lavoro come questo, che di sicuro si rivelerà di difficile appeal per gli amanti dell’extreme music e altrettanto complicato da ascoltare per gli amanti di sonorità più classic metal. Complimenti comunque per aver osato, forse troppo! (Francesco Scarci)

(Crash & Burn Records) 
voto: 70

Apeiron - Among the Lost


Avevo già avuto modo di notare le qualità dei nostri con il precedente EP, "The Cruel Crime" e finalmente mi ritrovo tra le mani il loro full lenght d'esordio che mi catapulta nel contorto mondo degli Apeiron. A parte l'inutile intro, si inizia subito alla grande con "Voids of Breath" che mette in luce le qualità tecniche del poliedrico quartetto lombardo e le novità che questa nuova fatica ha da offrire ai suoi fan, che cerca da subito di prendere un po' le distanze dallo swedish death del precedente lavoro (ma la strada per la totale indipendenza rimane ancora lunga). La musica del combo di Vigevano non è proprio cosi facilmente inquadrabile in un genere ben preciso, in quanto nel sound dei nostri convergono un bel po' di contaminazioni dai più disparati ambiti musicali (in "Hendra" ad esempio fa la sua comparsa una chitarra spagnoleggiante inserita in un contesto death). Diciamo anche che "Among the Lost" non è proprio quello che si dice un album di facile assimilazione, data la complessità delle sue trame chitarristiche, della durezza che pervade comunque l'intero lavoro e delle soluzioni abbastanza particolari che si vanno a susseguire nell'intera evoluzione del cd: richiami a la Dark Tranquillity riecheggiano in "Clutches of Despair" (dove compare come guest star Gianluca Melino degli Alligator) e "Scavenging Thoughts". Un indemoniato basso super slappato, degno di una song funky, fa la sua comparsa in "The Last Page"; ma nel disco c'è addirittura lo spazio anche per una ballad, "Through Me You Enter", per melliflui intermezzi acustici o per divagazioni prettamente progressive, dove solo la voce ruvida di Alessio Massara ci tiene ancorati in territori death metal. L'unica difficoltà come già detto, ma forse alla lunga sarà il pregio di questa articolatissima release, è la difficoltà di far propri con una certa immediatezza questi pezzi, ma la cosa permetterà una più ampia longevità nell'ascolto di questa release e nel suo pieno godimento. Bravi e preparati tecnicamente, le vocals si rifanno parecchio a quelle di Mikael Stanne di "The Gallery". In definitiva, sono ben lieto di aver avuto modo di ascoltare l'intricatissimo debutto degli Apeiron, cosi straripanti nelle loro composizioni da stordire le mie frequenze cerebrali e spedirmi direttamente al manicomio. Imprevedibili! (Francesco Scarci)

(Last Scream Records)
Voto: 75

mercoledì 19 gennaio 2011

Benighted in Sodom - Hybrid Parasite Evangelistica


Oggi siamo qui a parlare di un gruppo di ragazzi americani che vengono da Fort Lauderdale (Florida, USA) e si chiamano Benighted in Sodom. Quello che presentiamo è “Hybrid Parasite Evangelistica” full lenght del 2010, che contiene 6 tracce, registrato per la sempre attenta Solitude Productions. Dobbiamo dire che il combo statunitense è parecchio attivo nella fase produttiva, infatti ha sfornato solo nel 2010 ben 6 cd oltre a 5 Ep!!! L’act a stelle e strisce non lo conoscevo per niente, e quando li ho ascoltati sono rimasto inizialmente un po’ interdetto: di certo si può dire che fanno un genere strano, quasi portatore di follia. Il cd al suo primo ascolto suona parecchio lugubre, lento, senza i ritmi sincopati ai quali ci siamo abituati nell’ultimo periodo. In tutto il lavoro possiamo ascoltare un incedere molto lento, quasi ipnotico, con i riff di chitarra mai troppo esasperati, e decisamente scevri da ritmi indiavolati. La voce che ci accompagna (ahimè tra le note stonate del cd) è maligna, malata, arrabbiata, anche se in certi casi penso che non ci stia molto l‘urlato, ma “de gustibus non disputandum est”. L’album si apre con “An Angels Circles the Drain”, che dura la bellezza di 10.53 estenuanti minuti. In questa song ci si imbatte immediatamente nell’aria sulfurea che caratterizza l’intero lavoro che satura fin dalle battute iniziali il nostro respiro. La song suona molto cattiva, senza mai eccedere però in una brutalità fine a se stessa, grazie anche a degli intermezzi acustici assai tranquilli che fanno si che il depressive black del duo americano, si mischi ad un ambient minimalista. I riffs quindi non si rivelano mai troppo violenti, anzi suonano molto puliti e con poche distorsioni ed effetti. “Liquid Flowing From a Slashed” conferma quanto appena detto, grazie ad un inizio con un linee di chitarra molto orecchiabili e ben ritmate, che poi esplodono con il loro incedere cupo e forsennato. Quello che differenzia i Benighted in Sodom da altri gruppi è l’uso di linee armoniche, molto semplici, angoscianti e malinconiche, ma anche decisamente scontate: talvolta si ha quasi la sensazione dell’essere braccati dalla ritmica a tratti psichedelica riscontrabile nel sound dei nostri. “Nightshade & Arsenic” mi ha sorpreso parecchio perché affida il suo incipit ad un assolo di chitarra classica, molto rilassante e orecchiabile; e la chitarra classica continua, tessendo arpeggi non cosi elaborati, ma suggestivi, rendendola l’unica protagonista del tessuto sonoro. Il pezzo suona dolce, lento, sembra quasi che ci culli e rimbocchi le coperte prima di assopirci: molto bello e strano, soprattutto inatteso. Alla fine dell’ascolto del cd tuttavia rimango un po’ con l’amaro in bocca: la band sarà anche produttiva, ma penso sia meglio privilegiare la qualità alla quantità anche perché nulla di nuovo è emerso dalle note di questo poco più che sufficiente lavoro. Il cd a molti alla fine potrebbe infatti risultare noioso o stancante. Rispetto il lavoro della band Floridiana, ma purtroppo non mi ha conquistato, e il lavoro è il classico disco che dopo il primo ascolto non può che finire nel dimenticatoio. Mi spiace ragazzi ma mi attendo molto di più dalle prossime uscite. Per ora una risicata sufficienza può bastare. (PanDaemonAeon)

(Solitude Productions)
Voto: 60

lunedì 17 gennaio 2011

Starlight Extinction - Twilight of Darkness


Ascolto questo “crepuscolo delle tenebre” e mi vien subito da dire che il titolo è una buona anteprima del piatto. Iniziamo con le presentazioni: gli “Starlight Extinction” sono un quintetto trevigiano formatosi nel 2004. Tra il 2007 e il 2008 hanno registrato e quindi dato alle stampe (nel 2009) il qui presente “ Twilight of Darkness”. Si tratta di un album che farei ricadere nella categoria del melodic death metal, quello di provenienza svedese per intenderci. Se pensate che questo tipo di musica non abbia molto più da dire, se credete che sia ad un punto morto, in cui si auto-celebra per mantenersi sempre uguale, forse non avete torto. Ecco però che questo quintetto di bravi musicisti introduce qualche cambiamento, qualche influenza heavy e di altri generi che potrebbero farvi ricredere. Sia chiaro, lo stile è quello convenzionale: ritmiche tirate, voce straziante, mancanza di speranza, atmosfere opalescenti, cupe, appena addolcite da alcuni brevi momenti più melodici. Una bella ventata di sensazioni maligne, inquietanti e disperate, portata da una musica rabbiosa e asfissiante. Quindi: cosa trovare di diverso in questo lavoro rispetto agli altri? Direi una certa eleganza. Oltre alla rabbia, all’aggressività, al pugno in faccia, i nostri si adoperano anche per un’anima di ricerca e raffinatezza, che non si può fare a meno di notare. In questo senso mi han molto colpito le chitarre, in particolare gli assoli, che richiamano molto all’heavy classico e, devo essere sincero, difficilmente rimango insensibile a queste cose. I riffs introducono quegli attimi più luminosi nel complesso oscuro del platter. Bisogna dare atto alla bravura di questi ragazzi, mi pare che tutto sia suonato bene. Come non indicare il lavoro del batterista: ascoltatene il martellamento quasi incessante, specialmente nei passaggi veloci di “High Voltage”. In secondo piano i giri di basso, travolti dal resto. Un appunto sul bravo singer, forse troppo continuo nel modo di cantare. In alcune tracce, ad esempio “Back Off” o “Rejoining”, spazia con altri toni, dimostrando di poter fare qualcosa di più. Nell’insieme, il cd si lascia ascoltare fino in fondo, le songs si alternano abbastanza bene (anche se l’unica che si stacca un po’ dalle altre per carattere è la già citata “Back Off”) e non soffrono di pesanti ipertrofie. Nulla da dire a livello di produzione: si sente come si dovrebbero sentire questo genere di lavori. Un parola sull’artwork, all’inizio mi ha lasciato freddino, ma poi mi ha riconquistato. Qualcuno potrebbe dire che qua e là manca un po’ di spinta e di energia, forse avrebbe ragione ma vabbé, per questa volta li perdono... gli “Starlight Extinction” conoscono i propri mezzi, ci sanno fare e se lo meritano. (Alberto Merlotti)

(Bunker Production)
Voto: 70