Chi sono i Devar? Sono una band di Bergen, a sud-ovest della Norvegia, formatisi recentemente con un sound “originale e non tradizionale” (come descritto nel loro sito ufficiale), composta da Devar (voce), Ottoegil (basso), Obdsaija (batteria), Aadland (chitarra) e Odland (chitarra), e giunti nel 2009 al loro debutto discografico per la nostrana Code 666. L'album si apre con la (quasi) strumentale “The Siren”, song che si caratterizza per il canto suadente di una sirena tentatrice. L'inizio potente e la voce roca contraddistinguono “H.M.N.”, che ricorda molto il black metal di primi anni '90 per quel suo uso di blast beats: i ritmi si alternano, passando dal più veloce al più lento, con inaspettate influenze rock. Le cose cambiano in “Cold Slither”: qui il ritmo si fa veloce e serrato, a tratti folle, con la voce, nelle parti più rallentate, talmente strascicata che può ricordare vagamente Kurt Cobain nei suoi deliri. Lo stesso ritmo verrà poi ripreso in “...Of My Dead Skull”, invitando la testa a muoversi avanti e indietro, in un headbanging sfrenato. In “Shadow Feline” si può sentire un gioco di chitarre come nella tradizione rock "settantiana", con la litanica voce di Devar che ricorda quella di Marilyn Manson (non me ne vogliano i fan), le atmosfere si fanno più cupe, i ritornelli sono da cantare a squarciagola, i ritmi rallentati, insomma il tutto a rendere questo uno dei brani più adatti per i live. “Scourger” si presenta invece con un inizio di chitarra acustica e un sound che si avvicina più al progressive rock sempre degli anni '70 rispetto al dark metal. Dalla metà in poi dell'album, i suoni si fanno più gravi e la situazione si capovolge, con un inasprimento della ritmica, anche se non può mancare una nota orchestrale, che si può trovare in “Black 6”: solenne, colpisce nel profondo (è la mia song preferita), dal ritmo pacato e con semplici accordi, ma di grande impatto sul pubblico e di grande energia. Non poteva certo mancare anche una certa vena più sperimentale, cosa che caratterizza “The Dirge”: la voce si alterna tra campionamenti vari e urla strazianti, mentre tutto il brano si basa largamente su un tappeto di tastiere che contribuiscono a rendere più oscure le atmosfere, e con qualche sprazzo di batteria e chitarra portate ai massimi livelli. Ricordate il brano “Scourgerer”? Bene, “Watch Them Fly” ne riprende appieno il ritmo e il sound, ma con con un'enfasi maggiore, tanto da sentire il fiatone del cantante alla fine del brano. Senza neppure accorgermene, sono arrivata alla fine dell'album con “In Sanity”, song ideale per un sottofondo in un film thriller, cattiva e dura al tempo stesso. Le chitarre sono lasciate libere di fluttuare e dipingere astratti panorami psichedelici che, con l’apporto appena percettibile delle tastiere, chiudono al meglio questo primo album dell’act scandinavo. Band giovane, ma che promette grandi cose per il futuro: se mai verranno in Italia in concerto sarà sicuramente un'esperienza indimenticabile. Promosso a pieni voti e stra-consigliato! (Samantha Pigozzo)
(Code 666)
Voto: 85
Voto: 85