#PER CHI AMA: Swedish Death, Soilwork |
Questa volta ho voluto provare ad ascoltare il cd senza nemmeno leggere la biografia della band, affidandomi esclusivamente al mio istinto: a giudicare dal ritmo serrato e dalla voce furiosa, sembrerebbe stessi ascoltando un lavoro di una band scandinava (vedi Illdisposed o Meshuggah). Invece si tratta di un ensemble totalmente nostrano, forte, permettetemi il termine, cazzuto; inserire il cd nel lettore il lunedì mattina ti carica completamente (e spero vivamente mi porti a terminare la settimana in fretta e in forze). Parlando brevemente della band, si può dire che questo sia il loro secondo lavoro (senza contare il demo di 5 canzoni nel 2007, anno della loro fondazione) e il primo introducendo l’uso della chitarra a 7 corde, caratterizzato da parti di death metal e altre di thrash. “Hundred 25”, come detto precedentemente, ha un ritmo incalzante che non lascia un secondo di respiro: doppia grancassa martellante, voce growl, chitarre che sembrano lame di un frullatore. “My Closet Embrace”, invece, si distingue dalla precedente per le chitarre che presentano un alone di melodia, con un assolo nella prima parte del brano: per il resto è aggressiva e cattiva quanto basta. In “Suiciding” le chitarre cambiano registro e diventano malinconiche, accompagnando in modo eccelso il growl (ma come fa a tenere lo stesso tono per tutte queste tracce? Sarei sinceramente curiosa di sentire la sua vera voce): vuoi per rilevare il tema centrale, vuoi anche per cambiare in modo da non scadere nella noia, ma l’assolo in sottofondo è veramente notevole. “Mary Ann” inizia con dei suoni distorti presi da una televisione (ricorda tanto le scene degli horror di serie B, dove la tv è sintonizzata su un programma assurdo quanto inquietante, magari in bianco e nero): man mano che prosegue, il growl di Francesco Meo tende addirittura a spostarsi sul melodico (e qui mi vengono in mente i primi Korn, se non per la grancassa come schiacciasassi), con un altro assolo di Alessio Rossano davvero in forma smagliante. In “The Pressing” fanno capolino le tastiere: non hanno un grande spazio, ma creano un’atmosfera sospesa tra l’incubo e realtà (è dall’inizio del lavoro che mi sto immaginando un film horror/splatter che possa accompagnare quest’album): altro assolo del chitarrista Alessio Rossano, prima di una rullata di Alessio Spallarossa (che soprannominerei anche “spacca braccia”, da tanta furia palesata). “Phase C” è solo strumentale (e ci credo, anche il cantante dovrà riprendere un attimo fiato e voce), ma rimanendo sempre con un ritmo veloce e potente. “Icon of Your God” e “Relapse” tendono ad essere meno ansiose, ma più profonda: sebbene il ritmo rallenti, ciò non cambia l’autorevolezza e la cattiveria del combo. Con “Bone Sacrifice” le cose prendono una piega più liberatoria: la batteria è portata all’estremo, mentre la chitarra di Luca Mosti gioca sapientemente con la sette corde, a volte pizzicando e altre volte suonando a fondo. Il tutto mentre Francesco Meo dà fondo alle sue profonde capacità canore. L’album non poteva terminare senza un’altra instrumental track: qui il pianoforte si rende protagonista, ricreando l’atmosfera cupa e inquietante già sentita nel sesto brano (e cercando di placare gli animi tempestosi che hanno caratterizzato l’intero lavoro). L’unica pecca è la lunghezza di “Eternally”: 2.03 minuti di nulla, come se avessero voluto aggiungere qualcosa all’ultimo secondo, ma con un risultato inconcludente. Non sarà però questo a cambiare la mia votazione, comunque positiva, anzi, ci sono alte probabilità che il prossimo lavoro sia addirittura migliore e un maturo. (Samantha Pigozzo)
(Nadir Music)
Voto: 70
Voto: 70