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lunedì 11 gennaio 2021

Quantum Panik - Human Bridge

#PER CHI AMA: Nu Metal, Slipknot
Di nu metal purtroppo non se ne sente più parlare, ma per fortuna c’è ancora qualcuno che, nonostante il genere sia ormai passato di moda, si cimenta ancora a sperimentarlo sfidando le mode del momento. È il caso dei toscani Quantum Panik che con l’EP 'Human Bridge', uscito lo scorso anno, dimostrano di essere devoti alla causa e di amare follemente suddetto genere. Un EP breve quanto intenso, tre tracce per una durata totale di 11 minuti in cui ci viene mostrato un sound che dimostra palesemente di essere influenzato dagli Slipknot old school, con un pizzico di personalità che s'incastona bene nel tutto. Gli elementi chiave del gruppo sono sicuramente il vocalist Tommaso Pescaglini, che con la sua ugola rimanda subito al Corey Taylor dell'Iowa al quale aggiunge anche qualche sfumatura death metal e il batterista Luca Iacopetti e i suo quattro arti che fanno sembrare la sezione di batteria al limite di una drum machine. Anche Yuri Fabbri sembra mettersi in gioco, mostrando un basso bello possente e dal suono metallico che si amalgama bene con il resto del sound. Ma parliamo dell’EP. Si parte con la titletrack, la traccia più strutturata del disco, la quale dopo un intro di chitarra abbastanza misterioso, parte con un riff trattenuto che ci introduce ad una voce apparentemente tranquilla, ma che durante i ritornelli si scatena totalmente. Altro momento da menzionare è il breve bridge composto da un basso bello pomposo che sa mettersi in luce al punto giusto e ci accompagna ad un assolo di chitarra che, seppur breve, funziona alla grande. Si passa poi alla mia traccia preferita ovvero “Stomp” che ha tutta l’intenzione di farci pogare come se non ci fosse un domani. Con questo pezzo il gruppo si meriterebbe l’appellativo di “Slipknot italiani”. Mentre la si ascolta viene quasi in automatico ripensare, attraverso vari flashback, a quel capolavoro di 'Iowa'; tutto il brano infatti viaggia su quella scia, dal potente intro ai versi accattivanti, in particolare il secondo, nonchè i ritornelli possenti ed impazziti. Dopo un bridge incalzante all’ennesima potenza, i nostri si scatenano nella seconda parte con i pedali del batterista pestati al massimo. E poi una parte finale entusiasmante, introdotta dall'urlo indemoniato del vocalist che si farà sentire da qui all’eternità. L’ultima taccia, “Medicina Amara”, è la canzone più rappata del disco cantata peraltro in italiano, lingua abbastanza sottovalutata nel rap metal, il che le dà quel tocco in più che rende speciale anche quest’ultimo pezzo. Qui possiamo sentire Yuri che, oltre a suonare il basso, nel ritornello si cimenta anche nel ruolo di seconda voce insieme al cantante. Un EP notevole per quello che vuole dimostrare e che può davvero gettare le basi per una nuova ondata nu metal in salsa italica, comunque punto di partenza per un album di debutto. Volevo chiudere dicendo che un elemento cardine che distingue l’artista che suona per soldi da quello che lo fa per passione è il fatto che se vuoi suonare un genere che ti piace, lo fai indipendentemente dal fatto che sia di moda o meno o che tu riesca o no a diventare milionario. Ecco, ascoltando 'Human Bridge' direi che i Quantum Panik lo facciano sicuramente per passione. Ne consiglio pertanto l’ascolto, e perchè no l’acquisto, a tutti gli amanti del nu metal. (MetalJ)

sabato 9 gennaio 2021

Ambassador - Care Vale

#PER CHI AMA: Alternative/Post-Grunge/Dark
Ecco una band che sul finire del 2020 ha conquistato un posto nella mia personale classifica dell'anno passato. Sto parlando degli Ambassador, compagine proveniente dalla Lousiana, che ha rilasciato sul finire dell'estate scorsa questo EP di sei pezzi intitolato 'Care Vale'. Che dire, il platter è fresco quanto mai tenebroso. Il tutto è certificato dall'opening track, "Colonial", un brano guidato da uno spettrale giro di chitarra e dalla voce di Gabe Vicknair, uno che deve essere cresciuto a pane e Fields of the Nephilim, visto che il mood oscuro degli inglesi lo riversa all'interno di un sound oltremodo delicato che tocca qua e là alternative rock, post-punk o dark metal. Il sound dei nostri tuttavia non si limita certo a questa o quell'etichetta, ma volge il proprio sguardo verso sentieri differenti, spaziando anche all'interno di post-metal, sludge, shoegaze e altre sonorità che potrebbero scomodare facili paragoni con gli ultimi Katatonia. Notevoli, è stato il mio primo pensiero. E malinconici quando la seconda "Voyager" ha cominciato a fluire nel mio stereo con i suoi raffinati orpelli chitarristici, come un soffio leggero che sposta impercettivamente i capelli davanti agli occhi. La voce di Gabe rimane il punto di forza dell'ensemble, ma anche la musicalità cristallina messa in piedi dalla band di Baton Rouge si rivela davvero formidabile con ariose aperture che potrebbero evocare un che dei Russian Circle. All'inizio menzionavo le divagazioni sludge, eccomi accontentato in "Subterfuge", con quel suo pesante riffing melmoso allegerito soltanto dal raddoppiare della seconda chitarra che, oltre a conferire un tocco di malinconia ad un brano per larghi tratti strumentale, ne stempera anche l'irruenza. Ma con l'ingresso della voce e della tribalità di un drumming che chiama in causa ancora i Katatonia, ecco che il gioiellino è servito, con quelle sue chitarre riverberate di chiara matrice post-rock. Ve lo dicevo che dentro a 'Care Vale' c'era di tutto e per tutti i gusti, quindi non esitate avanzando nell'ascolto. Verrete sorpresi dal temperamento nostalgico della title track, cosi emotivamente inquieta e cosi forte nello sconquassarci l'anima con il suo incedere delicatamente dilaniante. Con "Severant", quelle nubi che si stavano addensando nell'aria poc'anzi trovano modo di scaricare la propria rabbia attraverso un riffing dapprima pesante ma che in pochi secondi perde vivacità acquisendo un tono ancora malinconico. Ma i quattro americani sono abili nell'alternare luci e ombre, cosi come eterei passaggi acustici a fragorose scariche elettriche, ammiccando qui anche ai Deftones. La chiusura è affidata alle note di "Spasma", dove emergono infine accenni post-grunge che si vanno a sommare a una ricerca spasmodica del suono emozionale, maledetto e dannato, malinconico e irrequieto, che fanno di questo 'Care Vale' un lavoro intenso e da gustare tutto d'un fiato. (Francesco Scarci)

Hatecrime - Music About Death

#PER CHI AMA: Black/Death
Uscito nel 2019, 'Music About Death' rappresenta il secondo album per il quartetto russo degli Hatecrime. La proposta del combo originario di San Pietroburgo, definito 'misanthropic death metal', è in realtà un rozzo e furioso black death con qualche accenno grooveggiante. Lo dimostrano i 133 secondi di "Dead Raven", che su una ritmica thrash metal, s'infervorano poi con accelerazioni death e screaming black. Fortunatamente, in questo marasma sonoro, i nostri ci buttano dentro qualche accenno melodico altrimenti credo l'ascolto di questo brano non sarebbe stato certo dei più facili. E infatti è assai più complicata la successiva "We Are Not Who We Are", in primis per una durata più sostanziosa rispetto a "Dead Raven" e poi per una proposta musicale controversa e dissonante, anche se i continui cambi di tempo e una tecnica più che discreta, ne fanno galleggiare le sorti oltre la sufficienza. Un'apertura acustica apre "Against", il pezzo più lungo del lotto (circa 6 min e 20) che ci consegna un rifferama più compassato, certo non proprio memorabile, ma perlomeno si lascia ascoltare. "You Hating" ha il riffing portante davvero potente, ancora meglio l'apporto vocale che si muove tra un semi-pulito, growl e scream, per quello che è il miglior pezzo del disco, soprattutto a livello melodico con un bell'assolo conclusivo che si accompagna ad una feroce galoppata black. Ecco, qui ci siamo, ma che fatica. Con la seguente "1984" si torna a ritmiche più misurate, alternate alle classiche sfuriate, ma il risultato non mi convince più di tanto, più che altro perchè si perde nell'anonimato generale. E anche l'episodio conclusivo del disco, "The Purge", non aggiunge granchè all'album, sebbene possa certamente affermare che gli Hatecrime riescono a dare il meglio di se stessi sui pezzi più tirati piuttosto che in quelli più ragionati e qui i nostri sono abili nell'aggredirci con un rifferama tagliente e selvaggio. Insomma 'Music About Death' è un lavoro che denota ancora diverse deficienze per approdare ad un pubblico più vasto, il consiglio è come sempre una maggior ricerca di originalità per scrollarsi di dosso quell'abito che indossano ormai milioni di band impantanate nell'anonimato totale. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction/Grotesque Sounds Productions - 2019)
Voto: 62

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/music-about-death

venerdì 8 gennaio 2021

Hulder - Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry

#FOR FANS OF: Raw Atmospheric Black
Hulder is a solo-project founded only two years ago by the Belgian musician Marz Riesterer who is currently located in Oregon, USA. From its inception the project showed some potential, combining raw black metal with some medieval influences, not only conceptually but also with some small musicial touches. Anyway, Hulder couldn't be defined as a pure medieval black metal project, at least in its first stage. In these two years, the project has been quite active releasing several demos, singles and a EP, always with a very raw production and a potential yet to be fully delivered.

Twenty-twenty has been a remarkable year for Hulder that finally released the debut album entitled 'Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry' with the respected underground label Iron Bonehead Productions. This debut opus marks a great step forward in terms of composition and production and it is exactly what I was expecting from this project as a logical and needed musical evolution. 'Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry' doesn't differ so much from the previous works but it is undoubtedly a more mature work. First of all, the production has still its rawness, but it is clearly cleaner and more powerful. All the instruments are much more audible and the sound is perfectly balanced. The compositions have an appropriate equilibrium between clearness and agression. Musically speaking, the songs are clearly rooted in the black metal genre, both instrumentally and vocally. Marz’s shrieks sound pretty rasped and powerful and they fit the music perfectly well. Pace-wise, the songs are generally fast though they have a good dose of tempo-changes with a quite well composed guitar lines, which sound archetypal but never boring or dull. The album opener "Upon Frigid Winds" is a nice example of well-composed riffs and a relentless pace, although thankfully the rhythm varies enough to prevent the song to become boring. Moreover, it has a nice and short atmospheric interlude in the middle of the song which gives a nice medieval touch to the track. The aforementioned medieval vibe is here clearly stronger if we compare it with previous releases. This feeling is achieved thank to different arrangements, like some keyboard sections in several songs, for example, the already mentioned album oponer, or traks like "Lowland Famine", among others. Other arrangements come in the form of acoustic guitars, like in the more calmed track "De Dilje", which serves as a peaceful moment in the middle of a sonic storm. These arrangements enrich the album making it has a credible medieval vibe, but they never overshadow the absolutely loyal black metal sound. The achieved balance is excellent and the expected aggressivity is well accompanied by these atmospheric touches, which improve the final result. Another nice example is the excellent track "A Forlorn Peasant’s Hymn", with a surprising calm and beautiful first half, where Marz also shows us her heavenly voice. This ethereal start is suddenly broken by a furious change, giving wat to a second full black metal part, where she shows its strenght, it is indeed a well-done great contrast.

'Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry' is undoubtedly a excellent step forward in Hulder’s career. It stays loyal to its core sound as it shows a necessary improvement in terms of production, compositions and a stronger medieval atmosphere. Absolutely recommendable for fans of the black metal genre. (Alain González Artola)


(Iron Bonehead Productions - 2020)
Score: 82

https://www.facebook.com/HulderUS/

Silent Eyes - S/t

#PER CHI AMA: Acoustic Prog Rock, Riverside
I Silent Eyes (monicker che ricorda il titolo di un brano di Paul Simon) sono una one-man-band dalle sfumature eccentriche e nostalgiche, un porto sicuro per un ascolto di un rock acustico mosso che incontra pace e generi variegati. La prima traccia di questo album omonimo, “Homeward Bound” ci porta letteralmente a casa. La voce del mastermind Keelan Butterick spezza il silenzio di un locale vuoto in cui si muovono chitarra ed ugola, un tutt’uno che accarezza un sound melancolico. Suoni dalle reminescenze prog (penso a Riverside o Porcupine Tree) si addolciscono in un pop rivisitato. Sonorità trasversali a vari generi sfumano nel racconto del cantare non del cantante. Il pezzo si chiude con virtuosismi chitarristici che non vogliono lasciare la scena, quasi ad esserne dipendenti. Epilogo lento e mellifluo. Veniamo a “The City”. Dondolo lentamente sul mio centro. Altrettanto lentamente provo ad entrare nelle pieghe di questa canzone. D’improvviso, un sorriso sghembo ed una ferita si aprono. Si. Perchè “The City” non lascia spazio alla mente, ma sussurra al cuore. E se ascoltando una canzone la commozione ci mastica l’anima, allora dobbiamo dare spazio alle fauci per riprenderci il cuore. Mi ridesto dal viaggio delle prime tracce quando parte “These Days”. Si librano sfere di luce nel buio della notte. Salvami. Perdonami. Conducimi. Ed il viaggio si ferma. Strappa il respiro. Poi ci rianima. Un prendere ed un dare. Un sussulto ed un sospiro. Una terra bruciata ed un fiore. Qui l’atmosfera si confonde in parole e musica. Ciclico. La terra trema leggera sotto “Ocean Blues”. La voce è avvolgente in una tensione superficiale che terrà sempre gli atomi in intorni coesi. Gli occhi si chiudono, il corpo no. Un messaggio da farsi passare attraverso. Un vivere di sensazioni, emozioni e musica. L’album del factotum australiano (qui aiutato da una serie di amici tra cui il Bloodwood String Quartet con tanto di viola, violino e violoncello) si chiude con “For You”. E siamo su una spiaggia dimenticata dal tempo e dallo spazio. Il fuoco è acceso. La fiamma imperante. Il silenzio tra i crepitii alimenta la voce di fondo che fa gongolare l’anima. Spengo la luce. Alzo il volume. Così dovete ascoltare questo'album. Un lavoro di classic rock acustico, dai tratti folk, fuori dagli schemi. Quest'album vi lascia lo spazio che si prende. (Silvia Comencini)

martedì 5 gennaio 2021

Mazikeen - The Solace Of Death

#PER CHI AMA: Black, Emperor
Il nome Mazikeen ho imparato a conoscerlo dalla visione della serie TV 'Lucifer', dove impersonava uno dei demoni a servizio di Lucifero, sebbene l'origine del suo nome sia da ritrovarsi nella DC Comics che la incornicia come una delle figlie di Lilith, la presunta prima donna di Adamo. A parte queste premesse, i Mazikeen sono anche la band di oggi, un quintetto originario di Melbourne che lo scorso anno, ha rilasciato il qui presente debut, intitolato 'The Solace of Death'. L'album include otto tracce di black/death più la bellezza di quattro cover. Ma andiamo con ordine raccontandovi un po' di che pasta sono fatti i nostri, che partono discretamente bene con la title track e una tempesta di sette minuti di black dalle tinte sinfoniche. Nulla di originale sia ben chiaro, però i musicisti sembrano preparati, le melodie piacevoli, anche un pochino ruffiane ma va bene, con tutti gli elementi del classico black anni '90 a disposizione dei nostri. Un tuffo nel passato quindi, sottolineato anche dalla successiva "Apostate" che con i suoi 10 minuti, e insieme agli altri 10 di "Vexation Through the Golden Sun", rappresentano i due brani più lunghi del disco (in un lavoro che comunque sfiora gli 80 minuti!). Anche in queste circostanze, la band si presenta con parti death atmosferiche che si alternano a sfuriate di scuola norvegese (Emperor/Carpathian Forest), con uno strano utilizzo delle vocals (tra screaming e qualcosa di corale). Certo gli originali sono tutt'altra cosa, però i nostri si difendono in un qualche modo, anche se avrei evitato di proporre quasi 21 minuti di musica in soli due pezzi, il rischio di incappare in una certa ridondanza si fa infatti più elevato. Ma i Mazikeen si mettono in gioco, rischiano e non ne escono nemmeno con le ossa rotte sebbene dopo un po' il desiderio di skippare lo avverta anche. I nostri musicisti australiani macinano riff a profusione con velocità sostenute, sempre contraddistinte però da una buona dose di melodia e addirittura da qualche assolo di scuola heavy classica (mi vengono in mente gli Iron Maiden nella seconda song) o addirittura da qualche break acustico che conferma le discrete qualità dei nostri. Per me il disco si poteva fermare alla soglia del quarto brano visto che qualche dolore in più inizia a palesarsi. Inutile infatti la tempesta sonora di "Fractricide" cosi come la più compassata, almeno all'inizio, "Psychotic Reign", un pezzo che francamente alla fine non è nè carne nè pesce, visto l'enorme baccano profuso fino a quando un ottimo assolo dilaga nel caos creato dai nostri; peraltro queste due tracce vedono il guest alla voce di Josh Young degli Astral Winter. Toni spettrali con l'interlocutoria "Harrowing Cessation" e ancora tocchi di piano con "Mors Vincit Omnia", per due brani la cui collocazione è quanto meno discutibile. "Cerulean Last Night" (qui il guest è del vocalist dei The Maledict) chiude il lotto di pezzi dei Mazikeen in modo a dir poco selvaggio. È il turno delle cover: si parte con "Freezing Moon" dei Mahyem e "Night's Blood" dei Dissection. Qui alla voce Nathan Collins dei Somnium Nox che presta i propri latrati a due grandi pezzi del passato, riletti quasi praticamente in un ugual modo rispetto agli originali dai Mazikeen. Poi uno dei miei brani preferiti di sempre, "The Mourning Palace" dei Dimmu Borgir, riproposti qui con una stravagante linea di tastiere che mi lascia un attimo perplesso. A chiudere quest'estenuante disco 'Transilvanian Hunger" dei Darkthrone, riproposta peraltro con la stessa pessima produzione dell'originale per mantenere intatto quel mood primigenio della band di Fenriz e Nocturno Culto. 'The Solace Of Death' è alla fine un disco che non fa dell'originalità il proprio credo, evidenzia ombre e luci (pochine a dire il vero) dei Mazikeen che per fare il salto di qualità, dovranno necessariamente mettere più personalità nel prossimo album. Per ora siamo oltre la sufficienza ma mi aspetto molto di più in futuro. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/Iron, Blood and Death Corporation - 2020)
Voto: 65

https://satanath.bandcamp.com/album/sat282-mazikeen-the-solace-of-death-2020

domenica 3 gennaio 2021

Hourswill - Afterhours

#PER CHI AMA: Heavy/Prog, Nevermore
'Afterhours' è il nuovo EP dei portoghesi Hourswill che avevamo incontrato grossomodo un anno fa in occasione del loro terzo album 'Dawn of the Same Flesh'. Ritornano con un dischetto di sei pezzi ove accanto a vecchi brani dal vivo, estratti dal già menzionato lavoro e da 'Harm Full Embrace', il quintetto lusitano ci presenta anche un nuovo pezzo, l'opener "Inevitable Collapse II" e una rilettura di "Now That I Feel (L.S. Version)". La prima attacca con quel suo fare tra Nevermore e Anacrusis, sempre contraddistinta da una solida base ritmica e da una ricerca (non troppo efficace) di emulare a livello vocale, il compianto Warrel Dane. Poi a livello solistico-melodico conoscevamo già le potenzialità della band e non posso fare altro che confermarne le qualità. È il turno di "Now That I Feel" già contenuta in 'Dawn of the Same Flesh' e che non mi aveva certo entusiasmato lo scorso anno, torna con una versione che francamente mi spinge nuovamente a passare oltre, visto che fondamentalmente la differenza rispetto alla vecchia traccia è l'assenza di Neide Rodrigues alla voce a bilanciare quella di Leonel Silva. Non si discutono le doti tecniche dell'ensemble di Lisbona, ma si poteva fare anche a meno. Cosi come non si discutono le capacità della band dal vivo, abili a sciorinare uno dopo l'altro i quattro pezzi inclusi, a coinvolgere il pubblico con il loro heavy prog thrash, ma che a me personalmente non ha lasciato davvero nulla. Se siete fan della compagine portoghese, 'Afterhours' potrebbe, ma non è un obbligo, far parte della vostra collezione, altrimenti si può vivere tranquillamente senza. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2020)
Voto: 60

https://www.facebook.com/Hourswill

Hyrgal - Fin de Règne

#PER CHI AMA: Black, Deathspell Omega
Prosegue la massiccia campagna invernale della Les Acteurs de l'Ombre Productions, questa volta con l'uscita del secondo album dei connazionali Hyrgal, misterioso trio di Bordeaux che abbraccia tra le sue fila membri di Svart Crown, Deveikuth e Artefact. Questo secondo 'Fin de Règne' è un altro abrasivo esempio di black funambolico che sembra crescere nelle lande francesi oramai come funghi infestanti. Sette efferate tracce che seguono a distanza di tre anni quel 'Serpentine' che segnò l'esordio per i nostri. Si parte però con una proposta che è piuttosto affine a quel disco di debutto, ossia un black tiratissimo con aperture melodiche ma anche rallentamenti improvvisi. Questo quanto ci raccontano infatti le prime due song di 'Fin de Règne', "Colère Noire" e "Malthusien", che in quasi dieci minuti ci mostrano pregi e difetti del qui presente album. E i difetti sono ascrivibili ad una linea brutale forse troppo intransigente con sfuriate che non dicono nulla di cosi originale. Molto meglio i pregi, più rari però, con break atmosferici ricercati, soprattutto nella seconda delle due tracce menzionate. "Ennemi(e)s" potrebbe evocare spettri di un black svedese, complice una bieca violenza quasi fine a se stessa che non mi fa certo gridare al miracolo. Ci aspettano infatti chitarre taglienti, urla al vetriolo e poco altro fino al tanto agognato momento di ristoro, in cui nuovamente la band sembra acquisire un altr'altra postura, più raffinata ed evocativa, con linee di chitarra fortunatamente più ricercate che mantengono intato il mio focus d'attenzione, altrimenti francamente, avrei bollato questo disco come flop colossale. Siamo sulla strada giusta, tuttavia ancora lontani da altre eccellenze dell'etichetta transalpina. Con "Sépulcre" forse le cose iniziano a migliorare più vistosamente con suoni al limite del funeral, recitati puliti in francese e sonorità da fine del mondo, ma è solo un passaggio interlocutorio visto che con il riffing heavy punk dai tratti dissonanti della successiva "Glyphe de Sang", sembra si abbia a che fare con un versione black dei Ved Buense Ende, in un brano che comunque mantiene intatto l'appuntamento con il solito break ragionato che ci permette di tirare il fiato in mezzo alla bufera. Bufera, che prosegue sulle note infernali di "Héritier Mort-né" un brano che strizza l'occhiolino ai Deathspell Omega cosi come il glaciale finale affidato alla ferocia di "Triste Sire", in cui si mettono in evidenza delle soluzioni chitarristiche più alternative e per questo più apprezzabili. Quello degli Hyrgal è un lavoro discreto che sicuramente necessita di molteplici ascolti, ma che non raggiunge vette di qualità come più volte mostrato dagli amici della LADLO Prods. C'è da lavorare un altro pochino sicuramente. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 66

https://ladlo.bandcamp.com/album/fin-de-r-gne