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venerdì 1 novembre 2019

Numen - Iluntasuna Besarkatu Nuen Betiko

#PER CHI AMA: Black/Folk
Scavallati i confini nazionali, la Les Acteurs de l'Ombre Productions ha iniziato a prenderci gusto, e cosi dopo l'uscita dei cileni Decem Maleficium, ecco tornare la label transalpina con i baschi Numen. Un nome che porterà alcuni di voi a pensare ad un paio di gioiellini usciti a inizio anni 2000, e cito 'Galdutako Itxaropenaren Eresia' e 'Basoaren Semeak', i primi due positivissimi e originali lavori dell'act di Mondragón. Dopo un terzo album omonimo nel 2007, il silenzio, perdurato fino ad oggi, spezzato dall'uscita di questo 'Iluntasuna Besarkatu Nuen Betiko'. Si tratta di una forma di pagan metal dalle tinte folkloriche ma comunque assai estreme nella loro componente black, l'essenza principale del sestetto basco. E cosi appare evidente già dall'opener "Iluntasuna Soilik" e dalla successiva "Lautada Izoztuetan", come i nostri miscelino raw black con un folkish sound. La melodia comunque trasuda dalle linee di chitarra in tremolo picking di questi due pezzi e ovviamente anche dai seguenti. La voce è il classico grugnito black che si dipana tra tiratissime accelerazioni e qualche momento più rallentato, come quello che chiude la seconda traccia. Tutto apparentemente interessante, ma un po' scontato e già sentito, che in taluni momenti rimane addirittura invischiato nell'anonimato di serratissime parti (la batteria proprio l'ho mal digerita qui) che forse funzionavano negli anni '90. E cosi, se "Pairamena" sembra esordire in modo oscuro, quando la ritmica si fa più infuocata, sembra emergano i limiti dei nostri di oggi, ossia meri propositori di un suono secco e tagliente, che sembra rievocare i fantasmi passati di Mayhem o anche Dissection, ma che francamente, dopo oltre vent'anni, percepisco ormai come obsoleto. Sono forse invecchiato io che ho vissuto la nascita, maturazione e declino di un sound che oggi necessita di soluzioni innovative per poter assistere ad una nuova rinascita. Alla fine 'Iluntasuna Besarkatu Nuen Betiko' è un lavoro che si farà notare per qualche raro intermezzo acustico, forse per la particolarità di essere cantato in lingua basca ed essere ispirato dalle antiche credenze di quel popolo; è un lavoro suonato da buoni mestieranti, ma di cui riesco a trovare poco altro tra le note di questo lavoro, che nella sua crudezza e glacialità, ha fallito l'obiettivo di scaldarmi l'anima. Se posso citare una song che più ho apprezzato, direi "Nire Arnasean Biziko da Gaua", un mid-tempo decisamente più ispirato delle altre, che dovrebbe far riflettere la band per la ricerca di migliori soluzioni future. (Francesco Scarci)

martedì 29 ottobre 2019

Resuscitator - A Warrior's Death

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death, Immortal
Un periodo piuttosto oscuro il 2005 per la Displeased Records, che dopo il flop con gli Utuk Xul, ci ha riprovato con questi Resuscitator, band di “occult” black death metal. E 'A Warrior's Death' è il terzo ed ultimo lavoro per il combo proveniente dalla California (qui al canto del cigno), dopo i due album usciti nel lontano 1994 e nel 2001. Siamo di fronte ad un primitivo black thrash metal (black per le vocals, thrash per le ritmiche), che fa un uso, un po’ bizzarro della batteria, con l’intento di dare un suono quasi sperimentale, alla proposta musicale. Un plauso merita quindi il batterista, sicuramente l’elemento più interessante di questi Resuscitator, con il suo ritmo fantasioso e allo stesso tempo marziale, in grado di conferire un sound apocalittico all’intero lavoro. La proposta del trio statunitense è influenzata dagli Immortal (periodo 'Blizzard Beasts') e dagli Enthroned. La voce però, nel suo fastidioso gracchiare, ambisce a somigliare a quella di Attila Csihar, con risultati ahimé scadenti. Rispetto alle produzioni passate, le tastiere sono state messe da parte per intensificare la potenza del sound. Le chitarre ritmiche presentano il classico riff death “made in USA”, con quell’effetto “scricchiolio” quanto mai insopportabile. La struttura dei pezzi si presenta inalterata e alla fine un po’ tutti i brani tendono ad assomigliarsi: identica la sezione ritmica e piatto il lamentoso modo di cantare di Summoner cosicché il risultato finale rischia di suonare piuttosto imbarazzante. Questo lavoro targato Resuscitator, alla fine non mi convince per nulla, nonostante la produzione sia abbastanza buona e pulita: otto pezzi per un totale di 32 minuti non valgono l’acquisto dell’ennesimo cd fiasco, prodotto dalla casa olandese; un cd anonimo e noioso senza guizzi capaci di risvegliarci dal torpore residuo del caldo estivo. (Francesco Scarci)

(Displeased Records - 2005)
Voto: 50

https://myspace.com/resuscitator

Deranged - The Redlight Murder Case

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death Old School
Li avevo già recensiti in occasione di 'Obscenities in B-flat', pensate che sia cambiato qualcosa da allora? C'è poco da fare con questi svedesoni, che fanno della coerenza la loro bandiera la loro arma micidiale e così, anche con questo disco (ma sarà cosi anche con tutti i successivi), vi dico chiaramente che nulla è cambiato rispetto al passato. L'act scandinavo continua a sbatterci in faccia le proprie devastanti songs, contraddistinte dagli ingredienti di sempre: riff selvaggi sparati alla velocità della luce, drumming assassino condito da iper blast beat, vocals che emergono direttamente dalle tenebre, qualche break capace di darci respiro per una frazione di secondo e il gioco è fatto. I Deranged sono maestri nel confezionare da sempre dischi di ferale death metal old-school, che fanno la gioia dei fan più intransigenti, non la mia. (Francesco Scarci)

(Regain Records - 2008)
Voto: 60

https://www.facebook.com/derangedband

Michael Feuerstack - Natural Weather

#PER CHI AMA: Folk/Indie
Il nuovo album di Michael Feuerstack è pervaso da una quieta atmosfera, vagamente malinconica, dal tono sfuggente ed intimo. Il giovane cantautore canadese evita la tristezza profonda per regalarci sofisticati quadri di vita quotidiana, racconti pieni di riflessioni e sentimenti nascosti, piccoli rumori messi da un lato e ricomparsi da un altro angolo del brano senza far rumore, in punta di piedi. Un lavoro musicale assai certosino, una perizia meticolosa sui suoni usati, degna del miglior Nick Drake, che arricchisce le canzoni di mille sfaccettature, un po' come gli ultimi album degli Arcade Fire, dove tutto deve essere ascoltato più volte per essere realmente percepito. In comune con la famosa band canadese, il nostro cantautore ha anche una collaborazione in questo disco con Sarah Neufeld, violinista proprio del collettivo di Montrèal oltre che della Bell Orchestra. L'incedere lento e sognante diventa progressivamente una costante dell'album, i suoni di questo 'Natural Weather' fanno la differenza in questo disco e sembra che scarnificare la musica, aiuti il giovane artista ad entrare nel vero personaggio del cantastorie, solitario e fluttuante, sul filo di una leggera psichedelia evanescente. Ecco che al quinto brano ci attraversa le orecchie il sound di "Heavenly Bells", un'infinita ballata dal cuore tenero ed etereo, sospesa in aria come alcune creazioni del fuoriclasse David J ("Bauhaus", "Love and Rockets"). Il folk, l'alt country ed il pop si fondono cosi in un sofisticato tributo ai colori più variegati, dalle tonalità di grigio ad un arcobaleno appena pronunciato e la coda di "Birds of Prey" la dice lunga in merito. L'artwork di copertina è centrato, con le sue nuvole grigie e le scritte glam di un luna park surreale. "Don't Make Me Say It" richiama il menestrello Dylan e lo mette a fare i conti con i moderni suoni vintage di "Everything Now" di Win Butler & C., mentre lo slide delle chitarre della lunare "Outskirts" (il rimando al capolavoro di Neil Young, "Harvest Moon" è evidente) suona polveroso e solitario, come se a dirigerla ci fosse il miglior David Lynch. Così, alternando momenti di soffice psichedelia, rallentando il passo del paisley underground ed esaltando la composizione folk, ci si avvia verso il finale di un disco maturo e ricercato, leggermente derivativo ma dotato di buona personalità, tanto buon gusto nella produzione e nella costruzione. Un album piacevole, ben fatto e di alto profilo che porta avanti un giovane musicista con le idee già chiare sulla direzione artistica da intraprendere per le sue opere future. Un disco tutto da scoprire. (Bob Stoner)

lunedì 28 ottobre 2019

Lock The Basement - Die While You Stand In Line

#PER CHI AMA: Industrial/Elettronica, Rammstein, Nine Inch Nails
“Be safe
life has a better taste
when you don't take any risk”


C’è un libro che adoro, ma che fatico a rileggere: è 'Brave New World' di Aldous Huxley. Non racconta di creature insettiformi che sbucano dalle fottute pareti o dal petto dei malcapitati visitatori di planetoidi sconosciuti, né di devastanti cataclismi pronti a sterminare l’umanità: è la fredda rappresentazione di una società rigidamente controllata, i cui membri vengono condizionati fin dalla nascita ad accettare un posto predeterminato nella comunità e a non provare alcun desiderio di miglioramento personale o di attaccamento affettivo. Gli istinti, le passioni, i sentimenti sono stati estirpati in nome del conformismo e del quieto vivere, di conseguenza tutti conducono un’esistenza priva di rischi, ma al tempo stesso insignificante e nevrotica. Persino un maniaco del controllo refrattario ai cambiamenti come me riconosce che sarebbe l’inferno: la vita è crescita individuale, errori da commettere, cambiamenti da affrontare e perdite da superare, che ci piaccia oppure no.

'Die While You Stand In Line', terza release di Lock The Basement, progetto solista di Andrea “Boma” Boccarusso, non ci presenta fantascientifici futuri distopici, ma ci sbatte in faccia ciò che stiamo diventando nella realtà: piccoli individui chiusi a riccio nel nostro universo personale fatto di effimere certezze ed illusioni, dove ogni deviazione dal tracciato di una presunta normalità è censurabile e i rapporti umani si riducono a mere interazioni superficiali dominate dall’ipocrisia. L’isolamento e lo squallore della vita quotidiana sono il fulcro dell’album, rappresentate anche nell’artwork che vede il musicista solitario di spalle in un corridoio fiocamente illuminato.

Parliamo di un EP composto da tre tracce inedite a cavallo tra pura elettronica ed echi industrial rock alla Nine Inch Nails a cui si aggiunge una cover dei Rammstein, ma limitarsi a considerare la lunghezza dell’opera sarebbe riduttivo: questo perché per Andrea, musicista poliedrico noto per il fortunato canale Youtube, dove armato di chitarra esegue i migliori riff del metal e non solo, Lock The Basement sembra essere qualcosa di più di un semplice progetto musicale, vale a dire l’espressione di tormenti e sensazioni interiori. Non deve dunque stupire se in questo capitolo estremamente intimo, i ruggiti della chitarra metal abbiano lasciato spazio a crepuscolari composizioni elettroniche, senza per questo perdere il calore di un sound più convenzionale.

La prima traccia “Risk”, singolo da cui è stato tratto un videoclip e che si scaglia senza mezzi termini contro il perseguimento del benessere materiale a scapito della serenità interiore, si sviluppa su un ossessivo giro di synth accompagnato esclusivamente dalla marziale drum machine e dal cantato pulito di Boma, per poi crescere di dinamica ed esplodere in un caleidoscopio rumoristico che sembra simboleggiare l’insostenibilità degli stili di vita odierni. Segue “Slaves”, dove maestosi tappeti di tastiera si levano come un’alba che illumini le nostre tristi esistenze prigioniere di paure nascoste, un brano profondo in cui la voce calda del musicista biasima coloro che per orgoglio rifiutano di aprirsi e lasciarsi aiutare. “That Little Piece of Space” è caratterizzata da atmosfere inizialmente fredde e notturne, per poi accendersi all’aumentare di intensità del malinconico cantato: è un pezzo diverso dai precedenti, in quanto la critica pungente lascia spazio ad una sorta di amara melodia funebre per tutti coloro che scelgono di morire stando in fila, ossiadi piegarsi completamente ad un’esistenza grigia e priva di stimoli. Chiude la cover di "Sonne", parzialmente rielaborata per dare maggior peso agli strumenti elettronici e dove a sorpresa, ritroviamo un turbinoso assolo di chitarra.

Se stilisticamente l’influenza del guru Trent Reznor e le sue creature è evidente, 'Die While You Stand In Line' si contraddistingue per la resa in musica di concetti estremamente personali e la forza delle immagini che riesce a trasmettere andando a toccare chirurgicamente alcuni nervi scoperti comuni a tutti noi. E così, come Bruce Wayne indossa il costume per poter compiere ciò che sente essere il suo dovere, Boma assume i panni di Lock The Basement per metterci in guardia dai pericoli di una vita schiava delle nevrosi, del materialismo e dell’incomunicabilità. (Shadowsofthesun)

“The abyss doesn't give a fuck if you can eat on your toilet seat.” 

(Self - 2019)
Voto: 78

Made Of Hate - Bullet In Your Head

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Death, Children of Bodom, Kalmah
Anche la Polonia ha la sua band che fa il verso ai Children of Bodom, una moda che impazzava parecchio a metà anni 2000. Diamo un ascolto quindi a questo 'Bullet in Your Head', album di death melodico che mostra una band ancora un po' acerba, ma con tutte le carte in regola per fare bene e guadagnarsi un piccolo spazio nell'underground metallico. Il riferimento ai “Figli di Bodom” è già palese nella traccia d'apertura, la title track, con i classici giri di chitarra dei finlandesi, le tipiche ariose tastiere, le cavalcate heavy metal, gli (ottimi) assoli del duo composto da Michal/Radek e le vocals che fortunatamente si mantengono distanti da quelle del buon vecchio Alexi Lahio. Non c'è che dire, il disco si lascia ascoltare tranquillamente, magari potete ingannare le attese dei comeback discografici degli originali, dando un ascolto a questi Made of Hate (che brutto nome però). La tecnica c'è, qualche buona idea, leggermente dotata di personalità pure, il gusto per la melodia non manca, quindi perchè non dare un'opportunità a questa sensation polacca? (Francesco Scarci)

(AFM Records - 2008)
Voto: 66

https://www.facebook.com/MadeOfHate/

The Pit Tips

Francesco Scarci

Vukari - Aevum
Borknagar - True North
Sur Austru - Meteahna Timpurilor


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Shadowsofthesun

Sunnata - Outlands
Manes - How The World Came To An End
Oneohtrix Point Never - Replica

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Alain González Artola

Belenos - Argoat
Wyrd - Hex
Blut Aus Nord - Hallucinogen

Ophiolatry - Transmutation

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Cannibal Corpse
Con tutte le band valide che ci sono in giro, proprio in Brasile, la Regain Records, doveva andare a pescare questo terzetto? Non che abbia qualcosa contro i sud americani, ma ritengo che in giro per l'Europa ci siano cosi tante band con qualcosa di interessante da dire e, ahimé a spasso senza contratto, che mi sembra una bestemmia aver messo nel proprio rooster questo trio carioca a dir poco noioso (e ormai già sciolto dopo il rilascio di questo obbrobrio). Se poi vi vengo a dire che qui c'è ben poco da salvare, capirete bene la mia amarezza. Il sound proposto dalgli Ophiolatry prende evidentemente spunto dal brutal death di scuola americana: 16 brevissime tracce (con una media di 2 minuti l'una) di death satanico, fatto di riffoni violenti, scariche elettriche improvvise (gli assoli di Fabio) e growling vocals da panico (ad opera di Antonio). L'unica cosa interessante da sottolineare sono certe rare oscure atmosfere che i nostri riescono a ricreare, ma niente di trascendentale da poter salvare un disco che da dire, ha ben poco. (Francesco Scarci)

(Regain Records - 2008)
Voto: 45

https://en.wikipedia.org/wiki/Ophiolatry_(band)