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martedì 5 aprile 2011

Eptagon - Discrimen


Una strana intro apre il cd degli italiani Eptagon, un lavoro di 5 pezzi più intro e outro, dedito ad un certo occult black metal che mi ha ricordato da vicino gli esordi degli Handful of Hate e dei mitici Necromass. Chitarre zanzarose, in pieno stile nordico, costruiscono le ritmiche furiose del sound dei nostri, con una batteria impazzita che ne appesantisce l’incedere e delle vocals demoniache a completare il quadro di questo discreto “Discrimen”, release che nulla ha da chiedere e ben poco ha da dire, in quanto ancora forma embrionale di una band che potrebbe esplodere in un futuro o sparire completamente nell’anonimato. L’act piemontese non si limita certo a ripetere pedissequamente la lezione dei grandi maestri del nord Europa, ma prova ad includere delle variazioni al tema, come qualche mid-tempo o oscuri angoli di terrore come l’arpeggio inserito nella parte centrale di “Ares Ares”, che smorza per qualche secondo gli attimi concitati del disco. Diciamo che il lavoro è ancora abbastanza grezzo, complice anche una registrazione alquanto amatoriale, comunque di spunti interessanti per il futuro se ne intravedono. Lasciamoli lavorare e maturare e poi vediamo che cosa salterà fuori… (Francesco Scarci)

(Evil Cemetary Records)
Voto: 60

Hypnosis - The Synthetic Light of Hope


Anche se per i più gli Hypnosis sono una band totalmente sconosciuta, io li seguo invece fin dal loro debutto e devo dire di averli visti crescere stilisticamente e passare dalle sonorità death degli esordi al death gothic del loro periodo centrale, fino a giungere a quest’ultimo album, dopo aver attraversato una fase pesantemente influenzata dai Fear Factory, la cui ascendenza cibernetica si fa comunque sentire anche in questa nuova release. "The Synthetic Light of Hope", quinto lavoro per l’act transalpino, conferma già quanto di buono la band stava facendo negli ultimi tempi, e lo fa percorrendo comunque una strada non cosi facile da percorrere. Mantenendo come base il death degli esordi, il terzetto d’oltralpe costruisce il proprio sound su riff brutali, arricchendo poi il tutto con elementi cyber-industriali, arzigogolate trame chitarristiche, eteree vocals femminili ad opera di Sin_d (alias Cindy). Il risultato finale mi ha ricordato da vicino la musica imprevedibile degli svedesi The Project Hate, anche se qui magari il suono è un po’ più classicamente death metal rispetto ai colleghi scandinavi. Di carne al fuoco c’è n’è davvero tanta nelle 9 tracce ivi contenute, e ad un primo ascolto molto probabilmente, l’album potrà risultarvi assai ostico da digerire. Vi garantisco tuttavia, che dopo molteplici passaggi nel vostro stereo, inizierete ad apprezzare le graffianti ritmiche del trio francese, affrescate dall’oscurità e dalla vena malinconica di alcuni passaggi, e con l’influenza pesante di alcuni generi estranei al metal, in taluni frangenti, ad arricchire il tutto (elettronica e musica etnica). Tecnicamente, la band non ha nulla da invidiare a nessuno, anche se il suono è forse un po’ penalizzato dalla artificiosità della drum machine, ma a quanto pare un nuovo devastante batterista si è inserito finalmente nel gruppo. Se avete pazienza di ascoltare con perizia e attenzione questo lavoro potrete scoprire le interessanti sfumature che il death ha ancora da offrire. Se siete alla ricerca invece di suoni orecchiabili, qui ne troverete ben pochi. Brutali, ipnotici e psicotici, fate spazio agli Hypnosis!! (Francesco Scarci)

(Dark Balance)
Voto: 75

lunedì 4 aprile 2011

Chronic Hate - Chronic Hate


Quasi se ne sentisse la mancanza, ecco l’ennesima band di brutal death che nulla ha da aggiungere a questo mercato sempre più saturo. I Chronic Hate vengono da Bibione e con questo mcd autoprodotto, ci propongono 5 pezzi di banalissimo e monocorde brutal death di scuola americana, decisamente mal suonato e privo di qualsiasi spunto rilevante. Nonostante le radici del combo friulano fossero piantate nel black stile Cradle of Filth e Darkthrone, la band ha deciso di virare il proprio sound verso i lidi death di primi anni ’90, che hanno fatto la fortuna di band blasonate come Cannibal Corpse, Malevolent Creation, Deicide e Morbid Angel, bands underground che popolavano la scena più “florida” del mondo. Oggi, risentire quei suoni, mi fa un certo effetto perché ormai puzzano di vecchio e stantio. Cosi quando le mie orecchie si lasciano maciullare dai riff ultraveloci e taglienti dei Chronic Hate, dall’abuso dei blast beat e dalle vocals cavernose, anche se i nostri possono palesare tutta la tecnica di questo mondo (bravo Marco Calligher dietro le pelli), preferisco ascoltare i capolavori classici che hanno fatto la storia del brutal. Un unico plauso va a “Systematic Punishment”, l’unica traccia che cerca di evadere con il suo incedere oscuro, dagli schemi di questo mcd. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 50

Necromid - The Sleep of Reason


“Il sonno della ragione genera mostri”, questa è la celebra frase di Goya alla quale probabilmente gli esordienti Necromid si rifanno nel titolo del loro debut. Per quanto riguarda la musica, sicuramente i nostri devono essere grandi estimatori della scena death svedese, peccato che Imperia non sia Stoccolma e che gli Ithil World Studio non siano quelli dei ben più famosi colleghi scandinavi. Ciò che ne viene fuori è un genuino album di swedish death che si rifà a mostri sacri quali Arch Enemy, At the Gates e Dark Tranquillity, tanto per citare i più noti. Però mentre il sound delle band svedesi è molto ben strutturato e ragionato, la pecca dei Necromid sta nel lanciarsi in arrembanti cavalcate dalle melodiche e scandinave linee di chitarra, interrotte da qualche mid-tempos qua e là. Se il primo pezzo mostra un gruppo dalle grandi potenzialità, già il successivo mostra qualche limite della band, che sciorina brani si veloci, aggressivi, ma che bene o male si assomigliano un po’ tutti tra loro. La voce di Antonio dovrebbe dare una mano in tal senso, cercando di conferire maggiore personalità ai pezzi, mentre i brani dovrebbero giocare un po’ meno sul continuo ed eccessivo rincorrersi delle chitarre, perché il risultato può risultare sì piacevole in qualche pezzo, ma quando la cosa risulta reiterata, scade nel già sentito e incomincia ad annoiare pesantemente. Non mi dilungo ulteriormente nella descrizione delle canzoni proprio perché sono tutti molto simili tra loro (tranne la cover di Elvis Presley “Can’t Help Falling In Love” posta in chiusura al cd) e per questo auspico che la band possa lavorare per scrollarsi di dosso quell’alone pesante svedese che pesa sulle loro teste. Insomma, lasciamo fare lo swedish death agli svedesi e noi italiani dedichiamoci all’”italian” death in cui siamo altrettanto bravi. Sufficienza risicatissima, da rivedere (Francesco Scarci)

(UK Division)
Voto: 60

venerdì 1 aprile 2011

Neron Kaisar - Magnum Incendium


Loro arrivano dalla fredda Federazione Russa, sono al debutto con questo lavoro di nome “Magnum Incendium”. Sono i Neron Kaisar e di certo di freddo hanno solo il luogo di provenienza. Il loro Symphonic Black Metal è caldo, violento, brutale e cosa che non guasta mai, una ottima miscela tra parti classiche, chitarre e un incedere imperioso della batteria, un'amalgama perfetta e ben riuscita. Il cd è composto da 11 tracce (ah, fate attenzione perché la traccia n° 8 “Chaotic Profane Phenomena” è una cover dei Thyrane). La track list è ascoltabile e ben organizzata, anche perché, a gran sorpresa, i Neron si discostano dal genere per quanto riguarda la durata dei pezzi. L’unica che va al di sopra dei 4-5 min è la traccia 10, “Bloody Black Terror”. Il cd proprio per questa peculiarità, scorre via veloce e non annoia mai anche perché le canzoni sono ben strutturate con gli strumenti che si intrecciano in un tribale e incalzante ritmo furente con un growling mai troppo esasperato. Annotatevi sul taccuino la track 5, “Burn And Dominate”, dove un bellissimo assolo di chitarra squarcia l'orizzonte tenebroso (i “tecnici” lo apprezzeranno); “Malice, Hate And Sorrow” e “Bloody Black Terror”, ne consiglio l’ascolto, non sono canzoni ma un’esperienza, specie nella prima dove compare una bellissima parte di pianoforte. Il cd si chiude con “Incendio Absumptae (Outro)”, un pezzo del tutto strumentale molto cupo, che accompagna la fine del nostro ascolto fuori dal mondo dei Neron. I Neron Kaisar, per essere alla loro prima esperienza con un full lenght, mi hanno piacevolmente colpito e mi farebbe molto piacere se in futuro ne sentissi ancora parlare, di certo non ci stupirei, anzi concludo dicendo avanti così, la strada è quella giusta, con una buona dose di atmosfera, buoni musicisti e buone idee che senza dubbio non guastano mai, anzi... (PanDaemonAeon)

(Grailight Productions)
Voto:70

Saille - Irreversible Decay


Nel mio giro del mondo di recensioni, credo di non essermi mai imbattuto in una band belga, ma d’altro canto c’è sempre una prima volta per tutto e quest’oggi a togliermi la verginità in tal senso, ci hanno pensato i belgi Saille, freschi di un nuovo contratto con la nostrana e sempre attenta Code 666, con il loro debutto. Se siete degli amanti dell’ormai defunto black sinfonico, forse nei solchi di “Irreversible Decay”, troverete ciò che di meglio ha da offrire in tal senso oggi il mercato. Intro affidata ad una sinistra chitarra acustica e poi attacco arrembante offerto da “Passages of the Nemesis”, song dal tipico sapore nordico, con chitarre taglienti di scuola svedese, blast beat e uno screaming diabolico; bridge centrale affidato ad un mid-tempo melodico con tanto di sorprendenti violini, e un pathos crescente culminante con un solo di chitarra da paura che toglie il fiato. La sensazione è come se mi avessero sbattuto contro un muro violentemente e tagliuzzato la pelle con uno di quei rasoi da barba old style, e lasciato a terra con i vestiti fatti a brandelli, ansimante. Un inizio alla Limbonic Art apre la successiva “Overdose of Gray” che fa delle sue inquietanti tastiere, dei giri ipnotici di chitarra e della tellurica porzione di batteria il proprio punto di forza. Offende la nostra armata delle tenebre (la band è formata da ben 10 membri, tra cui violoncello, corno e appunto 2 violini) ma lo fa con assoluta grazia: Una elegante chitarra acustica apre “Plaigh Allais” e lo spettro degli Unanimated aleggia sul sound dei nostri quando c’è da pestare sull’acceleratore con ritmiche al fulmicotone; sorprende non poco invece nelle sue bizzarre parti centrali, dove ad ogni brano, i nostri si adoperano con qualche soluzione assai particolare, quasi a voler confondere l’ascoltatore. Non potete immaginare la mia gioia e il piacere nel potere affondarmi in questi suoni suggestivi, epici, sinfonici, quasi come se un ibrido formato da Immortal, Dimmu Borgir e la succitata band svedese si siano personificati nella figura contorta di questi belgi Saille, vera e propria sorpresa di questo inizio d’anno caratterizzato dai fuochi artificiali in casa Code666. Che altro dire, se non immergervi nell’ascolto di una delle più interessanti band in ambito estremo sentite nell’ultimo periodo. Estremamente affascinanti! (Francesco Scarci)

(Code 666)
Voto: 80

Lifend - Devihate


In attesa di andare ad ascoltare il nuovo lavoro dei lombardi Lifend, andiamo a rivedere quanto fatto in passato: cambio di rotta importante rispetto al precedente lavoro “Innerscars”, “Devihate” è un cd pretenzioso, che non vuole assolutamente passare inosservato al grande pubblico. Il cd inizia in modo strepitoso con “Purify Me”, lasciando presagire quello che la musica di questa band, estremamente preparata, ha da offrire: un death metal dal forte impatto emotivo. Sebbene la proposta sia più violenta che in passato, il sound dei nostri si fa più curato nei dettagli, ben suonato e ricco di sfumature che vanno ben oltre il death metal. Diciamo che di sicuro la matrice di fondo resta il death, con le sue ritmiche aggressive, il corrosivo screaming di Alberto (per la cronaca è sparita la soave voce femminile di Sara) e i forti richiami allo swedish. Ciò che rende realmente interessante questa nuova release, sono appunto tutte quelle sfumature che ruotano intorno al sound di base del quartetto meneghino. Eh si, perché suoni progressive si intersecano a sfuriate deathcore, inserti gotici si incastrano perfettamente a raffinate cavalcate heavy metal e malinconici intermezzi acustici ci concedono giusto il tempo di rifiatare qua e là. Se dovessi trovare un termine di paragone per i nostri, vi porterei indietro nel tempo di una quindicina di anni, quando gli svedesi Miscreant rilasciarono il sorprendente “Dreaming Ice”, concentrato di raffinato swedish death dalle forti tinte progressive. E cosi sono i Lifend: chitarre ultra compresse che vengono spezzate nel loro incedere furioso da aperture acustiche e sprazzi di splendidi synth. Dicevo che quella dei Lifend è musica emozionante che nonostante la rabbia, arriva dritta al cuore per la sua compatta genuinità. E soprattutto non è mai musica banale: i suoni, le melodie che escono dai solchi di questa seconda opera sono assai ricercati, a tratti ricordano gli Opeth più aggressivi degli esordi, in certi frangenti si respira l’aggressività degli ultimi Dark Tranquillity e in altri momenti è una pesantezza un senso di angoscia ad emergere, stati emotivi che solo i Meshuggah sono in grado di trasmettere. Forti inoltre di una splendida produzione, curata da Carlo Bellotti, i Lifend sorprendono non poco per la maturità compositiva che hanno saputo raggiungere in cosi poco tempo, sembrando dei veri e propri veterani della scena. Un solo avvertimento va dato però prima di avvicinarsi a questo disco: non pensate che sia semplice dargli un ascolto e farselo piacere immediatamente; ho dovuto ricorrere al sesto replay prima di capire che quello che ho fra le mani è una bomba dalle potenzialità enormi. Bravissimi!!! (Francesco Scarci)

(Worm Hole Death)
Voto: 80

Onsetcold - Onsetcold


Beh, dopo aver ascoltato almeno un paio di volte questo cd, non mi è ancora chiaro se i nostri suonano black, death, metalcore o cos’altro. È infatti per questo che ho definito il loro sound extreme metal perché è difficile riuscire ad inserire la musica del combo albionico in un genere ben definito. Il cd si apre infatti con “Life Without Numbers”, una death metal song che sembra essere suonata nella vena sinfonica dei Dimmu Borgir. Si prosegue e si viene martellati e sorpresi dal death/grind di “No Sun No Life”, brano veramente interessante per quel suo incedere angosciante (merito delle tastiere eccellenti di Farley) ma allo stesso tempo iper brutale. E via, il quintetto inglese continua in una carambola di alternarsi di parti aggressive, ultra tecniche (bellissime alcune parti di basso e mostruosa la prova del batterista), talvolta (ma raramente) melodiche, grazie all’inserto di quelle keys già citate, in grado di donare un alone atmosferico e depressivo all’intero lavoro. Grandi, mi piacciono un casino: le demoniache screaming vocals che governano “Masterdom”, si avvicendano a profonde growling vocals, mentre le chitarre continuano imperterrite a macinare montagne di riffs veloci, complicati e le tastiere disegnano plumbei nuvoloni carichi di pioggia. L’album non regala un attimo di sosta, è una cavalcata imperturbabile di inaudita pura violenza che distrugge tutto ciò che si staglia davanti. Notevoli, anche se continuo a non capire se i nostri suonano grind o industrial, hardcore o doom, quel che è certo è che sono dannatamente bravi e incazzati. Quel che sorprende ancora di più è il fatto che siano venuti a registrare agli Zeta Factory di Bologna e allo studio 73 di Ravenna. Bravi, lo ribadisco ancora una volta, gli Onsetcold mi hanno stupito perché giunti inattesi alle mie orecchie… Sorprendenti! (Francesco Scarci)

(Worm Hole Death)
Voto: 85