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martedì 16 ottobre 2018

Sanguine Glacialis - Hadopelagic

#PER CHI AMA: Symph Avantgarde, Diablo Swing Orchestra, Fleshgod Apocalypse
La zona adopelagica è il dominio biogeografico che comprende le più profonde fosse dell'oceano. Si estende da 6000 metri di profondità fino al fondo dell'oceano. Pensate alla fossa delle Marianne, la fossa più profonda della Terra, li dove si ritiene che quasi tutte le creature abissali che vivono a queste profondità, traggano nutrimento dalla neve marina o, nei pressi di sorgenti termali, da varie reazioni chimiche. Se qualcuno di voi si stava giustappunto domandando il significato di 'Hadopelagic', secondo full length dei canadesi Sanguine Glacialis, ora è accontentato. La band originaria di Montreal, è guidata dal dualismo vocale della cantante lirica Maude Théberge abile a muoversi tra un cantato lirico ed un growling stile Cadaveria nei primi album degli Opera IX, in un condensato orchestrale di ben 60 minuti. Il cd si apre con le interessanti melodie di "Aenigma", song caratterizzata da un sound sinfonico in cui convergono tuttavia sonorità estreme, psicotiche linee di chitarra che evocano i nostrani Fleshgod Apocalypse, cosi come pure gli ultimi sinfonismi dei Dimmu Borgir, ma che poi, di fronte al cantato di Maude, ammiccano a realtà più commerciali, in stile Nightwish o Within Temptation. Il risultato però è ben più convincente, almeno per il sottoscritto, con la proposta articolata ed eclettica dei Sanguine Glacialis, cosi attenti nel proporre una gamma di colori davvero notevole nel proprio sound. Se pensate che l'inizio di "Kraken" apre tra funk, rock, symph, sperimentazioni a la Dog Fashion Disco, Devin Townsend e Diablo Swing Orchestra, per poi ritornare prontamente nei binari del death per una manciata di secondi e continuare successivamente a divagare in territori sinfonici, potrete solo lontanamente intuire quanto mi senta disorientato in un'escalation musicale davvero dirompente, tra scale cromatiche da urlo, ed una crasi sonica tra uno stile estremo ed un altro al limite dell'esotico. Tutto chiaro fin qui? Non proprio direi, nemmeno per il sottoscritto che ha avuto modo più volte di ascoltare il disco e cercato di codificarne il messaggio. I Sanguine Glacialis sono dei pazzi scatenati e lo dimostrano le divagazioni jazzy espletate nel finale della seconda song. "Libera Me" vede Maude scatenarsi in eterei ululati, mentre Marc Gervais ne controbilancia la performance con il suo cantanto gutturale. La song è comunque schizofrenica e perennemente votata al verbo stupire. Lo si deduce anche con "Le Cri Tragique d'une Enfant Viciée", brano in grado di saltare, con una certa disinvoltura, di palo in frasca. Con "Funeral for Inner Ashes" la proposta della compagine del Quebec sembra apparentemente più lineare: apertura affidata al pianoforte, poi una musicalità che procede senza troppi sussulti tachicardici fino a metà brano, dove il lirismo vocale della frontwoman è sostenuto da una batteria che potrebbe stare tranquillamente su un disco dei Cryptopsy, band non proprio citata a caso visto che Chris Donaldson dei Cryptopsy ha prodotto il disco in questione e forse una qualche influenza deve averla trasmessa ai nostri. La song prosegue comunque delicatamente verso il finale, in un duetto voce/pianoforte quasi da brividi. Il piano, sempre ad opera di Maude, apre anche "Oblivion Whispers", in cui i nostri musicisti non ci fanno mancare il loro apporto death sinfonico, in una traccia che ancora sembra evocare un ibrido epico tra Nightwish e Fleshgod Apocalypse, sorretti da una ritmica costantemente irrequieta in balia di una musicalità perennemente variegata; spaventoso a tal proposito il cambio di tempo a due minuti e mezzo dalla fine, in cui in un batter di ciglia, si passa dal death al rock e viceversa, con acrobazie da artista circense, costantemente in bilico tra difformi amenità estreme e passaggi rock/nu metal. Un album non certo facile da assimilare, da ascoltare e riascoltare anche quando un robusto riffing apre "Deus Ex Machina", per poi immergersi in suoni liquidi e psichedelici che arrivano ad evocare anche Unexpected o Akphaezya. Spettrale “Missa de Angelis" nel suo roboante inizio, poi quando le tastiere iniziano un po' a canzonarsi in stile Carnival in Coal o Solefald, la band entra nel solito vortice musicale dal quale risulta sempre più proibitivo uscire. E il centrifugato di quest'ennesima traccia, mette in mostra, ma non ce n'era più bisogno, tutto l'impianto ritmico, pirotecnico della band canadese, sempre in bilico tra mille ubriacanti generi musicali, qui peraltro assai folkish. Spero non si riveli un boomerang questa voglia di strafare per sorprendere costantemente i fan con trovate al limite del tollerabile. Le qualità tecnico-esecutive della band sono indiscutibili, ma in questi 60 minuti di musica c'è cosi tanta carne al fuoco, che il rischio di bruciare qualcosa è assai alto. Io non posso che premiare le sperimentazioni avanguardistiche dei Sanguine Glacialis ed un songwriting da urlo, con il monito di fare estrema attenzione che talvolta eccedere può rivelarsi a dir poco fatale. Nel frattempo, fate vostro questo mostro mitologico, lasciandovi sopraffare dalle melodie impervie e progressive di "Monster", ultima spettacolare perla di questo avventuroso 'Hadopelagic'. (Francesco Scarci)

(WormHoleDeath - 2018)
Voto: 80

https://sanguineglacialis.bandcamp.com/

sabato 4 febbraio 2012

Rumors of Gehenna - Ten Hated Degrees

#PER CHI AMA: Thrashcore
Ok, ok, Franz, è vero ho fatto il Godot ma purtroppo sono un istintivo e come tale solo nel momento in cui l’ispirazione si impadronisce di me riattacco a scrivere… Finalmente mi decido e riparto da dove mi ero fermato e cioè all’ascolto dei Rumors of Gehenna. Schiaccio play ed ecco una pioggia di fuoco e fiamme uscire dalle casse, sparata a tutto volume da questi ragazzi friulani. Presi singolarmente, batterista e cantate uber alles, ci sanno fare, veloci, cattivi e cazzutissimi all’inverosimile: riffoni, bei solos, bei suoni, un’ottima produzione, ritmica eccelsa (il batterista è un vero killer) ma le prime quattro tracce sono piuttosto monotone (con la prima traccia, strumentale, sarebbero cinque, ma voglio essere buono) come il resto dell’album nel suo complesso. Per fortuna a risollevare le sorti di questo “Ten Hated Degrees” ci pensano “Human” (la mia favorita) e “My Hourglass Never Fails”, ma a mio modestissimo (e poco tecnico) parere purtroppo rimane poco altro degno di nota. Detto ciò, a chi non ha altro dio al di fuori di un metal fuoco e fiamme, a chi piace svitarsi il collo a furia di headbanging, questa release potrà certamente piacere. Bisogna fare un paio di doverose considerazioni: il genere in questione ha dato e ridato a più non posso e l’album è un po’ datato (2008); sembra però che ci sia una nuova release in cantiere con un nuovo cantante (fonte groovebox.it, notizia di settembre 2011) e i ragazzi sono piuttosto attivi nei live (pagina facebook per i social-utenti). Tutto questo lascia ben sperare che la line-up del combo del nord est riesca, almeno ai miei occhi di censore/recensore, a risollevare le proprie sorti e quelle del genere in questione. (Matteo del Fiacco)

(Worm Hole Death)
Voto: 60

lunedì 25 aprile 2011

Dynabyte - 2KX

#PER CHI AMA: Electro Death, Cyber, Industrial
Sono sempre stato un grande fan di Cadaveria e quando lasciò gli Opera IX, produsse un vuoto incolmabile nella band di Vercelli, nonché nella mia. Fortunatamente in seguito, la nostra carismatica e brava singer è tornata con il suo progetto omonimo e questi Dynabyte, dove poter dar sfogo alle proprie attitudini più sperimentali, tra l’altro con grandi risultati fin dall’esordio, “Extreme Mental Piercing”, di cui custodisco preziosamente la mia copia. Con questo nuovo “2KX”, il cui significato sarebbe 2010, il trio Cadaveria; L.J. Dusk e l’inossidabile John, non si pongono limiti e si spingono verso lidi probabilmente mai esplorati fino ad ora. Gelidi suoni cibernetici si fondono con break di chiaro rimando techno, con appendici industrial che poggiano su un solido background di musica estrema, ma in questa nuova schizoide release, tutto alla fine si rivelerà estremo. “Equilibrium” apre le danze con la litania pulita di Cadaveria alle vocals che si alterna con il suo growling feroce, sopra un tappeto ritmico contraddistinto da ritmiche assassine create da un riffing dinamico e un pesante intervento di di drum machine e synths. Il marchio di fabbrica si ripete anche nella successiva “F.T.L.” caratterizzata da suoni disturbanti posti ad aprire la traccia, soavi e melodici vocalizzi della nostra lei e un impianto elettronico che fa dell’ossessività il suo punto di forza, non temendo mai di spingere cosi forte sull’acceleratore. I Fear Factory più industriali si fondono con i The Kovenant più elettronici in un arrembante miscela di suoni coinvolgenti, talvolta danzerecci (sempre di pogo stiamo parlando sia chiaro), frenetiche percussioni tribali che penetrano le nostre menti già per conto loro disturbate da una società al limite dello sfacelo. E in questo contesto si pone il tema delle lyrics della release, ossia sul rapporto uomo-macchina, tema già affrontato da diverse altre band nell’ultimo periodo. Intanto il cd scorre via senza un attimo di esitazione, con la voce di Cadaveria (e tonnellate di sintetizzatori) a far la differenza con qualsiasi altra proposta di questo tipo, ad alternare suadenti clean vocals, growling periodo Opera IX e striduli vocalizzi degni del miglior King Diamond. “Cold Wind of Fear”, la psicotica “Speed”, l’inquietante “I’m not Scared” fino alla conclusiva enigmatica “Blinded by my Light” sono solo alcuni degli ottimi esempi di cyber music inclusi in questa nuova release targata Dynabyte, che ha il suo tocco conclusivo di difformità nella scelta di produrre il tutto su una chiavetta USB assai ricca di contenuti multimediali. Nel 2011, i Dynabyte sono decisamente al passo con i tempi, anzi ho come l’impressione che li stiano anticipando in un qualche modo… (Francesco Scarci)

(WormHoleDeath)
Voto: 80

sabato 9 aprile 2011

Theconflitto - Dusk Over the Nations

#PER CHI AMA: Hardcore, Converge, Neurosis
Dopo un demo cd e un Ep, ecco finalmente giungere sul mercato il full lenght degli spezzini Theconflitto, band hardcore dall’irruente impatto sonoro. Una delicata quanto mai fuorviante voce femminile introduce nei suoi due minuti iniziali, “Dusk Over the Nations”, dopo di che è la furia sonora a prendere il sopravvento con un attacco vetriolico, degno delle migliori realtà oltreoceano, con un sound che fa della rabbia suburbana il proprio credo. E cosi in successione, “Scribbling on Some Fear”, “Disinformatjia”, “Hero” e via dicendo, ci aggrediscono con suoni corrosivi, debitori verso le sonorità strazianti di act quali Converge o Refused, non disdegnando capatine in territori mathcore, di cui i The Dillinger Escape Plan sono leader indiscussi. Le song si presentano sempre assai brevi e dirette come possenti ganci rifilati uno dopo l’altro nei vostri pallidi grugni; “Beautiful Machine” forse rappresenta un episodio a sé stante con i suoi 5 minuti in cui il punk primordiale si fonde con sonorità “post” moderne e con escursioni in territori neurotici dei primi Neurosis grazie a quel suo finale ipnotico quasi apocalittico, sostenuto da un riff di chitarra ripetuto all’infinito. Sono già al tappeto stordito dai deliranti giri di chitarra del quartetto italico che con grande abilità confeziona brani mai troppo simili fra loro (cosa assai rara in questo genere), dotati di repentini cambi di tempo e rarefatte atmosfere soffocanti (non so perché ma mi viene in mente anche qualcosa dei Rostok Vampires). La proposta dei nostri trova un altro piccolo gioiello in “Small Room/Colourless Sand”, song che dimostra quanto i Theconflitto non solo siano estremamente abili con i propri strumenti (qui le ritmiche sono da brivido), ma anche quanto siano capaci di spaziare all’interno del proprio sound con intermezzi introspettivi (direi talvolta melodici) avvincenti e decisamente vincenti, che rendono la proposta del combo ligure estremamente intelligente e competitiva con quella dei mostri sacri americani. Le brutali vocals di Paolo poi, pur mantenendosi in linea con quelle del genere, si dimostrano spesso sofferenti e lancinanti o addirittura in linea quelle del rock più soft (immagino già le vostre facce sconcertate). Interessanti davvero, i Theconflitto piazzano li un quanto mai inatteso album che li farà apprezzare sicuramente tra le frange di patiti di questo trasgressivo genere, ma non solo. Certo non è uno di quei cd facilmente assimilabili al primo ascolto, ma questo è proprio il bello di questo genere: ascoltarlo, capirlo, scoprirne i segreti più reconditi, farlo scorrere nelle proprie vene per finire con apprezzarlo enormemente, come è accaduto al sottoscritto. Feroci, incazzati contro tutto e tutti, signori diamo il benvenuto ai Theconflitto! (Francesco Scarci)

(WormHoleDeath)
Voto: 75

venerdì 1 aprile 2011

Lifend - Devihate


In attesa di andare ad ascoltare il nuovo lavoro dei lombardi Lifend, andiamo a rivedere quanto fatto in passato: cambio di rotta importante rispetto al precedente lavoro “Innerscars”, “Devihate” è un cd pretenzioso, che non vuole assolutamente passare inosservato al grande pubblico. Il cd inizia in modo strepitoso con “Purify Me”, lasciando presagire quello che la musica di questa band, estremamente preparata, ha da offrire: un death metal dal forte impatto emotivo. Sebbene la proposta sia più violenta che in passato, il sound dei nostri si fa più curato nei dettagli, ben suonato e ricco di sfumature che vanno ben oltre il death metal. Diciamo che di sicuro la matrice di fondo resta il death, con le sue ritmiche aggressive, il corrosivo screaming di Alberto (per la cronaca è sparita la soave voce femminile di Sara) e i forti richiami allo swedish. Ciò che rende realmente interessante questa nuova release, sono appunto tutte quelle sfumature che ruotano intorno al sound di base del quartetto meneghino. Eh si, perché suoni progressive si intersecano a sfuriate deathcore, inserti gotici si incastrano perfettamente a raffinate cavalcate heavy metal e malinconici intermezzi acustici ci concedono giusto il tempo di rifiatare qua e là. Se dovessi trovare un termine di paragone per i nostri, vi porterei indietro nel tempo di una quindicina di anni, quando gli svedesi Miscreant rilasciarono il sorprendente “Dreaming Ice”, concentrato di raffinato swedish death dalle forti tinte progressive. E cosi sono i Lifend: chitarre ultra compresse che vengono spezzate nel loro incedere furioso da aperture acustiche e sprazzi di splendidi synth. Dicevo che quella dei Lifend è musica emozionante che nonostante la rabbia, arriva dritta al cuore per la sua compatta genuinità. E soprattutto non è mai musica banale: i suoni, le melodie che escono dai solchi di questa seconda opera sono assai ricercati, a tratti ricordano gli Opeth più aggressivi degli esordi, in certi frangenti si respira l’aggressività degli ultimi Dark Tranquillity e in altri momenti è una pesantezza un senso di angoscia ad emergere, stati emotivi che solo i Meshuggah sono in grado di trasmettere. Forti inoltre di una splendida produzione, curata da Carlo Bellotti, i Lifend sorprendono non poco per la maturità compositiva che hanno saputo raggiungere in cosi poco tempo, sembrando dei veri e propri veterani della scena. Un solo avvertimento va dato però prima di avvicinarsi a questo disco: non pensate che sia semplice dargli un ascolto e farselo piacere immediatamente; ho dovuto ricorrere al sesto replay prima di capire che quello che ho fra le mani è una bomba dalle potenzialità enormi. Bravissimi!!! (Francesco Scarci)

(Worm Hole Death)
Voto: 80

Onsetcold - Onsetcold


Beh, dopo aver ascoltato almeno un paio di volte questo cd, non mi è ancora chiaro se i nostri suonano black, death, metalcore o cos’altro. È infatti per questo che ho definito il loro sound extreme metal perché è difficile riuscire ad inserire la musica del combo albionico in un genere ben definito. Il cd si apre infatti con “Life Without Numbers”, una death metal song che sembra essere suonata nella vena sinfonica dei Dimmu Borgir. Si prosegue e si viene martellati e sorpresi dal death/grind di “No Sun No Life”, brano veramente interessante per quel suo incedere angosciante (merito delle tastiere eccellenti di Farley) ma allo stesso tempo iper brutale. E via, il quintetto inglese continua in una carambola di alternarsi di parti aggressive, ultra tecniche (bellissime alcune parti di basso e mostruosa la prova del batterista), talvolta (ma raramente) melodiche, grazie all’inserto di quelle keys già citate, in grado di donare un alone atmosferico e depressivo all’intero lavoro. Grandi, mi piacciono un casino: le demoniache screaming vocals che governano “Masterdom”, si avvicendano a profonde growling vocals, mentre le chitarre continuano imperterrite a macinare montagne di riffs veloci, complicati e le tastiere disegnano plumbei nuvoloni carichi di pioggia. L’album non regala un attimo di sosta, è una cavalcata imperturbabile di inaudita pura violenza che distrugge tutto ciò che si staglia davanti. Notevoli, anche se continuo a non capire se i nostri suonano grind o industrial, hardcore o doom, quel che è certo è che sono dannatamente bravi e incazzati. Quel che sorprende ancora di più è il fatto che siano venuti a registrare agli Zeta Factory di Bologna e allo studio 73 di Ravenna. Bravi, lo ribadisco ancora una volta, gli Onsetcold mi hanno stupito perché giunti inattesi alle mie orecchie… Sorprendenti! (Francesco Scarci)

(Worm Hole Death)
Voto: 85

mercoledì 29 dicembre 2010

To a Skylark - To a Skylark


Quando meno te lo aspetti, ecco un fulmine a squarciare un orizzonte terso, sgombro da ogni nuvola e con un sole accecante che si staglia lassù, nel cielo azzurro. Questo è l’effetto che ha suscitato in me l’ascolto dell’album di debutto dei talentuosi vicentini To a Skylark. Già il nome della band rievoca la bellissima poesia di Percy B. Shelley, la bravura e la sensibilità poi di questi cinque ragazzi (che ho avuto anche il piacere di conoscere e vedere dal vivo), fa’ il resto. La band, formatasi nel 2003, rilascia un album eccezionale, che l’occhio lungo e vigile della Worm Hole Death (sottoetichetta della Aural Music) non si è lasciata scappare. Dopo la breve intro, si parte alla grande con “Icarus’ Redemption”, lunga traccia (di poco più di 10 minuti) che rappresenta un po’ la sintesi della musica dei nostri: ritmiche non troppo sostenute, arricchite da melodie fluttuanti, parti atmosferiche/acustiche, qualche sfuriata death, una prova eccellente dei singoli (con un plauso particolare al batterista e alla strepitosa prova di Alessandro alle vocals, con uno stile vocale, sia nel clean che nel growling molto vicino al cantante degli spagnoli Nahemah), non fanno che garantire 45 minuti di musica di gran classe. Non ho già più parole per descrivere le emozioni che questo sound è in grado di trasmettermi. Si prosegue con il breve sognante intermezzo “Hic et Nunc” che finisce per esplodere in “At Dusk, by Lake Walden”, dove è sempre la batteria a dettare i tempi mentre i due chitarristi disegnano trame allo stesso modo di come Picasso pennellava, in modo geniale, le sue tele: suoni progressive si amalgamano alla perfezione con visioni lisergiche di “Pink Floydiana” memoria, lo sludge claustrofobico alla Isis si unisce alla ripetitività ipnotica dei Meshuggah, impressionante è l’esito finale di questo brillante lavoro. Che piacere sentire musica ben suonata, capace di travolgerci con la sua elevata carica emotiva, musica che parte e arriva diretta al cuore. Si prosegue con la brutale “The Aftermath” (forse il pezzo meno eccelso del lotto) e con un secondo angelico intermezzo che apre alla lunghissima “The Fading Process”, la perfetta sintesi dei suoni di Porcupine Tree, ultimi Katatonia e Opeth, song che sancisce la grandezza di una band che per quanto giovane sia, mi auguro possa raggiungere un successo straordinario. “To a Skylark” è un lavoro meraviglioso (supportato anche da un’ottima produzione ai West Link Studios di Pisa) che tutti gli amanti di sonorità metal (non solo estreme sia ben chiaro, ma anche avantgarde, progressive, gothic, black) dovrebbero far loro. Ripetersi sarà veramente difficile, ma quanto sentito in sede live promette altri fulmini in quel bellissimo cielo azzurro… (Francesco Scarci)

(Worm Hole Death)
Voto: 85

mercoledì 8 dicembre 2010

Mechanical God Creation - Cell XIII


Avete presente la copertina di “Vulgar Display of Power” dei Pantera? Quella con l’uomo che si prende un pugno in faccia? Togliete il pugno e metteteci una mazza ferrata. Questo per descrivere la sensazione di violenza e orrore che mi ha evocato quest’album. Un disco veloce, adrenalinico, dominato dal growl e dal ritmo del doppio pedale. La melodia è roba per altri gruppi, così come la calma. Se siete deboli di stomaco, se siete in una fase un po’ depressa, se non siete sicuri di voi stessi... lasciate perdere. Pena: incubi. Io vi avevo avvertito. E anche lo band lo fa con l’incipit del disco. Fidatevi. Primo 45 giri per il combo milanese, il quintetto ci spara nelle orecchie, senza remore, senza pietà, quello che sanno fare. Nove tracce, nove note di sofferenza che tendono a confondersi, uno scotto da pagare per questo genere musicale. Appare una certa sensazione di violenza musicale fine a sé stessa, ma bisogna dire che, qua e là, qualche variazione, qualche accenno a cambiamenti compositivo-stilistici appaiono. Bravi, non è facile farli “sentire” in questi casi. Un esempio, l’attacco e l’evolversi della conclusiva “Death Business”. Prima cosa che colpisce: la voce androgina della cantante Lucy (già “Art of Mutilation”). Bravissima, mostruosa (artisticamente parlando, ci mancherebbe) poche donne cantano in gruppi simili. Lei lo fa in maniera molto convincente, sfoggiando una gamma di cantati terrificanti, da rimanerci di stucco. Riesce a mettere in secondo piano il growl dell’altro singer (anche chitarrista) della band Simo. Molto solido, ispirato, tirato, il lavoro del bassista Veon: fondamentale per l’aria insalubre di questo cd. Si stempera la buona fattura delle chitarre, forse un po’ ripetitive, ma potenti, continue, prive di fronzoli. Sono perfette per l’atmosfera grand-guignolesca. Ascoltate con attenzione “Divinity” a riguardo. Batteria, ecco la batteria, suonata a ritmi ultraveloci, dominata dall’uso del doppio pedale... forse risulta troppo piatta. Chiariamoci: non che addormenti, anzi. Non che manchi la tecnica, tutt’altro (prendete l’inizio di “2012”). Credo che in questo tipo di lavori, la parte ritmica dovrebbe cercare di dare dei cambi, dei punti di stacco marcati; così da spezzare una continuità, che potrebbe risultare indigesta verso la fine. Il platter gira via liscio e le songs non sono troppo lunghe (bravi). In generale si può trovare un buon equilibrio tra le parti cantate e quelle solo strumentali, non solo nella traccia singola, ma in tutto il lavoro. Minimalista l’artwork del booklet, ma con un’aura sinistra, giusto complemento a questo viaggio nell’orrore. Da notare l’interessante featuring dell’italica horror band Cadaveria in “I Shall Remain Unforgiven”. Grazie per averci regalato questa terrificante odissea, suonata in modo davvero convincente (e anche per aver reso insonni le notti di chi non ha seguito il mio monito iniziale). (Alberto Merlotti)

(Worm Hole Death)
Voto:75

domenica 3 ottobre 2010

The Way of Purity - Crosscore


Premesso che la band che mi accingo a recensire usa dei nicknames ed è solita coprire il volto per cui mi risulta assai difficile conoscere i nomi reali e le facce dei nostri. Sfogliando il booklet, si trovano poi immagini di braccia tagliate, croci insanguinate e persino un Cristo in croce bruciacchiato: si parla di religione e natura, in questo strano connubio che rappresentano uno il male e l'altra il bene, con la voce pulita femminile in netta contrapposizione con il growling che occupa con forza la scena. Ad un primo ascolto, l'album ricalca fedelmente le sonorità americane del crossover/nu metal: già dalla prima traccia, “The 23rd Circle Breeds Pestilence”, la batteria e il growling ci danno dentro terribilmente, tirando fuori il meglio in fatto di rabbia e cattiveria. “Lycanthropy”, seconda track, prosegue perfettamente il ritmo e il sound della precedente, cosi come pure in “Anchored to Suffocation”, sebbene il ritmo sia meno incalzante e più cupo. Il cantato è sempre sull'urlato, anche se è comprensibile (a fatica, lo ammetto). Per quanto possa sembrare troppo sintetica, le canzoni lasciano poco spazio ai pensieri, ma ti colpiscono così a fondo che viene spontaneo aggregarsi alle sensazioni che la band esprime. Con “The Rise of Noah” il sound dei nostri prende un'altra piega: la voce pulita di una fanciulla prende il sopravvento (vedi Lacuna Coil), accompagnata sempre da un sound nu metal più - oso dire - commerciale, con qualche nota qua e là del bel urlato furioso di cui fecevo menzione in precedenza. Chiusa la parentesi femminile, arriva “Loyal Breakdown of Souls”, in cui tutto l'astio viene messo in luce e gli strumenti straziati, sebbene ancora qualche particella in pieno stile nu sopravviva. Arrivati a metà disco, con “Sinner” si ha il totale ritorno al crossover: ritmo incalzante, niente respiro, headbanging sfrenato e la sensazione di essere invincibili! “Egoist” non cambia direzione, se non forse il piccolo mal di collo che sta uscendo dal movimento della testa e per qualche incursione della female vocal. Da segnalare che in questo album c'è una cover, “Deathwish”, uscita dalla mente malata dei Christian Death nel lontano 1982, e rifatta degnamente anche dai nostri svedesoni: nel loro stile ovviamente, esattamente agli antipodi dal goth rock dei suddetti Christian Death. “Burst”, la penultima canzone, riprende lo stesso motivo di “Egoist”, senza cambiarne nemmeno una virgola. Si arriva così a fine album, con la bella “Pure” che chiude questa sequela di rabbia furiosa senza limiti: normalmente si pensa che con l'ultima traccia, ci si senta un po' stanchi e si voglia rallentare il ritmo ma non in questo caso, visto che i nostri rimangono “crudi e puri” fino alla fine, magari aiutati qualche volta dalla suadente voce femminile che tende ad ammorbidire il sound. L'album si chiude di punto in bianco, senza alcuno strascico od eco, punto di cessazione dell’energia dei nostri. Da risentire… (Samantha Pigozzo)

(WormHoleDeath)
voto: 70