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mercoledì 21 novembre 2012

Gotto Esplosivo - L'Oro Del Diavolo

#PER CHI AMA: Rapcore, Nu Metal, Funk Rock
Con il moniker tratto dal libro "Guida Galattica Per Autostoppisti" di Douglas Adams, questa band dalla Val Brembana, sconvolge letteralmente il mio udito e rimango allibito dalla genialità delle canzoni, sopratutto dai testi cantati interamente in italiano. Come avrete capito dai tag, sto parlando di una musica dalla difficile catalogazione, e di cui io non sono un grosso fan. Però questi Gotto Esplosivo conquistano subito, con i loro movimenti groovy, il cantato velocissimo, i ritornelli catchy. Pura energia concentrata in dieci tracce per una durata complessiva di poco più di mezz’ora. A vantaggio di questo, una produzione cristallina e suoni limpidi, il tutto curato da Davide Perucchini, il fonico live dei Verdena. La ritmica gioca un ruolo importantissimo nelle composizioni del giovane combo e la voce in rima, tiene sempre alta la concentrazione sulla musica e nonostante qualche ripetitività, le canzoni si riveleranno assai creative, differenziandosi molto tra loro, non annoiando mai, vuoi perchè vigorose ed iperattive o semplicemente perchè di facile ascolto. Passiamo dalla prima parte del cd, con tracce come l'opener "Paura" o "Gelosia" con uno stile movimentato ed adrenalinico, verso composizioni meno aggressive, come "Sete" o "L'Occhio". Insomma, un disco variegato, originale e molto (troppo) allegro. Data la proposta musicale molto particolare, sono proprio curioso di vedere cosa salterà fuori dalle prossime pubblicazioni. (Kent)

(Ice Records) 
Voto: 75

venerdì 6 luglio 2012

Devotion. - Sweet Party

#PER CHI AMA: Post-HC, Nu Metal, Deftones
Anche se non sono per niente un amante di codeste sonorità, con i Devotion mi trovo davanti un'opera dove è impossibile non riconescere la pregiata fattura del debut album della band vicentina. Il sound è moderno ed imponente, ma è la voce la vera protagonista di questa release. Potente ma allo stesso tempo delicata, riesce a catturare l'ascoltatore grazie alle sue parti pulite alternate a degli scream più vicini all'hardcore.Il primo impatto è un'ondata sonora degna di considerazione, che perfino io riesco ad apprezzare. Il disco presenta delle tracce incisive e registrate con grande cura; la formula dei nostri è chiara: un mix di suoni candidi, momenti screamo e passaggi pressochè omogenei, livellati da un'aria melodica e sdolcinata. Si nota durante tutto il disco quell'atmosfera pop/catchy che abbraccia ogni passaggio dell'album, dalle parti più post-HC a quelle più tendenti al nu metal, riuscendo nell’intento di amalgamarle perfettamente. Del resto la produzione è perfetta, eseguita da Shaun Lopez, e credo che anche a voi, al primo ascolto di quest'opera, avrete pensato "i suoni mi ricordano tanto i..." rivolgendovi a una di quelle migliaia di band della NWOAHM nate tra i '90 ed i primi '00. Purtroppo non posso neanche dilungarmi sui difetti, perchè non ce ne sono di così rilevanti, a parte il peso di aver un disco da meno di 30 minuti. (Kent)

(Bagana Records)
Voto: 75

sabato 2 giugno 2012

Onelegman - The Crack

#PER CHI AMA: Crossover, Nu, Korn, System of a Down
Gli italiani, anche se con una gamba sola, lo fanno meglio. Il rock. Non è propriamente rock lo stile di questa band di Reggio Emilia, infatti tanto per citare il loro sito, “The Crack” è un disco che osa. Su questo sono abbastanza d'accordo, nel senso che ognuna delle sue 9 tracce vuole sondare un differente genere, dal crossover al nu metal, passando per il prog e toccando pure il southern rock. Non voglio stare qua a discutere se è una scelta formidabile oppure una mancanza di identità, sta di fatto che comunque il cd ha un bel tiro e mette sul piatto tutte le buone qualità dei Onelegman. La voce effettata stile Korn forse è l'unica scelta opinabile solo perché porta al facile paragone, ma l'ottimo lavoro mostra l' elevata tecnica della band e la voglia di voler sperimentare, anche se certi canoni devono essere mantenuti. Iniziamo la carrellata dei pezzi presenti in questo "The Crack". “See That Truth” apre il cd con dei bei riffoni southern e la parte ritmica ben bilanciata, tosta al punto giusto per dare l' idea di una cavalcata sfrenata attraverso il profondo sud mentre l’Indian sotto il culo borbotta sorniona. “Dream On” utilizza un sound prog che apre con una ritmica tribale per cambiare completamente pagina e assaporare un altro riflesso di “The Crack”. Ottimo pezzo anche questo. Passiamo poi al thrash nudo e crudo di “Black Lamb” che mi ha lanciato in un cardiopalma che non ricordavo da tempo. La batteria sprigiona tutta la sua cattiveria e tecnica in un colpo solo, dando alla luce un brano che dà molto filo da torcere ai grandi del genere. Concludo con “Vortex” che risulta sicuramente l'esperimento più azzardato dell'album, infatti mescola sonorità balcaniche al thrash-metal. Per carità, l'into sembra presa da “St. Anger” dei Metallica, ma l'alternanza con riff alla Bregovic rende il tutto assai sperimentale e godibile. Bravi questi Uomo-con-una-gamba-sola, l'esperienza e la professionalità si sente tutta e meritano una bella pacca sulla spalla e una birra offerta al banco dal sottoscritto. Respect. (Michele Montanari)

(Buil2kill Records)
Voto: 85

http://www.onelegman.com/

giovedì 22 dicembre 2011

Panic Room - Equilibrium

#PER CHI AMA: Nu Metal, Korn, Limp Bizkit, Incubus.
Mmmm... Non sapevo nulla di questi parmensi Panic Room e mi sono approcciato al platter in maniera un po’ guardinga ma fiduciosa. I Panic Room, precedentemente Redrum, sono un gruppo di sei ragazzi nato nel 2002 e questo è il loro primo 33 giri. Possiamo ricondurre le undici tracce nel genere new-metal: il suono, gli accordi, il basso, gli innesti elettronici... tutto nella linea del genere. Anche troppo. Dopo un minuto della open track “Dark Angel”, ho pensato: “Oddio, ma questi sono gli Incubus?!”. Non si offenda Francesco Liuzzi, ma davvero il cantato è molto simile. Allo stesso modo mi appaiono lampanti le ispirazioni prese dai grandi del genere. A fronte di una produzione molto buona, di un album ben suonato, mi è sorta una sensazione non del tutto positiva. Mi è parso di avere a che fare con un mosaico di suoni di altre band (Korn, Limp Bizkit, Incubus), di riuscire a vederne solo le tessere singole e perderne la visione d’insieme. Aggiungo di trovare lo stile compositivo prevedibile e le tracce troppo somiglianti; risultato: un filo di noia. È vero che non manca l’energia, è anche vero che l’omogeneità, spesso punto di forza, qui non funziona. Il “già sentito” prevale sulla passione che si può avere per il genere musicale, lasciando un sentimento di troppo sazio. Come dite? Tutto negativo? Be’ no, avete ragione. Sebbene abbia indicato solo difetti, il mio giudizio è positivo. I nostri sanno suonare e direi bene: non è poco. Come detto, il cantante mi ricorda molto Brandon Boyd, anche questo non è male. Mi hanno molto colpito i testi articolati sul tentativo di fuga dalla paranoia, sono curati e non banalotti. Si sente di aver ascoltato gente in gamba, che però pecca troppo di originalità. Una buona dose di creatività per il prossimo album sarebbe salutare e illuminante.(Alberto Merlotti)

(UK Division)
Voto: 65

martedì 6 settembre 2011

PFH - Cronologica

#PER CHI AMA: Thrash/Nu Metal, Sepultura, Korn, Pyogenesis
Avevamo i Sepultura in casa e non ce ne siamo mai accorti, che peccato. Ah no, mi sbaglio e dire che dall’iniziale “Useless”, mi sembrava di avere fra le mani uno dei dischi della band brasiliana, del periodo in cui militavano i mitici fratelli Cavalera (periodo post “Arise”). I PFH (Painful Happiness) sono un quartetto abbastanza interessante proveniente da Padova, che di sicuro farà la gioia di chi ama il death thrash contaminato da suoni Nu Metal. Sette tracce più “Outro”, in grado di divertirci non poco con quel suo sound groovegiante, rabbioso quanto basta, ma comunque sempre ricco di melodia. La band patavina dimostra di saperci fare, anche se un po’ troppo spesso emergono forti le influenze del combo carioca, comunque niente paura, accanto al death di stampo sudamericano si collocano momenti più atmosferici o più orientati verso sonorità moderne mathcore, o altri più ragionati, dove la voce growl di Nico va a cantare in stile pulito con esiti niente male, a dire il vero. Si, mi piacciono questi ragazzi, perché sebbene non inventino nulla di nuovo, sono abili nel creare un sound che, pur pescando a piene mani dai nomi di grosso calibro della scena mondiale, riescono comunque a conferire all’intero prodotto una certa personalità. Le mie canzoni preferite? La “korniana” “Beat” e la quinta traccia omonima, che ricorda qualcosa degli ormai dimenticati Pyogenesis era “Twinaleblood”. Con una maggiore cura nei più piccoli dettagli, mi aspetto un futuro positivo per l’act italico. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 70
 

giovedì 2 giugno 2011

Addiction Crew - Lethal

#PER CHI AMA: Crossover, Nu Metal
Recensire questo “Lethal” mi mette un po‘ a disagio. Perché è un disco dai molti pregi, che tuttavia mi lascia una grande perplessità. Gli Addiction Crew sono un ensemble italiano e rilasciano questo ellepì a tre anni di distanza dalla loro precedente produzione. Credo che “Lethal” si ispiri al crossover nu-metal dei primi 2000, con qualche contaminazione elettronica (carino l’effetto spada laser di guerre stellare all’inizio di “Target”), ma che poi tutti ruoti intorno al desiderio di fondere questo genere con la voce della cantante Marta Innocenti. Risultato: dodici tracce piacevoli all’ascolto (easy-listening?) dalle sonorità spesso compresse, come se volessero lasciare il posto alla melodica voce della singer. Desiderio di scalare le classifiche con delle canzoni orecchiabili? Se anche fosse, non ci sarebbe nulla di male. Non mancano le componenti forti, le linee di chitarra violente e una batteria sempre presente e incalzante. Ascoltate con attenzione“ Target”, “Along The Way”, e “Surrounded”, sono le migliori del mazzo. Prese singolarmente, le song sono un’alchimia ben riuscita tra aggressività, pulizia dei suoni, melodia. Nel loro insieme, però, scorrono via come sabbia tra le dita, lasciando una sensazione di vuoto. Mancano quei picchi, quel qualcosa in più che rimane nell’orecchio e nella mente dell’ascoltatore. Il lavoro col bilancino da farmacista per equilibrare il tutto ha creato un qualcosa di sfuggente e vagamente asettico. (Alberto Merlotti)

(Aural music)
Voto 65

venerdì 1 aprile 2011

Drain the Dragon - Demon of my Nights


Quello fra le mie mani è il disco d’esordio dei patavini Drain the Dragon, concentrato dinamitardo di death metalcore. Sapete quanto io non sia un grande estimatore di questo genere perché ormai trovo che le band abbiano ben poco da dire di nuovo in un ambito in cui è già stato scritto e detto tutto il possibile; eppure non so cosa o perché, ma questo lavoro riesce a catturare il mio interesse. Devo ammettere che già la cover artwork del cd rapisce la mia attenzione: il disegno di una bambina (abbastanza inquietante devo dire) circondata da tutti i suoi peggiori incubi notturni (da qui posso dedurre la scelta per il titolo “Demon of my Nights”). La musica, per quanto sia carente di originalità (ma di questo non posso farne una colpa viste le premesse di cui sopra), sorprende per intensità, per la scelta azzeccata di alcune soluzioni inattese e per il buon gusto della melodia. Ribadisco il concetto che nulla di nuovo c’è fra le note di questo lavoro, eppure qualcosa continua a catalizzare la mia attenzione: il quintetto di Padova di sicuro riesce nell’intento di non essere alla fine scontatissimo e questo è già un grosso merito. La musica si lascia ascoltare alla grande, sebbene i nostri non siano dei mostri in fatto di tecnica (un plauso però al batterista va fatto) o non mi piaccia particolarmente il modo di cantare di Bokkia (da rivedere assolutamente) eppure qualcosa di tetro e oscuro nella proposta dei nostri, continua a tenermi incollato a questo maledetto stereo. Tralasciando l’inizio di “Awake the Vengeance”, preso in prestito da “St. Anger” dei Metallica, mi accorgo ben presto che non c’è solo metalcore qui dentro, in “Rise of Madness part 2” affluiscono suoni heavy metal classici, altrove compaiono sonorità death melodiche di stampo svedese e poi ancora palesi riferimenti al Nu-metal americano, senza dimenticare l’aura malinconica che pervade l’intero lavoro, conferendone un alone di mistero che ancora non mi lascia capire perché alla fine mi ritrovo innamorato di questo cd e totalmente spaventato dal mio demone delle notti… Yes, ora ho capito!

(Graves Records)
Voto: 75

domenica 13 febbraio 2011

Shelter of Leech - No One Else Around


Infilo il cd nel lettore e subito, come un fiume in piena vengo piacevolmente investito da un flusso di sensazioni/emozioni positive. Si tratta dei giovani veronesi Shelter of Leech che allietano questa mia domenica di febbraio, con la terza release targata Kreative Klan Records. “No One Else Around” si apre con la sorprendente “Every”, che mette immediatamente in chiaro qual è la direzione intrapresa dal quartetto veneto: un sound che vive di una commistione tra crossover, nu metal, thrash e heavy classico, reso estremamente interessante dalla voce di Davide Macchiella, abile nel passare da clean vocals a momenti evocativi fino ad altri in cui, una timbrica più marcatamente sporca, trova il sopravvento. La musica della band risulterà sicuramente derivativa alle vostre orecchie, ma in fondo in fondo “un chi se ne frega” ci sta tutto. Se nella opening track, sono cenni di Tool o System of a Down ad emergere, nella successiva “K.O.”, i nostri rendono omaggio ai Pantera (qui Davide fa un po’ il verso a Phil Anselmo), con un sound pesante e con una song diretta “in your face”, ricca di spunti melodici ma anche di tanta aggressività. Con “Fix Me”, riemerge ancora il fantasma dei Tool, per il suo spettrale incedere e l’abile lavoro alle percussioni di Bruce Turri. Tuttavia ancora una volta il punto di forza dell’act italico, rimane la performance alla voce del buon Dade, sostenuto comunque brillantemente dagli altri musicisti. Il suono volutamente sporco dà l’idea poi di trovarsi nei pericolosi sobborghi di qualche metropoli americana. L’intermezzo rumoristico della title track interrompe la vincente proposta dei primi tre brani, e ci traghetta in una parte un più intimistica con “Recollect”, un po’ meno brillante delle altre song, anche se ci offre un discreto assolo nella sua parte centrale. Con “Golden Age”, il four pieces veronese ci riporta indietro di qualche anno con una song che esordisce con una vena molto rockeggiante e assai tranquilla, per concludersi in un arrembante e incandescente finale, dove il puzzo di sudore si mischia allo stridore della chitarra. “State of Grace” viaggia tra melodie “tooliane” e aperture a la Bokor, mentre “Get the Hell Outside” è probabilmente la mia traccia preferita: inizio affidato a basso/batteria seguite da una chitarra bella possente e corposa, con delle linee vocali veramente ispirate e chorus da brividi, con un finale affidato ad un parte acustica. Il cd dei Shelter of Leech, prosegue su questa linea mostrandoci una band capace di catturarci con una proposta immediata, pregna di melodia e ricca di aggressività. L’esercizio da fare ora, sarà prendere decisamente più le distanze da tutte quelle band citate in questa recensione e donare maggiore personalità alla propria proposta, ma sono convinto che i nostri non ci deluderanno. Talentuosi ed estremamente interessanti in prospettiva futura! (Francesco Scarci)

(Kreative Klan Records)
Voto: 70

domenica 3 ottobre 2010

The Way of Purity - Crosscore


Premesso che la band che mi accingo a recensire usa dei nicknames ed è solita coprire il volto per cui mi risulta assai difficile conoscere i nomi reali e le facce dei nostri. Sfogliando il booklet, si trovano poi immagini di braccia tagliate, croci insanguinate e persino un Cristo in croce bruciacchiato: si parla di religione e natura, in questo strano connubio che rappresentano uno il male e l'altra il bene, con la voce pulita femminile in netta contrapposizione con il growling che occupa con forza la scena. Ad un primo ascolto, l'album ricalca fedelmente le sonorità americane del crossover/nu metal: già dalla prima traccia, “The 23rd Circle Breeds Pestilence”, la batteria e il growling ci danno dentro terribilmente, tirando fuori il meglio in fatto di rabbia e cattiveria. “Lycanthropy”, seconda track, prosegue perfettamente il ritmo e il sound della precedente, cosi come pure in “Anchored to Suffocation”, sebbene il ritmo sia meno incalzante e più cupo. Il cantato è sempre sull'urlato, anche se è comprensibile (a fatica, lo ammetto). Per quanto possa sembrare troppo sintetica, le canzoni lasciano poco spazio ai pensieri, ma ti colpiscono così a fondo che viene spontaneo aggregarsi alle sensazioni che la band esprime. Con “The Rise of Noah” il sound dei nostri prende un'altra piega: la voce pulita di una fanciulla prende il sopravvento (vedi Lacuna Coil), accompagnata sempre da un sound nu metal più - oso dire - commerciale, con qualche nota qua e là del bel urlato furioso di cui fecevo menzione in precedenza. Chiusa la parentesi femminile, arriva “Loyal Breakdown of Souls”, in cui tutto l'astio viene messo in luce e gli strumenti straziati, sebbene ancora qualche particella in pieno stile nu sopravviva. Arrivati a metà disco, con “Sinner” si ha il totale ritorno al crossover: ritmo incalzante, niente respiro, headbanging sfrenato e la sensazione di essere invincibili! “Egoist” non cambia direzione, se non forse il piccolo mal di collo che sta uscendo dal movimento della testa e per qualche incursione della female vocal. Da segnalare che in questo album c'è una cover, “Deathwish”, uscita dalla mente malata dei Christian Death nel lontano 1982, e rifatta degnamente anche dai nostri svedesoni: nel loro stile ovviamente, esattamente agli antipodi dal goth rock dei suddetti Christian Death. “Burst”, la penultima canzone, riprende lo stesso motivo di “Egoist”, senza cambiarne nemmeno una virgola. Si arriva così a fine album, con la bella “Pure” che chiude questa sequela di rabbia furiosa senza limiti: normalmente si pensa che con l'ultima traccia, ci si senta un po' stanchi e si voglia rallentare il ritmo ma non in questo caso, visto che i nostri rimangono “crudi e puri” fino alla fine, magari aiutati qualche volta dalla suadente voce femminile che tende ad ammorbidire il sound. L'album si chiude di punto in bianco, senza alcuno strascico od eco, punto di cessazione dell’energia dei nostri. Da risentire… (Samantha Pigozzo)

(WormHoleDeath)
voto: 70