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martedì 6 gennaio 2015

Ghost Bath - Funeral

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal/Shoegaze
La Pest Productions continua la sua ricerca di talenti e questa volta lo fa direttamente a casa propria, andando a scovare i Ghost Bath nella semi sconosciuta città di Chongqing, una delle quattro municipalità indipendenti della Cina, considerata peraltro uno degli agglomerati urbani più grandi al mondo che raccoglie milioni di immigrati dal resto del paese. Probabilmente il senso di disagio che si respira in questa metropoli, l'inquinamento e una miriade di altri problemi che popolano le grandi città cinesi, devono essersi riversate nella musica quanto mai straziante del quartetto dagli occhi a mandorla. Undici piccole gemme di un depressive black che verrà ricordato soprattutto per le ottime linee melodiche piuttosto che per le lancinanti grida dei due vocalist, a tratti davvero insopportabili. Un vero peccato perché le premesse sono a dir poco stupefacenti: "Torment", la opening track, ci offre infatti un sound all'insegna del suicidal black miscelato allo shoegaze, con le urla belluine dei cantanti, appunto, a rovinare il tutto. Le ariose chitarre, i fraseggi malinconici, le atmosfere drammatiche suggellano una prova davvero convincente che si tramuta in poesia più cupa nella successiva "Burial", una mesta sepoltura che trova sfogo nello stridore vocale dei malefici vocalist. "Silence" è un semplice arpeggio di un paio di minuti che straripa in una cascata emozionale nella successiva "Procession", song che si arricchisce di ulteriori influenze derivanti dal Cascadian black metal, una splendida cavalcata in mezzo ai boschi, attraversando fiumi e cascate, scalando montagne e raggiungendo la vetta dei nostri sensi. Splendida. Ma è una bellezza incompiuta che avrebbe tratto maggior beneficio se, anziché udire l'ululato assurdo nel microfono, magari si fosse sussurrato, narrato o cantato in modo pulito o con uno screaming decisamente più convenzionale. La cosa drammatica è che 'Funeral' avrebbe in effetti le carte in regola per essere un signor album, per piacere ai fan di Alcest, Deafheaven o Shining indistintamente. Il problema, e mi spiace averlo più volte sottolineato, risiede nella performance, a dir poco mediocre, dei due cantanti. Se siete in grado però di superare lo scoglio delle urla belluine, vi garantisco che vi innamorerete delle song celestiali fin qui descritte, per continuare con "Dead", passando dalla delicatissima "Sorrow", l'elettrizzante "Calling", e la più desolante "Continuity", fino alle un po' più sconclusionate song finali in cui i Ghost Bath si perdono per strada. Per concludere, a parte suggerire un cambio di ugola e una migliore produzione, quello dei Ghost Bath è un disco che va testato, nella speranza di un futuro migliore. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2014)
Voto: 65

domenica 21 dicembre 2014

Istina - Познание тьмой

#PER CHI AMA: Black Doom Depressive
Non sono in possesso di cosi tante informazioni a proposito di questo duo russo. Formatisi nel 2007 e provenienti da Krasnoyarsk, M. e N. sono le menti che stanno dietro agli Istina (=verità) e al loro debut album 'Познание тьмой'. Dal titolo potrete evincere come tutto, all'interno di questo cupo digipack, sia scritto in cirillico, dal titolo del lavoro a quello dei brani, quindi mi limiterò alla pura descrizione della sola musica. Musica che dopo l'immancabile intro, si presenta sotto forma di un black depressive, che alterna scorribande furiose ad altre più d'atmosfera. Volutamente (?) penalizzati da una registrazione casereccia, il disco prende quota con "Глоток Сознания", la song che vede formalmente debuttare i nostri con la loro misantropica miscela di umor plumbeo e lancinanti vocals, con le tastiere e le ritmiche sghembe, a rappresentare l'unica raggelante forma di mitigazione dell'indigesta proposta dei nostri. "Безграничность Абсолютного Бытия" è una breve traccia strumentale che funge da bridge ai nove minuti di "Пронзая Сомнения Самоопределения", song mid-tempo che mostra le molteplici facce di questo ensemble russo che non va assolutamente sottovalutato. Al di là dei vocalizzi belluini, le chitarre tracciano delle avanguardistiche linee melodiche, mentre il drumming risente non poco della sua artificiosità. Poco male, perché quello che colpisce, oltre alle violente scudisciate inferte, sono le sofferenti ambientazioni lugubri e cariche d'odio, cosi come il buon Conte Grishnackh soleva fare agli esordi nei suoi Burzum. Musica sofferente quella degli Istina o se preferite Истина, che vedono "Познание Тьмой" incanalarsi in un black cadenzato e glaciale, che vanta comunque sempre buone desolanti melodie che rappresenteranno il marchio di fabbrica dei nostri anche nelle successive song. Diciamo che la proposta degli Istina non è affatto male per chi è un fan del genere black doom depressive. Tuttavia si raccomandano una serie di migliorie: una produzione un po' più cristallina, che sgrezzi un suono che risulta a più riprese impastato e difficile da isolare, credo sia la più importante da perseguire soprattutto perché in alcuni punti, i nostri cercano un approccio un po' più orchestrale per la loro proposta ("Безнадёжность"). Inoltre, auspico un miglior uso delle vocals, troppo sgraziate sebbene si tratti di uno screaming vetriolico. La strada intrapresa dall'act di Krasnoyarsk è comunque vincente in un periodo in cui questo genere guida il mercato estremo; non vorremo però dover attendere altri sette anni per sentire parlare di questi duo loschi figuri. Per ora è un voto di incoraggiamento a continuare su questa strada ma con le migliorie di cui sopra. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70

sabato 15 novembre 2014

Thy Light - No Morrow Shall Dawn

#PER CHI AMA: Black/Post Rock, Agalloch
Ah il Brasile, le spiaggie di Rio, Copacabana e Ipanema, il sole, il mare, la foresta Amazzonica o la frenetica vita di San Paolo, città da cui arriva il duo di oggi. Che cosa attendersi quindi da una band che vive in una parte del mondo cosi piacevole e solare? Ovviamente del depressive black metal, non certo danze pauliste. I Thy Light esordiscono nel 2013 per la cinese Pest Production, con questo 'No Morrow Shall Dawn', album che giunge sei anni dopo il demo d'esordio, 'Suici.De.pression'. Il genere lo abbiamo già inquadrato, le tracce, se escludiamo l'intro e un breve intermezzo strumentale, sono solo tre per oltre quaranta minuti di musica. "Wanderer of Solitude" debutta con un avanzare melmoso e intriso di un umor nero come la pece, dotato di splendide melodie, ma anche di screaming vocals degne della più selvaggia black metal band. Quello che balzerà subito alle vostre orecchie è il lavoro di arrangiamenti che di fatto accompagna l'intera durata del disco, e che saltuariamente sembrano affondare le proprie radici nel rock progressive. Fatevi cullare quindi dai frangenti acustici, dalle sterzate elettriche, dalle voci filtrate simil industriali, ma anche da quelle pulite che prima o poi emergeranno. La song è un susseguirsi di emozioni, in cui la belluina voce di Paolo Bruno, non smorza in alcun modo il mio entusiasmo. La lunghissima title track, introdotta da flebili tastiere, si assesta su una ritmica che potrebbe stare tranquillamente su un disco rock. Solo le malvagie vocals rendono alla fine quest'album estremo. Le tastiere ricordano quelle degli ancestrali Cradle of Filth, mentre frammenti ambient/noise, contribuiscono a rendere ancor più vario un album che ha fatto breccia assai velocemente tra le mie preferenze. "Corredor Seco" è il potente flusso di chitarra acustica che ci conduce alla conclusiva "The Bridge", ove un temporale in lontananza apre una song lenta e litanica, che sale delicatamente in intensità, e riesce a trovare la prima cavalcata black dell'intero album al minuto 38, segno tangibile che avvicina, almeno musicalmente, i Thy Light a una band di nero metallo. Bravi! (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2013)
Voto: 75

sabato 8 novembre 2014

Vertigo Steps - Disappear Here In The Reel World: A VS Coda

#PER CHI AMA: Progressive Rock, Porcupine Tree
I Vertigo Steps sono un progetto del duo finnico/portoghese formato nel 2007 da Bruno A. (all guitars, keys, programming & samples, music) e Niko Mankinen (lead vocals), che si avvale di Daniel Cardoso (drums, bass, backing vocals ) come session e di altre collaborazioni. 'Disappear Here in the Reel World: A VS Coda', si propone come un sunto del background della band, creando un'antologia che pesca dalla discografia del gruppo dall'album d'esordio 'Vertigo Steps' del 2008, all'ultimo 'Surface/Light' del 2012, passando per 'The Melancholy Hour' (2010). Già dai primi tre brani, che formano ognuno uno step nella discografia dei Vertigo, si può avere un assaggio della crescita del gruppo dagli esordi a oggi. "Fire Eaters" si presenta fra i tre come il brano meno ispirato e dalle tendenze eccessivamente commerciali, soprattutto per quanto riguarda la sezione iniziale e la sua ripresa finale, la parte che sta nel mezzo è invece più interessante, con chitarre acustiche, note stoppate e sovrapposizioni vocali a creare un alone sonoro dal gusto più sperimentale. Purtroppo una produzione che privilegia troppo la sezione chitarristica toglie respiro alla parte vocale e gli altri strumenti. "Silentground" alza il tiro e la posta in gioco, con un sound più omogeneo e idee negli arrangiamenti e nei temi più interessanti, pur mantenendo strutture e atmosfere simili al brano d'apertura. Eccellenti sono le prestazioni della chitarra solista, come le suggestioni melodiche e le scariche elettriche che porta con sé. Solamente con "Railroads of Life" viene però completato il viaggio attraverso questo ideale trittico d'apertura che passa in rassegna gli archivi della band dal 2008 al 2012. Il pezzo si apre con una chitarra acustica che inaugura una delle semi-ballad più belle di quest'antologia, essa dialoga con il caldo registro basso del vocalist e viene puntellata da interventi delle chitarre soliste. All'esplodere della seconda sezione del pezzo stupiscono anche le registrazioni di dialoghi parlati e gli interventi di una voce femminile dal sapore orientale. In "The Swarming Process" un'introduzione accattivante cattura subito l'attenzione. Un brano davvero interessante, che mischia arrangiamenti metal a un atteggiamento post rock e a una linea vocale dal timbro suadente e levigato, malgrado l'uso del registro alto del vocalist. Il giro di basso che domina la strofa iniziale è davvero efficace tanto da risaltare come il punto di forza su un pezzo dai molti spunti intriganti. Un'altra semi-ballad si affianca a Railroads of Life. "The Porcupine Dilemma", il cui titolo rimanda subito alla band fondata dall'eclettico Steven Wilson, si presenta in ultima analisi come un pezzo enigmatico, infatti quello che può sembrare un brano orecchiabile e immediato nasconde vie traverse percorse dalla struttura e dal sound che portano subito l'ascoltatore a fermarsi e rimandare il pezzo da capo. Intro e autro portano con sé tocchi cristallini di triangolo, e una strofa ruvida ma malinconica che sfoga nella parte centrale del pezzo il un grido corale supportato da un muro di chitarre ritmiche dagli accordi ostinati. Chitarra acustica, armonici naturali e piatti accompagnano l'apertura di "INhale". La voce si muove su un registro medio-basso quasi esalato e leggermente filtrato nella parte iniziale e la struttura è costituita in un crescendo continuo che domina sempre più imponente fino al finale. Difficile definire semi-ballad una struttura così aperta e semplice che si muove in linea retta, il suo tramonto altrimenti ripetitivo viene giustificato e valorizzato da tale struttura a sovrapposizione sonora. "Through Sham Lenses", con una bella chitarra in clean iniziale, si presenta come un pezzo dalle forti influenze di band come gli U2, specie nelle vocals, il tutto trasportato nella stile proprio della band. Un pezzo che senza troppe pretese prende con molta efficacia già dal primo ascolto. Da un fade in esplode "The Spider & The Weaving", un pezzo che lascia poco spazio ai ragionamenti e s'impone per la sua possente fisicità. La potenza della batteria domina, le chitarre l'attorniano dialogandovi, la voce prolunga questa forza. Inaspettatamente il brano viene spezzato da un intermezzo di piano dal sapore malinconico, per poi riprende nel finale l'iniziale forza poi sfumando questa volta in fade out. "Silent Bliss", brano dal sound molto moderno e curato, non riesce a imporsi ulteriormente a livello compositivo, passando leggermente inosservato, certo è che questo assaggio tratto dall'ultimo lavoro dei nostri trova il suo perché in un alone sonoro ricco di riverbero che permea musica e voce. "Someone (Like You)" è la prima vera ballad dell'album. Dall'arrangiamento nella prima parte minimale e nella seconda più pieno, dai cori e dalle sovrapposizioni vocali e infine dall'andamento ritmico andante ma calmo, s'intuisce l'intenzione di creare un'esperienza istintiva, fatta di impressioni sonore più che di strutture tematiche distinte e sfoggio di perizia tecnica fine a se stessa. I brividi sono assicurati già all'apertura di "Nothing At All". Magistrali l'interpretazione del vocalist e la sua versatilità nel muoversi tra registri bassi e caldi e falsetti morbidi. Tutta la prima sezione si muove calma tra chitarre clean minimali e samples dai suoni di batteria elettronica e un piano che incanta e adombra il tutto contemporaneamente in un'atmosfera strana e surreale non priva di un lucente fascino. La seconda sezione si rivela più piena nell'arrangiamento, espediente strutturale che rimanda nel brano precedente. Dal nulla nasce "Synapse (Sleepwalking Metaphorms)", che assieme a "Railroads of Life", "The Swarming Process", "The Porcupine Dilemma" e "Nothing at All" sale sul podio dei 5 brani più validi e interessanti di questa raccolta. Dolce chitarra acustica, interventi corali come aure pulsanti di suono, brandelli di registrazioni di dialoghi prima dell'entrata di basso e batteria. La voce si sovrappone alla chitarra clean dell'inizio e a questo morbido tappeto della sezione ritmica. Finché non esplode la granata del chorus dalla chitarra ritmica che strizza l'occhio al metal. L'ultima parola va alla chitarra solista che chiude la porta al chorus per aprirla a una ripresa della strofa iniziale. Questo rapporto cangiante tra esplosione e implosione tra queste sezioni portanti costituisce l'ossatura del brano. L'assolo di chitarra centrale, supportato da una forte ritmica derivata dal chorus si fonde a essa, in una metamorfosi impercettibile che porta alla lunga coda delle chitarre in larsen. A chiudere questo notevole excursus tra la discografia della band vi è "Sunflowers/Remissions", e mai titolo poté meglio descrivere questo gioiello strumentale cui le chitarre acustiche e le elettriche in clean, dai molteplici timbri, donano linfa vitale. Il pezzo in realtà è strutturato in due parti, divise da una frase parlata, quasi sussurrata, per lasciare infine spazio alla musica dove le parole non possono arrivare. I Vertigo Steps hanno la freschezza e lo stile di band come gli Alter Bridge unite alla sensibilità espressiva e la cura nel sound di band come i Porcupine Tree. Grazie a questo viaggio negli archivi del gruppo dagli esordi agli ultimi lavori è possibile notare una maturazione nella qualità del sound, specie per ciò che concerne gli equilibri tra le molteplici traccie nel mixaggio. L'artwork si mantiene sempre raffinato ma moderno e dall'alta professionalità. Malgrado gli eterogenei spunti stilistici la band riesce a creare comunque uno stile personale e omogeneo, anche considerando la discografia nella sua interezza. L'originalità, seppur calibrata alla fruibilità di un ascolto da parte di un ampio spettro di pubblico proveniente da più generi, appare sempre in modo ragionato e mai disorientante, riuscendo comunque a dare un tocco di classe a questo progetto che unisce idealmente il freddo nord europa al caldo sud. (Marco Pedrali)


(Ethereal Sound Works - 2014)
Voto: 80

lunedì 1 settembre 2014

Anathema - Distant Satellites

#PER CHI AMA: Rock Elettronica, Radiohead
Gli Anathema come mai prima. Forse rinnovamento, forse cambiamento. Io direi che in questo album gli Anathema hanno il vello della fenice che rinasce dalle proprie ceneri. "The Lost Song, Pt 1". Abbandono. Essenza. Trovare e perdere. Ascolto rapita. Sonoritá sensibili a tratti sensuali, che trasudano sessualitá struggenti come se la voce divenisse carnalitá corporea. Incredibile la continuità che il primo brano trova nel secondo "The Lost Song, Pt. 2". Ora a farmi perdere non è piú una voce maschile, ma una donna dalla voce complementare al cantante del primo pezzo, così in tinta alla musica della band, da farmi sentire un tutt'uno con cielo e terra. Spezziamo questa alchimia per qualche minuto con "Dusk". Perdura la musicalità elettronica, convergono suoni vocali sussurrati e poi iperbolici, ma in "Dusk", a sorpresa si fondono le voci dei primi due pezzi. Se non è sensuale questo, ditemelo voi cosa lo è! Ho guardato il mare in tempesta. Ho sentito il sapore della terra bruciata dal sole. Ho fatto un tuffo in mare di notte. Ho visto chi guarda e chi non sa di essere guardato. Ho subito il tempo e poi con rabbia l'ho vissuto sino all'ultimo istante il tempo. Ecco "Ariel", che sussurra, a due voci, che racconta, che accarezza, induce, si allontana con la stessa dolcezza con cui è iniziato. Come un ballo alcolico in cui la mente è leggera ed il corpo si abbandona, ascolto "The Lost Song, Pt 3". Potete muovervi in un limbo che circoscrive bisogni ed alienazione. Ascoltate con gli occhi chiusi, ballando con la lentezza descritta da un mantra. "Anathema". Si. Si. Si. Si. Si. Ecco l'intro suonato, accattivante, ripetuto, che mescolato alla voce, ipnotizza, trascina, rende la volontá schiava di questo ibrido sonoro e vocale, come fosse un unico corpo misantropo, carismatico, invisibile, ombra alle luci della luna piena. La magia si spezza. Torno alla realtá con "You're not Alone". Brano alienante rispetto ai precedenti. Pretenzioso. Una confusione di suoni. Forse ci vuole per una pausa! Era solo un momento estroso, perché con "Firelight" gli Anathema, tornano a far danzare lentamente i fiori nel deserto. Ancora una volta i suoni sono puliti, armoniosi, metafisici, cosí delicati da far entrare piacevolmente in questo connubio di ritmiche seghettate in cui si intercala la solita voce dal testosterone avvolto di miele. Se prima ho abbassato le luci, ora le ho spente, per fare spazio al buio ed a questa "Take Shelter". Lenta. Carezzevole. Scorsa da effetti elettronici, piacevoli come una scossa al rallentatore, che si propaga sulla pelle. Sospiri. Improvvisi cambi di ritmo che continuano nella melodia. Scosse ancora. Un album che dovreste ascoltare in una notte di luna piena a picco sul mare o di fronte ad un camino mentre la neve frusta la vostra terra. (Silvia Comencini)

(Kscope Music - 2014)
Voto: 80

domenica 27 aprile 2014

Khladnovzor - White Labirint

#PER CHI AMA: Depressive Black
Eccomi qui a recensire questi Khladnovzor, depressive black metal band dalla russia, la cui line-up è composta da Morokh che stando alle poche informazioni trovate in rete sembrerebbe essere la mente di tutto, Abgott alla voce e Sfavor bassista e programmatore della batteria, questi ultimi suonano entrambi in un progetto nsbm di cui non farò menzione per evitare inutili propagande nei confronti di una scena musicale altrettanto inutile. Mi ha immediatamente colpito l’artwork di 'White Labirint', davvero caotico, in una parola “brutto”: logo della band incomprensibile e disarmonico, e purtroppo ogni cosa scritta sul cd, titolo dell’album e testi sono in cirillico pertanto difficile, per non dire impossibile, capirci qualcosa. Dicevo che la musica contenuta in questo primo full-lenght è un depressive black metal che a tratti va ad assomigliare al Cascadian Black Metal. Di idee ce ne sono diverse, c’è una buona inventiva da parte del chitarrista che tesse la trama di riff molto malinconici e soffusi e questo è il punto di forza della release, anche se ahimè i punti a sfavore sono troppi per poter dichiarare questo album “buono”. La prima e più grande pecca sta nella registrazione che risulta estremamente piatta e con troppi medi; anche tentando di equalizzare al meglio attraverso lo stereo non si riesce ad ottenere un suono soddisfacente, rimangono registrazioni troppo finte, digitali, senza corpo e tridimensionalità. Superando questo cavillo, troviamo una voce poco decisa, poco energica ed impersonale, che non fa altro che peggiorare le cose; la drum-machine, seppur ben programmata è un ulteriore tasto dolente. Le tracce poi, sono troppo lunghe e monotone e finiscono con l’annoiare, inoltre sarebbe il caso di essere meno conservatori e magari offrire una traduzione dei testi dal russo all’inglese. Capisco la voglia e la passione per il nazionalismo, ma il nazionalismo non è chiusura mentale. Se si desidera farsi conoscere, se si vuol portare un messaggio al di fuori della Russia, sarebbe il caso di cominciare a pensare di scendere al livello dei comuni mortali e scrivere in una lingua che sia minimamente comprensibile, dunque, aggiungendo che non capisco assolutamente le tematiche dei testi e non mi è possibile determinare di cosa parlano, posso dire di essere rimasto deluso da questo album, non lo ritengo un ascolto interessante, credo che si possa usare meglio il proprio tempo ed ascoltarsi qualcos’altro. (Alessio Skogen Algiz)

(Nihil Art Records - 2014)
Voto: 55

venerdì 28 marzo 2014

Enthroning Silence – Throned Upon Ashes of Dusk

#PER CHI AMA: Depressive black metal, Burzum, Yayla, Coldworld
La band piemontese attiva discograficamente sin dal 2002, interrompe un silenzio lunghissimo rimettendosi in pista con questo lunghissimo e drammatico album, datato 2013 e licenziato via Dusktone. Alfieri del genere depressive black metal, i nostri non si smentiscono e sfornano un album catatonico, malato, depressivo e colto al punto giusto. Chitarre dissonanti, zanzarose ed echi lontani di ritmiche aggressive, la voce in presenza sporadica e di cupo effetto, un'alchimia estraniante ed un sostrato di effettivo rifiuto del mondo così come lo conosciamo; sei pezzi che oscillano tra gli otto e i quattordici minuti racchiusi in un artwork dalle sembianze deliziosamente tetre. Un forte aspetto psicologico governa questo tipo di musica, una via di liberazione attraverso le lande del dolore infinito, la ricerca del vuoto che permette di creare qualcosa. Alla base di tutto questo si celano gli insegnamenti del più isolazionista Burzum ma anche di realtà diverse e meno famose ed altrettanto intriganti come Yayla o i Coldworld, anche se qui, a differenza delle composizioni della band tedesca, l'elettronica non c'è e nemmeno l'ambient. Certamente coesiste una matrice atmospheric black che accomuna questi progetti così diversi. Il sound è alla deriva del miglior black sotterraneo e non mostra compromessi presentandosi come un lungo funereo cammino di riflessione, carico di delusione e rammarico che comunque nasconde una grossa vena romantica nel suo essere così drammatico, una sorta di reinterpretazione sonora del 'Dracula' offerto nell'interpretazione di Klaus Kinski, con lo stesso effetto isolazionista che la colonna sonora del film curata dagli Popol Vuh riusciva a dare. Drammatico, sepolcrale e illuminato. (Bob Stoner)

mercoledì 5 marzo 2014

Anomalie - Between the Light

#PER CHI AMA: Black/Depressive Rock, primi Katatonia 
Direi che è una quasi una costante: avere una one man band e fare black (tipico nelle sue forme più di nicchia, post, ambient o depressive/suicidal). Quasi quasi ci provo anch'io, anche se sicuramente non potrò mai raggiungere i risultati eccellenti del factotum di turno, il musicista austriaco Marrok (già negli Harakiri for the Sky), che con il suo ambizioso progetto Anomalie, esce per l'Art of Propaganda con questo ottimo 'Between the Light'. Il lavoro, etichettato qua e là nel web come post black, suona a mio modo di vedere, molto rock nelle sua matrice interstiziale, non facendosi mancare le ovvie ma non cosi frequenti, sfuriate black. "Blinded" apre il lavoro, col suo cupo connubio basso, batteria e chitarra acustica in una ascesa musicale che poco a poco, assume i contorni della cavalcata epica. Largo spazio quindi alle melodie, alle aperture ariose, alle linee di chitarra pulite, interrotte dalla maestosa e selvaggia irruenza del drumming ma anche da uno splendido assolo conclusivo. Notevole anche la voce, che dallo screaming (chiaro e comprensibile) si muove al sussurrato/parlato/pulito, con estrema disinvoltura. "Not Like Others" è un tuffo nel passato ad omaggiare le origini di questo sound nel monumentale 'Dance of December Souls' dei Katatonia. L'abilità del mastermind Marrok è quella di abbinare al black doom, spruzzate di shoegaze o venature depressive rock, senza ovviamente tralasciare la persuasione musicale che il post rock riesce a donare nei suoi intermezzi acustici. Ecco questa song, ma in generale tutto il lavoro, raccoglie influenze più o meno moderne, che derivano da quegli ambiti musicali che più sono in grado di trasmettere emozioni violente, squarci inguaribili nella nostra anima. Non è detto poi che gli Anomalie riescano a centrare perfettamente l'obiettivo, ma il più delle volte ci vanno vicini. "Tales of a Dead City" ci riprova, giocandosi la carta a sorpresa delle eteree vocals femminili che si alternano allo screaming del vocalist e al sound che qui assume connotati neri come la pece suffragato da una violenta tempesta black ma addolcito anche da un ottimo e inusuale strappo di chitarra. "Oxymora" è una song che non ha molto da chiedere, mentre il malinconico pianoforte in apertura a "Recall to Life" e il cantato corale pulito, riescono a catalizzare la mia attenzione sin da subito: la song prendendo questa volta spunto dalle linee di chitarra di 'Brave Murder Day', avanza straziante tra cupe e ronzanti atmosfere e un altro delizioso assolo conclusivo, vero punto di forza e di originalità di 'Between the Light'. A chiudere, una quanto mai inattesa cover dei Nine Inch Nails, "Hurt", band di cui io non sono assolutamente fan e che trovo fuori luogo dal contesto musicale in cui fino ad ora siamo rimasti immersi. Ma che ci fa qui questa song? Mero riempitivo o dimostrazione di sapersi districare anche in territori musicali diversi? Come diceva il buon Dante, "Ai posteri l'ardua sentenza...". Per ora mi limito a dire che l'opera prima degli Anomalie ha quasi colto nel segno. (Francesco Scarci)

(Art of Propaganda - 2014)
Voto: 70

lunedì 3 marzo 2014

Deadly Carnage - Manthe

#PER CHI AMA: Black Depressive Rock, Shining, Primordial
Ritrovo dopo poco più di due anni i romagnoli Deadly Carnage, che avevo recensito in occasione del secondo album 'Sentiero II - Ceneri', descrivendo il loro sound come un concentrato di black metal malato, selvaggio e feroce. Quando "Drowned Hope" fa il suo esordio nel mio stereo, mi aspetto che dietro al suo mansueto avvio si nasconda la classica quiete prima della tempesta. Una delicata chitarra introduce infatti il brano, accompagnata dal tocco leggero del drumming e infine da una voce filtrata in sottofondo. Ma è li dietro l'angolo, lo sento, la minacciosa furia che si andrà ad abbattere sul mio capo. Ma la song singhiozza, sembra essere sempre sul punto di esplodere, ma nulla fino a poco dopo la sua metà, in cui finalmente il male oscura il cielo e mi inghiotte nella gelida notte con un assolo finale da applausi. Forse un po' influenzati dai Primordial, con qualche reminiscenza, almeno nella sofferenza vocale, agli Shining (quelli svedesi), ma l'attacco non è affatto male; poi è il turno della malinconica "Dome of the Warders" (da cui anche un video girato sulle Alpi Venete e sulle Dolomiti) che mi mostra una faccia diversa, decisamente più matura del quintetto di Rimini, che sembra rifuggire da un black metal tempestoso, ma abbraccia sonorità più miti e vicine a primi Katatonia o ai nostrani Forgotten Tomb, il tutto avvolto da un'aura che sa di mistici suoni cascadiani, con tanto di break acustico che mi fa decisamente sobbalzare dalla sedia. SPLENDIDO. Niente da dire, i Deadly Carnage con questo pezzo hanno toccato la mia anima più scura. Un'incorporea danza nella mia meditabonda mente che si lascia trasportare dal flusso di coscienza che permea questo album, percepibile attraverso i suoi suoni e attraverso un eccezionale assolo di flauto traverso. Se il disco finisse qui sarebbe un 10. Ma altre cinque sono le tracce che mi attendono: "Carved in Dust" è una bella e classica cavalcata di metallo nero sporcato da influenze post black d'oltre oceano. "Beneath Forsaken Skies" palesa l'amore del combo italico per un dualismo black doom: incedere lento, costrittore e strisciante prima di un'apertura più melodica, con la sofferente voce di Marcello in primo piano. Registrato, mixato e masterizzato da Mirco Bronzetti al De Opera Studio di Viserba, 'Manthe' si dimostra sicuramente un album intrigante. Il basso di Adres apre "Il Ciclo della Forgia" accompagnato dalle belle chitarre acustiche del duo formato da Dave e Alexios. Il feeling riporta nuovamente al sound pagano di Alan Nemtheanga e soci, il drumming ossessivo di Marco e l'utilizzo della lingua italiana in questo modo, rievocano la mitica "Roma Divina Urbs" degli Aborym. Pollice alto. "Electric Flood" mi sa molto da riempipista, song black punk che in questo contesto ho trovato un po' fuori luogo, sebbene nella sua seconda metà si riprenda non poco. Giungo alla monumentale (14 minuti) e conclusiva title track, in cui i Deadly Carnage ci rigettano nella catartica disperazione, figlia del suicidal depressive black metal del Nord Europa. Ma dopo un paio di minuti, il break di basso che non ti aspetti (che si ritroverà anche sul finire), che rende sicuramente più interessante il brano, che da li a poco, riprenderà a percorrere i binari del black doom, ma con una luce sicuramente più evocativa, espressiva ed epica, complici le chitarre che si inseguono in ipnotici giri fatti di luci e ombre. Ma la song è magmatica, dinamica, un'eruzione di umori e sensazioni che nel loro energico flusso, riusciranno al termine dell'ascolto, a placare il mio animo inquieto, confermando l'eccelsa qualità raggiunta dai nostri, in termini sia compositivi che esecutivi. Deadly Carnage, la sorpresa che non ti aspetti! (Francesco Scarci)

(De Tenebrarum Principio - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/DeadlyCarnage?ref=ts

domenica 2 marzo 2014

Lamúria Abissal - Cânticos de um Além Abismo

#PER CHI AMA: Depressive Black, Shining
Il depressive black metal è un genere particolarmente espressivo, che si affida alla profondità della sue note per passare il suo messaggio. Si può dire che è difficile essere veramente espressivi quando si fa musica, e che molti gruppi falliscono nel loro tentativo di toccarci emotivamente. Posso dire certamente che non è questo che fanno i Lamúria Abissal. Con i loro testi ben scritti e la loro proposta, ci conducono ad una trance tenebrosa, e la loro demo di debutto, mostra come il black depressive deve essere fatto. Io descriverei la loro musica come un black molto pesante, in cui vi è molta interazione tra i riff di chitarra ed i suoni di tastiera, che creano alla fine un coinvolgente feeling profondo. Pur essendo nuovi in un genere già di per sé relativamente nuovo, i Lamúria Abissal suonano come un gruppo “old school” di depressive black, mostrando influenze da gruppi seminali come Shining o Silencer. Ciò che richiama l’attenzione sono poi i testi. Non sono verseggiati come accade normalmente, ma cantati in modo continuo e slegati, come farebbe un vero animo depresso che declama le sue angosce. Pur suonando naturali, le liriche si riveleranno assai poetiche, rammentando il romanticismo del XIX secolo. 'Cânticos de um Além Abismo' è una grandiosa demo che mostra il talento da vendere di questi musicisti, corredati da testi e strumenti meravigliosi. Da seguire. (Raphael de Souza Camisão)

(Depressive Illusions Records - 2012)
Voto: 80

http://www.facebook.com/lamuriadsbm

mercoledì 8 gennaio 2014

Orob - Into the Room of Perpetual Echoes

#PER CHI AMA: Black Progressive, Samael, primi Katatonia
Un enigmatico intro apre il secondo EP dei blacksters francesi Orob. 'Into the Room of Perpetual Echoes' è un bell'esempio di black progressivo contaminato da sonorità post-metal che consentono al combo di Tolosa di prendere le distanze sia dal movimento post black che da quello più prettamente post metal. "The Pathway" è una song ben bilanciata tra sfuriate black, aperture progressive e fraseggi post, con il vocalist che si dipana tra uno screaming feroce e un cleaning cibernetico. E' forse con la successiva "Marrow" che i nostri mi convincono maggiormente: si tratta di un sound oscuro marcatamente mid tempo, dalle venature elettroniche, che ammicca ai Samael, ma che percorre al tempo stesso un proprio sentiero personale fatto di tempi dispari, improvvise accelerazioni e ritmi sincopati. "Celestial Abandoned" è una dark song estremamente controllata, il cui incedere ha un carattere minaccioso che rimarrà tuttavia tale per tutta la sua durata. Continuo ad apprezzare la performance di Thomas Garcia alla voce, sia nella sua forma granguignolesca che litanico-depressiva. Probabilmente la traccia risulta essere un po' troppo piatta lungo i suoi quasi nove minuti, ma quel suo giro di chitarra ipnotico, suona molto Katatonia era 'Brave Murder Day', il che mi piace e non poco. "Through Roots and Burrows" nel suo liquido inizio ha un tono malinconico e nelle sue note emergono le influenze post rock della band transalpina, prima che irrompa la parte più tirata dell'album, tuttavia si tratta della song che meno mi ha impressionato del disco: piatta e sconclusionata, troppo ancorata ad una tradizione old school, anche se al minuto 5, forte è il desiderio di divagare dal seminato e proporre qualcosa di più sperimentale, quasi avanguardistico, seppur sotto una luce catacombale. A chiudere il lavoro ci pensa "Neptune's Torch", un'altra song dal ritmo tirato (qui l'influenza del post black è palese) in cui vorrei segnalare assolutamente il brillante assolo finale che innalza qualitativamente la valutazione finale di questo lavoro, a cui vi suggerisco di dare una chance per scoprire una nuova interessante realtà musicale, gli Orob... (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/orobband

lunedì 2 dicembre 2013

Autumnblaze - Every Sun is Fragile

#FOR FANS OF: Gothic atmospheric rock/metal, Katatonia, Alcest, AnathemA
Autumnblaze formed in Saarland, Germany back in 1996, after releasing a demo in 1997 and an EP in 1998 they release their first long player 'DammerElbenTragodie' in 1999. Somehow this band has flown under my radar for fifteen plus years. When asked if I would like to review the album, I accepted the challenge with open arms and an open mind. However, because of my ignorance to their previous works, I will not be able to talk about how they have or have not progressed as band. But, this is a review of their current release, so that's exactly what I will do. 'Every Sun is Fragile' is the sixth full length release from Autumnblaze. The style of music played here is "gothic, atmospheric rock/metal". The bands that come to mind when trying to describe their sound would be Katatonia, Anathema, and Alcest. Autumnblaze walk the line between rock and metal, jumping back and forth with varying amounts of success. There are some clunkers on this album, but they do succeed at creating some memorable songs as well. After a nice little instrumental intro, the first proper song on the album, "New Ghosts in Town", has a 'Viva Emptiness' era Katatonia vibe to it. It maintains this vibe throughout most of the songs seven plus minutes, however the last minute of the song builds into a Alcest-esc finish. This is a good song and it peaked my interest and excitement of the band it took me all this time to hear. "Im Spiegel" draws the listener in with it's punchy riff that has very jumpy feel to it. Probably being the most metal song, with hits heavy distorted guitars and harsh vocals, shows how these guys jump from rock to metal with relative ease. This track is followed by the balladish "Mein Engel, Der Aus Augen FileBt". This song shows the band doing what it does best. I believe they feel at home and most comfortable playing the softer rock style tunes. This is very apparent on "How I Learned to Burn My Teardrops". This is my favorite song on the album. An absolutely beautiful song that leaves the listener somewhere between tears of sorrow and joy. Another definite winner on the album is "A Place for Paper Diamonds". This song has all the feel and beauty of the previous song mentioned with a little of their heavier moments sprinkled in. This works perfectly here, where it seems to fail elsewhere on the album. 'Every Sun is Fragile' is a good album with hints of greatness. I feel that at fifty-four minutes it's a little too long. There is some filler here. I would like to see Autumnblaze craft more songs like "How I Learned to Burn My Teardrops" moving forward. Even though there are some clunkers here, there are enough good moments that make this a worthwhile purchase. (Brian Grebenz)

(Pulverised Records - 2013)
Score: 70

http://autumnblaze-kingdom.com/

sabato 26 ottobre 2013

Petrychor/Frozen Ocean - Autumn Bridges

#PER CHI AMA: Cascadian Black Metal
Come nella più classica competizione sportiva, ecco scontrarsi i contendenti delle due super potenze mondiali, da una parte gli statunitensi Petrychor e dall'altra i russi Frozen Ocean, quest'ultimi amici di vecchia data del Pozzo dei Dannati. Ad aprire le danze di questo split, ci pensa il cascadian black del mastermind californiano, Tad Piecka. “Tomorrow it will Rain Over Bouville” è una traccia di undici minuti che mischia il folklore degli Agalloch con la furia chitarristica e vocale dei Wolves of the Throne Room e la malinconia dei Panopticon, per un risultato davvero intrigante. Sprazzi acustici, un'alternanza umorale e intermezzi tribali ne completano l'opera. È la volta della one man band russa e di “To Drown in Hoary Grass”. Sappiamo quanto sia eclettico il musicista russo (punk, black, elettronica e ambient nel suo repertorio): qui ci propone due pezzi di black dal forte sapore epico: le sfuriate a livello ritmico non mancano di certo, ma come al solito sono le parti atmosferiche a farla da padrone in cui il buon Vaarwel ci spinge in una performance vocale di notevole spessore con voci assai evocative. L'unico neo nel sound della band russa, rimane quel tappeto ritmico affidato alla drum machine che molto spesso mi fa storcere il naso, per il suo suono cosi artificiale. Chiude la title track, una song strumentale dal flavour cibernetico, che fondamentalmente funge da outro ad uno split che in 23 minuti riesce a regalare sprazzi di buona musica. Sinceramente ne avrei graditi di più, ma confido nelle enormi potenzialità delle due band di offrirci nuovi album completi ricchi di quella componente black naturalista, ascolta quest'oggi. Un plauso ad entrambi. (Francesco Scarci)

(Wolfsgrimm Records - 2013)
Voto: 75

http://petrychor.com/
http://frozen-ocean.net/

giovedì 3 ottobre 2013

Svart - Det Personliga Helvetets Spiral

#PER CHI AMA: Depressive Black, Shining
Se state soffrendo per la mancanza del capitolo numero 9 degli svedesi Shining (l'8½ non conta), non dovete fare altro che acquistare a scatola chiusa questo disco. Non solo perchè gli Svart sono il side project del bassista degli Shining stessi, ma perché non posso negare che “Det Personliga Helvetets Spiral” abbia un sound che richiami quello della band madre. Poco importa perchè il risultato è davvero convincente. L'arpeggio iniziale in “Genom Förgängelsens Dimmor“ e comunque la chitarra acustica che domina le ritmiche dei nostri, ha un fascino davvero intrigante per quella sua aura palesemente depressiva. La prima traccia ha da offrire una proposta ruvida nelle parti più aggressive con le harsh vocals di Draug che si alternano a quelle pulite dei momenti più rilassati, in cui ad emergere è un inedito ibrido post rock/suicidal depressive. “De Ogudaktigas Abyss” ha un piglio più thrash oriented con le chitarre che suonano molto southern, stile Glorior Belli. La song è abbastanza incazzata ma non mi convince granchè; skippo a “Hädanfärd”. Si tratta di una marcia funebre strumentale scritta e composta da Seya Ogino (la prima guest del disco proveniente dagli Acacia), in cui la tetra atmosfera che si respira, odora d'incenso. Il deprimente pianoforte suona spettrale lungo tutto il suo desolato cammino. Catturata nuovamente la mia attenzione, si passa alla title track, minacciosa e mortifera song di otto minuti in cui alle vocals appare Ulf Nylin (Acacia, Murmur, Korpblod), il nostro secondo ospite che offrirà la sua eccellente performance vocale anche nella violentissima “Moder Jords Svärtade Sköte”. Qui invece il ritmo è lento e assai cupo, con i vocalizzi demoniaci del duo Ulf/Draug ad incutere un raffinato timore. Il suono delle chitarre suona ovviamente come gli Shining, non mi dispiace, ma forse Draug dovrebbe migliorare quest'aspetto della sua musica, per non cadere nel facile paragone tra la sua creatura e quella di Niklas Kvarforth. Certo che quando il mastermind svedese inizia a premere sull'acceleratore c'è da aver paura, proprio come nel feroce epilogo del quarto brano. “Suicidiums Evinnerliga Bävan” è un nome e un programma: efferata ed epica, si tratta di un black mid-tempo dalle tinte fosche ma pregne di quella eroica fierezza che contraddistingueva i pezzi dei Bathory. Niente male davvero. Ecco quello che volevo, un po' più di distacco dagli Shining e maggiore voglia di spaziare tra più generi ed influenze; riproporre poi lo spirito di Quorthon, non è quel che si dice una cattiva idea. Il finale poi è carico di trasporto, per uno strepitoso risultato. Di “Moder Jords Svärtade Sköte” vi ho già accennato: song brutale, contraddistinta da ferali blast beat, che nel suo cuore centrale, si abbandona fortunatamente, a splendide e malinconiche atmosfere ancestrali. A chiudere il disco ci pensa “Agnosis”, una sinfonica melodia che mette a tacere l'anima tormentata di Draug. Un disco interessante, ma dal sagace mastermind svedese mi aspetto, per una prossima release, una maggiore distanza da quelli che sono i dettami di casa Shining e pertanto una maggiore personalizzazione della propria musica, peraltro già di per sé molto buona. Disperati. (Francesco Scarci)

(Art of Propaganda - 2013)
Voto: 75

https://www.facebook.com/svartofficial

martedì 10 settembre 2013

Existe - Et de Longs Passages Douloureux...

#PER CHI AMA: Post Black, Wolves in the Throne Room
Gli Existe sono una one man band proveniente dal Canada, capitanata da Cyril Tousignant, responsabile di tutti i suoni e liriche di questo EP di quattro pezzi. Il cd si apre con una overture di tre minuti, che fa da preludio alla furia primitiva della title track, sette minuti di black che mischia sonorità old school con nuove influenze post che si concretizzano nel break che la band concede dopo il primo minuto e mezzo, fatto di suoni malvagi, un semplice arpeggio, vocals sussurrate e infine uno squarcio elettrico affidato ad una flebile chitarra, prima di un esplosivo e deflagrante finale. “...Pour une Harmonie Rechergée” ci offre altri otto lunghi minuti di sonorità post-black, belluine screaming vocals e ruvide atmosfere, che sfociano quasi nel noise. Peccato la produzione non sia delle migliori e che quindi molto spesso i suoni si impastino tra loro, facendo capire ben poco del caos sonoro che fuoriesce dai malefici strumenti di Cyr. Ciò che mi colpisce maggiormente è invece il continuo alternarsi di tempi e atmosfere; sembra quasi osservare il cambio delle quattro stagioni in un sol giorno, il che rende il risultato finale assai ricco in fatto di dinamicità. Ottimi gli intermezzi classici affidati a quei tocchi soavi di pianoforte, un pizzico di malinconia derivante dal pianto di un neonato, le voci lontane di un paese sul chiuder del giorno e le onde del mare che si infrangono sugli scogli. La musica degli Existe è interessante, ha il difetto di non esser stata assemblata nel migliore dei modi e di suonare abbondantemente raw, ma poco importa, i margini di miglioramento si mostrano assai ampi. Pertanto, andare avanti sulla propria strada è l'unica cosa che mi sento di dire agli Existe. (Francesco Scarci)

giovedì 8 agosto 2013

The House of Usher - Radio Cornwall

#PER CHI AMA: Dark Gothic Rock, The Cure, Joy Division
Ricevo questo doppio cd, ormai datato 2005 ove troneggia l'immagine di un re con tanto di barba e corona, come da tradizione medievale: inserisco il cd nel lettore e chiudo gli occhi, lasciandomi trasportare dal gothic rock teutonico. "Wherever the Storm May Drop Us" inizia con suoni distorti, per arrivare poi ad una voce che ricorda i Joy Division e i Cure; tutta la canzone è caratterizzata da un'atmosfera cupa, scura, quasi pesante, un goth-rock pulito e piacevole, tranquillo e non impegnativo. "More than Average" si presenta con una voce più acuta pur mantenendo una atmosfera dark: gli strumenti in primo piano sono il sintetizatore e la batteria, mentre in secondo piano vi sono anche chitarra e batteria. Questo brano si avvale anche della collaborazione di una voce femminile per i cori. "A Dead Man's Hand" inizia con spari, elicotteri e urla lasciando poi il posto ad un brano grintoso, cattivo, potente, più dark rispetto ai precendenti ma di grande impatto. "Hide and Seek" è già più calma, con un largo uso di chitarra-batteria e una voce semi-grave, matura. Un brano che accompagna facilmente i pensieri, senza infastidirli, terminando con note di pianoforte e tastiere. "Will You Know Me" ricalca lo stesso ritmo, cambiando solo la velocità: questo brano è un po' più veloce, ma senza risultare troppo duro, insomma rimane sempre nell'ambito rock, senza mai nemmeno timidamente fare capolino nel reparto metal. La sorpresa di questa traccia è la voce femminile che canta in francese, molto dolce e gradevole. "For Better for Worse" è ancora più cupa, degna della migliore tradizione “joy divisiana”: malinconica, funesta, deprimente, persino profonda. Siamo giunti a metà album e ci si presenta la title track, "Radio Cornwall": appena percettibile c'è l'inno americano all'inizio, mentre la canzone risulta bella carica. "The Floor She Walked Upon" ha un tono più solenne e accattivante: personalmente lo reputo uno dei brani migliori di questo album, proprio per la vita che contiene. Il brano sembra essere uscito dai primi anni '90, grazie soprattutto all'uso di tastiere e suoni campionati. "It Doesn't Matter" si mette in luce per uno stampo più industrial e un ritmo più dinamico mentre "Throwing Stones at the Wind" ha un'impronta più allegra: sembra quasi che la band voglia spogliarsi del velo mesto che li circonda, per lasciare spazio ad un sentimento più positivo: quel che ci voleva dopo un album colmo di oscurità. Con "Le morte d'Arthur" arriviamo così alla fine del cd: chitarra e batteria acustiche, voce lugubre, tono solenne e voce femminile, sono gli elementi che caratterizzano il brano, quasi a voler sottolineare la tristezza che la morte porta. Solo verso la fine il ritmo si fa più incalzante, si desta dalla malinconia e riprende la forza trovata nel brano precedente. Come detto all'inizio, quest'opera si avvale di due cd, di cui il secondo contiene sia la già citata “A Dead Man's Hand”, che altre 4 canzoni composte negli anni precedenti, più orientate a suoni di stampo epico/medievale. Non è stato così semplice recensire l'album, causa brani che di base si assomigliano tutti, e che dopo un po' inducono noia nell'ascoltatore. Necessita comunque di essere sentito più e più volte, perché solo in questo modo si capteranno le diverse sfumature. Consigliato a chi ama il dark-rock dei Cure o dei Joy Division. (Samantha Pigozzo)

(Equinoxe Records)
Voto: 60

http://www.the-house-of-usher.de/

giovedì 18 aprile 2013

Seaeye - Journeys Beyond Time

#PER CHI AMA: Shoegaze, Alcest
I cd da recensire stanno aumentando pericolosamente sulla mia scrivania e allora meglio darsi da fare quest’oggi e andare a ad ascoltare quello che dovrebbe essere il debut EP degli ucraini Seaeye. Flebili e romantiche note aprono i due minuti introduttivi di questo “Journeys Beyond Time”, prima che i tocchi alla sei corde di Mr. Mephisto (il factotum della band), lascino intendere palesemente la direzione stilistica dell’ensemble, che si palesa sia a livello strumentale che vocale. Leviamo quindi quel velo di mistero tenuto fino ad ora e diciamo che il mastermind di Kiev, paga un pesante dazio allo shoegaze dei francesi Alcest. Non faticherete pertanto ad immaginare il sound dei nostri fatto di un mix di chitarre acustiche ed elettriche, soffuse atmosfere malinconiche, vocalizzi che si rifanno pesantemente al buon Neige (ma senza mai sfociare nello screaming) e ovviamente qualche rara scorribanda chitarristica in territori black. Ampio spazio è lasciato alla musica che dipinge paesaggi spogli con gonfi nuvoloni carichi di pioggia, ma non quella dei temporali estivi, bensì quella costante e battente sulle finestre, nelle corte grigie giornate autunnali. È il caso della title track , lunga song completamente strumentale o delle successive “Solar Shine”, dove di solare c’è ben poco e “Like a Swallow”, la traccia forse più movimentata del lotto, ma anche quella meno aggraziata ed elegante. “Sunset” è l’outro che chiude questo positivo lavoro che non fa che aumentare le attese e le mie aspettative per questo nuovo combo ucraino. (Francesco Scarci)

lunedì 4 marzo 2013

Black Autumn - The Advent October

#PER CHI AMA: Black Depressive, Ambient
Un inizio che sembra più da celebrazione di matrimonio, apre questo nuovissimo EP della misteriosa one man band tedesca dei The Black Autumn, che io avevo seguito in occasione del demo “Isolation”, ma di cui poi sinceramente ho un po’ perso le tracce. Li ritrovo ora, con un EP nuovo di zecca, licenziato dall’abilissima Obscure Abhorrence Productions in co-produzione con la nostrana Bylec-Tum, scopro che nel frattempo, Mr. Krall (il detentore della band) ha fatto uscire ben quattro album e io mi domando che cosa ho combinato negli ultimi anni, dormivo forse? A parte queste mie inutili considerazioni, mi accorgo però che il sound del nostro factotum tedesco non si è mosso granché da quegli esordi, che facevano dei suoni glaciali, melodici e depressive, la matrice di fondo dell’act teutonico, se non per un notevole ingentilimento di quella proposta. Si parte con la title track, song tranquillissima che mostra delle ambientazioni al limite del post rock, spruzzato di un velo shoegaze, con un’aura black sempre incombente, che riemergerà qua e là nel corso della composizione (ad esempio nel roboante incedere conclusivo di “Dortke Mor”). Poi è la vena malinconica a avere maggiormente il sopravvento, con l’acustico incipit di “Dead as Martyrs March”, il marziale avanzare delle sue chitarre e le maligne vocals di Michael che, nella loro rara presenza, squarciano la funerea coltre di nebbia che ammanta questa release. “A Silver Line of Light” chiude questo EP, con il suo feeling disperato, denso di emozioni che gravano come un macigno sulla mia anima. Deprimenti! (Francesco Scarci)

(Obscure Abhorrence Productions - Bylec-Tum)
Voto: 65

https://www.facebook.com/blackautumn.band

domenica 2 dicembre 2012

Netra - Sørbyen

#PER CHI AMA: Suoni molto sperimentali
A molti di voi il nome Netra non dirà nulla, a me invece dice tanto, e per questo infatti li attendevo al varco con la loro seconda fatica, sempre targata Hypnotic Dirge Records. La one band band francese si ripropone con un imponente lavoro di ben 70 minuti, che li per li mi ha lasciato decisamente spiazzato, per i suoi contenuti. Devo essere sincero al primo, forse al secondo, ma anche al terzo ascolto, mi sono sentito deluso dalla nuova performance di monsieur Netra, vuoi per dei suoni troppo freddi che non ne risaltano quel giusto calore che una release di questo tipo dovrebbe emanare, vuoi anche per un suono delle chitarre un po’ troppo lineare. Al quarto ascolto però qualcosa è straordinariamente mutato nella mia testa, e il pianoforte che apre “A Dance with the Asphalt” ha iniziato a minacciare la mia tempra morale e indurmi a rivedere il voto di questo sorprendente “Sørbyen”. “Mélancolie Urbaine” è ormai un ricordo lontano, mettetelo da parte; “Sørbyen” è un sussulto continuo emozionale che dalla delicata apertura della opening track, che ben presto si tradurrà in una cavalcata black (Burzum style) con tanto di urla belluine, si passa alla successiva psichedelica “Crawling”, che sembra provenire piuttosto da un album degli ultimi Muse. Si, ecco immagino di avervi già disorientato, e non poco, perché è la stessa sensazione che ha lasciato a me. Vocalizzi puliti su una base di synth e batteria, prima che una chitarra funambolica prenda il sopravvento e induca la mia pelle d’oca a sollevarsi di due dita. Peccato solo per questa maledetta pastosa produzione, che manca decisamente di pulizia nei suoni. Poco male, posso anche soprassedere; intanto parte la quasi catacombale e strumentale title track e l’impressione è di aver già ascoltato tre brani di altrettante band che giungono da panorami differenti. Divertente no? Ancor di più quando un killer riff apre, accompagnando il rutilante incedere di un drumming impazzito, la quarta traccia, “A Kill for a Hug”, che puntualmente evolve nel modo più inatteso possibile, andando ad esplorare per un minuto i territori trip-hop del precedente lavoro, per poi scatenarsi in un impetuoso turbinio evocativo di suoni, luci, pensieri e colori che mi fanno finalmente realizzare. Eccoli i veri Netra, quelli che ho apprezzato enormemente due anni fa: e quindi, per quale motivo stupirsi se nei solchi di questo cd possiamo imbatterci nel black metal in stile norvegese, o in un elettro sound; che sciocco spaventarmi di fronte al “tump tump tump” tribale del trip-hop o a deliranti giri psichedelici di pink floydiana memoria (“Emlazh”), epici scenari innevati (“Streetlamp Obsession”), song strumentali, divagazioni di matrice jazzistica, vere pop dance song o ninne nanne? Non siate ottusi neppure se accanto alle lancinanti urla del mastermind transalpino su una base romantico/malinconica/drum’n bass, potete trovare vocals soffuse, recitate o pulite, piazzate magari su epiche galoppate o drappeggi di suicial depressive black metal. Ancora una volta, questi sono i Netra e vi intimo di farne presto ascolto, potreste scoprire nuove forme di musica che pensavate non potessero esistere o addirittura potrebbero dischiudersi le porte del paradiso… o dell’inferno. (Francesco Scarci) 

(Hypnotic Dirge Records)
Voto: 80