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martedì 17 agosto 2021

The Nerve - Audiodacity

#PER CHI AMA: Groove Metal, Rage Against the Machine
Era il novembre 2013 quando usciva questo funambolico disco da parte degli australiani The Nerve. Ed io che ero convinto che la label australiana fosse focalizzata quasi esclusivamente sul post rock/metal, vengo smentito dalle bordate di questo 'Audiodacity'. Per la serie ristampe da oltreoceano (Indiano questa volta), ecco il poderoso sound di questi musicisti (membri di Mammal, COG e Pre-Shrunk) che ci scaricano addosso badilate di melma infuocata. L'iniziale "14 Again" sembra un pezzo pescato dalla discografia dei Pantera, la successiva "Witness" fa l'occhiolino invece ai Rage Against the Machine, con quel rifferama sincopato ed un cantato quasi rappato, con una porzione solistica davvero avvincente ed un finale che pesca addirittura dai Faith No More. C'è un po' di tutto degli anni '90 in questo disco, facendomi sobbalzare e poi cadere dalla sedia. Il cantato rappato torna anche in "Poser (First World Problems)", altra hit di poco più di due minuti e mezzo che spingono a quel classico pogo isterico di massa. Ancora bei riffoni per "Be Myself" che evocano un che dei Pantera, con la linea di chiterra un po' più edulcorata ed una voce qui molto vicina al buon Mike Patton. I pezzi vanno ascoltati tutti d'un fiato, per questo mi lascio tramortire dall'hard rock robusto di "Excuse Me" senza farmi troppe domande, un pezzo che prende però le distanze dai pezzi ascoltati sin qui. Non male per groove e potenza ma forse ho maggiormente apprezzato i precedenti brani, sebbene assai più derivativi. Un plauso va sempre alla sezione solistica, sia chiaro. Si torna a volare con "There May Come a Time" ed un sound sempre ricco di melodia, rabbia ed energia che spinge all'headbanging furioso, enfatizzato ancor di più da esplosioni alla chitarra solistica. Ancora un rifferama di scuola texana per "The Insight" ed un cantato qui che potrebbe anche emulare un che di Phil Anselmo. In chiusura, l'indiavolata "Respect", che mette sotto i riflettori l'eccellente performance vocale del sempre bravo Ezekiel Oxe e del mago della chitarra Glenn Proudfoot. Bravi e convincenti. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2013/2021)
Voto: 75

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/audiodacity

venerdì 30 luglio 2021

MaB - Decay

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'ultracorposa invasione di palco da parte delle MaB al grido di "Su cunnu e Maomettu" e la cybermutazione di "Voglio vederti danzare" da tormentone-sta-finendo-il-concerto-di-Battiato in megatonica bordata hardcore da sangue nei padiglioni sarebbe stato, per chi c'era, il miglior imprinting nei confronti di questo schizofrenico album d'esordio, in cui però le quattro esangui fanciulle sarde giocherellano coi noise-clichet anninovanta inzuppando Hole, L7, muri di suono in un sulfureo magma alcalin-goth a base di Siouxie ("Astrophel"), Tarja ("Last Tango in London"), Amy Lee ("Black") e forse Alice Cooper. Immanenti i suoni, eteree le composizioni. Intriga e al contempo intenerisce lo sguaiato operettismo di Psycho Jeremy. "Adrenalina" è una cover dell'omonimo pezzo di Giuni Russo e Rettore. Trovatemi un qualunque metallaro, borchioso e no, che ne fosse informato. (Alberto Calorosi)

(Casket Music - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/mabofficial/

giovedì 22 luglio 2021

Il Wedding Kollektiv - Brodo

#PER CHI AMA: Art Rock/Alternative/No Wave
Alessandro Denni (synth e programming) è la mente di questo interessante progetto, denominato Il Wedding Kollectiv, sviluppatosi musicalmente tra Roma e Berlino, dove è stato registrato (il moniker stesso della band deriva dal nome di un quartiere multiculturale della capitale tedesca). La prima cosa che salta all'orecchio ascoltando questa release di debutto della band capitolina, dal titolo azzeccatissimo, 'Brodo', è l'attitudine poetica dei testi, curati dalla giovane scrittrice romana, JFL, che caratterizzano il canto di una Tiziana Lo Conte in perfetta forma vocale che, sensuale ed intrigante, spesso tesa e misteriosa, si muove con stile tra le parole trasversali di nervose ed affascinanti scritture, cavalcando con classe composizioni cariche di teatralità. Un'ottima performance vocale che esalta il ricordo della sua lunga militanza in band iconiche come Gronge, Goah e Roseluxxx, e proprio di questi ultimi, si sente una buona influenza (si ascolti l'album 'Resti di una Cena'), sottraendone però il lato più rock. Colpisce anche l'istinto no wave che si aggira all'interno di tutte le tracce, una commistione tra avanguardia elettronica alla The Knife/Fever Ray, un lato cameristico alla maniera della Penguin Caffè Orchestra ed un pizzico della follia di musiche da culto come quelle prodotte dal mitico Confusional Quartet e Gaznevada, unite in maniera bizzarra da una vena cabarettistica, teatral-recitativa ("L'Astronomo") fino ad arrivare alla canzone d'autore e ad un certo acid jazz minimalista e sintetico. Tutto questo impasto sonoro è impreziosito dalla presenza di vari ospiti, Claudio Moneta alle chitarre, Inke Kühl al violino e sax, Chiara Iacobazzi alla batteria, Federico Scalas al basso e violoncello, Stefano Di Cicco alla tromba, per un sound difficile da inquadrare, assai stimolante, vivo e libero da vincoli di genere, cosa che lo rende molto piacevole sin dalla prima ottima traccia, "Ipersfera Relazionale". 'Brodo' è un lavoro che in poco più di venti minuti, traccia un solco incolmabile tra quello che la musica italiana, per così dire leggera, dovrebbe e potrebbe essere, e quella patacca sonora che ci viene propinata da tempo immemore. Una musica con brani che si avvalgono di una produzione preziosa, per una manciata di canzoni, complesse e ricercate, ragionate ed intelligenti. Venti di rock-in-opposition ed elettronica anni '80 per l'inizio di "Sabato 16 Giugno", con quel suo testo suggestivo e la voce vellutata, un sax astrale e quelle venature jazz a creare qualcosa di così distaccato dalla solita routine italica, che solo Cosey Fanni Tutti o le gesta eroiche dei Tuxedomoon sono riusciti a toccare. "A Proposito del Tuo Candore" chiude poi il cerchio, mostrando il lato più rock oriented del collettivo italico, con una registrazione che ricorda nei suoni, un miscuglio tra i Morphine di 'Like Swimming' e alcune cose alla P.J. Harvey, per una composizione diversa dalle altre presenti nel cd, più ipnotica e ariosa ma anche molto più psichedelica ed oscura nelle sue sonorità più classiche. Con 'Brodo' ci troviamo alla fine di fronte ad un ottimo disco, che per i canoni italiani odierni, è da considerarsi un lusso che non tutti possono permettersi, paragonabile a mio avviso, non per similitudine sonora ma per estro creativo, ad 'Aristocratica', il magico capolavoro dei Matia Bazar uscito nei primi anni '80. Ascoltare per credere. (Bob Stoner)

(Neontoaster Multimedia Dept. - 2021)
Voto: 74

https://ilweddingkollektiv.bandcamp.com/album/brodo

lunedì 19 luglio 2021

Amusement Parks on Fire - An Archaea

#PER CHI AMA: Shoegaze/Alternative/Dream Rock
Ci hanno impiegato ben 10 anni a tornare sulle scene i britannici Amusement Parks on Fire, dopo il successo ottenuto con 'Road Eyes'. La band di Nottingham si era fatta notare da Geoff Barrow dei Portishead che ne aveva promosso il debut nel 2004. Poi il secondo disco l'anno successivo, il già citato 'Road Eyes' nel 2010 ed infine il lungo silenzio rotto prima dall'EP 'All the New Ends" nel 2018 e da 'An Archaea', il nuovo album. Un altro disco un po' border-line, diciamoci la verità, per quanto siamo abituati a pubblicare qui nel Pozzo, nonostante il medesimo venga etichettato come shoegaze, indie rock, ma forse l'etichetta più corretta sarebbe dream pop. Diciamo che per come si presenta l'opener "Old Salt", con quelle sue morbide chitarre e quei vocalizzi ancor più eterei, non è che mi abbia del tutto entusiasmato. Si certo, ci sono echi che riportano a Slowdive e My Bloody Valentine, le chitarre mostrano tratti di una certa rudezza, ma la voce di Michael Feerick non mi fa affatto impazzire. I nostri sembrano irrobustire la propria proposta con la successiva "No Fission", ma è solo una parvenza legata alle chitarre inizialmente più tirate, ma non appena la voce si palesa, si placa anche tutto il comparto ritmico, non offrendo mai uno spunto realmente vincente. "Diving Bell" è un intermezzo strumentale propedeutico a "Breakers", che si apre con una bella botta di batteria in stile Dredg ai tempi di 'Catch Without Arms', tema percussivo che si ripropone a più riprese in un brano sostellato da fraseggi post rock. "Aught Can Wait" esalta i vocalizzi onirici di Mr. Feerick e a quel punto mi convinco che i nostri si possano solo amare o odiare e se non si entra in sintonia con la voce del frontman, il rischio di odiarli si fa assai probabile. Tuttavia, rimango stupito qui da un comparto chitarristico fuori dagli schemi, disarmonico e imprevedibile che mi consente di guardare la band sotto una luce diversa e forse apprezzarli per quello che non ho sentito fino ad ora. Sembra quasi iniziare un nuovo disco per me da questo brano in poi che sembra scomodare anche un che dei Radiohead più sperimentali, in quella che comunque è per me la migliore canzone (forse anche la più chiassosa) del lotto. Un altro strumentale di raccordo all'insegna del noise pop, ed è tempo di "Boom Vang", la song da cui è stato estratto il video di promozione per il disco: bel riffing introduttivo, voce di Michael a prendersi la scena, e la sei corde a costruire psichedelici riff su tempi dispari, quasi a voler dimostrare che oltre al cuore ci sia anche una buona dose di tecnica in queste note. Certo, non tutte le tracce escono col buco e la malinconica "Atomised" alla fine rientra tra i punti deboli del disco. La band inglese prova a risollevare le sorti con la title track ma si tratta di un pezzo molto, ma molto pop, quasi un tributo ai Beatles, complice anche quel pianoforte di accompagnamento che in realtà non fa mai decollare il brano. Ultima traccia affidata alle note soffuse di "Blue Room" che chiude in modo un po' troppo scontato un disco che francamente mi sarei aspettato di ben altro spessore. Lo dicevo che gli Amusemet Parks on Fire si amano o si odiano, e mi sa che io rientro nella schiera dei secondi. (Francesco Scarci)

Voto: 63

Gli Amusement Parks On Fire (APOF) sono una vecchia conoscenza in ambito shoegaze e post rock. Prodotti per la prima volta nel 2005 da Geoff Barrow dei Portishead, sono attivi fin dal 2004 con una certa continuità fino al 2010, anno in cui la band inglese decide di prendersi una lunga pausa musicale. La band capitanata da Michael Feerick (voce e chitarre) ha forgiato la sua forza compositiva attingendo al sound di band come My Bloody Valentine, Swervedriver, The Boo Radleys ed ha continuato a farlo con ottimi sviluppi e risultati fino ai giorni nostri. Gli APOF sono da considerarsi un esempio di coerenza stilistica, poiché la loro formula, all'interno di un genere che oggi non è più in voga ed è considerato un culto per pochi estimatori dal mainstream, risulta ancora fresca e ispirata come ai fasti di un tempo. Il risveglio creativo del 2017 ha portato buoni frutti e probabilmente questo nuovo disco dal titolo 'An Archea' (titolo che dovrebbe aver a che fare con le molecole di energia in chimica) è forse il lavoro che racchiude il succo delle produzioni precedenti, ottime prestazioni soniche fatte di lisergiche distorsioni, solarizzate all'inverosimile, affascinante noise pop colorato, psichedelia e visioni rarefatte, un caleidoscopio di emozioni tenui, momenti di ipertensione e melodica, rumorosa allucinazione, combinate nella dovuta maniera ad un istinto post rock, e degnamente accompagnate, da un canto tenue dal chiaro sapore '90s, tra Ride, MBV e The Boo Radleys appunto. Le chitarre ammalianti rimangono in primo piano e se nei primi due brani d'apertura il ricordo cade implacabile sulla falsariga di Medicine, Swirlies e MBV, in "Diving Bell" le cose si arricchiscono di dettagli spostando il tiro su sonorità post rock/ambient più complesse e ricercate, verso territori luminosi che furono un tempo dei Sigur Ross, tra feedback e astratti sonori che indispettiscono e rendono teso anche il mood soffice di questo brano per accompagnare di seguito, l'ottima quarta traccia, "Breakers". Si prosegue con una veste pop e luminescente associata a degli assalti chitarristici rumorosi ed inaspettati per tagliare il candore splendente di "Aught Can Wait". Da sottolineare, con nota di merito, la cura e la ricerca sulle sonorità perfettamente in equilibrio dell'intero disco, promotrici attive del miglior sound possibile per questa band. "Gamma" è una fuga ambient sperimentale, con un velo sottile di "The Flamming Lips" al suo interno, di due minuti e mezzo che apre alla deflagrante "Boom Vang" (altro brano delizioso), che continua la proverbiale ascesa verso l'infinito degli APOF, divisa tra rumore, romanticismo e sospensione ipnotica, con una trama fatta per spiccare il volo verso i cieli più lontani. "Atomised" è un brano sospeso tra psichedelia e new wave con echi di certe trovate raffinate degli ultimi lavori dei The Church, mentre per la canzone che dona il titolo all'intero lavoro si aggiungono ritmi e coretti a più voci di stampo beatlesiano che distraggono un po' lo sguardo dalla distorsione lisergica tipica della allucinata aura compositiva della band di Nottingham. "Blue Room" conclude la carrellata di tracce dall'atmosfera morbida ed è forse assieme alla precedente, la più delicata del disco. Alla fine si rimane sorpresi dalla qualità musicale di quest'album, dal carisma dei suoi brani, dalla sua freschezza compositiva, dall'ipnotico splendore delle sue canzoni, un estratto di musica pop e psichedelia che non tutti apprezzeranno di questi tempi, ma che darà molte soddisfazioni ad ascoltatori appassionati ed attenti come il sottoscritto. (Bob Stoner)

venerdì 16 luglio 2021

One Arm - Mysore Pak

#PER CHI AMA: Alternative/Dark/Post Punk, Joy Division, Primus
Una trio tutto al femminile nasceva a Parigi nel 1992 con il moniker One Arm. Un sound all'insegna del post punk e concerti senza sosta in giro per l'Europa, prima dello scioglimento del 1997. In realtà, la band da li a un anno, si riforma integrando la defezionaria chitarrista con due giovani virgulti, uno al basso, l'altro alla batteria, per una stravagante formazione a due bassi e due batterie. Altre peripezie travolgeranno la band portandola allo scioglimento per altri 15 anni. Finalmente i nostri ritornano sulle scene questa volta sotto l'egida della Atypeek Music che propone alla band di riproporre i vecchi demo in una versione finalmente professionale. Ecco come nasce 'Mysore Pak' e i 12 pezzi in esso contenuti che ci faranno da Cicerone e narrarci la storia dei nostri, partendo dalle psichedeliche melodie di "Real", in cui si sentono i due bassi duellare tra loro, manco fossero i Sonic Youth miscelati ai Primus, in una versione dark/post punk che chiama in causa Bahuaus e Joy Division, cantati dalla paranoica voce di Laure. Interessante no? Non scontato direi semmai io, grazie alla forte originalità che caratterizza l'intero lavoro. La successiva "Esg" è un funk pop punk, in cui il suono dei bassi entra nella testa e sembra sinaptare con i pochi neuroni rimasti nel cervello. Le atmosfere sono oscure ma estremamente orecchiabili, tra il synth pop dei Talk Talk e il post rock. Man mano che si va avanti con l'ascolto mi sembra di sprofondare nei turbamenti di questi quattro atipici musicisti e "Space is the Place" sembra essere un tributo alla scena trip hop di Bristol. Peraltro il brano vede la partecipazione di una serie di ospiti: la poetessa cantautrice new yorkese Little Annie con le sue vocals cosmiche, Pierre Alex Sigmoon al basso (il terzo?) e DEF alle tastiere (e tornerà anche in "Change"). Ancora stravaganze musicali, ma aspettatevene a iosa in tutto il disco, con la ondivaga traccia omonima che mi dà quasi l'impressione di trovarmi in un club londinese, pieno di fumo, bevuto e fatto di acidi fino al midollo, con suoni dilatati, siderali, inserti di sample, e poi quelli che mi sembrano addirittura essere degli archi e tutto un apparato elettronico che mi fa letteralmente perdere i sensi e non capire più nulla. Ma l'approccio lisergico è uno dei cavalli di battaglia dei One Arm, lo dimostrano i vocalizzi e le melodie visionarie di "Fiddle". Un po' di post punk settantiano con "City", una song maledetta che sembra nuovamente evocare quei Primus che apprezzai particolarmente nel folle 'Frizzle Fry'. Che i nostri non siano una band ordinaria lo si deduce anche dalle sensuali ma apocalittiche melodie di "B.O.", un pezzo strumentale ove le voci sono affidate solo a dei sample; qui l'ospite di turno è il tastierista Realaskvague. Stesso concept musicale per "Change" altra song strumentale carica di una certa inquietudine, in cui occhi e orecchie non possono che focalizzarsi sui giochi di basso. Sonorità psych/noise/dub per "Hitch-Raping" per un altro viaggio a base di peperoncini allucinogeni. Siamo quasi al finale, con le ultime tre tracce del cd: "Top Tone" è coinvolgente con quel riffing ritmato di bassi, voce strafatta, influenze indiane per una bella dose (quasi otto minuti) di insana follia. "Step 3" ci regala altri tre minuti di musica inqualificabile, non nel senso che sia indecente, ma che si faccia davvero fatica ad apporre un'etichetta specifica di un genere. A chiudere, la liquida e strumentale "Virgule", che sancisce con la sua synthwave, lo spessore artistico di una band che non ha avuto grossa fortuna in passato, ma a cui mi sento di augurare un enorme in bocca al lupo per un luminoso futuro. (Francesco Scarci)

giovedì 15 luglio 2021

Neumatic Parlo - Random Toaster

#PER CHI AMA: Indie Rock/Shoegaze, Radiohead
Già celebrati lo scorso anno dal buon Bob Stoner in occasione del loro debut 'All Purpose Slicer', tornano in sella i teutonici Neumatic Parlo con un EP nuovo di zecca, 'Random Toaster'. Cinque song per saggiare lo stato di forma dei nostri dopo questo anno e mezzo di follia pandemica. Devo ammettere che i cinque di Düsseldorf non se la passano affatto male, proponendo sempre quel concentrato di indie garage rock, che ammicca, sin dalle note dell'iniziale "Real Insight", ad un che dei Radiohead, qui rivisti in una versione più psichedelica ma pure punkeggiante, esplicato nelle note pulsanti di quel basso strappa applausi. Un po' come il battito del cuore, sorretto da un elettronico pacemaker, il sound del quintetto tedesco mi acchiappa che è un piacere, facendo fluire sotto la mia pelle piacevoli ed inebrianti sensazioni che arrivano a toccare l'apice in quella sorta di assolo conclusivo. Assai sperimentale invece "Nicolas Winding Refn", ma essendo un tributo all'omonimo e geniale regista danese divenuto famoso per il film 'Drive', era lecito aspettarselo. Andatevi a vedere il film e magari nel frattempo ascoltatevi un brano che, almeno nella prima metà, suona quasi surreale con quelle percussioni in primo piano, in compagnia della voce del bravo Vincent Göttler e un sottofondo noise al contempo sognante. Molto più orientata a velleità shoegaze/post punk, la terza "Lake Perris State Recreation Area", grazie a quella sua malinconica atmosfera su cui poggia la ritmica cadenzata dei nostri con la voce di Vincent qui in versione più straziante. Più classica e forse ancorata ai primi Radiohead, ma ancor prima ai The Smiths, la quarta "Ghost", francamente il pezzo che alla fine meno mi ha colpito, perchè privo di quella vena di originalità riscontrata nei precedenti brani. Tuttavia, nella seconda parte il brano si riprende ed è un crescendo emotivo alquanto affascinante. In chiusura, la lunghissima "Airplane", quasi dieci minuti di musica che aprono con le ambientali sonorità che strizzano nuovamente l'occhiolino a 'Kid A' dei Radiohead, per poi virare verso ipnotici giri di chitarra e litanici vocalizzi, e decollare infine in un crescendo chitarristico che ci porterà fino al termine di questo ottimo lavoro, secondo interessantissimo biglietto da visita di questi Neumatic Parlo. (Francesco Scarci)

domenica 23 maggio 2021

Schlaasss - Casa Plaisance

#PER CHI AMA: Rapcore/Punk/Alternative
L'artista più atipico prodotto dalla Atypeek Music propone un intransigente cianfrusaglia-rap genericamente allineato alla contemporanea scena americana, perlomeno per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. Effettini ed effettacci di ogni genere e fattura (confrontate "Requiem" con una canzone a caso dei Melt Banana), classic-pop alla Backstreet Boys banging Britney Spears ("Bye Bye"), euro/trance ("Pupote"), angry female rapping ("Nanarchie"), pittoriche secchiate di auto-tuning ("Thug Lilith"), capatine vintage (i jingle otto bit di "No Drog Yourself", per esempio), lolli-rap stile Mélanie Martinez licking Warpaint ("Biscus"), una puntina di Mr. Oizo abusing Salt n' pepa ("Ordo ab Chao") e tanta elettronica alla Aphex Twin, perlomeno per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. Schlaass, la cui timbrica vi sembrerà una specie di incrocio tra gli sbadigli di 50 Cent e un Frank Zappa che si lava i denti con la maionese, spazia con misurata disinvoltura nei vari sottogeneri del rap, dal raga al gangsta al vaffankool. D'accordo, d'accordo. Per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. L'avete detto voi. (Alberto Calorosi)

lunedì 5 aprile 2021

Crrombid Traxorm — Anamnesis Morbi

#PER CHI AMA: Experimental Thrash/Death
A volte mi domando se le band riflettano un attimo sulla scelta del loro moniker. I russi Crrombid Traxorm a mio avviso non tanto, e questo francamente credo non aiuti nel memorizzare nome e proposta della compagine di turno. E dire che le origini dei nostri affondano addirittura nel 1990 e a quei tempi la scelta era un po' più estesa rispetto ad oggi. Comunque il duo, sebbene originario di Yaroslavl, ci propone un sound in linea con le produzioni thrash/death americane anni '80/90. I nostri con 'Anamnesis Morbi' tornano dopo un silenzio durato ben 26 anni (credo sia un record), fatto salvo una compilation di demo uscita anch'essa nel 2020. La proposta dicevo pesca da un anonimo thrash death statunitense, almeno per quel concerne l'opener "Rising Reanimation". Con "Mortalgramma" infatti le cose prendono già un'altra piega, se considerate che il cantato si muove tra il growl ed un pulito alla System of a Down, con la comparsa poi in sottofondo anche di una gentil donzella. "New Vaccine" prende altre derive, tra un prog jazz death sperimentale che evoca Cynic e Pestilence dell'era d'oro, sonorità death, ma anche avanguardistiche. Tuttavia, leggendo i titoli dei brani e confrontandoli con quelli dei primi demo del '90 e '92, mi rendo conto che le tracce qui contenute sono in realtà le stesse concepite trent'anni fa dall'allora quintetto che si formò post scioglimento dell'Unione Sovietica. Oggi quei brani sono stati riarrangiati e ri-registrati da un collettivo di musicisti che ha contribuito a restituire una nuova vita a quelle tracce, finite probabilmente fino ad oggi in soffitta in una qualche cassetta registrata in modo casalingo. E cosi ecco prender forma una proposta che pur puzzando di stantio, mette in luce caratteristiche particolari di una band che forse all'epoca sarebbe stata definita visionaria al pari dei nostrani Sadist, degli Atheist, dei Death e di altre realtà considerate all'epoca sperimentali. Date allora un ascolto alla folle (fantastico l'intro humppa) "Stomatologic Operation", che si muove a cavallo tra death, thrash, alternative e prog. "Each Physician Has His Own Graveyard" ha una ritmica tipicamente thrashettona, ma l'assolo (il primo almeno) suona davvero hard rock, mentre il secondo viaggia su binari di grande stravaganza. "Massacre of the Innocents" si sente che è assai vintage nell'animo, ma l'aggiunta della voce femminile ed una componente solistica sempre brillante, lo rendono più attuale. Curiosa la scelta dei titoli: "Damage in the 21st Chromosome" mi fa pensare ai vecchi Carcass e alla scelta di utilizzare una terminologia medica nei loro titoli. Comunque sia, il brano è divertente, soprattutto a livello di cori, ma anche per l'utilizzo di una tromba nel finale. L'esperimento di utilizzare strumenti inusuali viene ripetuto anche in "Stadiums/Dinosaurs", dove i nostri si concedono il lusso di utilizzare violino e violoncello, a rendere più moderna la loro stralunata proposta. In conclusione, 'Anamnesis Morbi' non è un album certo facile da avvicinare, però se siete curiosi e di mentalità aperta, io un pensierino lo farei. (Francesco Scarci)

(Wroth Emitter Productions - 2020)
Voto: 70

https://crrombid-traxorm.bandcamp.com/album/anamnesis-morbi

domenica 4 aprile 2021

Collectif Eptagon – A​.​va​.​lon

#PER CHI AMA: Suoni sperimentali
Il collettivo transalpino Eptagon, presenta la sua scuderia di collaboratori con una raccolta, in forma di doppio album, che per metà è finalizzata a raccogliere fondi destinati al Metallion store, uno dei pochi negozi di dischi rimasti fedeli alla causa della musica estrema e underground locale di Grenoble. Devo ammettere che è difficile giudicare un album così variegato, ben prodotto e dalle esposizioni sonore tanto colorate e diversificate tra loro, quindi, dovrò fare i complimenti all'associazione, alla qualità dei progetti tutti rigorosamente originari di Grenoble, ed infine un augurio che tutto questo materiale, registrato in un 2020 da dimenticare, con tutta il suo carico di energia espresso in un anno così buio, siano di buon auspicio a tutte le band per un futuro pieno di soddisfazioni. Dicevamo che l'album è variegato, essendo diviso tra stili e composizioni diverse tra loro, ma accomunato da una sorta di filo conduttore, qual è l'appartenenza underground di queste realtà sotterranee, un posto ideale dove far convivere death, black, sludge, post ed alternative, tecnico, d'atmosfera o aggressivo esso sia, con il dark jazz, la musica elettronica, il progressive e l'ambient, il tutto distinto e separato in singole pillole sonore di egregia qualità strumentale, esecutiva e di produzione. Nessuna sorta di lacuna nel suo lungo ascolto, suoni eccellenti, dinamica a mille e professionalità a go go. Da constatare e lodare che, per essere una compilation, la scaletta dei brani fila via che è un piacere, anche per chi predilige lavori più complicati. Il suo insieme si snoda proprio con la fluida progressione di un album ben ragionato e frutto di tanta passione, che si mostra con forza nella qualità d'esecuzione espressa dalle tante compagini qui presenti. Diciassette brani di carattere, che prediligono varie forme di metal nelle prime cinque canzoni, dal death dei Kisin, al doom rock dei Faith in Agony, al grind degli Epitaph, al prog death dei Demenssed fino agli sperimentalismi estremi dei Jambalaya Window. La sesta "Arashi" (Robusutà) crea una sorta di frattura nella trama dell'intero lavoro con un sound strumentale ammiccante ai giapponesi Mono. Da qui in poi, le sonorità prenderanno direzioni diverse, fatta eccezione per un ritorno di fiamma decisamente più metallico nel brano live dei Liquid Flesh. Un brano che, con la sua matrice ultra pesante e tecnica, si pone come apripista all'avanguardia jazz, dal gusto Zorn e oltre, degli Anti-Douleur ("Beyrouth"), per esporsi in territori più sperimentali ed oscuri, frastagliati e sofisticati. Elettronica, drone music, jazz sperimentale, ambient noir, noise, alternative elettro e via via, la personalità mutevole di questa raccolta di brani vive proprio dei suoi continui contrasti e cambiamenti, che si muovono in paesaggi estremi con una fluidità d'ascolto eccezionale. Volutamente non voglio proclamare quale brano e quale ensemble valga di più di altri presenti nella compilation (anche se, e vi chiedo perdono, devo dire che la voce di Madie dei Faith in Agony è davvero splendida), ma sarebbe un errore imperdonabile da parte mia e da chiunque ami la musica indipendente, underground e alternativa, voler giudicare, rinunciando ad un ascolto travolgente, libero, senza porsi troppe domande sul chi stia suonando meglio cosa. Rinnovo i complimenti a tutti i musicisti che hanno preso parte a questo progetto così ben strutturato. Esorto il collettivo Ep.ta.gon a non mollare la presa ora, e vista la qualità della carne sul fuoco, non possiamo aspettarci altro che pranzi reali con realtà musicali cosi variegate come queste. Una compilation da ascoltare tutta d'un fiato, a volume alto ma soprattutto a mente apertissima. (Bob Stoner)

martedì 30 marzo 2021

Bound - Haunts

#PER CHI AMA: Shoegaze/Alternative, This Empty Flow
Gli statunitensi Bound aprono 'Haunts', loro opera seconda, con "The Bellows", in cui i tinnuli di cristallo cullano il bipolarismo dei suoi suoni. Un’esplosione di vetri che si adorna di lentezza in uno shoegaze dalle tinte alternative. Un arcobaleno prismatico che toglie il fiato al corpo della song per trovare insistentemente il suo tesoro prima, durante e dopo la sua corsa cinematica. Qui conta la scoperta. Una sonorità accesa che ritroveremo anche nella terza ondivaga "The Divide". Il suono che spazia tra paradiso e inferno. Con "The Ward" invece spezzettiamo il tempo in coriandoli sonori. Una polvere che muove l’aria prima di essere aria stessa. Una carezza, malinconica. Con "The Field of Stones" restituisco il passato in questo presente soffuso. Laconiche le sonorità. Ispirati i passi tra le rocce ed il climax ascendente della musica che imprigiona, sposta, asseconda, rapisce con le sue ipnotiche note di synth. Un viaggio da fare e fare ancora. Se non avete mai fatto un passo nel bosco stregato, se non siete stati mai temerari nella casa maledetta, beh venite con me, il tutto potrebbe suonarvi inquietante quasi quanto il video della successiva "The Last Time We Were All Together". "The Lot" suona come il giusto preludio incantato, spezzato dalla circostanza della chitarra, ammantato dall'eterea voce del vocalist ed ancora forte dell’energia che la band manda in etere. Andiamo avanti, abbracciando l’intensità soffusa che spazza l’estetica in “The Small Things Forgotten”. Il brano apre leggero carezzevole con un arpeggio di chitarra, che presto si trasforma in una nuvola di suoni scomposti, irrequieti, carnali, alla fine quasi infernali. Una bolla in cui il pensiero lento e la rabbia veloce possono scambiarsi pensieri, dinamiche, musica, chitarre benedette e maledette. Non abbiamo ancora toccato il fondo perchè vanno on air gli sperimentalismi dream pop di “The Lines”. Il fondo è superficie perché con la musica le prospettive sono aberrazione. Tuttavia, con la musica i cori ci portano a volare. Ma è forse la traccia che vola o siamo noi a volare? Sentite il brano che spezza con un suono metallico ritmato in 2/4. Sentite le anime che urlano a vanno su ad ascendere. Ascoltare e basta. Mi spacca questa song e mi ricompone le fiaccole dell’anima. L’epilogo di 'Haunts' si racconta con la conclusiva "The Known Elsewhere" ed un sound ripetuto, voce facile per uno shoegaze dalle venature post rock. Un graffio che evoca le melodie dei finlandesi This Empty Flow. Avrei forse preferito un epilogo psichedelico quanto l’esordio, ma l’album si congeda con un volto già visto, una sagoma nell’ombra, un disco che ci dice che andare d’istinto è molto più pregiato che farsi trasportare. (Silvia Comencini)

(Jetsam-Flotsam/Diehard Skeleton Records - 2020)
Voto: 70

https://boundlives.bandcamp.com/album/haunts

lunedì 22 marzo 2021

Squeamish Factory - Plastic Shadow Glory

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Stoner/Grunge
Riff grintosi e melodie accattivanti. Evidenti richiami a mostri sacri del rock pesante conditi con sperimentazioni sonore e spunti personali. Il secondo album degli Squeamish Factory è un interessante tavolozza di colori diversi, nonché una prova del buon percorso di maturazione della band. Il loro alternative rock, che si mantiene fieramente vicino al grunge degli Alice In Chains e allo stoner dei primi Queens of the Stone Age, ben si presta per una critica sociale come quella presentata in questo 'Plastic Shadow Glory', rilasciato lo scorso novembre per Overdub Recordings. Si parla infatti di alienazione, della doppiezza e dell’ipocrisia che sembrano essere diventate caratteristiche necessarie per avere successo nella vita e che condizionano ogni aspetto della nostra cultura. Su questa base, gli Squeamish Factory confezionano una bella serie di schiaffoni da distribuire a tutti i responsabili di questo degrado morale: pezzi come “Humandrome” e “Burn” sono schiacciasassi che uniscono la potenza dei Kyuss alle sferzate nu-metal dei Deftones, “Mirror Gaze” e “Suspended” esplorano territori più atmosferici giocando su passaggi psichedelici ed eco post-punk, mentre il grunge dei maestri Alice In Chains riceve un doveroso tributo in “Snufftshell”. Al di là delle distorsioni dispensate a piene mani, 'Plastic Shadow Glory' rimane un album ammantato da un sentimento di malinconia, come se alla rabbia provata dal quartetto nell’assistere impotenti al triste spettacolo offerto dalla nostra società, subentrasse la frustrazione: per quanto piene di energia positiva, purtroppo queste nove canzoni non basteranno per invertire questa triste tendenza. (Shadowsofthesun)

mercoledì 17 marzo 2021

Iqonde - Kibeho

#PER CHI AMA: Math Rock/Post Metal strumentale
“Ma tu perché non ridi, non ti contorci dalle risate? Fammi vedere che sei felice!” Me lo chiedo anch’io perché non ci si possa perdere nel ridere ad oltranza, non ci si possa immergere nella tinozza del morso che scompone il viso ed ubriaca di quelle risate. Rivisito questa intro parlata per dare a “Ma’nene” una sonorità in parole altrettanto traboccante di ritmo, bassi, batteria, corpo e rettilinei svirgolati dal rock senza padroni. Iniziamo in questo modo 'Kibeho', album di debutto dei bolognesi Iqonde. Una song ribelle. E la ribellione continua con “Marabù”. Uno scettro di potere fa vibrare il metallo degli sgabelli di un bar di provincia, una sonorità propria di chi ammansisce il basso e manda in etere le corde dell’elettrica su ritmiche frenetiche. Esercizi di stile, di dita sulla tastiera. Volteggi tra i sensi. Corpi sospesi d’anima in un bondage di emozioni post e math rock. Circolare come un’ossessione l’epilogo del pezzo. Va poi on air “Edith Piaf”. Sono blindata nell’ascolto in un concerto privato. Immaginate una nicchia scavata nella roccia, la band in penombra. Ed ascoltate i suoni ridondare come un eco tra le pietre. Li si mescolano il sound, l’atmosfera, la musicalità tribale di questa traccia al contesto. Epilogo sotteso quasi silenzioso lo strisciare succinto delle dita sulle corde ferrose. Cambiamo vestito e contesto. È il turno di “Lebanshò”. Lentamente la musica sale in un tripudio strumentale che trova il suo apice al terzo minuto. Ferma la musica. Resto in attesa. Il silenzio traccia la sua strada della solitudine per tornare tra noi in una danza tribale rivestita da uno sfondo ricco di groove. Assai accattivante direi, ideale per le anime in dissidio tra il silenzio strumentale e la musica che fa muovere mente e carne. Passiamo a “Gross Ventre”. Avete mai sentito sulla pelle il brivido ed il fuoco contemporaneamente? Qualsiasi sia la vostra esperienza vibrante vi invito a farvi un giro su questa violentissima song. Terminiamo l’ascolto di questo album con “22:22”. Dissacrante in apparenza col suo prologo triviale estratto da 'Salò o le 120 giornate di sodoma', film del 1975 di Pasolini. Da me molto gradito! Le parole in musica che si propagano dalla cassa, dalle chitarre, dai silenzi intercalati sono pura convulsione sonora, ribellione ancora eppure accarezzano l’anima con un post metal impulsivo, il math rock e insana tribalità. La mia anima, gli Iqonde, l’hanno toccata e dipinta sicuramente. (Silvia Comencini)

lunedì 15 marzo 2021

Valse Noot – Utter Contempt

#PER CHI AMA: Noise Rock
I francesi Valse Noot sono in giro da un decennio e questo 'Utter Contempt' (il loro terzo lavoro, che arriva ben sette anni dopo la loro ultima fatica) è una piacevolissima scoperta. Il quartetto di Brest si immette nel solco di quelle band, penso ad esempio a Metz o Pissed Jeans, che hanno cercato di portare avanti un suono che ha i suoi riferimenti nel noise rock americano anni novanta, di capi scuola quali i grandissimi Jesus Lizard (la qual cosa, per il sottoscritto, è già un grosso merito), senza limitarsi alla mera emulazione ma provando a trovare una loro personale via espressiva. In questo caso i nostri cercano, in sette brani condensati in 30 potentissimi minuti, di portare il noise a lambire territori più vicini a certe divagazioni freeform, pur senza snaturarlo. Ecco quindi che la sezione ritmica si concede interessanti variazioni sul tema, mantenendosi nondimeno inesorabile e granitica, e se la prima parte della scaletta serve a scaldare i motori con brani più “quadrati” e dritti, nella seconda parte emerge un’interessantissima capacità di sperimentare e stupire, come in "Story of a Decadence", dove il caratteristico suono Touch and Go si fonde all’hard punk dei Motorhead, o in "Pigeonholed", dove l’incedere guerresco del basso si innerva di hardcore. In chiusura, la title track si concede anche qualche incursione di synth e un cantato di stampo screamo, per ribadire che nulla è precluso se fatto con le idee ben chiare Un disco sorprendente, fresco, dinamico e molto, molto potente. (Mauro Catena)

domenica 7 febbraio 2021

Kaouenn - Mirages

#PER CHI AMA: Electro Ambient
Un mantice respira mentre mando on air la prima traccia di 'Mirages', intitolata “Psychic Nomad”. L’album dei Kaouenn si preannuncia gitano sin dalle prime note. In pochi istanti i suoni iniziano a far vivere atmosfere tribali, ritmi mediorientali, performance propria della techno nostalgica. Un tripudio sonoro organizzato in un’orgia musicale di elementi elettronici e acustici. Segue “Immaterial Jungle”. Liane frustano timpani già ipnotizzati dal vento che sposta preoccupazioni e pensieri. Questo sound non lascia spazio a bene e male. Rapisce semplicemente. Corda metallica che fa scintille sulla superficie incontaminata dell’apparenza. D’improvviso abbandono e leggerezza. Luci soffuse e volume. Provateci! Perdo la cognizione del tempo e mi ritrovo in “Reachin’ the Stars”. Dal Medio Oriente ci ritroviamo questa volta catapultati in Scozia in questa intro di cornamuse elettriche. Il brano si assesta poi su una ripetuta elettrificata ideale per un castello maledetto. Un trip che dura otto minuti, otto. Lunghissimo come si conviene all’ipnosi indotta. Questo pezzo farà per voi, una seduta spiritica con un tocco di psicoanalisi. Abbandono. Ancora volume. Buio. Riemergo dal frastuono del silenzio per portare alla luce “Mirage Noir”, ove assistiamo al featuring di Above The Tree alla chitarra. Spero abbiate il senso del ritmo e comunque durante l'ascolto sarete obbligati a trovarlo. Parte la cassa ed il capo si muove. Sfreccia l’elettrico del piano, torna a calmare un fiato gorgogliando. Introspettivo. Ambient spinto. Musica che parla intercalata dall’urlo della chitarra metallica. In loop se fossi in voi. Senza guardarmi indietro perché il loop è virtuoso, passo il testimone a “Into a Ring of Fire”. Preparatevi un’amaca in riva al mare, assaporate l’odore di iodio e la risacca che culla occhi chiusi. In questa song c’è il dark nella voce e la luce nello sciabordio della musica. D’improvviso un temporale. Lampi e saette. Non c’è quadro più bello dell’elettricità sull’acqua. Veniamo a “Indina”. Scenario inaspettato. Immaginate una chiesa sconsacrata. Un organo che suona senza interprete. Navate altissime. Il vuoto tutt’intorno. La musica che irraggia come pioggia nell’aria. E voi sotto la pioggia pervasi da gocce costanti in un deserto bagnato. Siamo quasi al termine di questo viaggio, ma come diceva il saggio, non conta la meta. Quanto mai vero perché ora mandiamo “Flood of Light”. Un crepuscolo endorfinico di luce nascente spezza il ritmo circadiano. Ci fa smettere di essere giorno e notte. Ci porta in una dimensione sospesa dove esiste solo la musica a mezz’aria. Una dimensione in cui respirare. Ed il mantice vuole la sua contropartita. L’epilogo di “K2” ci fa trattenere l’aria. Tamburellano le attese mentre si svela questa traccia (ove graffia l'indelebile chitarra di Sara Ardizzoni - Dagger Moth). Serrata l’attesa sinchè il manto cade. Siamo in una stanza dove tutto è psichedelico, nucleare, improbabile, remoto, futurista, bianco, nero, colorato. La degna chiusura di un album dagli ossimori pregiati ove la mente può spaziare o alienarsi in angoli remoti. Le emozioni possono ascendere o fermarsi. L’acqua può diventare fuoco ed il fuoco acqua. (Silvia Comencini)

(Bloody Sound Fucktory - 2021)
Voto: 82

https://bloodysound.bandcamp.com/album/mirages

giovedì 28 gennaio 2021

Taumel - There is no Time to Run Away From Here

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Jazz
Jakob Diehl è un compositore freelance di musica per teatro e cinema, conosciuto anche come attore nel cast della nota serie televisiva 'Dark' e altri film ancora, mentre il suo compagno di viaggio musicale, Sven Pollkötter, è un affermato batterista e percussionista di stampo neoclassico, compositore e autore di vari progetti che si spostano dall'improvvisazione, al folk, dal jazz al metal fino al prog (Assignment, Alternative Allstars, Clause Grabke). Da questa unione nasce il progetto strumentale, Taumel, soluzione sonora sofisticata che usa le trame del jazz avvicinandole alle cadenze rallentate del doom, per far nascere un ambiente sonoro che potremmo senza difficoltà etichettare come dark jazz. Le composizioni di questo 'There is no Time to Run Away From Here' si avvalgono anche di chitarra, piano, rhodes e filicorno (a grandi linee una specie di tromba della famiglia degli ottoni) facendo notare grosse affinità di forma ed effetto filmico alla The Mount Fuji Doomjazz Corporation e dimostrando di poter competere con i mostri sacri del genere, anche se ad un ascolto più attento, oserei dire che i Taumel abbiano un approccio quasi più romantico del genere noir, più sentimentale, ipnotico e meno horror dei colleghi olandesi. "There is" apre le danze con una chiara matrice jazz, che va sfumando in un inaspettato corto circuito noise che introduce la drammatica vena di "No Time", impreziosita da tanta effettistica d'origine elettronica in sottofondo ed un bel gioco di riverbero che ne amplifica lo stato d'animo cupo. La lunga "To Run" è una marcia funebre che si alimenta di sonorità care al post punk più oscuro degli esordi, ed è forse il brano più teso e lugubre del lotto. Comunque, per tutti i pezzi che compongono il disco, ci si immerge in un'atmosfera notturna, piovosa, dove l'ingresso del filicorno, ad esempio in "Away", fa soffrire l'ascoltatore in una maniera morbosa, per una canzone che sfrutta tutta la potenza della visione al rallentatore, come in una scena di un film visionario in slow motion. Il brano è notevole, si eleva nel suo avanzare lento, con un senso di immobilità che per più di otto minuti riesce a rallentare il battito cardiaco, ponendosi statuario, ma allo stesso tempo esponendo un sound caldo ed intenso, come del resto, lo si nota lungo tutta la durata dell'album. Impossibile non notare la peculiare e maniacale ricerca del suono perfetto in una produzione che cura tutti i minimi particolari, dalle sonorità più profonde della batteria ai riverberi ed echi che circondano le melodie, per farle entrare in comunione con i colori della notte. Il piano di "From Here" mi ricorda una moderna interpretazione del più celebre "Clair de Lune", ma solo abbozzata, come se qualcosa di inconsueto e maligno, l'avesse interrotta maldestramente, chiudendo un disco che aspira nel suo profondo al suono dell'infinito. Ottimo debutto, album da non perdere. (Bob Stoner)

sabato 9 gennaio 2021

Ambassador - Care Vale

#PER CHI AMA: Alternative/Post-Grunge/Dark
Ecco una band che sul finire del 2020 ha conquistato un posto nella mia personale classifica dell'anno passato. Sto parlando degli Ambassador, compagine proveniente dalla Lousiana, che ha rilasciato sul finire dell'estate scorsa questo EP di sei pezzi intitolato 'Care Vale'. Che dire, il platter è fresco quanto mai tenebroso. Il tutto è certificato dall'opening track, "Colonial", un brano guidato da uno spettrale giro di chitarra e dalla voce di Gabe Vicknair, uno che deve essere cresciuto a pane e Fields of the Nephilim, visto che il mood oscuro degli inglesi lo riversa all'interno di un sound oltremodo delicato che tocca qua e là alternative rock, post-punk o dark metal. Il sound dei nostri tuttavia non si limita certo a questa o quell'etichetta, ma volge il proprio sguardo verso sentieri differenti, spaziando anche all'interno di post-metal, sludge, shoegaze e altre sonorità che potrebbero scomodare facili paragoni con gli ultimi Katatonia. Notevoli, è stato il mio primo pensiero. E malinconici quando la seconda "Voyager" ha cominciato a fluire nel mio stereo con i suoi raffinati orpelli chitarristici, come un soffio leggero che sposta impercettivamente i capelli davanti agli occhi. La voce di Gabe rimane il punto di forza dell'ensemble, ma anche la musicalità cristallina messa in piedi dalla band di Baton Rouge si rivela davvero formidabile con ariose aperture che potrebbero evocare un che dei Russian Circle. All'inizio menzionavo le divagazioni sludge, eccomi accontentato in "Subterfuge", con quel suo pesante riffing melmoso allegerito soltanto dal raddoppiare della seconda chitarra che, oltre a conferire un tocco di malinconia ad un brano per larghi tratti strumentale, ne stempera anche l'irruenza. Ma con l'ingresso della voce e della tribalità di un drumming che chiama in causa ancora i Katatonia, ecco che il gioiellino è servito, con quelle sue chitarre riverberate di chiara matrice post-rock. Ve lo dicevo che dentro a 'Care Vale' c'era di tutto e per tutti i gusti, quindi non esitate avanzando nell'ascolto. Verrete sorpresi dal temperamento nostalgico della title track, cosi emotivamente inquieta e cosi forte nello sconquassarci l'anima con il suo incedere delicatamente dilaniante. Con "Severant", quelle nubi che si stavano addensando nell'aria poc'anzi trovano modo di scaricare la propria rabbia attraverso un riffing dapprima pesante ma che in pochi secondi perde vivacità acquisendo un tono ancora malinconico. Ma i quattro americani sono abili nell'alternare luci e ombre, cosi come eterei passaggi acustici a fragorose scariche elettriche, ammiccando qui anche ai Deftones. La chiusura è affidata alle note di "Spasma", dove emergono infine accenni post-grunge che si vanno a sommare a una ricerca spasmodica del suono emozionale, maledetto e dannato, malinconico e irrequieto, che fanno di questo 'Care Vale' un lavoro intenso e da gustare tutto d'un fiato. (Francesco Scarci)