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martedì 8 maggio 2018

Misanthropic Existence - Death Shall Be Served

#PER CHI AMA: Death/Black Old School
Altro "ripescaggio" da parte della Aesthetic Death che ripropone un disco degli inglesi Misanthropic Existence uscito originariamente autoprodotto nel gennaio 2017. Ultimamente però le scelte dell'etichetta britannica non mi stanno del tutto convincendo e la riproposizione di questo lavoro bestiale, la trovo francamente superflua. Come mai sono cosi tranchant nei confronti di quest'album? Perchè 'Death Shall Be Served' non aggiunge assolutamente nulla ad una scena davvero stantia come quella estrema: 64 minuti sparati a mille, votati ad una violenza primordiale che un tempo faceva clamore, notizia e forse destava un bel po' d'interesse, ma che oggi, in tutta sincerità, trovo obsoleta, old-school e alquanto noiosa. Se il disco fosse durato una mezz'ora, probabilmente sarei qui a parlarvi di una promettente band proveniente da Worchester che ha provato ad emulare col loro debut, gente del calibro di Slayer o Marduk, nelle loro opere più famose e decisamente dalle brevi durate. Invece mi ritrovo a commentare un lavoro monumentale di death/black/grind della durata che supera di gran lunga l'ora, no grazie è troppo. Mi limiterò a dire che il sound del terzetto inglese è ignorante in tutte le sue 11 tracce incluse. Sono estremi, blasfemi, marcescenti, probabilmente anche beceri nei testi che sembrano orientati al più ovvio e scontato dei temi, il satanismo. Le velocità sono sparate ai mille all'ora, sovrastate nel loro caos sonoro da uno screaming indiavolato che non lascia scampo. Difficile identificare un brano piuttosto di un altro, data la monoliticità in toto di un cd a dir poco brutale che affonda le sue radici nel death metal svedese di metà anni '90. Potrei dirvi solo che sorbirsi pezzi come "War-Torn Earth and Blood Soaked Skies" (che va oltre i 12 minuti) e "Humanicide" (quasi 8) è impresa non indifferente. Only the braves! (Francesco Scarci)

venerdì 20 aprile 2018

Monads - IVIIV

#PER CHI AMA: Death/Doom, Mournful Congregation, primissimi Paradise Lost
Quattro pezzi per 50 minuti, ecco un'altra impegnativa sfida lanciata dalla label Aesthetic Death che ormai ci ha abituati, con le loro uscite discografiche, a delle durate mai troppo semplici da affrontare. E cosi dopo aver recensito l'asfissiante drone ambient degli Accurst, il funeral degli Esoteric, eccoci vagare in territori death doom, con il qui presente quintetto belga dei Monads, che propone sonorità molto meno dilatate rispetto ai ben più famosi colleghi d'oltremanica, seppur sempre orientate ai classici suoni dell'apocalisse. La compagine mittleeuropea, composta peraltro da membri di Cult of Erinyes, Omega Centauri e Hypothermia, esordisce con questo 'IVIIV' dopo un demo datato 2011, e ormai dimenticato nella notte dei tempi. In sei anni, l'ensemble fiammingo, per quanto preso da altri impegni artistici, ha comunque pensato e partorito queste quattro decadenti tracce, che partendo da una base tipicamente death doom, riesce a presentarsi almeno in apertura, con un approccio musicale più variegato, sfociando indistintamente nello sludge o nel post metal, ponendosi pertanto in modo meno radicale rispetto ad altri colleghi che suonano lo stesso genere. Se il primo pezzo, "Leviathan as my Lament", appare appunto quello più influenzato da sonorità post, il secondo "Your Wounds Were my Temple" sembra invece risuonare come il più malinconico e cadenzato, non fosse altro per un lungo break acustico centrale, che ne interrompe il lento avvilupparsi su se stesso, prima di esplodere in un efferato attacco death conclusivo, il tutto corroborato dai tipici vocalizzi cavernicoli, come previsto da copione. Il risultato si lascia piacevolmente ascoltare, seppur non si possa gridare al miracolo, in quanto release di questo tipo ne escono ormai a tonnellate ogni giorno, passando molto spesso del tutto inosservate ai media. La proposta dei cinque musicisti belgi alla fine non è malaccio, quello che manca è una dose di personalità che permetta loro di prendere le distanze da tutto ciò che satura oggigiorno il mercato. Non è sufficiente angosciare l'ascoltatore con un'estenuante suite di 13 minuti ("To a Bloodstained Shore") che potrebbe peraltro evocare un che dei Mournful Congregation, probabilmente la fonte primaria d'influenza per i Monads. Necessito francamente di altro per lasciarmi stupire da una release di questo tipo nel 2018, in quanto in maniera spesso prevedibile, ha modo di propinare tutto quello che il manuale del bravo doomster raccomanda: chitarrone a rallentatore, sontuose parti acustiche, buoni squarci melodici di chitarra, growling da orco e quell'immancabile dose di melodrammaticità che sentirete emergere soprattutto nella conclusiva e atmosferica "The Despair of an Aeon". Con un pizzico di creatività e follia in più, probabilmente starei scrivendo valanghe di complimenti ai Monads, per ora il compitino è stato fatto con diligenza e scarso impegno, per una band che potrebbe ambire a risultati decisamente più soddisfacenti. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 65

https://monads.bandcamp.com/album/iviiv

giovedì 19 aprile 2018

Esoteric - Esoteric Emotions - The Death of Ignorance

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Quando si parla di Esoteric bisogna essere pronti, pronti a sprofondare negli abissi e affrontare le tenebre, pronti a giungere al cospetto di Satana in persona, pronti a qualsiasi cosa, anche a scalare un'insormontabile montagna, come quella rappresentata dalla ristampa in cd del vecchio demotape della band di Birmingham, 'Esoteric Emotions - The Death of Ignorance'. 78 i minuti che ci raccontano da dove Greg Chandler e soci hanno iniziato nel lontano 1993. Per festeggiare i loro 25 anni, siamo infatti qui a parlare di una serie di brani che probabilmente hanno rappresentato l'origine del male, di un genere catacombale, fetido ed abissale, quello del più intransigente funeral doom. Non spenderò troppe parole per una ensemble che oserei dire leggendario, che attraverso i sei album partoriti, hanno scritto e riscritto il concetto del funeral (in compagnia aggiungerei, di un trittico d'assalto formato anche da Skepticism, Thergothon ed Evoken). In quest'atavico album, la band sembrerebbe ancora non del tutto matura, essendo cosi influenzata pesantemente da un vecchio retaggio punk death. Tuttavia quel che è certo è che i nostri sono in grado già di mettere in luce le peculiarità della propria musica: dal funeral psichedelico, sporcato da tossiche e feroci influenze death dell'opener "Esoteric" (che ritorneranno devastanti nel corso del disco), alla più oscura ed ipnotica "In Solitude", in cui non si può non apprezzare la performance vocale del bravo Greg dietro al microfono, quasi avesse una maschera anti-gas dal quale rilasciare il suo asfissiante cantato growl che raramente sconfina in uno screaming alieno, mentre i suoni marciano spaventosamente a rilento nel loro serpeggiante incedere. Sebbene il disco sia stato rimasterizzato, i suoni risultano ancora marcescenti, quasi si stesse ascoltando quella vecchia cassetta di primi anni '90. "Enslavers of the Insecure" è un bel pezzo che mette insieme death, doom e funeral, in un concentrato bastardo di sonorità che per certi versi mi ha ricordato un'altra band contemporanea ai nostri a quel tempo, gli allucinati australiani Disembowelment che in quello stesso anno, uscivano con un lavoro divenuto mitico, 'Transcendence into the Peripheral'. I martorianti vocalizzi di Greg tornano sovrani nella lunga ed ispirata "Scarred" che con la successiva (e più melodica) "Eyes of Darkness", coprono ben mezz'ora dell'album, attraverso tutto il repertorio scarnificatore, pachidermico ed ossessivo dei nostri, in due tra i brani meglio riusciti degli esordi della band inglese. Pesanti, magnetici, profondi, stralunati, seminali, visionari, gli Esoteric hanno iniziato da qui a tracciare il loro percorso musicale, con una serie di perle apocalittiche che trovano pochissimi rivali nel panorama musicale. Ascoltando la malata "Infanticidal Fantasies" o la spettacolare porzione solistica di "Expectations of Love", appare evidente la ragione per cui ancora oggi ci siano band che prendono i nostri come punto di riferimento nell'ambito funeral doom, considerando quanto 'Esoteric Emotions - The Death of Ignorance' risulti cosi attuale anche a distanza di 25 anni dalla sua nascita. Ottima pertanto la decisione da parte dell'etichetta inglese di ristampare, peraltro in un elegantissimo e curatissimo digipack, quest'opera ormai introvabile. Spaventosi. (Francesco Scarci)

Accurst - Messenger of Shadows

#PER CHI AMA: Ambient/Ritual/Drone
È la seconda volta che ci troviamo di fronte ad una band cipriota: la prima fu con i Soulsteal, ora conosciamo gli Accurst, con il loro 'Messenger of Shadows', album, il terzo, uscito originariamente nel 2016 e riproposto recentissimamente dalla label britannica Aesthetic Death. Le atmosfere spettrali dell'opener, non lasciano presagire nulla di buono, se non una buona dose di incubi ad affannare il nostro sonno. "Enveloped by Erebos", la seconda traccia, conferma il forte desiderio da parte della one-man-band capitana da Nicholas Triarchos, di trascinarci in un viaggio angosciante, fatto di glaciali sonorità ambient/drone che non lasciano grandi spazi alle emozioni. Silenzi rarefatti e atmosfere raggelanti sembrano sopraggiungere dallo spazio profondo. E ancora, rumorismi vari che potrebbero provenire da un qualsivoglia castello infestato, generano di certo una certa suspense, ma alla lunga non fanno altro che indurmi allo sbadiglio, proprio perchè mancano di uno spunto vincente. Affrontare gli oltre 13 minuti di "Gazing into the Abyss (The Depths of Tartaros)" poi credo sia di una fatica inaudita e sfido anche gli amanti di simili sonorità a mettersi alla prova con l'ascolto alquanto inutile di una simile proposta. Se sentiste i miei rantoli al telefono o i miei bisbigli, siete certi che vi emozionereste allo stesso modo? Non credo proprio, perchè non credo nella reale validità di un simile lavoro. Magari, il mio collega Bob Stoner con queste nefande sonorità ci andrebbe a nozze, chiuso nel buio delle sue stanze, io francamente necessito di qualcosa di più di un rituale esoterico ("Endorcism - Channeling Eurynomos"), di sordide sonorità noisy che dovrebbero avere il solo effetto di spaventarmi o di un banale tocco di pianoforte ("Obsequies for the Apocalypse"). Scusate, ma avrete intuito che 'Messenger of Shadows' non mi convince affatto. (Francesco Scarci)

sabato 4 novembre 2017

Lashblood - UnBeing

#PER CHI AMA: Avantgarde Black, Fleurety
Dall'avamposto russo di Stavropol, nel Caucaso settentrionale, ecco arrivare i Lashblood, misterioso quintetto che abbraccia membri di svariate band, tra cui Deathmoor e Goatpsalm. L'ensemble, attivo da una decade ma con soli due album in cascina (quest'ultimo registrato addirittura nel 2012), è qui aiutato da una serie di ospiti che li supportano nell'esecuzione di quest'album non certo semplice da ascoltare. 'UnBeing' contiene otto song sinistre e questo è chiarissimo sin dall'opener "Frenzy" e dai suoni spettrali che popolano la canzone, al pari di fantasmi che infestano un castello abbandonato. Proprio in questa caratteristica orrorifica, risiede il punto di forza dell'act russo, che guida l'ascolto della propria musica grazie a tormentate melodie, un po' sghembe e disarmoniche, in un pattern musicale allucinato, corredato da voci maligne e dall'uso di un evocativo sax che aumenta le ambizioni dei nostri. Il disco si presenta in linea di massima feroce come approccio stilistico, lanciandosi in cavalcate black death ("Slow Snow") che vedono però smussare la propria irruenza con linee di chitarra affidate ad un tremolo picking glaciale, aperture avanguardistiche e rallentamenti doomish assai efficaci. "The Name of My Melancholy" apre con una variazione nello stile vocale, più oscuro e votato al growling, questo perché nelle prime due song c'era lo screaming efferato di tal Silencer, guest star dietro al microfono. La traccia è però più lineare e poco avvincente, fatto salvo per il tenebroso break centrale, affidato al famigerato sax, vero e assoluto protagonista di un album che probabilmente non avrebbe meritato la nostra attenzione se non avesse mostrato l'utilizzo cosi peculiare di quel demoniaco strumento a fiato. E allora largo ai suoni psicotici del sassofono e al delirante sound dei Lashblood. "To the Rest..." è una song più esoterica a livello vocale, con una musicalità psicotica che segue verosimilmente gli umori altalenanti dei vari cantanti che si piazzano al microfono. Ma è ancora una volta l'assolo di sax a rappresentare il leitmotiv del brano e in generale di un disco che ha davvero diversi punti di forza, che per idee ed interpretazione, mi ha ricordato vagamente 'Min Tid Skal Komme' dei folli Fleurety, cosi come pure l'utilizzo dello stesso sax nel mitico esordio discografico dei Pan.thy.monium, 'Dawn of Dreams'. Splendide a tal proposito la strumentale "Kaleidoscope Grey Heaven", la malinconica "13" e l'incipit della title track che suggellano la performance di questi pazzi e selvaggi sperimentatori russi. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death/SND Production - 2017)
Voto: 75

https://lashblood.bandcamp.com/album/unbeing

martedì 17 ottobre 2017

Ketch - The Anthems of Dread

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
Devo ammettere che la cover del digipack dei Ketch mi aveva fuorviato non poco verso lidi black sinfonici: 'The Anthems of Dread' è invece un discreto esempio di alchemico sludge/doom che segna il debutto sulla lunga distanza di questo quintetto del Colorado, uscito originariamente nel 2016 autoprodotto e riproposto nel 2017 in questa versione targata Aesthetic Death, che include peraltro l'EP omonimo dei nostri rilasciato nel 2014. Un bel minutaggio quindi a disposizione la band statunitense (circa 66 minuti) per poterne apprezzare al meglio la propensione musicale. Si aprono i battenti con "Fertile Rites by Sacrifice", una song che parte piano ma poi si muove piuttosto linearmente a livello ritmico, ove poggiano le ruggenti screaming vocals del frontman Zach. Non mancano i momenti rallentati, come nella seconda parte della opening track, cosi come è non strano trovare un riffing oscuro ed ipnotico, caratterizzato comunque da un rutilante incedere (basti ascoltare la seconda "Distant Time"), in cui le vocals del cantante assumono forme diverse, dal tipico urlato ad un growl soffocato. In "En Nomine Dei", emerge il retaggio death doom dei nostri, in una traccia che tuttavia fatica a mostrare i caratteri distintivi per la band, che sembra ancora indecisa su quale forma di musica proporre, viste le derive post metal della successiva "The Monsters of this World", che propone un'altra visione del sound dei Ketch, soprattutto nell'arrembante finale che sciorina un bell'assolo su di una tellurica base ritmica. Un interludio acustico ed è tempo di "Detached and Conquered", song che si fa ricordare per lo più per un uso del basso per certi versi simile a quello di "Heaven and Hell" dei Black Sabbath, in un pezzo comunque caustico a livello vocale e che musicalmente vive di chiaroscuri atmosferici e ritmici, in quello che alla fine risulta essere il mio brano preferito del cd. Con "Shimmering Lights" esploreremo da qui in avanti, l'universo primordiale dei Ketch (l'EP di debutto) in una traccia decisamente più votata ad un doom lugubre e marcescente, complice un impianto ritmico militaresco nel suo flemmatico incedere sludge ed un growling cavernoso. "Counting Sunsets" prosegue su questa linea monocorde permeata di una controversa marzialità che alla lunga rischia di annoiare, soprattutto nelle conclusive ed ormai inerpicabili "Chemical Despondency" e "13 Coils", le ultime fatiche a cui esporsi prima di espugnare il fortino dei Ketch. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto:65

lunedì 25 settembre 2017

Mourning Dawn - Waste

#PER CHI AMA: Black Doom
Strana la definizione di EP data dai francesi Mourning Dawn: solitamente un Extended Play dura grossomodo meno di 30 minuti. Il trittico di pezzi proposto invece dal morboso terzetto di Montpellier supera di gran lunga i 70. Pertanto facendo due banali calcoli matematici, avrete capito che ci troviamo al cospetto di tre maratone di ben 24 minuti ognuna!! Il genere proposto dalla band è un criptico black doom ossessivo e malato, claustrofobico quanto basta per scatenare un senso di angoscia schiacciante già dopo la prima "The One I Never Was". La sensazione è quella di essere finiti in un condotto d'aria e da li non riuscire più a venirne fuori e sentire il suono metallico dettato dal percorrere quel tubo angusto in cui rimbombano suoni pesanti, malinconici, quasi disperanti, ma corredati da una buona dose di melodia che ci riesce ad accompagnare con tranquillità fino al termine della prima traccia. Il fatto che i componenti non siano degli sprovveduti, ma gente con una certa esperienza (la band include ex membri di Ad Vitam Aeternam, Funeralium e Inborn Suffering) agevola di certo l'ascolto di un album, in cui a mettersi in luce è un sound maturo, un songwriting davvero buono, una certa varietà di fondo nella proposta musicale e molto altro. La voce del vocalist è un lugubre growling che si prende la scena quando canta su ritmiche essenziali e minimaliste, contraddistinte comunque sempre da un senso di desolazione infinita, complici anche chitarre che ricamano di sovente ottime melodie. La seconda traccia è la decadente "The One I'll Never Be" che riparte da quegli oscuri anfratti in cui ci siamo ficcati con la prima peraltro ammantata da una certa vena esoterica, che si palesa con un sound mistico, misterioso, darkeggiante (interessante qualche reminiscenza di scuola Sadness) in un litanico incedere che sembra non subire momenti di stallo o caduta, anzi si conferma assai convincente lungo gli oltre 24 minuti della song, che mostra parti più atmosferiche ed ispirate, rispetto ad altre più roboanti o tirate, o ancora parecchio cariche in fatto di tensione emotiva, tipo quando compaiono delle grida di una donna, una bella parte acustica o i rintocchi di una campana. Convincenti, onore al merito, anche con la terza track, quella "Waste" che dà il titolo al disco e che indirizza le sonorità delle prime due canzoni in un'altra lenta ed inesorabile galoppata verso il cuore dell'inferno, verso le tenebre, verso quell'oscurità avvolgente che emana un senso di torpore ai sensi e che lentamente fa perdere i sensi. 'Waste' alla fine è un EP davvero intrigante, forse giusto un pochino prolisso ma comunque di grandissimo valore. Pertanto, non può che essere consigliatissimo. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 80

https://mourningdawn.bandcamp.com

domenica 17 settembre 2017

Mekigah - Autexousious

#PER CHI AMA: Avantgarde/Drone/Black/Noise, Ulver
Mekigah atto quarto: tanti sono infatti gli album che il sottoscritto ha recensito per la band australiana qui nel Pozzo dei Dannati, band che seguo sin dal loro debutto del 2010, 'The Serpent's Kiss'. L'act di Melbourne, capitanato come sempre dal solo Vis Ortis, coadiuvato poi da tutta una serie di amici che da queste parti conosciamo bene (penso ad esempio a T.K. Bollinger) rilascia un nuovo lavoro, 'Autexousious', che prosegue nella sua evoluzione sonora verso lidi sconfinati. Li avevamo conosciuti come promotori di un sound dark gothic, li abbiamo apprezzati nella loro veste death doom, li abbiamo lasciati in territori drone con 'Litost' e da li ripartiamo per immergerci nelle nere tenebre di 'Autoexousious' e del suo suono apocalittico, putrescente e melmoso che per certi versi riprende proprio il penultimo album, affidandosi completamente a landscapes sonici disturbati, votati ad un dronico approccio angosciante, come quello che si respira ad esempio nella lunga ed inquietante title track, una marcia funebre aspra ed allucinata, contraddistinta dai vocalizzi insani del mastermind australiano. Si prosegue e si finisce catturati dai suoni deliranti di "Fooled Blood", non so se una vera song o piuttosto un interludio per la successiva "Zmatek". Una traccia sperimentale di scuola "ulveriana", complice una voce che evoca in un certo qual modo, quella di Garm, in un incedere epico e finalmente digeribile e coinvolgente (soprattutto a livello percussivo), in grado di rendere la proposta dei Mekigah un po' più abbordabile, almeno nella sua prima parte, prima che rigurgiti psicotici emergano dalla maledetta ed oscura musicalità di questo brano. Un altro intermezzo noise ed ecco "The Infinite Never", una non-canzone all'insegna di voci robotiche e dilatatissimi suoni ambient-ritual-cibernetici. Ci avete capito qualcosa? Io non molto, ma forse è il bello di questa band che ha ancora tempo di sparare le ultime cartucce con il trittico finale affidato alle litaniche e soffocanti melodie di "A Vast Abyss", un brano che incarna forse l'intera produzione dei Mekigah in un malinconico e caustico pezzo all'insegna di ambient black doom drone d'avanguardia. Con "Backpfeifengesicht" ci immergiamo in dieci minuti di minimalistici vaneggiamenti sonori che tra drone, black noise, oscuri anfratti ambient, avantgarde e musica elettronica, non fanno altro che proiettarci in uno spazio intergalattico assai distante. A chiudere il disco, il cui mastering è stato affidato a Greg Chandler degli Esoteric, ci pensa "Rejection Nostalgia", l'ultimo atto che mal cela la follia dilagante di Vis Ortis e dei suoi Mekigah. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 75

https://mekigah.bandcamp.com/album/autexousious

giovedì 7 settembre 2017

Fleurety - Inquietum

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Fleurety è un demone dell'oscurità, luogotenente di Belzebù, esperto di veleni ed erbe allucinatorie che appare nel Grande Grimorio scritto a quanto pare oltre 500 anni fa. Un nome, Fleurety, che a me rimane scolpito nella memoria per essere un gruppo autore di un album pazzesco di black psichedelico, che quasi gli valse l'appellativo di Pink Floyd del black metal. Sto parlando di 'Min Tid Skal Komme' che uscì nel 1995. Dopo quel disco nel 2000, un interessante album di musica d'avanguardia e poi un silenzio perdurato quasi dieci anni, a cui seguì una sfilza di EP, quasi a dirci che il duo norvegese è ancora vivo e vegeto. Ora tutti quei dischetti sono stati raccolti sotto lo stesso tetto, 'Inquietum' appunto, a prepararci ad una nuova uscita della band prevista per fine ottobre. Intanto proviamo ad analizzare questa compilation, confezionata egregiamente dalla Aesthetic Death, in un digipack giallo fosforescente. L'album si apre con "Descent Into Darkness", song che risale addirittura al primo demo della band, datato 1993 e qui rimasterizzata insieme alla strumentale "Choirs" e ad "Absence", originariamente incluse in 'Ingentes Atque Decorii Vexilliferi Apokalypsis'. La prima traccia si manifesta come una forma assai primitiva di quel 'Min Tid Skal Komme' di cui scrivevo poc'anzi, ossia un black metal psicotico e disturbato che offre chitarre ronzanti, annichilenti vocals malate e derive droniche che saranno più palesi nella breve "Choirs", fino a giungere all'infernale "Absence", in un black thrash caustico ed inconcludente che vede i nostri, solo nell'ultimo minuto, lanciarsi in un'avanguardista fuga psicotropa. Si arriva a "Summon the Beats" e "Animal of the City", le due song del 7" 'Evoco Bestia' e mi sembra di aver a che fare con un'altra band: abbandonati i perversi screaming del vocalist, ecco apparire una gentil donzella, Ayna B. Johansen, che offre le sue doti canore su di un sound arrembante, ovattato quanto mai delirante che sembra essere una B-side estratta dal secondo 'Department of Apocalyptic Affairs'. La seconda traccia è invece puro black metal, rozzo e malato, che soltanto negli ultimi 60 secondi lascia trapelare un che di epico ed indomito. Il terzo capitolo della saga include i due brani inclusi in 'Et Spiritus Meus Semper Sub Sanguinantibus Stellis Habitabit': "Degenerate Machine" è caratterizzato da uno strano mix a livello vocale con dei rigurgiti stralunati in stile Solefald uniti ad un qualcosa al limite dell'improponibile traslati in un sound dozzinale quanto mai ferale, ma ricco anche di riferimenti prog che preservano un'aura di misticismo sull'intero lavoro. La seconda "It's When You're Cold" è sperimentazione black noise parecchio difficile da digerire, se non dopo aver ingerito o fatto uso di una dose di sostanze decisamente proibite che inducono poi un lungo sonno lisergico. Il quarto e ultimo capitolo è affidato all'ultimissimo EP, 'Fragmenta Cuinsvis Aetatis Contemporaneae', uscito a inizio di quest'anno e che include "Consensus" e "Carnal Nations", due tracce che probabilmente fotografano l'attuale stato di forma del duo originario di Ytre Enebakk. Una prima traccia che affida la propria ritmica ad un black schizofrenico su cui poggiano strani effetti sonori e onde modulatorie disturbanti generate dai synth deviati di Svein Egil Hatlevik (la sua esperienza nei Dødheimsgard deve essere pur servita); la seconda song invece sembra essere la canzone più normale del cd, peraltro la più legata a quel primo grande album di questi folli musicisti norvegesi. 'Inquietum' è una raccolta davvero di difficile ascolto, consigliata ai soli fan della band, considerato che qui si raggiungono vette di estremismo davvero complicate da concepire. Per pochi intimi. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/thetruefleurety

giovedì 10 marzo 2016

Dust To Dearth / Lysergene - The Death Of The Sun

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Drone/Ambient/Funeral
Uno split con due band, una inglese e l'altra australiana, con sonorità ai confini della realtà, tanto ricercato l'album quanto anonimo nella confezione (l'artwork è poco curato e questa collaborazione meritava decisamente di più), tanto inquietante quanto gratificante nell'ascolto, elitario, impegnativo, sognante, oscuro, un viaggio sonoro verso un'altra dimensione, un trapasso inebriante ma non indolore. Si parte con i Dust to Dearth, progetto solista e parallelo di Mandy Andressen della nota band australiana Murkrat, il cui approccio alla musica drone, industrial, minimal doom si rivelerà apocalittico, con atmosfere rarefatte e silenzi infiniti, solcati da rintocchi orchestrali, come nel gioiello intitolato "Winter", dove un flauto di Pan fa il suo ingresso ancestrale e mistico tra suggestioni drone, elettronica e leggerissime percussioni post atomiche. In questa atmosfera troviamo la chiave di tutta l'opera, la sua voce angelica/sepolcrale, dal tono solenne e alchemico, una sorta di Loreena McKennitt dal tocco plumbeo e marziale atto a sottolineare il rigore ferreo delle malinconiche composizioni surreali della band. Da qui si snoda e parte l'intero lavoro della band, con la parte vocale usata perennemente in maniera sciamanica a guidarci in una foresta sconosciuta di sperimentazioni elettroniche e ipnotiche. L'impatto è psichedelico, melodico, decadente, gotico, etereo, introspettivo, un funeral doom la cui lenta cadenza deprivata di una chitarra, mostra un carico di emotività e magia comparabile a quello emanato da 'Spleen and Ideal' e 'The Serpent's Eggs' dei Dead Can Dance o da 'To Drive the Cold Winter Away' di Loreena Mckennitt molto tempo fa. "It is Dark" con i suoi accordi strascicati di piano, mi ricorda certe ottime cose di Gitane Demone e Dark Sanctuary, mentre "Dearth" ritorna sulle orme della divinità Lisa Gerrard per chiudere alla grande con gli oltre undici minuti di coltre nebbiosa, maestosa e misteriosa di "The Last". I Lysergene di Gordon Bricknell (chitarrista degli Esoteric) si allacciano perfettamente ai compagni di scuderia con un primo brano strumentale, lisergico quanto marziale con un finale contaminato da folle psichedelia aliena, con i suoni che ricordano gli Ulver più eterei e certe oscurità di casa Die Verbannten Kinder Evas con quel sano tocco di geniale perversione elettronica alla Maurizio Bianchi di "New Heavens New Earth", sonorità concepite sempre con un tocco malato, che sfiorano l'ambient di Somnium nel ricordo di un Robert Rich in salsa lo–fi con l'intento di creare un suono atto a disturbare l'ascoltatore con incubi astrali e siderali. La mezz'ora circa di musica strettamente strumentale in odor di Lustmord o simili, offerta dalla band di Birmingham è votata all'assenza di percussioni e ci costa un viaggio di sola andata verso la psiche più oscura della nostra personalità, la colonna sonora perfetta per il nostro inspiegabile B side, srotolata in tre lunghi brani psicologicamente contorti e cerebrali, enigmatici e sperimentali, persino romantici se visti sotto una certa ottica. La Aesthetic Death ci offre l'opportunità di scoprire questi due side project formati da componenti di Esoteric e Murkrat in una forma smagliante, con musica al di sopra delle righe, sicuramente per ascolti di nicchia ma con un valore inestimabile e di alta qualità. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2010)
Voto: 75

sabato 5 marzo 2016

Wreck Of The Hesperus - Light Rotting Out

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Doom
'Light Rotting Out' è un album non nuovissimo ma di ottima fattura che la Aestethic Death Records ha riesumato dalle lande desolate del black/doom più intransigente, dimostrando ancora una volta di far centro nelle sue uscite con musiche di confine, violente, funeree, sperimentali ed estreme. Il cd, ormai datato 2011, si snoda in tre lunghissimi brani aprendo le danze con "Kill Monument" che lascia esterrefatti per le urla lancinanti d'estrazione molto black e gli infiniti lassi di totale silenzio usati come pause tra una colata di doom nero come la pece, sinistro, primordiale e cavernicolo e le successive trame più articolate e rumorose. Violentissimo l'impatto sonoro, con atmosfere da black metal viscerale, tanto difficili da trovare in un classico album funeral; la velocità del disco è ridotta, rallentata e soffocante, l'ambientazione tra il sacro e il profano, sempre e comunque meravigliosamente doom. Il sound è buio, crudo, malato sempre tirato all'estremo per una forma espressiva portata avanti da un'aurea drammatica dal marcato istinto animalesco, tetro e orrorifico. Sarà la splendida e disumana performance vocale di AC Rottt che ci macera il cuore e le carni con i suoi vocalizzi, a rendere il tutto così folle e disincantato, una forma di tortura che non brilla certo per suoni ad alta fedeltà ma che ci offre piuttosto un collage underground selvaggio, rarefatto, scarno, visionario e istintivo. Gli oltre dieci minuti di "Cess Pit People" spostano il tiro verso un corridoio d'avanguardia, incrociando il suono della nuova creazione di Lee Dorian, i With the Dead, con quello che fu il mito dei primi Napalm Death ed i Naked City per un'orgia di suoni dal secco odore industriale, un sound pronto a confrontarsi con gli ultimi Twilight e l'oscurità dei Vallenfyre vista al rallentatore. "The Holy Rheum" nella sua maestosa durata di ben oltre 20 minuti, è divisa in due atti, "Night of Negative Stars" e "Hologram Law", con il vuoto ancestrale che le divide e la cui evoluzione potrebbe creare molti problemi ad ascoltatori deboli di cuore. La sua veste sperimentale ed il sax ululante e folle, alla maniera del signor Zorn, esalta la potenzialità psicotica e la voglia di varcare il limite introducendo una splendida seconda voce in stile Death in June, marziale e pulita nel finale, a combattere con lo screaming forsennato e una batteria che regna incontrastata e paranoica, che mi ha ricordato l'estraniante capolavoro dei PIL, 'Flowers of Romance', ovviamente da immaginare in chiave rigorosamente black/doom/sperimentale. Rinchiuso in un digipack geniale formato A5, prevalentemente nero e dal gusto vintage, senza titolo né nome in copertina e quattro inserti tipo cartolina artistica a spiegare l'opera attraverso i testi dei brani, 'Light Rotting Out' si presenta come un diamante grezzo, pregiato, da essere ascoltato con le dovute maniere e meritare un posto d'onore nei vostri cuori. Questa band irlandese (in attività dal 2004 con una costellazione di release), sebbene cerchi con ogni mezzo di rimanere nell'anonimato più assoluto, deve essere scoperta ed apprezzata, anche se non tutti riusciranno a capirla, ma è innegabile che gli intenditori l'ameranno alla follia. Devastante per la psiche! (Bob Stoner)

(Aestethic Death Records - 2011)
Voto: 85

https://www.facebook.com/Wreck-of-the-Hesperus

mercoledì 17 febbraio 2016

Goatpsalm – Erset la Tari

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Ambient Noise/Drone/Black
I Goatpsalm sono una band di sicuro interesse per ricercatori di suoni spinti al limite del rumore ambientale, del feedback lisergico oltre confine ed estimatori d'avanguardia black/industrial estrema. La band russa esplora con il secondo album, uscito per la Aestethic Death nel 2012 l'universo storico e l'oscurità che si cela nella cultura sumero/babilonese, raffigurando la divinità Tiamat armata di tridente in copertina e cospargendo l'intero artwork di riferimenti e simboli storico religiosi dall'aria sinistra e minacciosa, mischiati alle poco rassicuranti figure dei tre musicisti sovietici. I nostri propongono la loro musica attraverso sonorità estreme divise in tre brani distinti, di cui il primo e l'ultimo di notevole durata (vicina ai venti minuti), separati da "Bab Illu", più corto e rafforzato da una evidente presenza etnica mediorientale costruita da strumenti a corde irrorati di misticismo e mistero per un'atmosfera arcaica e cupa pregna di sentore nero, un presagio sonoro perfetto per l'imminente disfatta di Babele. La conclusiva "Under The Trident Of Ramanu" mette in evidenza un riconoscibile destrutturato riff di chitarra, sorretto da una rarefatta, rumorosa e lacerata sezione ritmica in salsa lo-fi, con un finale caotico e astratto come se, giocando con il sound più glaciale e minimale del black metal, i Sunn O))) perdessero il mastodontico peso a favore di un groviglio di riff e lamenti chitarristici abissali, rubati ad un Eric Draven, fantasma e malato, nascosto in un luogo solitario tra il Tigri e l'Eufrate, investito da rumori di ogni tipo con finale spettrale che richiama i temi toccati nel brano d'apertura. Ricco di minimalismo rumorista, voci agghiaccianti, sussurrate e recitate, escursioni etnico/tribali che conducono in un viaggio da incubo in compagnia della divinità Marduk; una chitarra scarnificata, tagliente e gelida rallenta il battito cardiaco, giocando le sue carte sul filo del black sperimentale oltranzista (immaginate i Beherit di 'Unholy Pagan Fire' con una sezione ritmica dalla cadenza marziale, eterea, statica e lacerata) e l'industrial/drone più radicale, drammatico, minimale, cinematico, per certi aspetti molto simile ad una vera e propria colonna sonora da film. Aspettando il terzo e nuovo full length in uscita sempre per Aestethic Death a brevissimo, lasciatevi travolgere da questa infinita, affascinante, tenebrosa, tempesta mistica mediorientale! (Bob Stoner)

(Aestethic Death - 2012)
Voto: 75

mercoledì 16 dicembre 2015

Of Spire and Throne – Sanctum in the Light

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Drone
Carattere oscuro e personalità da vendere, passione e tenebrosità. Una musica schiva, intensa per questo primo full length della band scozzese degli Of Spire and Throne, un album carico di luoghi comuni del doom ma allo stesso tempo ricco di fascino e mistero, trascinante e a suo modo fantasioso, che coglie lo spirito eterno del suono Sunn O))) e lo rielabora in una forma più accessibile, più rock, che riprende i canoni usuali del doom e li rilegge con una tetra sensibilità da far impallidire anche l'ascoltatore più esigente. Proprio qui sta la forza della band di Edimburgo, riuscire ad essere personali ed interessanti con cadenze tipiche del funeral e rallentamenti ipnotici, aperture epiche ed atmosfere infinite dal sapore di epoche antiche, primordiali. Brani interminabili, voce maligna, con esplosioni inaspettate ed evoluzioni curate, un certo gusto cinematico e una esasperata, deliziosa pesantezza, mai forzata né arrogante, sempre in equilibrio, paragonabile solo al capolavoro 'As Heaven Turns to Ash...' dei Warhorse, una genialità seminale, inesorabile, devastante e "Upon the Spine" ne è la prova, un brano stupendo. Sono quattro le tracce dalla durata interminabile che in totale sfiorano l'ora di musica, eppure tutto scorre tranquillamente in un ascolto vario ed impegnato tra impennate lisergiche, atmosfere drammatiche, drone, sound granitico e cadenza rallentata. La produzione è impeccabile e si vede che i quattro musicisti scozzesi ne hanno fatto di strada dal 2009, ad oggi. Le numerose fatiche fatte a suon di demo, split ed EP hanno dato frutto a questo gioiellino sotterraneo indipendente, distribuito in cd dalla Aesthetic Death Records, in cassetta e vinile rispettivamente dalla Tartarus Records e dalla Tatterdemalion Records. 'Sanctum in the Light', ossia il fascino luminoso dell'oscurità, un album perfetto! D'obbligo l'ascolto per gli amanti del genere. Splendido lavoro! (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2015)
Voto: 90

mercoledì 1 luglio 2015

Walk Through Fire – Hope is Misery

#PER CHI AMA: Sludge/Doom, Worship, Grief, Abandon
Immense distese oscure si espandono allo scorrere di quest'ultimo lavoro degli svedesi Walk Through Fire, in cui ogni minuto sgorga estrema sofferenza e malessere. L'album sfiora gli ottanta minuti di durata, e si erge su riff incredibilmente prolissi, sostenuti da ritmiche ossessive e prepotenti, nelle quali a tratti, compare una voce urlata, rigida ed incisiva. La preponderanza compositiva e la possanza sonora potrebbero mettere a dura prova il nostro ascolto, ma chi propende per le tetre emozioni, sacrificando la musicalità, troverà in quest'opera una perfetta dose di dolore - “Hope is Misery” e “Another Dream Turned Nightmare” vincono su tutte. A rendere il tutto più viv(id)o (anche se sarebbe più adatto dire “morto” in quest'occasione) è la performance del quartetto di Gotheborg che ha registrato live in studio tutto l'album, fatta eccezione per l'ultima “Laid in Earth”, una prova questa dell'intrinseca angoscia palesata dai nostri, privi della necessità di programmare o aggiustare le registrazioni in modo da ricercare la miglior resa. Angoscia resa perfettamente anche tramite l'utilizzo delle opere del pittore turco Cihat Aral, opere che compongono il booklet, espressione di una plumbea e soffocante atmosfera. Tirando le somme, questa terza uscita dei nostri è un pieno centro: anche se non si tratta certamente di musica per tutti o d'intrattenimento, 'Hope is Misery' riesce pienamente nel suo intento di annichilire animi e speranze. (Kent)

(Aesthetic Death/Wolves And Vibrancy Records - 2014)
Voto: 70

venerdì 1 maggio 2015

Haiku Funeral – Nightmare Painting

#PER CHI AMA: Electro Black/Avantgarde, Dodheimsgard
Fingere che un album simile non debba rientrare negli ascolti dovuti sarebbe da ipocriti come dire che questo duo transalpino, formato da Dimitar Dimitrov (electronics, keyboards, vocals) e William Kopecky (bass, vocals), non abbia creato un piccolo capolavoro sotterraneo. L'ibrida creazione sonora di 'Nightmare Painting' tocca vette sovrumane di originalità, costruita prendendo il meglio di tanti sottogeneri del metal e dell'elettronica alternativa. Sul lettore la carrellata di brani scorre che è un piacere. Tra i suoni troviamo un delizioso senso di perversione molto caro al black d'avanguardia e un'elettronica oscura che ricorda i pionieri Renegade Soundwave ed il Gary Numan più contorto e gotico. Dietro alla musica, c'è tanta passione per la new wave meno nota degli eighties come i gloriosi In Excelsis; il basso è dominante in molti brani e quando strizza l'occhio alle ritmiche più funk, la somiglianza con le sperimentazioni nella world/etno music del compianto Mick Karn, mette i brividi. La genetica di queste composizioni è tanto complessa e vitale che ci porta ad apprezzare una band trasversale ad ogni costo, affetta da una voglia conpulsiva di mescolare, unire e disgregare tutto ciò che fino ad ora è già stato ascoltato. Il buio sintetico e la voglia di stupire degli Haiku Funeral ricordano le cose migliori di Coldworld, Ulver e Dodheimsgard, che collegate alle sonorità elettroniche dei Project Pitchfork dei tempi migliori, ci fanno scoprire una band in piena forma creativa. Mescolando la new wave con l'ambient più decadente, la cadenza doom alla sperimentazione black, l'industrial alla psichedelia plastificata, ci si rende subito conto fin dal primo ascolto di quanta fantasia compositiva ci sia dentro queste canzoni bilanciate da un perfetto equilibrio. Il cd ha un lato commerciale invidiabile, una pregevole produzione ed una buona orecchiabilità che non guasta le potenzialità incendiarie più heavy, volgendolo sempre ad una platea d'ascolto di ampio raggio. Sebbene uscito nel 2012 per la Aesthetic Death, 'Nightmare Painting' risulta essere tutt'ora l'ultima opera di una splendida unione artistica tra due musicisti illuminati, aperti ad ogni sensazione sonica, in grado di captare, catturare e destrutturare le basi della musica estrema fino a farla apparire accessibile, mantenendo intatte le radici progressive ed estreme della band. Difficile radiografare una per una le tracce dell'album per giudicarle, in quanto il cd va messo sul lettore ed ascoltato fino in fondo come fosse un'unica immensa composizione. Esperienza sonora totale, una fucina di idee...grande prova! (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2012)
Voto: 90

http://www.haikufuneral.com/

giovedì 16 aprile 2015

Eibon - II

#PER CHI AMA: Sludge/Death/Black/Doom
Un vento torrido mi brucia la faccia quando il primo magmatico riff irrompe nelle casse del mio stereo, facendole vibrare in modo assai pericoloso. Ecco il preludio inferto dai transalpini Eibon e dal loro secondo disco, 'II', uscito nel 2013 sotto l'egida della Aesthetic Death. 'II' come le due tracce contenute in questo platter di quasi 43 minuti, fatto di profondi riff di chitarra che si muovono tra momenti sludge, parentesi black e abissali digressioni funeral doom, il tutto però impreziosito da un'impensabile dose di groove tipica dell'hard rock anni '70, in grado di rendere godibile questo disco anche a chi mostra qualche remora nell'avvicinarsi a sonorità cosi estreme. Non so se sia merito delle lunghe parti strumentali, o di un'intrinseca capacità del quintetto parigino, che di classe ne ha a fiotti, nell'offrire la propria musica sul piatto d'argento, ma con le psichedeliche partiture di "The Void Settlers", mi sento conquistato senza alcuna esitazione, ingurgitato in scalcinati anfratti di decadenti quartieri di Parigi, ubriacato da un sublime vino rosso e allo stesso modo mi ritrovo inebriato dalle vibranti linee di chitarra dei nostri che mi conducono ipnotizzato fino al termine della opening track, in cui è l'impetuosa ritmica a prendermi a schiaffoni senza nemmeno che io me ne renda conto. Magistrali non c'è altro da dire. Eccellente è pure la voce di Georges Balafas, non troppo esuberante nella sua performance, a cavallo tra un acido screaming e un growling profondo. A dir poco stordito dall'incipit devastante dell'ensemble francese, arrivo alla seconda e ultima traccia, "Elements of Doom", titolo che la dice tutta su quanto mi troverò davanti da qui a poco. L'inizio è affidato a rumori indistinguibili che creano una certa suspance. Il brano parte cattivo, e anche abbastanza anonimo, palesando tuttavia una palpabile tensione di sottofondo. Della lisergica matrice affidata alla prima song non vi è più traccia nemmeno dopo i suoi primi dieci minuti. Un lunghissimo (e splendido) assolo in tremolo picking, rivela la natura bizzarra della seconda parte del pezzo, in cui i cinque musicisti si rincorrono attraverso claustrofobici meandri, in cui il black dei nostri invoca nella mia mente un'insana follia omicida. Quando gli animi si placano, cala il sipario su una notte senza stelle ove la pioggia cade copiosa e il disco si chiude languido nei suoi rimanenti sei minuti di suoni lontani. Sublimi. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2013)
Voto: 85

mercoledì 8 aprile 2015

The Nihilistic Front - Procession to Annihilation

#PER CHI AMA: Funeral Death Doom, Disembowelment, Incantation
Ho gridato al miracolo, lo ammetto, "i Disembowelment si sono riformati". Ahimè si è trattato di un mero abbaglio, ma questo duo di Melbourne suona davvero in modo molto simile ai loro precursori, peraltro originari della stessa città. Se siete dei beceri ignoranti in materia e non sapete chi siano stati i Disembowelment e state sgranando gli occhi, vi inviterei a fare un tuffo nel passato e andarvi a riprendere un capolavoro unico nella storia del doom apocalittico, quale fu 'Transcendence into the Peripheral'. A distanza di vent'anni da quell'album incompreso, i The Nihilistic Front fuoriescono dalle viscere della Terra con un concentrato stagnante e putrefatto di death dannatamente oscuro, lento e melmoso che ridà voce ai gods australiani. Quattro le tracce incluse in questo 'Procession to Annihilation', disco uscito nel 2013, ma soltanto oggi tra le mie mani, grazie all'Aesthetic Death. Quarantacinque i minuti a disposizione per i nostri per annichilirci con un disco il cui obbligo è l'ascolto in cuffia ad un volume alto, molto alto. E quando vi sparerete nelle orecchie "Confronted by the Obscure", capirete il perché delle mie parole, la necessità di cogliere ogni singola mortificante nota contenuta in questo lavoro, un rumore, un suono, un fottutissimo claustrofobico riff che annienta i neuroni del nostro cervello. Cingoli di carro armato, voci d'oltretomba, sporchissimi suoni nefasti, asfissianti atmosfere, in cui i Disembowelment sembrano jammare con Esoteric, Incantation e primissimi Anathema per un risultato da brividi, che trova conferma anche nella successiva roboante title track, ove il caos sonoro regna incontrastato sul mondo. Paurosi, non trovo altre parole per definire i degni eredi del mortifero e mai dimenticato sound dei Disembowelment. E la lentezza disarmante di "Opaque Shadows" o la litanica proposta di "A Working God" sovrasta qualsiasi altra cosa death doom abbiate ascoltato ultimamente, perché qui è racchiusa la vera essenza di un genere. Non potrò certo definire i nostri originali, visto che il nichilistico sound andava tanto in voga nei primi anni novanta spruzzato anche di una certa verve brutal death, ma i The Nihilistic Front sanno il fatto loro e questo è sufficiente per invitarvi a tenerli sott'occhio, ovviamente solo dopo aver ascoltato gli originali. Deflagranti. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2013)
Voto: 80

domenica 1 marzo 2015

Mekigah - Litost

#PER CHI AMA: Drone/Noise/Doom/Experimental, Terra Tenebrosa
I Mekigah sono una band australiana che ho avuto il piacere di ospitare un paio di volte all'interno del Pozzo, prima con il debutto 'The Serpent's Kiss', disco che strizzava l'occhiolino a sonorità gothic dark new wave e poi con 'The Necessary Evil', lavoro più pesante e orientato al versante death doom. Il compositore Vis Ortis, orfano di Kryptus, mischia nuovamente le carte e, coadiuvato da altri amici, tra cui quel TK Bollinger da poco recensito su queste stesse pagine, si lancia in un lavoro dalla forte aura sinistra, il cui legame con il passato è riscontrabile solo nel nome dell'interprete principale, Vis Ortis appunto. 'Litost' è un album controverso, dannatamente oscuro che si muove tra le rarefatte atmosfere della opening track, "Total Cessation of One", song al limite del drone, alla successiva e malatissima "The Sole Dwelling", traccia asfissiante, demoniaca e che alla lunga potrebbe condurre alla pazzia. L'incedere è lento e ossessivo, con suoni e rumori di sottofondo che sembrano provenire direttamente dall'inferno. "Arangutia", la terza traccia, non accenna minimamente a cambiare il tiro, cosi come è accaduto in passato per cui il sound dei nostri andava evolvendosi verso lidi sempre più improbabili. Qui si continua a scavare per scivolare sempre più verso il fondo, raggiungere le viscere della terra, entrare i cancelli dell'oltretomba e magari incontrare di persona Belzebù, Lucifero o quel diavolo che vi pare. A livello di sonorità, trovo qualche punto di contatto con i Terra Tenebrosa, ma i Mekigah hanno superato quei limiti dell'act svedese che pensavo invalicabili. Il violoncello di Ken Clinger si palesa minaccioso nella quarta "By Force of Breath", bellissimo esempio di dark ambient cinematico. Con il noise/drone della breve "Sa Fii al Dracului", si chiude la prima parte del disco che ricomincia da "Wurrmbu", un altro pezzo disorientante che continua a non consentirmi di mettere a fuoco la proposta del mastermind di Melbourne. Che diavolo è successo in questi ultimi tre anni, perchè la dipartita di Kryptos, come mai Vis Ortis si è infilato nel tunnel della disperazione sonora? Con "Circuitous Revenge" ho quasi la sensazione di rivedere la luce, quella luce che è stata spenta all'atto di premere il tasto play su 'Litost'. È solo una vana speranza però. La notte, il buio, le tenebre, l'assenza di luce, l'oscurità sono solo alcuni sinonimi di quello che è oggi la musica dei Mekigah. La litania sonora dei nostri fa quasi paura, i vocalizzi qui inclusi sono solo quelli delle anime dannate sommerse nella pece bollente e uncinate dai diavoli, mentre i suoni desolanti della successiva "Mokuy" sferzano l'aria come le raffiche del Blizzard polare, sebbene la melodia sia lenta e raggelante le vene. È il verso dell'ennesimo demone quello che si sente nell'incipit della conclusiva "Bir'yun", song che chiude un disco di assoluto valore ma anche di difficilissimo approccio. Un disco per poveri diavoli, anime dannate, grandi peccatori, condannati, tormentati e straziati. Se anche voi pensate di rientrare in una di queste categorie, 'Litost' è il disco che fa per voi, altrimenti sappiate che "qui si va nell'eterno dolore, si va tra la perduta gente, lasciate ogni speranza voi ch'entrate". (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2014)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Mekigah