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martedì 14 novembre 2023

Closure in Moscow – Soft Hell

#PER CHI AMA: Alternative Pop Rock
Devo ammetterlo, questo nuovo album degli australiani Closure in Moscow, mi ha creato molti conflitti, fin dall'uscita dei primi singoli. Premetto che ho adorato le uscite precedenti reputandole geniali e molto sottovalutate, però questo album non me lo aspettavo fatto in questo modo. I nostri hanno fatto una scelta stilistica simile all'ultima fatica dei Coheed and Cambria, oppure l'ultima uscita dei The Mars volta, o al tempo, 'Pitfalls' dei Leprous, dove delle ottime band in odor di hard rock progressivo moderno e ad alto tasso tecnico, si spostano verso ambienti più pop, alla ricerca di notorietà e un più vasto pubblico. In fatto di tecnica, questa band ha già dimostrato di non essere seconda a nessuno e, anche in quanto a produzione, ha sempre avuto standard altissimi. Ricerca dei suoni ed eleganza sono una prassi per la band di Melbourne, però in questo disco i nostri calcano tanto la mano su innesti funk, pop, dance, il tutto a discapito delle fughe nel rock prog che rendevano gli album precedenti pazzeschi. Immaginate gli Incubus ancora più tecnici, ma più goliardici, che giocano con il funky dei migliori FFF (French Funk Federation), si esaltano in assoli ma non entrano mai in un'atmosfera diversa dallo scanzonato rock che ricorda certi gruppi funk metal degli anni '90. Il disco è pieno di idee sullo stile dei progetti di Omar Rodriguez Lopez, ma come nell'ultima opera dei Coheed and Cambria, passo dopo passo, ci si avvicina sempre più ad una deriva elettro/indie/pop rock, con buone intuizioni ed ottime sonorità, al passo con certe cose di Saint Vincent, ma che guasta con il passato dei Closure in Moscow, per come si sono proposti in precedenza e i dischi che hanno fatto fino a questo punto. Certo, cambiare rotta fa parte di un artista e la ricerca, seppur avanzata in generi nuovi ed inusuali, non si è fermata anzi si è espansa, però qui la band ha cambiato registro e cercato una soluzione più appetibile per un pubblico più ampio. Resto tuttavia dell'idea che per la caratura di questi musicisti, inseguire le orme di band come i Red Hot Chili Peppers, che in cambio di un grande successo hanno perso grinta, carisma e freschezza nelle composizioni, non sia la strada giusta, almeno dal punto di vista artistico. Tornando all'album, non posso far altro che dire che è un buon disco, suonato troppo bene per restare nel calderone del pop, carico di buone idee, belle sonorità e tecnica sopraffina ma troppo pop, soul e funk, per emergere tra i seguaci del progressive rock e dell' alternative rock, che potrebbero rimanere delusi da quel velo di leggerezza che pervade l'intera opera. Cosa, comunque, che non intacca minimamente le qualità di composizione e di esecuzione di questi musicisti, che rimangono spettacolari, con un vocalist eccezionale che risponde al nome di Christopher de Cinque. 'Soft Hell' è il titolo di questo loro quarto album, quasi un presagio che avverte i fans di un'imminente sconvolgimento dei piani, con una forma musicale sempre ricercata ma più melodica e meno selvaggia, un disco tutto da interpretare che creerà pareri contrastanti tra i fans dei Closure in Moscow. "Don Juan Triumphant" è la mia preferita perchè porta nella sua composizione molti richiami al loro passato, "Jaeger Bomb" ha un tiro pazzesco, mentre in "Lovelush" vi trovo persino qualcosa degli '80s al suo interno e con la sua vena sognante e romantica, per quanto ricca di curiosità soniche, mi sconcerta più di tutti gli altri brani. Un album che deve essere ascoltato e studiato da mille angolature per capirlo e dargli il giusto apprezzamento, una nuova veste per questa band, che ha sempre e comunque, saputo mettersi in risalto ad ogni uscita. (Bob Stoner)

(Bird's Robe Records - 2023)
Voto: 70

https://closureinmoscow.bandcamp.com/album/soft-hell

venerdì 10 novembre 2023

Jemek Jemowit - Zemsta

#PER CHI AMA: Electro/New Wave
A giusta ragione viene riproposto nel 2023, completamente rimasterizzato, quest'album che ha visto la luce nel 2011. L'artista in questione è il berlinese Jemek Jemowit. Una sorta di ritorno alle origini delle sonorità della musica elettronica europea che trovava l'asse Berlino/Sheffield, il giusto mezzo di comunicazione tra Germania e Gran Bretagna, alla fine degli anni '70 e inizio '80 del secolo scorso. Scandagliata al setaccio, da gruppi di culto internazionale come gli Skinny Puppy, e passando obbligatoriamente dal movimento sperimentale Geniale Dilettanten. Niente di nuovo musicalmente, neppure se valutiamo questo lavoro nella sua prima data di uscita, nessuna nuova strada, nessuna nuova idea sonora, ma è proprio per questo che 'Zemsta', è da considerarsi un'ottima uscita, un'opera stoica e prolifica di mantenimento del genere, messa in atto da un nipote di quei mostri sacri, che l'elettronica l'hanno veramente plasmata. Prendete il tocco pop di Falco, il cupo dei Clock Dva, i Cabaret Voltaire, il glam oscuro e sintetico dei primi D.A.F., il taglio robotico dei precursori Kraftwerk, uniteli al genio tossico di Alec Empire e soci, aggiungete poi la forza d'urto della prima techno da rave devastanti, scarnificatela e rendetela a tratti gotica e molto dark, e avrete finalmente solo una vaga descrizione della radice sonora di questo disco. Spesso ideale per un night club oscuro e sinistro, una fede incrollabile, votata ad un suono freddo tra cemento e acciaio, al digitale, e per finire un'attrazione per l'industrial dei Rammstein, tolte le chitarre distorte e attitudine metal. "Jeans und Leder" apre le danze ed assieme a "Maenner Meiner Heimat" e "In Shoeneberg", formano un trittico di pura goduria elettronica, timbrica dura, pulsante e suoni sgraziati, poca melodia e ritmi rigidi, glaciali e industriali. "Meine Tabletten" si apre a certo post punk con un ottimo ritornello/filastrocca che parte al minuto 2:47, degno di un film horror, inaspettato e geniale, sulla scia di autorità irraggiungibili del calibro delle Malaria!, che sancisce definitivamente anche il legame storico di questo disco con il movimento Neue Deutsche Welle, costola evoluta e ibrida tra punk e new wave tedesca, nato qualche decennio prima dell'uscita di 'Zemsta'. Tra sussulti alla Depeche Mode epoca 'A Broken Frame', e pulsazioni techno sperimentali ("Liebe, Krass und Ass" e "Am Boden Zerschmettert") , rumori e synth a gogo, si avanza senza perdere un solo colpo. "Sad Ostateczny" è forse la meno interessante del lotto sotto il profilo sperimentale, mentre la successiva "Angst vor Feuer" è un esempio di come dall'utilizzo di un classico tempo techno, si possa, con gusto ed intelligenza, creare un ottimo brano, con un effetto sulla voce che ricorda alcune cose cantate da Tom G. Warrior nei Celtic Frost! "Zemsta" presta il titolo all'intero album ed è techno, macabra e noir, pulsante, con presenza di voci agghiaccianti sempre perfettamente in linea con la trama di qualche film horror. "Internist und Internet" torna al sound elettronico del dark/synth wave di inizio anni '80, con un riff di tastiera che in qualche accento richiama, per assurdo, "N.I.B" dei Black Sabbath, come fosse suonata dai Devo. Si chiude con "Chce Zostac Twoja Matka", un brano dalla struttura tipica del post punk elettronico vicino ai conterranei Grauzone. Cantato sia in lingua tedesca che polacca, penso che 'Zemsta' sia uno degli apici più alti di questo artista, innamorato dell'estetica sonora e della potenza sovversiva intrinseca della musica, dell'alternativo che lo ha portato ad utilizzare il verbo della techno e della new wave come mezzo espressivo per la sua arte. Quindi, musica ad effetto, interessante e destabilizzante, per una carriera che dura ancora oggi dal lontano 2007. Bisogna dire anche che, ad oggi, la musica di Jemek Jemowit, è mutata ed ha spostato la bilancia più verso lidi dance e techno, relegando i canoni più dark e post punk ai fasti del passato. Un artista comunque originale, che in questo specifico caso, ha superato ogni aspettativa, raccogliendo e rinvigorendo il seminato ed il raccolto già ricco, dei padri putativi del genere. Un disco che potrebbe finire nella vostra collezione di musica elettronica senza se e senza ma e per cui vale solo esclusivamente l'obbligo d'ascolto. (Bob Stoner)
 
(Greek Label Fabrika Records/Atypeek Music - 2011/2023)
Voto: 75

https://jemekjemowit.bandcamp.com/album/zemsta

Treebeard - Nostalgia

#PER CHI AMA: Post Rock/Progressive
Ci impiegano più di cinque minuti ad ingranare la marcia gli australiani Treebeard per venire fuori dall'opening track di questo 'Nostalgia', lavoro uscito due anni fa e riproposto dalla Bird's Robe Records su cd in questi giorni. Quando lo fanno però, il quartetto di Melbourne colpisce per i suoi suoni accattivanti ed attrattivi, in grado di miscelare post rock e sonorità progressive. Che la band sia pigra ad emergere dai propri trip cosmici è confermato anche dalla seconda e lunga "The Ratcatcher", che piano piano ci racconta qualcosa di più di questa band di cui ho scoperto solo oggi essere nella pila dei cd da recensire. Le sonorità molto intimistiche sono quelle che hanno il sopravvento nell'economia del disco con il post rock e tutti i suoi orpelli (suoni riverberati, tremolo picking e atmosfere soffuse) a farla da padrone e a conquistare nemmeno troppo lentamente, la mia fiducia. Si perchè i Treebeard mi affascinano per le loro sonorità che evocano altri artisti dell'etichetta di Sydney (penso ai We Lost the Sea), ma trovo abbiano anche qualche punto in comune con gli Anathema più crepuscolari e malinconici. E non posso che apprezzare, io che sono fan della band inglese, ma che seguo da vicino anche le attività della label australiana. Se poi aggiungete il fatto che finalmente una band post rock si proponga in una veste non strumentale, potrete capire il mio piacere nell'assaporare le note, a tratti pesanti, di questi gentiluomini. Sempre piuttosto criptico è l'inizio anche in "Pollen", quasi fosse un marchio di fabbrica dei nostri, con atmosfere shoegaze che si combineranno successivamente con sonorità più oniriche e liquide, prima dell'esplosione delle chitarre che ristabiliscono una sorta di status quo emozionale ove poggiare le voci stralunate del frontman. Mentre la titletrack si configura come un ponte con la successiva "8x0", quest'ultima mostra influssi cosmici nei suoi contenuti, da quel basso apocalittico che si prende la scena a inizio brano, al rifferama di estrazione quasi thrash che da li in poi fluisce nel corso del pezzo, che forse va a confermarsi come il più pesante del lotto, con il post metal che sembra venarsi di sfumature post hardcore in una progressione sonora strumentale che ci condurrà a "Terra". Qui, sembra coglierci un barlume di speranza, come se avessimo scoperto un nuovo mondo grazie alle tastiere in apertura, in realtà stiamo solo scoprendo quanto bello sarebbe il nostro pianeta se non lo stessimo distruggendo con le nostre mani insanguinate da guerre, inquinamento, odio e quant'altro. Un pezzo quasi ambient che sembra sottolineare malinconicamente quanto tutto stia andando a rotoli senza che fondamentalmente non ce ne importi nulla. Splendide qui le melodie delle chitarre, che sanciscono la cinematicità di questo ensemble. "Dear Magdalena" e "Nostalgia II" chiudono il disco, la prima con voci e atmosfere di "radioheadiana" memoria, almeno fino al quarto minuto quando i nostri sterzano verso sonorità più roboanti che ci accompagneranno al finale di "Nostalgia II", dove spoken words aprono un brano intenso e drammatico che non può far altro che imporci mille riflessioni di qualunque tipo. Nel frattempo, non posso far altro che consigliarvi l'ascolto del qui presente. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2023)
Voto: 75

https://treebeard2.bandcamp.com/album/nostalgia

sabato 4 novembre 2023

Dead Twilight - Fall of Humanity

#PER CHI AMA: Brutal Death
Quanto ascoltato nel devastante incipit di "I Hate", mi ha ricordato alcune cose dei Nocturnus che erano a loro volta mutuate dai Morbid Angel, vista la militanza del buon Mike Browning nella band di Tampa. Tuttavia non ci troviamo nè in Florida, nè negli Stati Uniti, visto che i Dead Twilight hanno origini siciliane e 'Fall of Humanity' rappresenta il loro terzo lavoro. Trattasi di un disco votato al brutal death di stampo americano in grado di annichilirci, grazie a dio, per soli 27 minuti, grazie alle otto brevi tracce qui contenute. Una serie di schiaffoni in faccia propagati da ritmiche death marcescenti, vocals cosi gutturali che ho fatto quasi fatica a identificarle (e non sto parlando di testi). Poi per il resto, è un continuo martellare ritmico che talvolta trova una pausa in un qualche bridge, come accade ad esempio a metà di "Rage from the Dead". Le influenze, oltre a quelle citate in apertura, potrebbero convogliare i nostri verso i lidi di Malevolent Creation o Deicide, altre due band che devono aver contribuito alla formazione stilistica dei fratelli Bellante che formano la band. A chi poi indirizzare l'ascolto di questo disco è molto facile: si raccomanda ai soli consumatori di brutal death e nessun altro, altrimenti rischiereste di lanciare il disco sotto le ruote della vostra macchina. E pensare che anch'io trent'anni fa mi entusiasmavo al rumore di un martello pneumatico e ora invece i miei padiglioni chiedono pietà, un qualcosa che in 'Fall of Humanity' non è assolutamente contemplata. (Francesco Scarci)

Hidden Orchestra - To Dream is to Forget

#PER CHI AMA: Suoni Sperimentali
Sognare è dimenticare? Benvenuti in questo oblio targato Hidden Orchestra, interessantissimo collettivo (o dovrei di,re orchestra?) britannico, guidato dal polistrumentista scozzese Joe Acheson, che affonda le proprie radici musicali nel jazz, IDM, drum & bass, rock, trip hop e musica classica. La prima song di 'To Dream is to Forget', è teutonica, possente, masticata dalle percussioni elettroniche, fuorviante, intersecata a sonorità distopiche connesse tra loro e sfuggenti alle altre tracce. Con "Hammered" disintegriamo un macigno facendolo irraggiare in pillole avvelenate, volatili. Pace convulsa, ossimori corrotti, graffi malcelati. "Little Buddy Move": è una traccia vivida, essenziale, imperlata da sonorità prismatiche. Fugge e rifugge la musica che nostalgica ritorna tra bit arroganti travestiti da ballerine provocanti in preda al reiterare di un loop buio senza luci strobo. E facciamo partire "Skylarks". La traccia parte fredda come il ghiaccio. Vi arriveranno stilettate di stalattiti dritte tra la giugulare e l’anima e finirete per esser preda di un gioco elettronico in cui perderete il vostro protagonista. Ora siete voi il centro del gioco. Copritevi bene se temete l’incendio per assideramento. Copritevi bene perché il vostro Matrix personale dura otto minuti e cinque secondi! Con "Nighfall" siamo nel mezzo dell’album. Inaspettatamente ci addentriamo in una radura fatta di suoni melliflui, di flora e fauna, di tastiere lentamente ascendenti. Il suono diviene circolare. La natura si trasforma in plastica alle pareti. La rete è in agguato per prendervi se mai precipiterete per esservi troppo rilassati. Silenzio. Patos. Monete che cadono sull’acqua. Un sound multidimensionale. Eccola "Scatter". Mi piace come mi piace fare su e giù con la testa ad un concerto intimamente ipnotico. Lasciate fuori di casa la mente. Portatevi solo i vizi per questo ascolto. Non vi dico altro. Vi rovinerei il circolo vizioso. E se non vi basta ora vi mando "Ripple". Soffia un vento del sud. Danzano le gitane intorno al fuoco virtuale, illusorio, poderoso, trepidante, fumante delle illusioni erotiche. Stacco le emozioni con "Broken". Sassi d’oro che vengono macerati in suoni. Ripercussioni in tre quarti. Ripercussioni ancora zingare e delizianti. Corse immobili all’oro che ci scende nella gola semi solido. Questa song corrompe l’anima. Filtra il buio solo se avevamo la luce dentro. Porta così lontano da…vedete voi se riuscite a tornare indietro dalle sabbie mobili a 24 carati. Ed ora benvenuta a "Cage Then Brick". Un minuto e cinquantasette di battiti fuori scala. Percussioni alterate, semicoscienti. Legno che scalda. Sibili di serpenti, cobra che avvolgono le arterie e d’improvviso sfumano. Non l’ho nemmeno assaporata. Come un morso letale. Piove adamantio. "Reverse Learning". Questa traccia inizia oltraggiosa e benevola al contempo. Ritmata quanto basta. Spezzata quanto basta. Avvolgente quanto basta. Sussultante quanto basta. Invece è una trappola per la mente. Esoterica. Pulsante. Accattivante. Egocentrica. E chiudiamo il nostro viaggio virtuoso con il titolo che dà il nome all’album, "To Dream is to Forget". Davvero? Perché? E se fosse? Gli Hidden Orchestra sono coraggiosi. Sfrontati. Enigmatici. Timidamente erotici. Futuristi. Capaci di pura proiezione nella loro arte. Ci lasciano con questo epilogo malinconico, filtrante, con suoni al rallentatore, espliciti, nostalgici, danzanti. E ora ricominciate l’ascolto e capirete la bellissima circolarità dell’album. (Silvia Comencini)

mercoledì 1 novembre 2023

Theosophy - Bleeding Wounds of the First and the Last

#PER CHI AMA: Black Metal
Dalla Russia con furore. È proprio il caso di dirlo dopo aver infilato il disco dei russi Theosophy nel lettore e aver fatto partire la title track di questo sesto capitolo intitolato 'Bleeding Wounds of the First and the Last', che offre un black melodico che combina eleganza a furia distruttiva. Questo stavo appunto cercando di dirvi mentre venivo immediatamente investito dalla ritmica veloce del misterioso quartetto originario di Barnaul. La band siberiana ci propina sei nuove tracce che si muovono con un pizzico di originalità (il chè non guasta mai) in territori estremi, ma lo fanno con cognizione di causa, il che si traduce in melodie di scuola scandinava, l'utilizzo di voci alternative a quelle tipicamente urlate del black e un discreto uso delle tastiere. Questo è quanto appurato nella coinvolgente traccia d'apertura e certificato successivamente da "Majesty of the Two Rivers" che, partendo da un incipit post punk, si tramuta in un'epica cavalcata black, di quelle che sogni scalando montagne innevate a mani nude o attraversando rigogliosi boschi coperti di neve. Mi piace l'utilizzo delle percussioni in questo pezzo soprattutto nei break in cui i nostri decidono proprio di dare maggior risalto alle pelli. Poi largo a gelide melodie che si renderanno ancor più glaciali nella successiva "Ash", quasi un inno agli Immortal, che si muove tuttavia in bilico tra ritmiche sghembe e altre più fredde e semplici, quasi i nostri volessero unire la scuola francese dei Deathspell Omega con quella di Demonaz e compagni. E non possiamo che apprezzare il tentativo di andare fuori dai consoni binari del black metal. Certo, quello che ne salta fuori non ha ancora le sembianze di una nuova originalissima creatura ma potremmo essere sulla strada giusta. Il tutto è suffragato dalle successive song, dalla più criptica e malinconica "The Spirits of Tarma", forte dei suoi tremolo picking, di un drumming che si conferma ancora assai interessante e potente, e di atmosfere sulfuree niente male. Si passa poi a "Only the Wind Blows Wherever It Wants" e "Over the Empty Valleys" che suggellano la prova generale dei Theosophy. Se posso permettermi, nei prossimi capitoli cercherei un maggior uso della parte solistica e un utilizzo più importante dei synth nella costruzione di parti più atmosferiche in grado di esaltare l'epicità e la componente sinfonica di una band che sembra avere ancora ampi margini di crescita. (Francesco Scarci)

Shrapnel Storm - Silo

#PER CHI AMA: Death/Thrash
Terzo album per i finlandesi Shrapnel Storm in 17 anni di carriera. 'Silo' arriva a distanza di quella bomba autointitolata uscita nel 2020, pertanto potrete immaginare come l'attesa per il nuovo lavoro fosse piuttosto alta. Tuttavia, devo ammettere che questa nuova release non mi abbia impressionato più di tanto: dieci brani più intro votati ad un death thrash piuttosto lineare che da "Wastelands" arriva senza troppi sussulti, alla conclusiva "This is Where I Fell". Ci sarà quindi qualcosa da salvare in questo disco, vi starete domandando? Si si, non temete. Le parte solistiche sono sicuramente piacevoli, l'energia sprigionata dal quintetto di Tampere è sicuramente importante, soprattutto in serate dove la necessità di riscaldarsi potrebbe prevedere un pogo incalzante ed incazzato. Per il resto, le ritmiche dei vari brani, oltre ad evocare grandi classici quali Obituary e Bolt Thrower, aggiungono ben poco. Mi piace quel basso che s'intravede tra le linee di "Justice and Glory", forte anche di un discreto coro e di un bell'assolo, peccato sia cosi breve. Poi, spazio al martellamento sismico inflitto da "Only Snake Here Is You" o dalle super distorsioni chitarristiche di "Bring Me the War" che sembrano consegnarci una band differente, sia per suono di chitarra, che per la voce del frontman, senza tralasciare le mitragliate che rilascia la ritmica. Con la successiva "Conquering the Gods", il suono sembra però perdere in potenza e la proposta della band sprofondare definitivamente nell'anonimato di un suono vecchio di trent'anni che vedrà una parziale rinascita nella dirompente "Kinslayer" e nella conclusiva "This Is Where I Fell", laddove le chitarre sembrano tornare ad essere più cristalline e potenti. Troppo poco però per rendere accattivante un disco come questo. Rimandati. (Francesco Scarci)

(Great Dane Records - 2023)
Voto: 58

https://greatdanerecords.bandcamp.com/album/silo

Hegeroth - Disintegration

#PER CHI AMA: Black/Death
Non si scherza certo con i polacchi Hegeroth che sin dal primo secondo ci fanno ballare a botte di calci nel culo con un suono dirompente, articolato e maligno, un biglietto da visita inviperito che ci introduce al quinto lavoro per la band di Katovice, 'Disintegration'. Di nome e di fatto aggiungerei io. "The Snake" ci stringe infatti nella sua morsa black metal che fa del tremolo picking la sua arma principale, accompagnato da vocals super arcigne e da ritmiche sghembe, eppur dotate di una discreta vena melodica. Pezzi brevi, diretti in pieno volto, come testimoniato anche dall'assassina "Debased" che macina riff vertiginosi, vocals pungenti, hyper blast beat ubriacanti che ci mettono al tappeto dopo pochi secondi. Per fortuna sono solo tre minuti e 40, altrimenti la fustigazione sarebbe ancor più dolorosa. E ci risparmia anche "The Dirt", con meno di tre minuti di sonorità oblique, linee di chitarra acuminate, un breve bridge e poi ancora tonnellate di riff accalcati uno sopra l'altro, il che mi ha evocato l'esordio di un'altra band polacca, gli Entropia. La scuola black in Polonia ha grandi interpreti e gli Hegeroth potrebbero collocarsi tra questi, sebbene 'Disintegration' suoni un passo indietro rispetto al precedente 'Sacra Doctrina'. De gustibus... ma a me non dispiace la dinamicità di "The Ritual", con le sue epiche melodie, il black che incontra il thrash metal in una rincorsa chitarristica da lasciar senza fiato. La contraerea continua a sparare proiettili affusolati anche in "Uplifted", un brano che a livello ritmico, ammicca non poco ai maestri Morbid Angel. Decisamente più melodico l'incipit di "The Shepherd" che, mettendo in bella mostra il tremolo picking delle chitarre, evoca il sound dei Dissection anche se poi nei giri di chitarra, riemerge forte l'influenza di Trey Azagthoth e compagni. E non ne è immune nemmeno "The Ring", in cui il frastuono ritmico irrompe definitivamente nelle mie sinapsi, contribuendone alla distruzione di massa. Da sottolineare poi in questo pezzo un uso un po' fuori dagli schemi del cantato, qui in una stravagante versione stile Brian Johnson degli AC/DC. Una chitarra sinistra apre "The Queen of Spiders", ma sarà l'unica diversificazione rispetto ai precedenti pezzi visto che poi si riprende a mitragliare fino ad un break atmosferico che interrompe il frastagliare ubriacante delle chitarre. In chiusura, " An Accident" non aggiunge nulla di che ad un disco che rischia solo di risultare un filo indigesto a chi non è avezzo a questo genere di sonorità. L'unica salvezza potrebbe essere la durata, 33 min e 33 secondi di black metal anticristiano. (Francesco Scarci)