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martedì 14 novembre 2023

Closure in Moscow – Soft Hell

#PER CHI AMA: Alternative Pop Rock
Devo ammetterlo, questo nuovo album degli australiani Closure in Moscow, mi ha creato molti conflitti, fin dall'uscita dei primi singoli. Premetto che ho adorato le uscite precedenti reputandole geniali e molto sottovalutate, però questo album non me lo aspettavo fatto in questo modo. I nostri hanno fatto una scelta stilistica simile all'ultima fatica dei Coheed and Cambria, oppure l'ultima uscita dei The Mars volta, o al tempo, 'Pitfalls' dei Leprous, dove delle ottime band in odor di hard rock progressivo moderno e ad alto tasso tecnico, si spostano verso ambienti più pop, alla ricerca di notorietà e un più vasto pubblico. In fatto di tecnica, questa band ha già dimostrato di non essere seconda a nessuno e, anche in quanto a produzione, ha sempre avuto standard altissimi. Ricerca dei suoni ed eleganza sono una prassi per la band di Melbourne, però in questo disco i nostri calcano tanto la mano su innesti funk, pop, dance, il tutto a discapito delle fughe nel rock prog che rendevano gli album precedenti pazzeschi. Immaginate gli Incubus ancora più tecnici, ma più goliardici, che giocano con il funky dei migliori FFF (French Funk Federation), si esaltano in assoli ma non entrano mai in un'atmosfera diversa dallo scanzonato rock che ricorda certi gruppi funk metal degli anni '90. Il disco è pieno di idee sullo stile dei progetti di Omar Rodriguez Lopez, ma come nell'ultima opera dei Coheed and Cambria, passo dopo passo, ci si avvicina sempre più ad una deriva elettro/indie/pop rock, con buone intuizioni ed ottime sonorità, al passo con certe cose di Saint Vincent, ma che guasta con il passato dei Closure in Moscow, per come si sono proposti in precedenza e i dischi che hanno fatto fino a questo punto. Certo, cambiare rotta fa parte di un artista e la ricerca, seppur avanzata in generi nuovi ed inusuali, non si è fermata anzi si è espansa, però qui la band ha cambiato registro e cercato una soluzione più appetibile per un pubblico più ampio. Resto tuttavia dell'idea che per la caratura di questi musicisti, inseguire le orme di band come i Red Hot Chili Peppers, che in cambio di un grande successo hanno perso grinta, carisma e freschezza nelle composizioni, non sia la strada giusta, almeno dal punto di vista artistico. Tornando all'album, non posso far altro che dire che è un buon disco, suonato troppo bene per restare nel calderone del pop, carico di buone idee, belle sonorità e tecnica sopraffina ma troppo pop, soul e funk, per emergere tra i seguaci del progressive rock e dell' alternative rock, che potrebbero rimanere delusi da quel velo di leggerezza che pervade l'intera opera. Cosa, comunque, che non intacca minimamente le qualità di composizione e di esecuzione di questi musicisti, che rimangono spettacolari, con un vocalist eccezionale che risponde al nome di Christopher de Cinque. 'Soft Hell' è il titolo di questo loro quarto album, quasi un presagio che avverte i fans di un'imminente sconvolgimento dei piani, con una forma musicale sempre ricercata ma più melodica e meno selvaggia, un disco tutto da interpretare che creerà pareri contrastanti tra i fans dei Closure in Moscow. "Don Juan Triumphant" è la mia preferita perchè porta nella sua composizione molti richiami al loro passato, "Jaeger Bomb" ha un tiro pazzesco, mentre in "Lovelush" vi trovo persino qualcosa degli '80s al suo interno e con la sua vena sognante e romantica, per quanto ricca di curiosità soniche, mi sconcerta più di tutti gli altri brani. Un album che deve essere ascoltato e studiato da mille angolature per capirlo e dargli il giusto apprezzamento, una nuova veste per questa band, che ha sempre e comunque, saputo mettersi in risalto ad ogni uscita. (Bob Stoner)

(Bird's Robe Records - 2023)
Voto: 70

https://closureinmoscow.bandcamp.com/album/soft-hell

lunedì 21 febbraio 2022

Closure in Moscow – Pink Lemonade

#PER CHI AMA: Prog Rock/Psych/Alternative
L'etichetta australiana Bird's Robe Records, come abbiamo riferito di recente, si è presa l'incarico di ristampare la discografia dei Closure in Moscow e dopo i primi due ottimi lavori ci troviamo di fronte alla loro ultima opera di studio, uscita qualche anno fa, precisamente nel 2014. L'eclettica band australiana fa del suo bagaglio musicale un format esasperato, mescolando generi e sonorità a più non posso, dando vita ad un lavoro spettacolare e complicato allo stesso modo. Potrei dire che 'Pink Lemonade' sta ai Closure in Moscow come 'Sgt Pepper' s Lonely Hearts Club Band' sta ai The Beatles, ovvero, il massimo sforzo creativo dove una band possa cimentarsi nella sua carriera. Chiarisco subito che musicalmente i due album non sono accostabili per ovvie ragioni ma come attitudine si possono avvicinare, soprattutto nelle rispettive gesta compositive che di fatto puntavano a superare i confini della propria arte. Nel caso dei Closure in Moscow, il mescolare R&B, progressive rock, funk, hard rock, elettronica, blues e pop punk, in una veste che mi ricorda una sorta di musical d'altri tempi, ha dato i suoi buoni frutti, e la sua orecchiabilità va spesso e volentieri a braccetto con la complessità dei pezzi, costantemente baciati da una positività solare trascinante e musicalmente colta. Quindi, ricapitolando, tra una miriade di rimandi sonori, vi possiamo trovare paragoni con i Coheed and Cambria, ma anche con la teatralità progressiva di 'Suffocating the Bloom' degli Echolyn, l'alternative degli Incubus e perfino piccoli sbocchi creativi e progressivi alla 5UU'S, e poi blues, free jazz e free rock. L'insieme si svolge con una dinamica notevole vista la qualità dei musicisti in questione, con la voce impareggiabile di Christopher de Cinque che fa venire i brividi in "Mauerbauertraurigkeit" o nel duetto con Kitty Hart in "Neoprene Byzantine", un brano spettacolare di circa tre minuti e mezzo, impossibile da descrivere, ma che caratterizza l'intero disco, e che potrei provare a definire solo ricordando due brani lontanissimi tra loro. Un mix tra "It's Oh So Quiet", nella versione di Björk, e "Goliath" dei Mars volta, suonato con un mood seventies caldo ed esplosivo. Alla fine, 'Pink Lemonade' è un disco che sfiora la perfezione, anche se in un calderone così stipato di note, generi e suoni, è sempre difficile trovare il bandolo della matassa, il filo conduttore per capire un'opera del genere. Forse, il vero segreto per farsi catturare da questo album, è proprio quello di farsi trasportare e stupire dalle sue coordinate nascoste, apprezzare lo stile di questa band che ha osato il salto nel mainstream internazionale senza rinunciare alla propria essenza di band crossover a 360 gradi, musicisti, esploratori e manipolatori di universi musicali diametralmente opposti richiamati in maniera esemplare ed esaltante. Un disco complicato e delizioso, un disco da veri appassionati di musica libera. (Bob Stoner)

(Bird's Robe Records - 2014/2022)
Voto: 84

https://closureinmoscow.bandcamp.com/album/pink-lemonade

mercoledì 5 gennaio 2022

Closure in Moscow – First Temple

#PER CHI AMA: Indie/Prog Rock
Poco tempo fa avevamo presentato la ristampa, ad opera della Bird's Robe Records, dello splendido primo disco di questa band australiana, amatissima in patria e capace con questo secondo album intitolato 'First Temple', di arrivare al primo posto in classifica, come miglior album nella categoria hard rock/punk indipendente, agli AIR awards del 2009. La band alla fine del 2008, si sposta in blocco negli Stati Uniti per continuare la fruttuosa collaborazione con il produttore Kris Crummett, che già nel precedente, 'The Penance and the Patience', aveva dato alla luce un ottimo debutto per la giovane band di Melbourne, che in questo modo rinvigorisce il proprio sound, aumentando il cast degli strumenti usati e la qualità di produzione, per un lavoro che risulterà più elaborato, levigato al meglio, meno spigoloso e più accessibile, coloratissimo come la sua splendida copertina, variegato e di moderna visione, un mix perfetto per non passare inosservati e creare una sorta di marchio di fabbrica definitivo per i Closure in Moscow. Un modo di vedere il prog rock contaminato da visioni psych, hard rock, indie punk, con suoni caldi e profondi, voci che incantano e una timbrica sempre pulsante. L'intensità della musica, che in tutte le sue diversità di stile, viene proposta e sviluppata ovunque nel modo migliore, mostra una capacità di esecuzione e di composizione al di sopra della media (ascoltatevi "Afterbirth" e ditemi cosa ne pensate!). Una proposta musicale che non mostra lacune, che si fa ascoltare a tutto tondo senza perdere mai lo smalto, brano dopo brano, ed anche se il suo aspetto risulta essere evidentemente volto al mainstream, niente lo rende banale o derivativo, anche oggi che ha superato il decennio di vita dalla sua prima uscita, via Equal Vision Records e Taperjean Records nel 2009. I richiami sono al solito rivolti ai The Mars Volta, ai Coheed and Cambria e ai Pain of Salvation, avvolti da un'aurea di indie intelligente e fresco alla Byffy Clyro (stile 'Infinity Land'), ma tutto filtrato dall'amore per il prog rock dei seventies ed il virtuosismo acrobatico spalmato all'interno delle coloratissime composizioni, in perfetta sintonia con la classe della band di Claudio Sanchez e soci. Fa scuola il brano "Arecibo Message", una canzone dalle potenzialità enormi. Un disco che all'ascolto risulta accessibile ma assai complicato, divertente e sofisticato allo stesso modo, un album pretenzioso, anche a livello stilistico (non tutti si possono permettere un brano in acustico come "Couldn't Let You Love Me"), ma studiato con un sound fresco ed evoluto, per essere ascoltato con facilità e valutato come un piccolo gioiello, anche dopo numerosi ascolti, un album che supera a pieni voti le aspettative degli amanti del genere. Album da non perdere assolutamente. (Bob Stoner)

martedì 14 dicembre 2021

Closure in Moscow - The Penance and the Patience

#PER CHI AMA: Prog Rock
L'etichetta australiana Bird's Robe Records, si prende la licenza di riportare sul mercato mondiale un assoluto capolavoro, uscito per la prima volta nel lontano 2008, opera dei Closure in Moscow, band originaria di Melbourne, un progetto musicale che più volte fu premiato in patria per meriti artistici (ricordo che il loro ultimo album risale al 2012). La label di Sidney, con una copia cartonata dall'artwork magnifico, completa di note informative e libretto interno, rimette in circolo questo gioiellino intitolato 'The Penance and the Patience', che altro non è, che il primo lavoro di studio dell'act australiano. Difficile dare un' identità alla musica dell'album, vista la quantità di spunti e richiami musicali contenuti in questa opera. Possiamo però dire che al primo ascolto ci si rende conto che il quintetto s'intrufola naturalmente e assai bene, tra le movenze stilistiche in voga tra band del calibro di Coheed and Cambria, (con cui hanno anche suonato live), The Mars Volta e i vari progetti di Omar Rodríguez-López, risultando a tutti gli effetti discendenti accreditati di quel modo di intendere il progressive rock che fece emergere lo stile incontrastato degli Yes tra la fine dei '60 e l'inizio dei '70. Una linea invisibile li unisce alle band citate per qualità e virtuosismo tecnico espresso attraverso composizioni che non conoscono limiti, che tendono ad unire la maestosità di certo classic rock dei seventies, il gusto e la complessità di alcuni brani ricercati del passato in bilico tra powerflower e prog rock, l'impatto del punk alternativo alla At the Drive In e Pedro the Lion, con una velata vena da musical nello stile dei the Dear Hunter connesso con l'estrosità dei Leprous di 'Malina'. 'The Penance and the Patience' diventa cosi un album dirompente fin dalle prime note dell'iniziale "We Want Guarantees, Not Hunger Pains", che mostra subito un impatto duro ma controllato e una splendida forma moderna, di intelligent rock, pieno di cose pregevoli, pensate da ottimi musicisti, cercate ed apprezzate anche dagli ascoltatori più esigenti. I Coheed and Cambria sono sempre dietro l'angolo, come i The Mars Volta del resto, ma i Closure in Moscow riescono a mantenere una propria personalità che li contraddistinguerà anche nelle release successive, con ulteriori sbocchi verso lidi più pop, aggiungendo anche qualche gingillo elettronico qua e là, senza perdere mai di vista la loro sanguigna vena da progsters incalliti, con il gusto per l'AOR e l'hard rock dei mostri sacri di un tempo. Cos'altro dire, "Dulcinea" apre il cuore di tutti i rockers con la sua potente ariosità, "Breathing Underwater" è una sperimentale carica di dinamite e "Ofelia... Ofelia" con quel suo piano sullo sfondo e la sua indole cosi triste, sinfonica e psichedelica, è a dir poco adorabile. Certamente siamo di fronte ad un disco di tutto rispetto e di ottima produzione, stilisticamente impeccabile, tecnicamente virtuoso e sorprendentemente aperto a qualsiasi tipo di ascoltatore, pur trattandosi di un vero e proprio disco prog rock di moderna fattura. Un album da ascoltare per credere, un disco da non perdere, visto che la Bird's Robe ci offre questa seconda chance di metterlo tra gli scaffali delle nostre raccolte migliori. L'ascolto è assolutamente consigliato per riscoprire la sua grande bellezza artistica. (Bob Stoner)