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martedì 27 giugno 2023

Alas - Absolute Purity

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Progressive Metal
Ottimo esordio (rimasto poi tale) per questi Alas, band floridiana capeggiati dal grande Erik Rutan (Hate Eternal, ex-Mordid Angel), forse non del tutto originalissimo come concept, ma sicuramente ben suonato e presentato ottimamente per quanto riguarda la veste grafica (Niklas Sundin) e la promozione. Per quanto riguarda la musica poi, ci troviamo davanti ad un ottimo progressive metal con delle buone trame di chitarra (e come potrebbe essere diversamente!) ed una sconvolgente voce della ex cantante dei Therion Martina Astner, che svolge egregiamente il compito affidatole. A chiudere il quadro ci sono due ottimi musicisti: Howard Davis (ex batterista dei Genitorturers e Die Krupps in tour) e Scott Hornick (poliedrico bassista dei Dim Mak con influenze jazz-fusion metal). Come accennato all’inizio, niente di originale od innovativo, ma lo considero come un ottimo ripasso per tutti gli amanti dei Therion più sinfonici et similia.

(Hammerheart Records - 2001)
Voto: 72

https://www.metal-archives.com/bands/Alas/

The Pit Tips

Francesco Scarci

Giant Squid - The Ichthyologist
Light - Alone
Vetvi - Glubina

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Death8699

Death - Leprosy
Death - Scream Bloody Gore
Immortal - War Against All

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Alain González Artola

Host - IX
Erensyrah - Her Ghost is a Skygazer
Hlidskjalf - Vinteren Kommer

lunedì 26 giugno 2023

Moonreich - Amer

#PER CHI AMA: Black/Death
Moonreich atto III, almeno qui nel Pozzo dei Dannati, con questo quinto capitolo della loro discografia, ‘Amer’, che sembra consegnarci una band in forma dopo le fatiche del periodo Covid. Il disco include cinque nuove tracce per 43 minuti di sonorità dissonanti di scuola Deathspell Omega e su questo non avevo dubbi, condividendo il paese d’origine delle band, la Francia, che sembra aver imbastito una scena estrema che si muove proprio sulle orme dei maestri Blut Aus Nord e Deathspell Omega appunto. Quindi, il duo di Parigi si lancia con questa nuova prova miscelando ancora un death black con visionarie ed estemporanee porzioni sperimentali. Ascoltatevi il break improvviso di “Of Swine and Ecstasy”, un pezzo spigoloso ma che racchiude stralunate trovate artistiche sia a livello ritmico che solistico, con ventate di melodia che si mischiano a bordate nucleari. Le medesime che prendono fuoco nella seconda “Amer”, la title track, un concentrato di death black senza troppi fronzoli, fatto salvo per un malinconico rallentamento nella seconda metà del brano che ne controverte il mio giudizio finale, un po’ abbottonato fino a quel momento. Il disco comunque prosegue su coordinate similari, tra rasoiate ritmiche dal piglio post-black (“Astral Jaws”), laceranti rallentamenti atmosferici, voci addirittura grooveggianti (“Where We Sink”), ma anche una certa venatura progressiva che sembra chiamare in causa Enslaved e The Ocean (ancora “Astral Jaws” e la lunga – oltre 13 minuti – e tribaleggiante “The Cave of Superstition”). ‘Amer’ alla fine è un lavoro complesso, che forse all’inizio potrà puzzare di già sentito, ma che dopo innumerevoli ascolti, potrebbe invece rivelare interessanti aspetti che inizialmente rimangono celati dietro ad un ascolto superficiale. Un disco a cui dare più di una chance. (Francesco Scarci)

(Ladlo Productions - 2023)
Voto: 73

https://ladlo.bandcamp.com/album/amer

2 Ton Predator - Boogie

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Thrash/Groove, Crowbar, Pantera
Questa band ha uno stile molto cadenzato che ricorda i The Haunted. Tuttavia, gli svedesi 2 Ton Predator mostrano un'impostazione più hardcore e meno ad effetto. Il thrash vecchio stampo che propongono ha un cantato con cori che si rifà a Phil Anselmo ai tempi di 'Vulgar Displayof Power', e nel complesso è introverso, ritmato alla maniera di un boogie, piuttosto sciolto ed intensamente metal. In alcune canzoni il sound sembra più sostenuto mentre in altre un po' più pensoso, triste o articolato, ma sempre dotato di un’ottima registrazione. Troverete canzoni a volte pesanti e lente ("4 Tounges Strong") ma sempre a tono con l’insieme, comunque dovrebbero essere un po’ più personali come nell’ultima "Empty Chambers" e non suonar solo ciò che gli piace, benchè ben fatto ed accattivante, ma troppo influenzato dai Pantera. Inoltre, con lo scorrere dell’album, prevale un'impostazione più lenta in linea con qualcosa dei vecchi Sacred Reich.

Aurora Borealis - Northern Lights

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Sicuramente quest' album non trasuda originalità, ma questo non è proprio un difetto. Rispetto al precedente 'Archaic Lights Embrace', autoprodotto dalla band, gli americani hanno fatto un deciso passo avanti (a proposito, la versione europea contiene delle bonus tracks prese proprio da 'Archaic Lights Embrace'). Gli Aurora Borealis si presentano come una black/death metal band, e questo musicalmente è sicuramente vero. La cosa che mi ha sorpreso è la tecnica che sicuramente è nello stile delle band death. Ascoltandoli mi hanno riportato alla mente certi At the Gates, ma anche la scuola americana si sente, sia nella globalità dei suoni che nella stuttura delle tracce. Il lato black spunta nelle parti vocali, davvero crude e marce, oppure quando la band, a velocità elevata, si lancia in riff mooolto blackish ma che culminano in assoli alla Morbid Angel. Per la batteria posso solo dirvi che si trova l'ex Malevolent Creation Derik Roddy, che sicuramente vi farà ritrovare in alcuni punti con la mascella slogata per lo stupore. Dal lato chitarristico troverete un'ottima alternanza tra parti più cadenzate e riffing taglienti. "Sky Dweller" è sicuramente la canzone che mi ha più colpito, e qui Ron Vento, mente degli Aurora Borealis, ci fa ascoltare una traccia di una brutalità e follia sconcertanti. Quindi anche dal lato chitarristico, gli Aurora Borealis non hanno nulla da invidiare a band sicuramente più conosciute. Per quanto riguarda la produzione è decisamente buona e pulita (almeno per quello che le mie orecchie riescono ancora a percepire). Posso concludere dicendo che questo è un cd aggressivo e tecnico, che darà agli ascoltatori di death old school qualcosa di diverso da ascoltare che sicuramente non li lascerà delusi. Ma gli ascoltatori di black metal "ortodosso" è meglio che valutino l'acquisto.

(Nightsky Productions/Self - 2000/2018)
Voto: 65

https://auroraborealisofficial.bandcamp.com/album/northern-lights

Soulcarrion - S/t

#PER CHI AMA: Death Old School
Lo scorso anno recensii il debut album dei polacchi Soulcarrion, un putrido lavoro di death old school di scuola americana. Oggi i due artisti di Varsavia tornano con un EP omonimo nuovo di zecca, edito in formato digipack dalla sempre più attenta Godz ov War Productions. Da una prima analisi direi che non ci sono sostanziali modifiche nel sound dell’ensemble: le chitarra rimangono putride quanto basta, le growling vocals rimangono al loro posto, le ritmiche rimangono alla stregua di un treno impazzito, cosi come gli assoli ubriacanti che si confermano ad altissimi livelli tecnici. E allora, che cambia, penserete voi? Una benemerita mazza, vi rispondo io, fatto salvo per una batteria dal suono troppo plasticoso sin dall’iniziale “Path of Hypocrisy” che mi fa storcere un pochino il naso. Per il resto, stiamo parlando di quattro nuove velenose schegge impazzite (di nome e di fatto visto anche lo scarso minutaggio – “Death Revelation” dura addirittura meno di due minuti) che potevano stare sul precedente ‘Infernal Agony’ o su un disco qualsiasi dei Morbid Angel (a cui aggiungerei anche Vader e primi Deicide), che la loro porca figura l’avrebbero fatta sicuramente. Per mantenermi quindi coerente con quello che era il voto del precedente lavoro, confermo il mio 65, intimando la band a offrire qualcosina di più personale per il futuro. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions – 2023)
Voto: 65

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/soulcarrion

martedì 20 giugno 2023

Leagus - Flora Eallin

#PER CHI AMA: Jazz Rock Sperimentale
Prosegue la scoperta nel sottosuolo norvegese di realtà fuori dal comune. Abbiamo da poco recensito i Seven Impala o la bizzarra creatura di Lars Fredrik Frøislie, e ora ci ritroviamo fra le mani 'Flora Eallin' del duo dei Leagus. Che aspettarci quindi da questa release? Intanto direi l'eleganza di un pianoforte che apre timidamente "Kime", la traccia che inaugura l'ascolto di un disco che sembra nascere come un lavoro di improvvisazione rock jazz, che sembra andare tanto di moda negli ultimi tempi. È una specie di intro ambient quindi quello che dà il via a questo lavoro. Con "Flor" infatti ci immergiamo nelle dinamiche strumental-sperimentali dei due musicisiti e dei molteplici ospiti che ne popolano l'album, sospese tra percussioni da lounge club (suggestivo il contrabbasso di Marianne Halmrast), effluvi elettro-noise, ritmiche oniriche, assoli di sax (a cura di Ola Asdahl Rokkones, Sondre A. Kleven e Fred Glesnes), il tutto avvolto in un sound che dire minimalista, potrebbe risultare quasi eufemistico. Mettiamo comunque in chiaro che nemmeno 'Flora Eallin', al pari di tantissimi lavori usciti in questo genere ultimamente, sia un lavoro cosi facile a cui accostarsi. Lo dimostrano anche i pezzi successivi che, come anticipavo, suonano più come una jam session tra professoroni della musica atti ad assemblare musica tanto coraggiosa quanto estremamente sperimentale. "Vann" è un ensemble di suoni scomposti e voci surreali. "Tendril", dotata di una forma canzone, è semplicemente vellutata, soprattutto merito di una coppia di strepitose interpreti vocali (che cantano in norvegese). Che il disco sia stato commissionato dalla North Norwegian Jazz Ensemble, appare più chiaro man mano che si avanza nell'ascolto di 'Flora Eallin'. Analogamente a questa traccia, anche "Nihkui" (e poi ancora "Mykorrhyza") sembra seguire una logica comune, fatta di timide melodie sorrette da eteree voci femminili e fughe di sax. "Vind" si fa notare invece per una sorta di solo di contrabbasso, mentre "Pripyat" (in compagnia di "Hyperion") sembra la traccia più dinamica e sorprendente del lotto, tra giochi al pianoforte, uno splendido percussionismo, squarci di "zorniana" memoria, una certa dissonanza ritmica, voci hip-hop, atmosfere cupe e un'andatura che alla fine sarà baldanzosa e altalenante, che probabilmente la rendono la traccia più indovinata in questo lotto di imprevedibili song degli stravaganti Leagus. Una band complicatamente folle. (Francesco Scarci)

(Is it Jazz? Records - 2023)
Voto: 75

https://leagus.bandcamp.com/album/flora-eallin

Megalith Levitation - Obscure Fire

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Li avevo già recensiti un paio di volte e non mi avevano mai convinto. Chissà se questo nuovo ‘Obscure Fire’, nuova fatica dei russi Megalith Levitation, saprà questa volta colpirmi in positivo. Detto che il precedente split in compagnia dei Dekonstruktor non mi aveva fatto impazzire, questo nuovo lavoro, che consta di cinque tracce, prosegue su quella linea sottile tra stoner e doom, caratterizzato da un rifferama pesante, da atmosfere oscure e da una combinazione di voci litaniche e melodie dotate di una certa intensità. Quel liturgico cerimoniale che appariva nei precedenti album, si palesa anche nell’introduttiva title track, una lunga traccia surreale, psichedelica, sulla scia di mostri sacri quali Sleep e primi Cathedral. Il tutto giocato ovviamente su dilatazioni soniche, delay chitarristici, tonnellate di fuzz e la riproduzione fedele degli insegnamenti dei maestri Black Sabbath, questa volta con un esito più che convincente. Chiaro, la band non sta inventando nulla di nuovo, considerato poi che il disco è permeato da dettami che coprono cinquant’anni di musica e più. Le distorsive aperture di chitarra, la solidità della ritmica e il salmodiante cantato del frontman, iniziano a rappresentare il vero marchio di fabbrica dell’ensemble originario dei monti Urali, che mi colpisce favorevolmente con la seconda “Of Silence”, un pezzo che per quanto, ribadisco, non sia manifesto di originalità, mostra quel carisma che forse era mancato in precedenza ai nostri, attraverso oltre dieci minuti di suoni che scomodano anche paragoni con i My Dying Bride in più di una linea di chitarra, tanto da rendermi dubbioso sul fatto che se la band non decolla, forse il problema debba essere ricercato in una componente vocale forse fin troppo monolitica. Perchè poi per il resto, il terzetto sembra migliorare ulteriormente con il successivo trittico di pezzi che, dall’interlocutoria e funerea “Descending”, sino alla conclusiva, claustrofobica e quasi estenuante (per la sua ridondanza di fondo) “Of Eternal Doom”, passando dalle incursioni stoner-space rock di “Into the Dephts”, riescono in un sol boccone, a sciogliere i miei ultimi residui dubbi. Il terzetto russo è tornato e questa volta con un album più convincente che mai, pronto a sublimare in un multistratificato approccio psichedel-catartico. (Francesco Scarci)

Brick Bath - I Won’t Live the Lie

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Groove/Thrash
Un album di grande impatto, non c’è che dire. Thrash metal potente e ben suonato. Certo, qua e là fa capolino l’ombra dei Pantera di Phil Anselmo, tuttavia i Brick Bath non sono affatto un gruppo clone. Inoltre, 'I Won’t Live the Lie' suona più immediato di 'The Great Southern Trendkill', e scusate se è poco. I brani di questo debutto datato ormai 2002 sono ben 14: complessivamente prevalgono i mid-tempos con la voce dura e rabbiosa al punto giusto. I contenuti testuali, invece, lasciano alquanto a desiderare. Da un gruppo con le sonorità dei Brick Bath era lecito attendersi testi più incentrati su tematiche di interesse collettivo, piuttosto che sfoghi solipsistici, quali le recriminazioni per l’abbandono da parte della morosa (“Sick of You”).

(Crash Music - 2002)
Voto: 70

https://www.facebook.com/brickbathband/