Cerca nel blog

domenica 26 febbraio 2023

Hellfuck - Diabolic Slaughter

#PER CHI AMA: Thrash/Speed
Gli Hellfuck sono una giovane (ma solo di formazione – il 2021) band polacca che tra le sue fila vanta membri (ed ex) di Amorphous, Throneum, Christ Agony e via dicendo, insomma non di certo gli ultimi arrivati. Forti quindi di un’esperienza ultradecennale in altre solide realtà musicali, la band ha rilasciato questo ‘Diabolic Slaughter’ nel settembre 2022. La proposta del quartetto mi ha riportato indietro nel tempo di oltre trent’anni, ripensando ai primi Testament ma anche ai primi Kreator, in un concentrato thrash/speed metal coinvolgente, sicuramente non troppo originale, ma di certo onesto e che non farà troppi prigionieri. Dieci indiavolate tracce che spingono il piede sull’acceleratore sin dall’iniziale “Religious Scum” fino alla conclusiva “Despise the Priest”, passando attraverso interessanti capitoli di un disco che, probabilmente non avrà troppo da chiedere, ma che vi investirà con tutta la sua dose di melodica brutalità, tra saliscendi chitarristici, galoppate thrash di scuola anni ’80, rasoiate solistiche, blast beat furibondi (“Reigning in Hell “ ne è un lampante esempio, in quella che alla fine risulterà essere la mia song preferita) e le vocals di Skullripper che evocano il primo Chuck Billy. Insomma, il classico tuffo in un passato malinconico che avrà anche modo di scomodare Slayer o Sadus ma che nei suoi 32 minuti di durata, di sicuro non vi spingerà a cambiare canale. Quindi, non vi rimane altro che stare connessi, allacciarvi le cinture e lanciarvi in questa scorribanda indietro nel tempo. (Francesco Scarci)

(Godz ov War Productions – 2022)
Voto: 70

https://godzovwarproductions.bandcamp.com/album/diabolic-slaughter

sabato 25 febbraio 2023

Fleshcrawl - Into The Catacombs of Flesh

#PER CHI AMA: Death Old School
Another good release by these Germany death metal-ers. Still have that guitar pedal which accents the Swedish tone. The riffs on here are fantastic. But the album is just shy under 40 minutes in length unfortunately. The whole album is magnificent. The vocals compliment the guitar riffs. And the leads are solid and wicked. I enjoyed this album immensely. Their riffs are top-notch. The tremolo picking and fast paced rhythms are dynamite. These guys know exactly how to construct this style of death metal and they're like an ever flowing stream of metal (in the vein of Dismember).

These guys have been around since 1991 making magnificent metal with that Swedish tinge. They keep coming up with wicked riffs on the guitars. And the leads have quite a bit of echo/reverb to them. The music is pretty fast the whole way through. The rhythms incorporate bar chords and tremolo picking galore. I enjoyed this one immensely!

The production quality was top notch. I don't see anything wrong with it all the instruments are mixed well. The vocals sounded great, typical Swedish style though they're a German act. Their influences are all there and they've continued on this great path of death metal topping (to me) bands like Entrails they don't overly use that Swedish pedal for the guitars. They're in a league of their own in the songwriting capacity. I like this one a lot I mean, what's not to like?! The music on here is top notch metal and the vocals go well with the guitars. Everything seemed to fit on here. Nothing I would change.

I hope that they're in the works of another full-length. They're just about due for one. It's been almost 4 years since this was released. We'll just hope for the future is only Fleshcrawl's utopia! Be sure to check this out It's amazing! (
Death8699)

Morgue - Lowest Depths of Misery

#PER CHI AMA: Death/Grind
Ho passato venticinque anni ad ignorare completamente i francesi Morgue, me ne scuso. La band transalpina certo non è tra le più prolifiche del pianeta e poi, a mio discapito, c’è da dire che i nostri si siano presi una pausa di sette anni dalle scene. Comunque, quello di oggi, ‘Lowest Depths of Misery’, è il loro quarto album, il primo rilasciato per la Godz ov War Productions. La proposta del duo dell’Occitania, che abbiamo avuto modo di recensire anche sotto il moniker di Corrupter, è all’insegna di un death grind senza troppi fronzoli, in grado di radere al suolo tutto ciò che gli si pari davanti. Certo, non è tutto estremismo sonoro quello che ci capita tra capo e collo, visto che dopo il caustico inizio affidato a “Transcend the Acheron”, ci imbattiamo in una più doomish e sofferente “Polar Aftermath”, che non si fa mancare ovviamente delle acuminate ritmiche incandescenti, cosi come ascoltato nella opening track. Quello dei Morgue non sarà certo un album innovativo, riuscirci in questo ambito avrebbe ormai del miracoloso, però è un disco che si lascia ascoltare soprattutto da chi ama band in stile Anaal Nathrakh o Disfear. Sia chiaro, non c’è una sola nota in questo disco che non avrete già sentito in una moltitudine di altri dischi. E allora meglio far finta di niente, lasciarsi imbrigliare dagli estremismi sonici delle più brevi (sotto i tre minuti) “That Which Does Not Live” e “Hug and a Stab in the Back”o farsi maciullare dal mortifero sound di “Safe in Gods Care”. Sappiate che da qualunque lato inizierete ad ascoltare questo disco, ne uscirete comunque con le ossa rotte. Segnalazione infine per la partecipazione come guest star di Meyhna'ch alla voce e un ultimo plauso per la morbosa copertina di Paolo Girardi, la sola solida conferma nell’inflazionato mondo underground. (Francesco Scarci)

Caladbolg - Cosmic Restorer

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Celtic Black Metal
Buon esordio di Celtic black metal per i nostrani Caladbolg. Inneggianti alla battaglia, i nostri sfornano un potente e ben suonato demo tiratissimo, urlato, molto epico e distruttivo. Parti veloci si alternano anche a parti più lente e ritmate, senza cali di tensione o dispersioni di vario genere, con una voce sempre grezza e aggressiva. La loro dedizione per i miti celtici si vede nei testi ben fatti, completi e comprensibili per chi volesse approfondire la tematica. La comprensione delle canzoni si vede anche dalla loro linearità, dal momento che pur non scendendo nel semplicismo, viaggiano nel modo giusto senza stufare l’ascoltatore. Anche la produzione è nella norma per fa si che il lavoro risulti alla fine buono.
 
(Self - 1999)
Voto: 66 
 

Druid Lord - Relics of the Death

#FOR FANS OF: Death/Doom
Totally brutal and intriguing at the same time! I love their death/doom genre(s). The music is slow, but it's catchy and admirable. I loved this whole album. I thought that they had everything covered on here. The music first and foremost and the vocals are SICK. They fit well with the gloomy guitar riffs. The leads are solid as well. Overall, a monument of an album. The tempos are just moderate but the musical aspect is what's to admire on here. They totally kick ass! They know exactly what they're doing in the musicianship of the band. They seem to have it all down. The songwriting, vocals, guitar and production.

I liked the fact that not only were depressing type of metal to play, but even some of the synthesizers played a part in the grim compositions. They had some reverb to the guitars and the guttural vocals leads the way to this ear throbbing death/doom. The tempos are like that of say Draconian but slower and all death metal vocals. The music is like no other. They use a lot of tremolo picking but the drums double bass kicking goes well with those riffs. There were even some acoustic guitar riffs but not for entire songs. They were mainly intros to the what's to be brutal/doom types of songs.

The sound quality was rather good and I have no complaints in that respect as well. They did the music justice. I would say that there's many highlights to this album. Most the music and vocals. I'm not sure about the lyrical concepts but that doesn't really matter. I've found this band to be at the utmost of intriguing music. There are two guitars that play somewhat of harmonies but it doesn't take away from the brutality of the songs. These guys are nothing overly special, they just know how to write good songs. I mean, I respect this band, but I feel like they could've done better with some of the riffs.

There's many good songs and songs that you can't go wrong with. Here's some of them: "Mangled as the Hideous Feed", "Immolated Into Ashes", and "Monarch Macabre." I think all of these songs are catchy and to the point. There's nothing I would change on here because all of the tracks are worth mentioning. These guys have been around for over a decade and it seems like you can't go wrong with any of their releases. They are just on top of their game musically. Like I said, they just know how to piece together good underground music. A release in 2022 that you shouldn't overlook! (Death8699)


venerdì 24 febbraio 2023

Stillborn - Cultura de la Muerte

#PER CHI AMA: Black/Brutal Death
Non fatevi ingannare da un titolo in spagnolo, gli Stillborn arrivano infatti dalla Polonia con tutto il loro carico di odio. ‘Cultura de la Muerte’ è il loro sesto album in una carriera che ha affonda le sue radici addirittura nel 1997 e da sempre è votata ad un black brutal death old school. Ecco, forse sta proprio qui il limite del terzetto di Mielec, una sorta di staticità nel genere proposto che fa risuonare anche questo lavoro come stantio in un ambito estremo che sta ancora provando ad evolversi per sfuggire da quell’immobilismo sonoro in cui si è arenato parecchio tempo fa. Per carità, il trio polacco si applica per fare il proprio lavoro, muovendosi nei meandri di un brutal death di americana memoriana, che affonda le proprie radici negli anni ’90 e che forse, se fosse uscito 25 anni fa, avrebbe attenzionato maggiormente le masse. Oggi ‘Cultura de la Muerte’ è un disco di otto tracce che potrebbero esclusivamente ammaliare chi ha una certa propensione a uscite di questo tipo, gli altri si astengano. Non basta pigiare sull’acceleratore, esssere veloci e incazzati più che mai, lanciarsi in galoppate furenti (“Profanacja i Bluźnierstwo”) tra blast beat, killer riff e growl animaleschi, serve anche un minimo di cuore in un genere cosi estremo come il brutal, che qui in tutta franchezza, faccio fatica a percepire. Posso sottolineare una solida preparazione tecnica, un desiderio di distruggere qualunque cosa si ponga davanti, ma poco altro per farmi emozionare all’ascolto di un album simile. Ripeto, probabilmente il disco farà la gioia di chi ha ancora una certa avidità nell’ascoltare nuove release in questo ambito, per quanto mi riguarda invece, lo trovo alquanto noioso. (Francesco Scarci)


Brutal Faith - In the Mouth of Suffering

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Thrash
Professionalissimo questo demo su CDR autoprodotto di chiara matrice death-thrash proveniente dalla provincia dell’Aquila. Questo demo ci mostrava una giovane band con tanta voglia di fare e di suonare, la proposta era buona direi, sia sotto il punto di vista musicale che da quello grafico. La tecnica strumentale direi che c’è (ce ne fossero state di bands emergenti come i Brutal Faith), tuttavia ero convinto che la band potesse fare di più in termini di songwriting. Non che ci fosse qualcosa di grosso che non andava, poi la band parlava chiaro con il proclama “This is an anti-trend recording” all’interno del booklet, ma c'erano ancora molti riffs sentiti e risentiti, che creavano pezzi ascoltabili, ma che non conferivano moltissima personalità all’intera produzione. Ripeto, la band sembrava molto valida, ma se fossero riusciti a fare quello che bands come i Coram Lethe hanno fatto, credo che si sarebbe potuta spezzare quella monotonia classica del genere alle prime armi. Peccato solo che si siano sciolti dopo questa release.

Parahuman - Affliction

#PER CHI AMA: Metalcore/Groove Metal
Ultimamente il sottosuolo polacco brulica di un quantitativo smisurato di band. L’ultima in ordine di tempo ad essersi palesata fra le mani risponde al nome di Parahuman che arriva con ‘Affliction’ al tanto agognato debutto su lunga distanza, dopo aver rilasciato dal 2016 a oggi, giusto un EP e un paio di singoli. La proposta del quartetto di Varsavia è all’insegna di un metalcore sporcato da venature grooveggianti, per un risultato però che non fa certo gridare al miracolo. Se le chitarre di “Signal”, che segue a ruota l’intro omonima, potrebbero farvi tornare alla mente i primi Dark Tranquillity, è la performance dietro al microfono di Olgierd Gontarczyk a non convincermi pienamente, con una voce acida, graffiante ma mai francamente all’altezza. Musicalmente la band non è malaccio, proponendo tuttavia un canovaccio che ormai inizia a suonare un pizzico scontato, nonostante una continua ricerca di vincenti partiture melodiche e costanti cambi di tempo. L’inizio di “Loop” lo potreste infatti scambiare per altre 1000 canzoni analoghe per architettura ritmica, e questo mi fa intuire che più di tanto la proposta dei nostri non possa impressionarmi. Il bagaglio tecnico viene sicuramente messo a disposizione per migliorare il livello qualitativo proposto, soprattutto a livello solistico con certi assoli da urlo (la stessa “Loop”), ma quella che fatico a digerire alla fine continua ad essere la prova vocale del frontman o la scontatezza di certe porzioni di brano. Le variazioni al tema non mancano e il basso in apertura a “Feedback” viene in mio aiuto a tal proposito. Peccato poi che quella voce, che sembra affetta da una forte raucedine (cosi strozzata in gola), e quando pulita, rischia addirittura di fare peggio, vista la sua stonatura, che rovina quanto di buono possono proporre i Parahuman. Poi nello spaccare culi, i quattro musicisti sembrano cavarsela molto bene, con raffiche di chitarra a mo’ di mitraglietta, blast beat schizzati, o break melodici, ma la voce no, proprio non ci siamo, soprattutto quando dice “follow my voice…”. Eppur si muove diceva il buon Galileo Galilei, e si muove ondeggiando anche la proposta dei Parahuman, laddove decidono di rischiarsela di più e infarcire il tutto con una componente elettronica (“Inanity”), nel solo di “Antisocial” o nelle ritmiche progressive deathcore di “Divided”, che ci regalerà anche l’ennesimo strepitoso assolo. Più canonica “Sober”, dove il cantante prova a modulare le proprie corde vocali con risultati altalenanti. Alla fine dei fatti, mi piacerebbe dare un voto disgiunto, che vedrebbe un 7.5 per ciò che concerne la componente solistica e un 6 scarso per quel che riguarda il compartimento vocale, che mi porterà alla fine alla soluzione compromissoria che vedete sotto. Da rivedere alcune cose, poi i Parahuman potrebbero anche regalarci cose degne di nota. (Francesco Scarci)

Deliverance - Neon Chaos in a Junk​-Sick Dawn

#PER CHI AMA: Black/Sludge
Sei tracce per oltre sessanta minuti di musica, pronti a sostenerle? La proposta del quartetto parigino, al terzo atto con questo ‘Neon Chaos in a Junk​-Sick Dawn’, è un black variegato che si muove tra sfuriate di una violenza inaudita, intermezzi elettronici e parti decisamente al limite dello sludge. Tutto questo è quello in cui vi imbatterete nell’ascolto di questo disco, condito poi dalle graffianti vocals di Pierre Duneau e da una buona e costante dose melodica. Parlavo poco fa di black/sludge, ed è ciò che avrete modo di saggiare già dall’iniziale “Salvation Needs a Gun”, song che parte feroce, veloce, melodica ma che ad un certo punto del suo corso, tirerà la migliore delle inchiodate (termine gergale tipico delle mie parti per identificare una super frenata) per poi proseguire verso un finale tutto in salita, interrotto ahimè troppo prematuramente. Si riparte poi con le stralunate chitarre di “Venereal”, una traccia dal piglio più criptico e sinistro. I pezzi forti del disco mi sembrano tuttavia rappresentati dalle due maratone, affidate ai 18 minuti di “Odyssey” e agli oltre 17 di “Fragments of a Diary from Hell“, che combinate tra loro, costituiscono oltre la metà del disco, in fatto di durata. I contenuti? Molteplici, dal dark rock iniziale di “Odissey”, in cui anche la voce di Pierre assume sembianze pulite, ad una musicalità decisamente più orecchiabile e minimalista, visto un lungo break atmosferico poco prima di metà brano. Poi i nostri, in un percorso quasi orrorifico, aumentano i giri del motore, almeno per quanto concerne la potenza delle chitarra e, infarcendo il tutto di una buona dose di psichedelia, post metal e sludge/doom, sfoderano una prova davvero interessante. Almeno quanto il secondo interminabile capitolo, la lugubre “Fragments of a Diary from Hell“, che per quasi sei minuti tiene banco con quelle sue atmosfere ambient-droniche di pink floydiana memoria, per poi dirottare verso suoni sludgy, responsabili della chiusura del disco. In mezzo invece le più ordinarie (si fa per dire) “Up-Tight” e “Neon Chaos”: la prima nella sua andatura sludge sfoggia dapprima un lisergico break e poi fendenti black; la seconda invece, mostra un cantato quasi robotizzato in un contesto ancora sludge e post metal. Alla fine quella dei Deliverance è una proposta a tratti assai originale, che necessita tuttavia di molteplici ascolti per essere immagazzinata nel migliore dei modi. (Francesco Scarci)