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martedì 30 giugno 2020

Lyzanxia - Unsu

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Death, Soilwork
Mettiamo a ferro e fuoco il mondo, da sempre questo è il motto della storica band francese dei Lyzanxia, che dopo il feroce 'Mindcrimes' del 2002, che ottenne riscontri di critica positivi in tutto il pianeta, tornò a far male con questo lavoro dal titolo insolito ed enigmatico, 'Unsu'. Era il 2006 e avvalendosi sempre del bravissimo Fredrik Nordstrom alla consolle (In Flames, The Haunted) presso i Fredman Studios, i francesini tornavano a minacciare il genere umano con le loro dodici energiche tracce. Le songs qui incluse hanno infatti un unico comune denominatore: dei fantastici (anche se talvolta un po’ ripetitivi e statici) riffs di chitarra, che da soli valgono l’acquisto di 'Unsu', ad opera di David e Franck Potvin, i fratelli che oltre a dividersi la scena chitarristica, rappresentano anche gli eccellenti vocalist della band, l’uno in formato clean/scream, l’altro in growl. Questo quarto album spacca veramente i culi, unendo a quello swedish death che contraddistingue la band transalpina fin dagli esordi, un groove thrash in grado di bilanciare potenza e melodia. Ritmiche furibonde, stillati tastieristici, assoli taglienti e bellissime vocals caratterizzano uno dei lavori più sorprendenti della discografia della band di Angers, creando, a detta della band, un mondo ossessivo in cui bellezza e terrore convivono, uniti da un’incomparabile tecnica e da un approccio sì brutale, ma melodico. E la testimonianza di ciò, è la bellissima quinta traccia “Strenght Core”, summa di tutto ciò che erano i Lyzanxia a quel tempo: una band capace di stupirci per la loro aggressività ma anche per la bravura nel trasmetterci forti emozioni a suggellare l’enorme capacità tecnico-compositiva del quartetto francese. In 'Unsu' non ho sentito nulla fuori posto, è un album curato nei minimi dettagli, che non può prendere di più, in termini valutativi, semplicemente perché non inventa nulla di nuovo, ma che di sicuro potrà conquistarvi per il sempice fatto che è davvero piacevole da ascoltare (stupenda anche l’etnica title track), ideale per un pogo infuocato, ed eccellente da tenere in auto al massimo volume. 'Unsu', la colonna sonora ideale per mettere a ferro e fuoco il mondo. Notevoli, peccato solo che se ne siano perse le tracce dal 2010. (Francesco Scarci)

(Listenable Records - 2006)
Voto: 80

http://www.lyzanxia.com/

lunedì 29 giugno 2020

Kruelty - Immortal Nightmare

#PER CHI AMA: Death Metal Old School, Grave, Dismember
Nostalgia per il death metal anni '90, quello di Entombed, Dismember, Unleashed e Grave? Niente paura perchè a distanza di quasi 30 anni, si aggirano nel mondo ancora degli emulatori di quel sound. Stiamo parlando dei Kruelty, band originaria di Tokyo, formatasi nel 2017, con un album all'attivo, 'A Dying Truth' e una serie di EP all'attivo, tra cui quest'ultimo 'Immortal Nightmare', uscito in cassetta un paio di mesi dopo il full length. Tre pezzi a disposizione, di cui uno, è la cover "Into the Grave" dei Grave stessi e gli altri due sono vecchi brani ri-registrati. Si parte infatti con l'angusto sound di "Narcolepsy" che dichiara apertamente l'amore dei giapponesi verso la proposta oscura ed asfissiante delle band svedesi citate, sciorinando i classici chitarroni ultra profondi e corposi, mai sparati a velocità disumane, il tutto corredato dalle growling vocals del frontman, e poco altro. Mi aspettavo almeno un apporto solistico convincente ma niente da fare, neppure quella sorprendente vena melodica che contraddistingueva i big four all'epoca. La seconda "Desire" sembra fare addirittura peggio, cosi piatta e scontata, con addirittura un break centrale all'insegna del... nulla. L'ultima è appunto la cover di quel mitico album uscito nel 1991 che nessun amante del death metal scandinavo potrà mai dimenticare, soprattutto per quel suo giro di chitarra che sembra preso in prestito dai Black Sabbath e poi sparato in orbita alla velocità della luce con quella tipiche venature punk hardcore che ne hanno contraddistinto gli esordi di tutte quelle band svedese. I nostri giapponesi fanno il loro compitino e nulla di più, sfruttando peraltro Brendan Coughlin (Mourned) per il famigerato e splendido assolo conclusivo del brano. Detto che mi aspettavo qualcosina in più, ora mi vado ad ascoltare anche l'album d'esordio per valutare al meglio i giapponesi Kruelty. (Francesco Scarci)

domenica 28 giugno 2020

Tourettes Syndrome - Sicksense

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover/Nu Metal, Korn
Dalla terra dei canguri arrivano da sempre mirabolanti creature in grado di sconquassare il mondo musicale con misture imprevedibili di musica. Per quanto concerne i Tourettes Syndrome, stiamo parlando più in specifico di hardcore, nu-metal e altri elementi (groove death in primis) a creare un sound apoplettico e bizzarro. Il quartetto di Sydney all'epoca del loro secondo disco, 'Sicksense' che è seguito cinque anni dopo il debutto omonimo del 2001, ci attacca con undici sciabordanti tracce (sono inoltre incluse tre bonus video tracks), in cui su una ruvida ritmica hardcore si staglia l’incredibile voce di tale Michele Madden (oltre che brava anche molto bella). Ho scritto incredibile, perché non avevo intuito, neppure lontanamente, che i profondi grugniti growl fossero i suoi, tanto meno le “grungeriane” clean vocals. L'album è un concentrato di chitarre possenti e aggressive in pieno stile Korn, su cui s’inseriscono elementi elettro-noise, punk e industriali; ciò che continua a stupire per l’intera durata dell’album è comunque l’eclettismo vocale di Michele, vera figura carismatica della band australiana, capace di passare in modo disinvolto dal growling a voci isteriche, da suadenti clean vocals al cantato grunge. Rabbia, frustrazione e depressione, sono contenuti in questo secondo capitolo di questa compagine originaria di Sydney. Anche se non totalmente originalissimi, i nostri sono carichi di energia e hanno creato un ottimo disco che potrà interessare chi non è troppo vincolato a generi o sottogeneri, al metallaro dalle visioni allargate a 360°. Sebbene io non rientri in questa classe, a me i Tourettes Syndrome sono piaciuti, peccato solo che dopo il successivo album del 2007 se ne siano completamente perse le tracce. (Francesco Scarci)

Comity - ...As Everything is a Tragedy

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Hardcore, Dillinger Escape Plan
Li abbiamo recensiti in occasione del loro ultimo lavoro, 'A Long, Eternal Fall', li ripeschiamo oggi con il vecchio '…As Everything is a Tragedy', quando ho potuto apprezzarli per la prima volta nella loro ossessiva e asfissiante veste musicale. I parigini Comity sono essere un interessante ibrido tra The Dillinger Escare Plan, Neurosis e Meshuggah, i primi per la loro follia di fondo, i secondi per la loro genialità, i terzi per la capacità di costruire ritmiche monolitiche ammorbanti, atmosfere rarefatte e oppressive. La struttura dei brani di questo lavoro si rivela infatti veramente delirante a causa della sua elevata complessità: i nostri sono dei maestri nel portarci al limite del baratro con dei momenti di frustrante ultra doom, per poi scaraventarci giù dalla rupe con la violenza profusa dalle schizoidi ritmiche. La musica dei Comity non è del tutto ortodossa e difficilmente potrà piacere ad un vasto pubblico, tuttavia chi ama questo genere di sonorità non potrà fare a meno di dare un ascolto alla spirale emozionale messa in atto da questi pazzi scalmanati autori di un’astratta musica brutale. Non posso segnalarvi un brano piuttosto di un altro perché il disco fra le mani consta di 99 schegge impazzite (suddivise in quattro suite), frapposte a momenti di inusuale calma e melodia che preludono al caos primordiale. Qui c’è da farsi male! (Francesco Scarci)

sabato 27 giugno 2020

Words of Farewell - Inner Universe

#PER CHI AMA: Melo Death, Scar Symmetry
Da Marl, cittadina della Renania settentrionale-Vestfalia, ecco arrivare questi Words of Farewell, che i più attenti di voi se li ricorderanno in giro da almeno tre lustri e con tre album già in cascina. Il sestetto teutonico, in pausa dal 2016 quando uscì l'ultimo 'A Quiet World', ha pensato bene di dare un segno di vita ai propri fan, rilasciando questo 'Inner Universe', EP di quattro pezzi. Il lavoro si apre con la grandinata melodica di "Chronotopos" che mi permette di comparare immediatamente il sound dei nostri con quello degli svedesi Scar of Symmetry: chitarre fresche e frizzanti, tastierine stile Bontempi, growling vocals alternati a clean vocals, lampi progressive, begli assoli e signori, il gioco è servito per mostrarci lo stato di forma dei Words of Farewell. La band è tornata in sella e pian piano si rimetterà in sesto per offrire anche un nuovo full length, ma nel frattempo godiamoci questo lavoretto. "Whispering Deeps" è leggermente più cupa dell'opener, pur mantenendo intatti gli ingredienti sopra menzionati e con le melodie delle sei corde a giocare un ruolo fondamentale come guida per i fan nell'ascolto del disco. Ottima quindi la linea di chitarra che si concretizza ancora meglio nel confezionare un assolo davvero lungo e coinvolgente che da solo varebbe il cosiddetto prezzo del biglietto. Il trend melodico si conserva anche nelle successive "Offworld" e "Alter Memory": la prima dapprima caratterizzata da una forte componente malinconica, con le tastiere che costruiscono splendide atmosfere e in seconda battuta, la song sembra prima assumere toni orientaleggianti e poi di un melo death in formato Insomnium, il tutto in poco più di quattro minuti. L'ultima traccia invece è la più diretta, ruvida e veloce ma dotata di un bel break atmosferico ove compare una parte parlata, da quanto ho capito, estratta dal discorso conclusivo di Charlie Chaplin ne 'Il Grande Dittatore', che sancisce un comeback discografico davvero interessante. (Francesco Scarci)

Dark Divinity - Messianic

#PER CHI AMA: Death/Black
Mentre sulle piattaforme musicali in patria i Dark Divinity sono già seguitissimi, nel resto del mondo nessuno sembra essersi accorto della release di debutto della band di Wellington. Ci troviamo in Nuova Zelanda ovviamente e 'Messianic' è l'EP d'esordio dei nostri dopo una sfilza di singoli usciti dal 2017 in poi. Il dischetto consta infatti di alcuni di quegli stessi singoli più un paio di novità. Ah, dimenticavo, il genere proposto è un death black dalle tinte melodiche, ma questo è chiaro sin dalle oscure note iniziali di "Set in Stone", che ci dice come la band sia ispirata dai grandi classici svedesi, At the Gates e Dissection, in primis. Quello che sorprende a parte la tagliente ritmica, sono le vocals possenti della tatuatissima Jolene Tempest, il cui stile è un mix tra un growl e uno screaming comunque intellegìbile. Se la prima song mi ha conquistato subito per forza, melodia e brutalità, la seconda "Vertigo" (una delle due nuove) mi ha lasciato un po' più con l'amaro in bocca, senza trasmettermi nulla di che, se non investirmi con quel muro di chitarre che alla fine lasciano il tempo che trovano. "Cambion" sarebbe la seconda news ma dura solo 80 secondi e funge più da collegamento, nella sua interezza strumentale peraltro dotata di un'ottima melodia, con "Night of the Witches". La terza canzone continua a picchiare con quel suo piglio scandinavo, forse un po' troppo freddo e poco coinvolgente che palesa sicuramente un'ottima preparazione tecnica e poco altro. Il quintetto chiude la sua prima fatica con "Seasons of Dark" che in fatto di violenza death/black, probabilmente non è seconda a nessuno in questo loro lavoro d'esordio. Ora, bisogna guardarsi negli occhi e decidere che fare, continuare su questa scia ed essere i signori nessuno, oppure dotare i pezzi di un bel po' di personalità. Ai Dark Divinity l'ardua scelta... (Francesco Scarci)

Before the Common Era - Anthropologic

#PER CHI AMA: Prog Death/Groove
I Before the Common Era sono un quintetto originario di Londra che con questo 'Anthropologic' varano il loro debut assoluto nel mondo metallico. La proposta offerta dai cinque British in questo EP è all'insegna del death progressive. Questo si evince dal bombardamento ritmico di "Sol", il piccolo gioiellino posto in apertura che indica la via seguita dal quintetto, che si muove tra influenze di meshuggana memoria e rimandi a Devin Townsend e Tesseract, motivo questo per cui i nostri hanno avuto una immediata presa sul sottoscritto. Le melodie sono interessanti, la classica poliritmia di matrice svedese fa il resto con le vocals del frontman che si muovono tra il growl e il pitch pulito, stile ampiamente sfruttato soprattutto nella seconda "Hadeharia". Certo non siamo al cospetto di nessuna novità stilistica, però mi piace poter segnalare nuove band che approcciano da poco il mondo musicale, sperando un domani di aver avuto ragione nel sottolinearne le qualità. La band continua a macinare riff carichi di quel groove che gronda da tutti i pori e "Repudiation" è il manifesto di buoni propositi in termini di belligeranza, esposto dal rifferama caustico e serrato della band. A chiudere questo primo capitolo, ecco "The Tenth Dimension" un brano che miscela in modo bilanciato melodia e violenza in questo primo EP targato Before the Common Era, che meritano di una chance più lunga e strutturata per un giudizio finale meglio delineato. (Francesco Scarci)

Mother Island - Motel Rooms

#PER CHI AMA: Indie/Surf Rock
Uscito esclusivamente in vinile, "Motel Rooms" è il terzo album dei vicentini Mother Island, entità al sottoscritto completamente sconosciuta, complice un genere che non bazzico poi cosi di frequente. Stiamo parlando di un psych rock sensuale e dalle tinte western, che ha saputo conquistare anche la mia anima estrema. Mi sono messo comodo, rilassato, fatto partire il disco senza essere troppo prevenuto nei suoi suoni e via "Till The Morning Comes", con la voce femminile della frontwoman Anita Formilan a farmi da guida, le calde melodie avvolgenti e quelle atmosfere psichedeliche che ci riportano a fumosi party in terra statunitense di fine anni '60. Queste le immagini che mi sovvengono ascoltando l'apertura di questo lavoro dai suoni sicuramente vintage (la cui definizione stilistica orbita in realtà dalle parti del jangle pop), ma comunque traslati in un contesto attuale più ricercato e dal risultato sicuramente piacevole. Più movimentata la seconda "Eyes Of Shadow", che mantiene intatto quello spirito surf rock "made in USA", già ampiamente apprezzato nell'opening track che di sicuro mai mi farebbe collocare le origini di questa band nelle lande venete. Detto questo, proseguo nel mio ascolto del disco, facendomi sedurre dalle melodie di "And We’re Shining", cosi come dalla vena prettamente seventies di "Summer Glow", un brano un po' più deboluccio rispetto ai precenti episodi dell'album. "We All Seem To Fall To Pieces Alone" è una ballad country parecchio malinconica che mi ha evocato nell'utilizzo dei fiati, certe cose sperimentali degli *Shels (ma anche una certa vena morriconiana), riproposti in una chiave decisamente più soft. Ancora una manciata abbondante di brani, ove vi segnalerei l'inquieta "Santa Cruz" che nelle sue corde ha un che di proto-punk e la conclusiva e suadente "Lustful Lovers" che chiude con le sue note languide e lisergiche un disco che ascoltato cosi, d'emblée, senza conoscere i pregressi della band, me ne ha fatto apprezzare proposta e attitudine. Per ora lascio un giudizio su un disco senza conoscere la precedente discografia della band, spero solo di non dovermi rimangiare le parole in futuro. (Francesco Scarci)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 69

https://www.facebook.com/Motherisland/

Seims - 3 + 3.1

#PER CHI AMA: Math/Post Rock/Avantgarde
Quello dei Seims è il tipico lavoro di casa Bird's Robe Records, un'etichetta che seguiamo ed apprezziamo da anni qui nel Pozzo dei Dannati. E cosi, un po' come tutte le band della label australiana, anche la compagine di Sydney propone un sound (semi)strumentale, all'insegna di un ibrido sperimentale tra post rock e math. Peraltro, come il titolo suggerisce, '3 + 3.1' include l'album '3' uscito nel 2017 e l'appendice successiva, '3.1' appunto, rilasciata lo scorso anno, qui ora raccolte in un'unica release. Sette pezzi quindi da ascoltare, cominciando dall'opener "Cyan", una song che inizia a fare chiarezza sul concept relativo ai colori e alla scelta ora più sensata dell'artwork di copertina. Una traccia che parte come avvolta in un nero velo che sembra lentamente in grado di dischiudere colori via via più brillanti, muovendosi da un post rock chiuso e riflessivo verso lidi western (splendide le trombe e gli archi a tal proposito) e poi sul finale, follemente più math rock oriented, con un risultato piacevole e originale, che non manca di robustezza e divagazioni electro jazz avanguardiste. Il secondo colore è "Magenta", e sfavillante quanto la sua tonalità, anche il brano sembra lanciarsi in sonorità dirompenti, che tuttavia non raggiungono la medesima qualità emozionale dell'opener, ma palesano piuttosto una difficoltà nella costruzione di un'architettura sonora altrettanto convincente. "Yellow", il giallo, è la terza tappa nel mondo dei colori dei Seims, e anche qui la proposta del quartetto capitanato da Simeon Bartholomew (supportato da una marea di ospiti) sembra trovare qualche difficoltà in termini di fluidità sonora, sebbene i nostri vaghino in stralunati ed asfissianti mondi noise, math, prog, psichedelicamente ondivaghi come il suono delle chitarre qui contenute. Il pezzo dura oltre 12 minuti e vi garantisco che non è cosi semplice da affrontare senza rischiare la follia mentale (soprattutto nella seconda parte), complice anche l'utilizzo di vocalizzi che sembrano provenire da un gruppo di amici completamente ubriachi ed un finale affidato ad un ambient etereo che stravolge completamente quanto ascoltato fino ad ora. L'unione dei primi tre colori genera il nero imperfetto che dà il nome alla quarta "Imperfect Black", ove ad evidenziarsi è la voce femminile di Louise Nutting su di una linea melodica completamente dissonante che ci conduce ad "Absolute Black", primo pezzo di '3.1' che mostra nuovamente quella verve splendente che avevo apprezzato nella traccia d'apertura e che anche qui risuona in un'ingovernabile struttura matematica davvero imprevedibile soprattutto quando imbeccata da viola, violoncello, tromba e trombone che rendono il tutto decisamente più godibile. Fiati ed archi non mancano nemmeno in "Translucence" (che dovrebbe essere la trasparenza), un pezzo che fatica un pochino a decollare ma che nella sua seconda metà mette in mostra comunque qualche ulteriore buona cosa dell'act australiano. A chiudere il disco ci pensa la roboante e melodica "Clarity", il brano probabilmente più immediato del cd e più semplice se si vuole avvicinarsi alla band. La melodia è davvero coinvolgente e funge da colonna sonora al video estratto dal disco, una sorta di mini documentario sull'esperienza della band in tour in Giappone che ci racconta qualcosina in più di questi meritevoli Seims. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)
Voto: 74

https://store.seims.net/album/3-31