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sabato 27 giugno 2020

The Pit Tips

Francesco Scarci

A Light in the Dark - Insomnia
Postvorta - Porrima
Clouds - Durere

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Shadowsofthesun

Paradise Lost - Obsidian
Wake - Devouring Ruin
Regarde Les Hommes Tomber - Ascension

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Bob Stoner

Krakov - Minus
Buckethead - Worms From the Garden
John Zorn - Salem 1692

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Alain González Artola


Ancient Boreal Forest - A Relic From the Sands of Time
Ygg - The Last Scald
Fellahin Fall - Tar a-Kan

giovedì 25 giugno 2020

Harms Way - Oxytocin

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Heavy/Doom
Un inizio in crescendo apre questo lavoro degli svedesi Harms Way, ormai datato 2006: una chitarra travolgente mi fa ben sperare per un gruppo di cui non ho mai sentito parlare, poi stop. Un Ozzy Osbourne dei poveri mi fa capire che il disco che ho fra le mani è una reinterpretazione dei Black Sabbath scoperta dalla Black Lodge Rec. che ha pensato bene di produrre questo quartetto scandinavo e di darlo in pasto agli avidi ascoltatori. Il risultato non è malaccio, trattandosi appunto di una versione, riletta in chiave più attuale, dei vecchi insegnamenti di Ozzy e soci, e non solo. Si capisce subito dalle ritmiche pachidermiche e ossessive prodotte dalle due asce, con quel loro incedere asfissiante, e quei giri di chitarra che ricamano montagne di riffs a sostegno di una batteria bella potente, che gli Harms Way amano il glorioso passato heavy doom ove si collocano non certo come degli sprovveduti tecnicamente. In alcuni momenti si respira proprio l’aria degli anni ’70; in altri, dove è il basso di Dim a dominare la scena, i ricordi si fanno relativamente più recenti, ad 'Heaven and Hell' degli stessi Black Sabbath, ma anche ad alcune cose dei primi Iron Maiden e al fantastico basso di Steve Harris. Altri giri di chitarra mi rievocano le cavalcate di Adrian Smith ai tempi di 'Killers'. Poi inevitabilmente c'è sempre qualcosa che fatico a digerire e qui è la voce dello stesso Dim, poco potente ed inespressiva; peccato, sarebbe stata l’arma in più, per ottenere un responso critico più positivo. (Francesco Scarci)

(Black Lodge Records - 2006)
Voto: 66

https://blacklodgerecords.bandcamp.com/album/oxytocin

Shaman Elephant – Wide Awake but Still Asleep

#PER CHI AMA: Stoner/Psych/Prog
Tornano sulla scena in grande stile i norvegesi Shaman Elephant, con un secondo splendido album che vede la luce attraverso i canali della Karisma Records, la creativa etichetta che ci ha fatto godere negli ultimi anni diversi ottimi artisti. Il sound del trio di Bergen, mantiene i canoni del precedente album, evolvendosi in maniera esponenziale nella composizione e nella qualità esecutiva. Brani elaborati, lunghe performance acide, melodie e parti vocali ricercate, suoni caldi e vintage, musica impegnata, eseguita e costruita con intelligenza e dedizione (mi piacerebbe sapere perchè un brano si intitola "Steely Dan", proprio come il gruppo statunitense degli anni '70). L'introduttiva "Wide Awake but Still Asleep", che porta il titolo dell'intero box, ci mostra come la band riesca a mescolare varie influenze stilistiche senza mostrare affanni, rendendo anzi la trama fresca e originale, piena di spunti interessanti. Quindi, in un calderone magico, lo sciamano con la proboscide, impasta suoni psichedelici di rock progressivo e alternativo, space rock contaminato da una sezione ritmica molto vivace che scivola felicemente, spesso e volentieri, dalle parti degli Stone Roses, epoca 'Second Coming'. La voce del chitarrista Eirik Sejersted Vognstølen, evoca magia e in alcuni momenti arriva a toccare vertici da brivido, molto vicini al primo Chris Cornell dei Soundgarden, gruppo fondamentale che ritorna alla mente ascoltando questo album (periodo 'Ultramega Ok'), assieme all'energia dei Motorpsycho di 'Demon Box'. Il disco è variopinto, si snoda tra passaggi lisergici vicini allo stoner/acid/prog rock più europeo alla the Spacious Mind/Anekdoten, accostato al progressive tipico di estrose e raffinate band di culto dal forte carattere psichedelico, come Camel o Egg. Rimango stupefatto all'ascolto di "Ease of Mind", una morbida ballata ai confini tra il Jeff Buckley di 'Grace' (impressionante la somiglianza vocale con il compianto cantautore americano) e un certo jazz/folk progressivo, arioso e sognante. La coda del disco, con il penultimo "Traveller", un pezzo di oltre 11 minuti di lunghezza (diviso in tre parti), sintetizza la mia impressione che ci sia un'anima, all'interno della band, devota alla libertà lisergica di interpretare il rock a la Motorpsycho, con le armonie, la spinta degli accordi e il tiro della ritmica che portano proprio sulle loro coordinate soniche. Si chiude definitivamente con la psichedelica "Strange Illusions" e con una magistrale prova vocale, un ottimo album. Un disco denso di emozioni e rimandi musicali che hanno fatto epoca, rimessi in corsa con bravura e conoscenza storica, una band piacevolissima, ottimi musicisti e una produzione ben fatta che mette in linea temporale i suoni di 'Shades of Deep Purple' del 1968 con il nostro tempo. Tanta originalità nel mischiare le carte di un modo di fare rock che ha fatto storia, un disco da ascoltare a fondo e perdersi in un vortice di coloratissime sonorità.

(Karisma/Dark Essence Records - 2020)
Voto: 80

https://shamanelephant.bandcamp.com/album/wide-awake-but-still-asleep

martedì 23 giugno 2020

Halo of Shadows - Manifesto

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Black, Children of Bodom, Dimmu Borgir
La Finlandia da sempre sforna gruppi a ripetizione: il rischio era che prima o poi la qualità musicale tendesse ad abbassarsi, un vero peccato per una nazione che ha dato i natali a band veramente uniche e importanti nel panorama metal internazionale. Questi Halo of Shadows (il cui nome deriva da un noto videogame) propongono un sound a cavallo tra il death tastieristico dei Children of Bodom e un black melodico, in linea con il materiale più soft dei Dimmu Borgir. Non posso dire che la band sia malvagia perché le carte in regola per fare bene ci sono tutte, l’unico problema è che si tratta di un sound già sentito centinaia di volte: cavalcate maideniane (anche se non mi piace assolutamente il suono assai retrò utilizzato per le chitarre) segnano la ritmica delle dieci tracce che compongono questo 'Manifesto', su cui s'inseriscono le classiche tastiere alla “Figli di Bodom”, la pessima voce black del vocalist (nè screaming nè growling in sostanza), dei piacevoli assoli (in pieno heavy metal style) a cura dei due axemen (da brividi peraltro quello di “Drowned in Ashes”) e momenti sinfonici vicini a quanto fatto da Shagrath e soci. Ecco quindi che il gioco è presto fatto: se vi piace questo genere di musica, recuperate questo loro unico vagito, ormai datato 2006, altrimenti gli originali restano sempre i migliori da ascoltare!!! (Francesco Scarci)

Visceral Evisceration - Incessant Desire for Palatable Flesh

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Doom
Nonostante il nome Visceral Evisceration accenni a riferimenti grind-splatter gore, questa band austriaca, con il loro unico album, 'Incessant Desire for Palatable Flesh', ci regalarono nel 1994 (remixato e rimasterizzato poi nei primi anni '90) un intrigante connubio grind-death-doom, dalle tinte grigio scure. Testi anatomo-patologici, accompagnano eccellenti e sofisticate linee melodiche di chitarra; le voci si alternano tra il growl e il pulito, e fa la sua prima comparsa in un genere cosi estremo, la voce operistica di un uomo e di un soprano donna. Musica bizzarra, intensa e mai banale che vi saprà sorprendere con le sue continue geniali trovate. La band ahimè si sciolse dopo quest’unico album per riformarsi nel 1995 sotto il nome di As I Lay Dying da non confondere però con gli omonimi metallers statunitensi. Il neo formato combo austriaco rilasciò un promo e poi sparì del tutto dalla faccia della terra. Un vero peccato, perchè suoni del genere in futuro, non se ne sono più risentiti. (Francesco Scarci)

(Napalm Records - 1994)
Voto: 90

https://www.facebook.com/visceralevisceration/

Minus the Bear - Voids

#PER CHI AMA: Indie Pop Rock
Obnubilate esemplificazioni nu-new-wave: la red-hot-chili-pippettosa "Last Kiss" in apertura potrebbe rammentarvi i Fitz and the Tantrum oppure, per mero nostalgismo, i concittadini Pearl Jam; il mood di "Give & Take" potrebbe al contrario rapportarvi ai Coldplay più assertivi, quelli di 'X&Y', giusto per dirne una a cazzotto. Fate attenzione. La lumacosa "What About the Boat?" fa stuzzichevolemente l'occhiolino a certo noios-pop folkellettuale alla Fleet Foxes mentre "Call the Cops" potrebbe essere una brutta canzone di 'Genesis' (l'omonimo dell'ottantatre), vale a dire una qualunque del lato B. Poi arriva "Silver", una specie di "Child in Time" in chiave 2010s pop, featuring i toni semiepici dei Muse di stocZZ, o quelli di Peter Gabriel III di stamYY, non vi pare? No, non vi pare. Poi il nulla, il quasinulla a essere più benevolenti (l'indiepercui di "Tame Beasts", l'alt-facciocagarismo riempiminuti di "Erase"). Quasinulla perché la molecolare "Lighthouse" in chiusura, oltre a giustificare blandamente la terrificante definizione math-pop affibbiata da certuni, vi ricorderà i The Cure daqualchepartisti di 'Wish' assediati da una catartica, sofferente loudness war. E vafffanculo a Rick Rubin. (Alberto Calorosi)

(Suicide Squeeze Records - 2017)
Voto: 50

https://minusthebear.bandcamp.com/album/voids

High On Fire - Blessed Black Wings

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Stoner/Doom
La terza release degli statunitensi High On Fire, creatura di Matt Pike ex frontman dei mitici Sleep, qui accompagnato dal basso di Gorge Rise e dalla batteria di Des Kensel, è uscita nel 2005 per la Relapse Records. Una copertina con un inquietante gargoyle preannuncia la fine del mondo e anche i titoli dei brani non sono del tutto rassicuranti. Nove pezzi suddivisi in 90 frammenti impazziti per un totale di 53 minuti di montagne di riff apocalittici degni dei Black Sabbath degli esordi, costituiscono 'Blessed Black Wings'. Un album che va oltre, non si ferma qui, cerca di unire la furia degli Slayer con il rozzo rock dei Motorhead. La voce di Pike, oscura e lamentosa come sempre, ricorda vagamente quella di Lars Goran Petrov, ex leader degli Entombed. Anche a livello musicale la proposta dei nostri, pur mantenendo come principale influenza la band di Ozzy Osbourne e compagni e il doom/stoner che ha contraddistinto gli Sleep, ha forti rimandi ai lavori più rock oriented della band svedese, pur mostrando, rispetto al precedente 'Surrounded by Thieves', un appesantimento del sound. La sezione ritmica oscilla tra momenti di pesantissima ma controllata violenza ad altri con vivaci richiami squisitamente seventies, dove comunque a farla da padrone è il continuo e macchinoso lavoro delle chitarre a tessere trame monolitiche e tenebrose, squarciate da ottimi assoli. Devo ammettere che pur non essendo questo il mio genere preferito, ho potuto apprezzare gli improvvisi cambi di tempo, la devastante combinazione di chitarre catacombali e ipnotiche, i melodici assoli, i lamentosi ululati di Pike e le fantastiche storie di bestie sovrannaturali, dimenticate battaglie e fiumi di sangue, tutte cose che mi hanno comunque tenuto incollato allo stereo, a godere di questa entità oscura e malata capace di annientare qualsiasi cosa si presenti sul suo cammino. Matt e soci hanno colpito, anzi direi proprio affondato. (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2005)
Voto: 78

http://highonfire.net/

domenica 21 giugno 2020

Serment - Chante, Ô Flamme de la Liberté

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
There are certain moments when you look at an album artwork that you subjectively feel that it must be something really good. I know this idea hasn´t a logic base and sadly, I have listened to some pretty mediocre albums, which had astonishing artworks. But my initial feeling was reinforced when I knew that this side project came from Quebec, one of the most prolific and high-quality black metal scenes in the world. Thus, my initial interest was even stronger knowing that the mastermind behind the Serment is Moribond, a member of the excellent band Forteresse, one of the most respected projects from this French speaking area.

Said that, it's time to focus on ‘Chante, Ô Flamme de la Liberté’, the debut album by Serment. The already mentioned beautiful artworks depicts a typical snowed landscape of Quebec. This painting is strongly related to the album´s concept, which is based on an old legend. According to that, a pact with the devil and the search for a lost heritage began a dark and epic journey to the heart of the snowy forests of Quebec. The undeniable interesting concept needs to be complemented with also an interesting musical offer. What can we find here? As typical in the black metal scene of Quebec, the atmospheres play a key role. In certain projects, this aspect can be found in a more subdued way, while in others, it has a more prominent role, in the mix or how the music is played. The latter one is the case which more represents what Serment offers here. The keys play a very important role with a constant present through the whole album. In contrast to what we could listen to Fortresse´s latest opus, where guitars had a bigger importance, here both guitars and keys share an important role in forging the core sound. However, in Serment´s case, I could say that the keys have a clear leading presence. Anyway, the traditional rawness of the atmospheric black metal bands is tastefully present with a beautiful mix between strong and hit-pitched screams, powerful drums and distorted guitars. After a nice intro, the first track entitled "Sonne, le Glas Funébre" reflects the aforementioned description with a beautiful combination of aggressiveness and melody. The hight pitched vocals sound distant like an echo in a dark forest, while the guitars conform a wall of distortion covered by the beautiful and hypnotic keys. Those keys are like the fog which covers the forest and reinforce the sense of a magical journey described in the lyrics. Pace-wise, the track, like the rest of the album, escapes form the monorithmic structures, wisely combining fast tempo sections with mid and even slower parts, which makes the song flowing in a very natural way. The rest of the tracks follow similar patterns with usually more straightforward stars, where the song shows its fastest and most aggressive face, but slowly reducing its pace in order to make the song more varied in terms of rhythm. Apart from that, the frosty keys cover the tracks like it happens in the excellent "Flamme Hivernale", which is an intrinsic characteristic of this album. The guitars, though being slightly behind the keys, find its moments to shine. This clearly shows that Serment doesn´t forget to compose quality riffs, which fit perfectly well in the overall atmosphere of the album.

‘Chante, Ô Flamme de la Liberté’ is definitively a worthwhile album and an excellent debut, which will make happy all the fans of atmospheric black metal. Serment has undoubtedly infused the traditional Quebec sound in its debut showing its love for the nature and the cold landscapes in its lyrics and in its frosty sound. ‘Chante, Ô Flamme de la Liberté’ is indeed a mystical journey through mysterious and cold forests, the ideal music to listen to when it needs to escape from the real world. (Alain González Artola)


domenica 14 giugno 2020

Exgenesis - Solve Et Coagula

#PER CHI AMA: Death/Black/Doom, primi Katatonia, primi Opeth
Tornano gli Exgenesis con un album nuovo di zecca rilasciato dalla Rain Without End Records che, come evocato dal moniker della label (era il nome del primo album degli October Tide), farà la gioia di tutti gli amanti del death doom, compreso il sottoscritto. La band del trio internazionale formato da Jari Lindholm (Enshine), Alejandro Lotero (Antithesis) e Christian Netzell (Vholdghast), ha otto nuovi avvincenti pezzi da proporci in questo 'Solve et Coagula', che irrompono dall'oscurità delle viscere di "Hollowness" e tornano a richiudersi nella conclusiva "Stasis". Ammetto che attendevo con un certo interesse il come back discografico dei nostri, dopo le ottime cose ascoltate nell'EP d'esordio del 2015, 'Aphotic Veil', anno in cui si persero immediatamente le tracce del terzetto. Dopo vari rumors su un potenziale ritorno della band sulle scene, ecco i nostri debuttare finalmente sulla lunga distanza e il risultato non poteva che confermare i miei sentori di ormai un lustro passato. La già citata opener "Hollowness" ha l'arduo e immediato compito di conquistarsi la nostra fiducia, non la tradirà in effetti. Si perchè nel loro catacombale sound ci si sguazza davvero bene, complici le ottime e avvolgenti melodie e i suoi vocalizzi che, tra growl e scream, ci stanno alla grande in questa architettura musicale. Non solo death doom a tinte funerarie comunque, vista l'improvvisa accelerazione sul finale che ammicca non poco al black. Ma diciamo che la compagine si muove meglio nei territori più lenti e malinconici, come certificato dalla seconda straziante "Embers", un brano che richiama un che degli Shining ma anche dei Katatonia di 'Brave Murder Day', e non solo per il già menzionato dualismo vocale, ma anche per una serie di chitarre che dipingono pregevoli e decadenti linee melodiche. La proposta dei nostri a me intriga parecchio, pur sottolineando che non siamo di fronte a nulla di originale o mai sentito. Tuttavia, quanto propagato dalle disperate melodie degli Exgenesis non potrà non avvalorare la mia idea di trovarsi di fronte ad un combo che è cresciuto a base di pane, "Brave" e "Murder". Basterà ascoltare "Where the Hope Ends" per averne la prova provata. Ma se vi servono altri elementi per constatare di persone le influenze di Blackeim e compagni, potreste proseguire con un attento ascolto di "Truth" e lasciarvi avvinghiare dalle drammatiche melodie in essa contenute. Qui a livello ritmico ci sento anche un che dei primi Opeth, a testimoniare comunque l'ampio ventaglio di influenze che si celano, neppure troppo, nei solchi di questo 'Solve et Coagula'. "Solve" è un piacevolissimo breve pezzo strumentale che ci conduce alla successiva "Coagula", la traccia più lunga del lotto e dove ancora gli echi dei mostri sacri Opeth e Katatonia, si fondono in un pezzo costituito da ariose ritmiche e parti atmosferiche, con il growling di Alejando sempre in primo piano (qui anche in versione sussurrata), contrappuntato in chiusura anche da un interessante assolo che dà maggior enfasi al risultato finale (su cui punterei peraltro maggiormente in futuro). "Intracosmos" e "Stasis" sono gli ultimi due episodi di un lavoro che se ben supportato, avrà il merito di rallegrare, se cosi si può dire, chi è rimasto al palo o si è sentito tradito dopo le prime due prove dei Katatonia e la loro sterzata verso suoni più alternative. E io rimango uno di quei nostalgici che ancora rimpiange quelle strazianti melodie e che ha trovato negli Exgenesis un ottimo surrogato. (Francesco Scarci)