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domenica 3 maggio 2020

Cénotaphe - Monte Veritá

#FOR FANS OF: Black Metal
The French scene is an unending source of excellent bands in the black metal field, being remarkably the last two decades, when this scene has flourished with a remarkable quality and quantity. As it is usual in this genre, we can always find musicians who shared its time with several projects, sometimes having an incredible amount of side projects. The French duo Cenótaphe is one of these cases. The project was founded back in 2015 by Fog and Khaosgott, who have several different projects. The case of Fog is impressive as he has been involved in around twenty projects, and as far as I know, he is, at least officially, still immersed in nine projects. This is outstanding to say at least. Going back to Cénotaphe, this project has been quite active, though it has only released a couple of demos and a split. The stuff contained in these works was interesting, though there was still a room to evolve and refine its compositions. Due to this, it was interesting to see what this duo could offer in a full length work after this period of progression.

Five years after its inception, Cénotaphe has recently released its debut album entitled 'Monte Veritá'. This work contains eight tracks, which as it is usually in France or Quebec, are sung in French. I always appreciate when a band sings in its own language, as it always helps to give a distinctive touch to their music. Musically speaking 'Monte Veritá' is firmly rooted in the black metal genre and it has a reasonably well-balanced production, with a certain grade of rawness, especially in the guitars. The vocals remind me some bands from Quebec and indeed the French scene, with distinctively aggressive and high-pitched vocals. The songs themselves have an unsurprising aggressiveness with a tendency of being quite straightforward and speedy, though the pace varies between fast and mid sections. Thank to this slight variety, these compositions never fall in an uninteresting tediousness. The album opener "Myosis" is a fine example with its fast pace and vicious vocals. The guitars, though having a slightly filthy production, have a strong melodic essence, which makes the song interesting. The first track has also an atmospheric arrangement, slightly buried in the mix, but which stills manages to enrich the track. Another interesting arrangement are the clean vocals introduced in the song "Aux Cieux Antérieurs", which add a solemn touch to the track. As the atmospheric arrangement, this resource is used a couple of times in the album. These elements make the album sound closer to a more atmospheric oriented stuff at times. In the song "De Mon Promontoire Astral", which is probably the best track of the album in terms of the guitar work, we can find both resources successfully used. This song has a nice balance between pure aggressiveness, atmosphere and energetic pace. We should never forget that is album is focused on the guitars, but the use of other musical ingredients, manages to expand the band´s sound avoiding the risk of sounding too restricted.

All in all, 'Monte Veritá' is a remarkably solid album, with a constancy in the quality and intensity of all the tracks contained in this debut release. The compositions have an interesting balance between ferociousness and melody, and its atmospheric touches make the songs richer and more interesting. What is initially a standard black metal album, ends being an excellent effort with an epic and atmospheric undertone. (Alain González Artola)

(Nuclear War Now! Productions - 2020)
Score: 78

https://nuclearwarnowproductions.bandcamp.com/album/monte-verit

sabato 2 maggio 2020

Battlestorm - Demonic Incursion

#PER CHI AMA: Brutal Death, Impiety
La storia di questo disco è alquanto tortuosa: uscito originariamente nel 2010 ma in edizione limitatissima per l'etichetta giapponese Deathrash Armageddon, 'Demonic Incursion' è stato poi più volte riproposto nel corso degli anni, prima in cassetta, poi in vinile nel 2013 e finalmente ripreso in cd nel 2018 dalla label colombiana Trauma Records, includendo come bonus track, le cover di "Satanas" dei Sarcófago e "Blasphemous Attack" dei Blasphemy. Citandovi queste due band, potrete immaginare verso quale direzione, quello che è nel frattempo divenuto un oggetto di culto nel più profondo underground, viri la proposta del terzetto di Singapore. Siamo nei paraggi infatti di un death brutale e non fatevi certo ingannare dalla melodia seducente dell'intro di turno, perchè quando "Necrophilic Damnation" (anche i titoli dei brani lasciano poco spazio alla fantasia) esplode nel mio stereo, la prima reazione che ho è quella di indossare elmetto e relativa armatura, vista la ritmica deflagrante e annientante messa in moto da questi sovversivi asiatici. Preparatevi quindi al dilagare di un death thrash dinamitardo che lascia ben poco spazio alla melodia, se non in alcuni assoli o sporadici frangenti lungo il disco. Per il resto, è un sound corrosivo, veloce, con la batteria che esplode come la più classica contraerea e le vocals di Hades si propongono come vetriolica risposta ai conterranei Impiety. Il disco è un susseguirsi di tremebonde mitragliate: "Supersonic Devastations", "Lust, War, Vengeance" e la title track, si susseguono in una vorticosa e lacerante devastazione, lasciando solo polvere dopo il loro passaggio. È poi il turno di "Celestial Perversion", la più ritmata, melodica e raffinata "Serpentine Curse", la martellante "Despotic Archdaemon Reign" e la conclusiva ed arrembante "Savage Incarnate", che fondamentalmente non spostano di una virgola il loro range di azione se non proprio per un leggero tocco di melodia aggiuntiva. Dalle cover che aspettarsi poi se non una devastazione nuda e cruda. Bene, l'unico full length dei Battlestorm è un chiaro esempio di come vadano le cose nel sud est asiatico, sempre più spesso affascinato dalla furia distruttiva del brutal death, da cui nemmeno il terzetto di Singapore ne esce immune. (Francesco Scarci)

(Trauma Records - 2018)
Voto: 66

Nudist - Incomplete

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge
Parto con il commentare l'ottimo artwork di copertina, curato da Coito Negato, per la nuova opera dei fiorentini Nudist. L'album, mixato e masterizzato da Eralbo Bernocchi, è da ascoltare con massima attenzione, per assaporarne tutte le sfumature e le variegate contorsioni compositive. Siamo all'interno dello sludge e del postcore, quello più viscerale e abrasivo, essenza che potevamo trovare già nelle atmosfere del seminale 'Aggravation' dei Treponem Pal, unito alla drammaticità nevrotica e decadente dei lavori micidiali dei Forgotten Tomb, di cui la voce dei Nudist, Lorenzo Picchi (anche al basso), ne ricorda non poco lo stile vocale. Originali nel loro sopravvivere nella sfera del genere, uniscono ritmi claustrofobici (ottimo il drumming Francesco Caprotti) e coloratissime sfumature di nero, sottolineate dai taglienti riff al vetriolo di Gabriele Fabbri (c' è anche lo zampino magico di Xabier Iriondo - chitarrista degli Afterhours - in questo bel disco), che penetrano nella carne (l'opener "Roped and Tied" ad esempio) come lame affilate, per un totale di una quarantina di minuti tutti da gustare con vorace desiderio di musica nera e avvolgente, uno sfogo di rabbia palpabile, meditato, finemente realizzato e niente meno che registrato al teatro Fabbrichino di Prato. Si sente, traccia dopo traccia, l'esperienza maturata di una band navigata, che fa valere le sue qualità musicali acquisite. Sferzate soniche e rallentamenti in slow motion per un film in bianco e nero dagli accentuati chiaroscuri, dove le parti 1 e 2 del brano "River", rivelano un'ottima vena sperimentale, con variazioni nel canto (con l'aiuto vocale di RYF) che si elevano dalle usuali vocals in screaming, aprendo il suono della band ad ulteriori frontiere ipnotiche e psichedeliche. Il terzo brano, "Demolition", si erge nella sua sofferta cronaca lisergica, con un'escalation di drammaticità a dir poco epica, in una sensazione di sospensione avvenuta in uno spazio senza tempo, marcato dall'oscurità incombente. "Crawl in Me", si muove a passo lento in un ambito fumoso e cupo, per uno scenario filmico e d'ambiente noir, un sound originale, vicino al depressive black, con voce salmodiante, straziante e lacera per una marcia funebre, maligna e lugubre che non fa prigionieri. I pregi artistici dei Nudist vengono messi in bella mostra da una eccelsa qualità di registrazione per l'intero percorso del disco ed anche nel lungo brano conclusivo, che porta il titolo dell'opera, "Incomplete" appunto. Una lunga soffertissima interpretazione acida, dall'incedere progressivo ed ossessivo, che si abbatte sull'ascoltatore come un macigno, per porre fine ad un set di canzoni che rapiscono per coinvolgimento emotivo ed un'atmosfera ammaliante virata al nero cosmico. Un album da mettere forzatamente tra le vostre collezioni migliori. Ascolto obbligato ed intensificato. (Bob Stoner)

Nameless - Eternal Grief

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi My Dying Bride
Calì, luogo d'incanto, cosi ammaliante, voluttuosa e libertina, vuoi per le sue bellissime donne, vuoi per i canti e i balli che si sprecano per le vie della città. Calì è anche uno dei luoghi più pericolosi al mondo e proprio qui, nel 1992, nascono i Nameless, band che in quasi 30 anni è riuscita a rilasciare solamente due album, l'ultimo dei quali è il qui presente 'Eternal Grief', uscito nel 2018 per la Demonic War Cult Productions. La proposta musicale del quartetto colombiano mi conduce dalle parti di un death doom che, introdotto dalla classica intro pianistica, si palesa in tutta la sua sostanza con "Lament", una song che riflette fondamentalmente le influenze per la band, che ci riconducono ai primissimi My Dying Bride. 'Eternal Grief' è infatti un disco che tende a privilegiare l'aspetto più death oriented che quello più poetico e decadente che è emerso nelle successive release dell'ensemble inglese. E qui ahimè casca l'asino, perchè il sound dei nostri risuona davvero obsoleto. Ho provato ad ascoltare con la dovuta attenzione anche le successive tracce, ma francamente la furia esplosiva più vicina al black di "Quiet Melancholy", mal si coniuga con il tentativo di offrire un sound piacevole o che possa minimamente destare un qualche interesse, sebbene sporadici tentativi di avvicinarsi, con arpeggi o parti vocali in pulito, anche alle proposte di 30 anni fa dei primordiali Anathema o chi per loro, ha dato il via ad un movimento che poi ha imposto nuove regole e nuovi standard qualitativi. La proposta dei Nameless non è fresca, e magari non ambiva nemmeno ad esserlo, ma francamente non mi sentirei mai di consigliarne l'ascolto. Là fuori ci sono cosi tante release di generi affini assai più meritevoli di questo vetusto 'Eternal Grief'. Me ne dispiaccio, soprattutto alla luce della lunga storia di quest'ensemble colombiano, ma non basta un intermezzo acustico qual è "Abisinia" (o la conclusiva "Manifesto"), per calmierare i limiti in termini di creatività, che lamenta la band. E pezzi dotati di una certa vena malinconica, come "Pain Beyond the Grave" o "The Void", fungono solo da parziale copertura ai rimanenti brani che si possono semmai fregiare dell'etichetta di death metal, punto e basta. La musica ha bisogno di crescere e non di rintanarsi in suoni che ormai hanno fatto il loro tempo, laddove la creatività si è ormai affievolita, se non svanita del tutto. (Francesco Scarci)

(Demonic War Cult Productions - 2018)
Voto: 55

https://namelesscol.bandcamp.com/album/eternal-grief

venerdì 1 maggio 2020

Wows - Ver Sacrum

#PER CHI AMA: Post Metal/Black, Altar of Plagues, Amenra
La Primavera Sacra (Ver Sacrum in latino) era una pratica rituale di origine antica, che consisteva nell'offrire negli anni di carestia, come una sorta di sacrificio, tutti i primogeniti nati dal 1º marzo al 1º giugno; l'immolazione non era però reale, in quanto i bambini crescevano come sacrati, per emigrare in età adulta a fondare nuove comunità altrove. Ora, questa Primavera Sacra è stata traslata per identificare il periodo di uscita di questo nuovo capitolo degli italici Wows, affidando una sorta di sacralità all'evento (questa la mia libera interpretazione), dato che abbiamo atteso quasi cinque anni per ascoltare la terza fatica dei nostri. E non ne vedevo l'ora. Cinque pezzi quindi per tastare il polso ai sei musicisti veronesi, anche se "Elysium" è una malinconica intro pianistica sul cui sfondo si aggira una spettrale e appena percettibile voce femminile. "Mythras" divampa poi spaventosamente nelle mie casse, con una ritmica al vetriolo, schiaffi sui piatti, una voce che arriva direttamente dall'oltretomba e una minacciosa crescita musicale che mi rievoca immediatamente uno dei brani che più ho amato degli Altar of Plagues, "God Alone". Date un ascolto attento alla song e godete con me nel sentire come gli insegnamenti dell'ensemble irlandese siano stati presi in dote dalla band e riadattati, resi forse anche più claustrofobici nell'evoluzione angosciante di una traccia che rischia di divenire alfiere di una nuova ondata post-black. Si perchè, parliamoci chiaro, l'evoluzione dei nostri iniziata già ai tempi di 'Aion' non si è affatto conclusa ma prosegue nel suo dilaniante disagio interiore, esteriorizzato dai suoni malefici e angusti di questo 'Ver Sacrum' che pone la band di fronte ad un nuovo bivio futuro, di cui vorrei conoscerne già la risposta. Tornando alla track, questa si muove in bilico tra un sound melmoso e un più furente e apocalittico post-black, figlio di questo maledettissimo periodo che stiamo vivendo. È gioia estatica la mia nel farmi inglobare dall'insana musicalità della compagine nostrana e quale orgoglio nel sentire che simili suoni escano da una band italiana piuttosto che dalle solite realtà americane o svedesi. Che abilità poi nel passare tra lo sludge, il black, l'hardcore e poi concludere con un funeral dalle tinte morbosamente ossessive. "Vacuum", la terza traccia, è tutt'altra cosa con un incipit shoegaze, fatto di impalpabili e decadenti melodie di chitarra e nostalgiche clean vocals che riversano il proprio straziante malessere su quei minimalistici tocchi di chitarra. Poesia allo stato puro, che non preannuncia nulla di buono, visto che sul finire del pezzo, la realtà sembra distorcersi e sembra volerci annunciare di prepararci ad affrontare una distorta forma di realtà. E cosi sia. "Lux Æterna" parte da lontano, con quanto rimane dal precedente album, ossia un minimalistico pizzicare di corde di chitarra e la voce del buon Paolo Bertaiola a declamare pochi versi (ci sento un po' di scuola Amenra in questo frangente). Un ipnotico riff di chitarra inizia a salire nel frattempo, affiancando il più muscoloso riffing portante, mentre una terza chitarra sembra addirittura lanciarsi in un tremolo picking dal forte effetto disturbante. Un forte senso di angoscia sale man mano che le chitarre nel loro marziale incedere, vedono la voce del frontman urlare straziata. La song rimane però bloccata nelle sabbie mobili di un tortuoso e ossessionante giro di chitarra, francamente avrei osato di più in questo frangente, considerata la sua rilevante durata di oltre 13 minuti, un peccato perchè la song sembra castrata e depotenziata nei dettami di un genere che necessita di nuove intuizioni. E arriviamo, senza nemmeno rendercene conto, alla conclusiva "Resurrecturis", non sembra, ma trentadue minuti di sonorità oscure sono già scivolati e quanto ci rimane, sono gli undici rimanenti dell'ultima traccia. L'inizio è un ambient dronico che funge da apripista ad un sound che persiste nel parcheggiarsi dalle parti di un post-sludge lisergico ove riappaiono i fantasmi dei Neurosis ma pure dei Tool. La voce di Paolo si conferma su tonalità pulite ed acute, ma sempre dotate di un profondo senso di sofferenza, mentre il saliscendi ritmico alla fine è da mal di testa e per questo varrebbe la pena sottolineare la performance dietro alle pelli di un magistrale Fabio Orlandi soprattutto nel roboante finale affidato ad un feroce climax ascendente. Per concludere, non posso che enfatizzare ottima la performance in toto della band italica, sebbene in tutta franchezza, avrei garantito più minutaggio alla componente post-black dell'iniziale "Mythras", vero gioello del disco. Aggiungerei poi i complimenti al duo Enrico Baraldi e Luca Tacconi dietro al mixer presso gli Studi Sotto il Mare dove la band ha registrato e ultima menzione per il lavoro sempre di prim'ordine, di Paolo Girardi per l'ennesima spettacolare cover artwork del disco. Che altro volete di più, devo forse intimarvi di far vostra questa spaventosa creatura che risponde al nome di 'Ver Sacrum'? Ora vi prego, non fateci attendere un altro lustro per avere nuove notizie della band, si sa dopo tutto che la fame vien mangiando e io ho già appetito per un'altra release targata Wows. (Francesco Scarci)

(Dio Drone/Coypu Records/Hellbones Records/Shove Records - 2020)
Voto: 81

https://thewows.bandcamp.com/album/ver-sacrum

Fotocrime – South of Heaven

#PER CHI AMA: Dark Rock, Fields of the Nephilim, Christian Death
Parlare di un genere come il dark rock oggi è più difficile di quanto si possa immaginare. Esistono innumerevoli correnti di musica oscura che, contaminate dal metal, dall'elettronica o da generi più estremi, hanno dato forma a mille entità diverse che per certi aspetti hanno affossato il vero culto del dark rock, del death rock o del gothic rock, quello che, dagli inizi degli anni '80, si sviluppò per un decennio circa, divenendo di nicchia, creando capolavori notevoli, per poi far perdere le sue tracce e trasformarsi in gothic metal, dark metal e simili, dal suono più duro e potente. Ecco, in questo contesto, la one-man-band del vocalist nord americano R., i Fotocrime, aiutato da musicisti esterni quali Janet Morgan (Canali), Nick Thieneman (Young Widows), Erik Denno (Kerosene 454) e Rob Moran (Unbroken), riporta in vita un sound romantico e tenebroso, che rese gloriose band come Red Lorry Yellow Lorry e Sisters of Mercy. Un'ombra poetica sempre ben ancorata sul fondo delle canzoni, una chitarra distorta ben nota, che profuma di "Romeo's Distress" (gioiellio dei Christian Death) e delle indimenticabili melodie del mitico periodo targato Batcave (il music club gotico di Londra), con un tocco sofisticato e più morbido, spesso incline al versante elettro/synth pop, che si abbandona ad una forma sintetica decadente e sognante tanto vicina a certi lavori dei Clan of Xymox. L'elettronica minimale, il tocco gotico, l'estro rock e la vampiresca performance vocale, rievocano l'attitudine delle sperimentazioni viscerali apparse nel remix fatto dai Numb e dai Zero Gravity di "Panic in Detroit" dei Christian Death. Il disco è piacevolissimo, scorre liscio brano dopo brano, anche grazie alla mano sapiente del responsabile di regia, Mr. Steve Albini. Ascoltando il lavoro fatto sui ritmi e sui suoni sintetici che si accavallano tra le oscure trame di chitarra, mi tornano alla mente quelle ritmiche di plastica del capolavoro degli Eurythmics, "Sweet Dreams", immaginandolo con fantasia e visione notturna, in un'ottica più cupa, rimodernata, adattata a tecnologie e qualità di produzioni attuali. Certamente un buon mix di sonorità retrò, dedite a rinfrescare la memoria di molte persone che hanno dimenticato come nacquero, qualche decennio fa, capolavori poetici e maledetti, senza dover per forza calcare la mano sul lato violento e metal del rock. "Blue Smoke" si eleva in paradiso seguita da "Foto on Wire" e "Love is a Devil", mostrando un'ottima capacità nella creazione di canzoni memorabili. Alla fine 'South of Heaven' è un album dal suono nostalgico, dal carattere introspettivo e poetico, assai affascinante ed ispirato. Lunga vita al dark rock! (Bob Stoner)

(Profound Lore Records - 2020)
Voto: 75

https://fotocrime.bandcamp.com/album/south-of-heaven

mercoledì 29 aprile 2020

Mahavatar - Go With the No!

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Groove Metal
Un’energia che non ha bisogno di nulla se non di se stessa per sopravvivere… Immortalità fisica e spirituale… Questi sono i Mahavatar, band proveniente da New York, creatura messa sotto contratto dall'italica Cruz del Sur Music. La prima particolarità che balza all’occhio di questa band è che, ai tempi della presente uscita, la line-up comprendeva due signore, la chitarrista Karla Williams d’origine giamaicana (si avete letto bene, la patria di Bob Marley) e l’altra, la cantante Lizza Hayson, israeliana, supportate ottimamente da tre session. Le due girls, animate dal desiderio di libertà e d’esplorazione della mente attraverso la musica, hanno cosi partorito quest'album dallo strano titolo e da una anche più difficile assimilazione. 'Go With the No!' è in grado però di coniugare, in una commistione di stili ed emozioni, i più svariati generi musicali, riuscendo nell’intento di catturare l’attenzione anche di chi non ama il metal. Gothic, punk, hardcore, dark, jazz, doom e stoner metal si fondono in questa release, debut assoluto della compagine statunitense, attraverso lo scorrere di un sound oscuro, melodico e tribale, sorretto dalle pesanti e malinconiche chitarre di Karla e accompagnato dall’ipnotica voce di Lizza (che presenta una voce accostabile alla nostra Cadaveria,). I Mahavatar sono bravi a spingerci sul bordo del precipizio con le loro musiche psichedeliche e poi a trascinarci giù nei meandri dell’inferno per poi riuscirne con le sue selvagge e melodiche suggestioni in un caleidoscopico giro di emozioni. Bellissima l’ultima e introspettiva “The Time Has Come” con il suo liseergico incedere, quasi a voler scandire i secondi che ci restano da vivere. Lasciate aperta la porta del vostro cuore e date modo ai Mahavatar di toccarvi l’anima. (Francesco Scarci)

(Cruz del Sur Music - 2005)
Voto: 72

https://www.facebook.com/mahavatarHQ

The Bereaved - Darkened Silhouette

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash, Carnal Forge
Vediamo se siete bravi: i The Bereaved provengono dalla Svezia, cosa potranno dunque suonare? È la vostra risposta definitiva? Beh siete dei geni, avete indovinato, logicamente melodic thrash/death. A volte mi domando quante siano le band realmente le band lassù in Scandinavia. Evidentemente però il quitentto di Orebro non deve essere una cima per aver firmato un contratto per la label greca Black Lotus, ma andiamo con ordine. Intanto 'Darkened Silhouette' è stato il loro debut album, registrato presso i famosi “Studio Underground” (Carnal Forge, Construcdead) ma dotato di un artwork orribile. Le influenze come al solito annoverano In Flames, Dark Tranquillity, Soilwork, gli stessi Carnal Forge e via dicendo, direi non se ne può più oggi, come non se ne poteva nel 2004, al tempo di quest'uscita. Tuttavia, nonostante un inizio non certo esaltante, con i primi due brani forieri di un sound a dire il vero piattino, andando avanti il disco sembra mostrare qualche spunto vincente. Devo sottolineare per una volta la non eccelsa perizia tecnica del gruppo, nonostante la provenienza sia indice di qualità, notabile in alcuni stacchi, nei cambi di tempo abbastanza imprecisi e caotici e negli assoli, seppur piacevoli. Le canzoni, che come al solito si assomigliano tutte, vanno via sparate ai 200 km/h, merito di una batteria martellante, che impatta sui nostri musi come jab belli tosti. È a metà album che però si scorge un netto miglioramento in corrispondenza con la comparsa di una melodia di sottofondo fornita da una flebile tastiera in grado di conferire un’aura misteriosa e maligna, quasi vampiresca (i Cradle of Filth non c’entrano niente in questo caso) a testimonianza del fatto che questi cinque ragazzoni siano (stati) giovani e ingenui, ma anche talentuosi e pronti già dal successivo album a tentare il salto di qualità. Voglio citare un paio di pezzi che ho particolarmente apprezzato: “Devil’s Dead” in pieno In Flames style e “Angel Ablaze” vicino al black/death sinfonico dei Dragonlord di Eric Peterson. Sufficienza comunque piena. (Francesco Scarci)

(Black Lotus Records - 2004)
Voto: 63

https://www.facebook.com/The-Bereaved-99153001357/

The Pit Tips

Francesco Scarci

Lament - Visions and a Giant of Nebula
Grav Morbus - Masohhist
Wows - Ver Sacrum

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Shadowsofthesun

Mithras - Behind the Shadows Lie Madness
Oranssi Pazuzu - Mestarin Kynsi
O - Antropocene

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Alain González Artola

Lustre - The Ashes of Light
Begottten - If All You Have Known Is Winter
Brouillard - Brouillard

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Michele Montanari

Elder - Omens
Camel Driver - \ /
1000mods - Youth of Dissent

venerdì 24 aprile 2020

Despondent Chants - The Eyes of Winter

#PER CHI AMA: Death/Doom, Katatonia, Insomnium
L'abbiamo snobbata per anni, devo ammetterlo, ma la scena sudamericana ha rilasciato una miriade di release senza che l'Europa lo venisse fondamentalmente a sapere. Ora, l'etichetta dei Despondent Chants, death band peruviana, mi ha inviato il loro debut album seppur datato 2018, e quindi francamente mi sento in obbligo di raccontarvi di questo 'The Eyes of Winter'. Un disco che si apre sulle note melodiche di "Unprotected Hearts" che mai e poi mai, mi farebbero pensare che sia una realtà sudamericana a rilasciare un sound come questo. Si perchè il pensiero mi porterebbe immediatamente in Scandinavia, nelle zone battute dagli Insomnium ad esempio o da altre band quali Enshine, October Tide, Draconian, tanto per citarvi qualche nome. Questo per dire che i Despondent Chants, originatisi a Cuzco nel lontano 2003, non sono certo degli sprovveduti e potranno farvi ricredere sulle qualità non indifferenti della scena locale peruviana. "An Olden Sea of Prayers" non fa che confermare le mie parole, con il quartetto a offrirci la loro visione (non troppo personale ahimè) del death doom melodico e decadente, venato di una forte componente malinconica. Quindi cosa mettere in conto nell'ascolto di questo disco? Sicuramente un riffing corposo e cadenzato, un growling profondo ma gradevole che ben si amalgama con la musica e delle buone linee di chitarra che ammiccano inevitabilmente ai gods europei. Ben vengano quindi release di questo tipo anche da quella parte di mondo dove si suppone solo di andarci a fare le vacanze, e dove non si ha la benchè minima percezione di quale possa essere invece la brulicante scena musicale. Posso affermare però con buona certezza che se le origini dei Despondent Chants avessero condotto a Finlandia o Svezia, la band avrebbe strappato un buon contratto da qualche fantomatica etichetta europea major del metal, ma laggiù in mezzo alle Ande, la visibilità è certamente ridotta a zero. Un pezzo come "Tide of Sufferings" avrebbe fatto certamente gridare al miracolo con quel suo assolo prog rock posto in apertura e comunque una palesata solidità ritmica che ha valso ai nostri l'opportunità di condividere il palco con band del calibro di Unleashed e Carach Angren, questo a certificare le qualità di un combo che vede sparare una serie di cartucce, certamente non a salve. Proprio partendo da questa malinconica traccia (la mia preferita del cd) che evoca un che dei primi Katatonia, i quattro musicisti mettono in linea una serie di episodi davvero convincenti: la goticheggiante "Atonement", in cui si sperimentano anche le clean vocals - come gli ultimi Katatonia insegnano - e poi "Sancta Sanctorum" che coniuga l'indottrinamento degli Opeth con ancora fortissimi richiami alla band di Jonas Renske e soci. Per concludere, mi sento di consigliarvi fortemente di ascoltare questo disco, mettendo da parte la diffidenza che sia una band di Cuzco a farlo, questo per dire che da quelle parti non ci sarà solo la maestosità di Machu Picchu da apprezzare d'ora in poi. (Francesco Scarci)

Genuflexión - Apoteosis Fallida

#PER CHI AMA: Black Old School, Rotting Christ, Mayhem
Se non avessi letto le origini della band, l'Argentina, avrei pensato che i Genuflexión provenissero dalla Norvegia, vista la proposta black old school del trio. Certo il moniker potrebbe essere rivelatore, il titolo dell'album in spagnolo dare poi maggiori certezze sulle origini latine dei nostri, fatto sta che in termini prettamente musicali, la compagine di Buenos Aires potrebbe tranquillamente giocarsela con i colleghi del nord Europa. Sebbene "Nostalgia de Luz Muerta", l'opening track di questo secondo capitolo intitolato 'Apoteosis Fallida', parta con una violenza criminale, la song va via via placando i propri gelidi spiriti per dar maggior spazio ad una componente più atmosferica. È chiaro che non ci troviamo di fronte a nulla di originale, come già detto decine di volte negli ultimi mesi per release di questo tipo, visto l'utilizzo degli elementi classici che vede in chitarre zanzarose, voci gracchianti e ritmiche infernali, gli ingredienti irrinunciabili del genere. Tuttavia, trovo qualcosa di celatamente affascinante nella proposta di questi ragazzi (peraltro frequentatori di un'altra miriade di band estreme) che sembra venir fuori lentamente. Cosi, già nel mid-tempo della seconda (title) track, ecco che il vocalist mette in mostra, accanto al suo becero screaming, anche una tonalità quasi salmodiante che accompagna le ritmiche, qui al limite del marziale. Se dovessi provare a fare dei paragoni, ecco che mi verrebbe in mente l'esoterismo dei Rotting Christ, ma poi ritornando alla Scandinavia, ecco che i primi Enslaved, i Gorgoroth o gli Emperor, potrebbero rappresentare una fonte di ispirazione per i Genuflexión. Quindi, non ci resta altro che lasciarci investire dal crudo riffing infernale di "La Fortuna de Caer en uno Mismo", in cui ad alternarsi sono partiture più veloci ad altre più atmosferiche, con il suono del basso che emerge prepotente dal caos primordiale. Alla cosa dò più peso e mi rendo conto come anche nella successiva "La Sofocante Cualidad Migratoria del Instante", la linea di basso sia preponderante sugli altri strumenti e assurga al ruolo di star nell'economia della band, regalando un pizzico di originalità ad un lavoro, in cui parlare di originalità, sarebbe alquanto eufemistico. "Deidades del Difunto" è una sgaloppata black, come sentito migliaia di volte, di cui salverei francamente ben poco. Con "Espiritualidad Acéfala" si ritorna nei paraggi del mid-tempo laddove, lasciatemi dire, la band sembra regalare maggiori soddisfazioni in quell'alternanza tra parti tiratissime ed altre più ragionate ed atmosferiche, ove emerge peraltro un che di antico dai solchi di questo lavoro. Purtroppo però stiamo parlando di un album che, se solo fosse uscito almeno 25 anni prima, avrebbe dato filo da torcere al raw black europeo, ora mi viene da dire che 'Apoteosis Fallida' è un'uscita sicuramente onesta, ma fuori tempo massimo. (Francesco Scarci)

(Sons of Hell Prod - 2019)
Voto: 64

https://h-o-h.bandcamp.com/album/apoteosis-fallid

El Abismo - El Arbol Negro

#PER CHI AMA: Prog Psych Doom, Black Sabbath, Candlemass
In questo mio momento di perlustrazione della scena sudamericana, ecco imbattermi nei peruviani El Abismo e in quello che è il loro album di debutto 'El Arbol Negro'. Considerato che l'albero è da sempre riconosciuto come simbolo della vita, sarebbe interessante sapere la simbologia dell'albero nero. La proposta del combo di Lima, abbraccia heavy, sludge e doom, il che è piuttosto strano considerata la militanza dei vari membri in passato, in realtà prettamente death e black. Tuttavia la title track, che apre proprio il disco, prende completamente le distanze dai generi estremi appena menzionati e ci racconta piuttosto il desiderio dei nostri di intraprendere un nuovo percorso musicale, volto all'esplorazione di suoni passati. Quello che mi sorprende sin da subito, è il cantato cosi pulito ed efficace di Daniel Roncagliolo (in stile Paul Chain), uno che fino a non troppo tempo fa, vomitava nel microfono, tanto per capirci. Ma è su quel sound di scuola Black Sabbath che ben mi ammalia nei primi cinque minuti, che i nostri si lasciano andare a qualche retaggio passato con un'accelerazione death con tanto di voce growl incorporata. Tempo di una vorace fuga estrema, che i nostri rientrano nei ranghi di un doom psichedelico. Il sound mantiene comunque una scarsa pulizia di fondo, che sembra quasi volutamente prodotta, una sorta di ponte tangibile con il passato. "Necrópolis", non solo mi sorprende per l'eccellente apporto vocale (quello pulito sia chiaro, il growl è quasi da censura) del suo frontman, ma più che altro per l'inatteso utilizzo del violoncello, che arricchisce non poco la musica dei nostri, che hanno purtroppo il brutto vizio di scadere ogni tanto in inutili accelerazioni death, quando in realtà la band dà il meglio di sè nei momenti più riflessivi e in taluni tratti dotati di risvolti progressivi. Ma l'incedere è assai mutevole con rallentamenti doomish e una valida sezione solistica. Bella scoperta, devo ammetterlo, soprattutto a fronte della mia diffidenza iniziale. "Asmodeo" è il classico intermezzo acustico tipico del post-rock, che ci accompagna a "Los Abismos", ove riemergono forti gli echi (ancor più) seventies di Ozzy e compagni, ma dove la ritmica si rivela stantia e deboluccia, ammiccando in un paio di frangenti anche ai Candlemass, un vero peccato considerato poi l'assolo da urlo che sfodera il bravo Carlos Hidalgo in chiusura. Con un titolo come "Catacumbas" invece cosa aspettarci? Niente di buono mi verrebbe da dire cosi di primo acchito, e non ci vado troppo lontano visto che salverei poi tanto da una song dove mal tollero il cantato sia in pulito che in growl, e dove la musica sembra raffazzonata alla bell'e meglio. Come al solito, a levare le castagne dal fuoco, ci pensa l'ascia di Mr. Hidalgo che risolleva una song, che per il sottoscritto stava andando letteralmente a puttane, prima lo fa con una parte acustica e poi con un assolo in stile Pink Floyd, da brividi. Certo, poi il finale riprende il tema iniziale e rovina tutto, ma pazienza. A chiudere il disco arriva "Lilith", un brano che ancora una volta vede nel chitarrista la vera star della band tra giochi in chiaroscuro, una combinazione chitarra acustica/violoncello da favola che viene interrotta da una dirompente violenza estrema che qui ci sta alla grande e poi ancora una serie di assoli a dir poco spettacolari. Insomma, 'El Arbol Negro' mi mette in difficoltà come poche volte mi è capitato nel corso della mia carriera da recensore, contenendo cose al limite dell'eccezionale e altre al limite della decenza per cui, visto che la verità sta nel mezzo, mi limiterò ad un voto che non penalizzi ma neppure esalti la prova del trio sudamericano, confidando però in una futura prova a dir poco maiuscola, ove auspico l'eliminazione di tutte le sbavature contenute in questo lavoro. Ci conto, perchè a quel punto potrei essere il primo sostenitore degli El Abismo. (Francesco Scarci)

(Thrashirts - 2019)
Voto: 70

https://www.facebook.com/Elabismoband/

giovedì 23 aprile 2020

Ecnephias - Seven - The Pact Of Debauchery

#PER CHI AMA: Gothic/Dark, Moonspell, Burning Gates
E dopo dodici anni, eccomi a recensire il sesto lavoro della band potentina; mi mancano i primi due dischi, compensati però da un EP, 'Haereticus' nel 2008, e poi mi potrei tranquillamente considerare un fedele devoto alla causa Ecnephias. A parte gli scherzi, non posso negare la mia stima nei confronti dell'italica creatura, capace nel corso della propria carriera di mutare pelle, adattarsi a situazioni complicate, lottare caparbiamente contro tutto e tutti (mulini a vento compresi) e arrivare oggi a rilasciare questo settimo sigillo, intitolato 'Seven - The Pact Of Debauchery'. Nove nuovi brani per saggiare lo stato di forma di Mancan e soci, cercando di capire come il sound dei nostri sia evoluto dopo le dipartite di Sicarius Inferni e Khorne, presenti nel precedente 'The Sad Wonder of the Sun'. Ebbene, quella trasmutazione verso il gothic rock che citavo come completata nella vecchia release, qui è ormai assodata e la band non fa altro che esplorare ed ampliare il proprio raggio d'azione. Se l'inizio di "Without Lies" chiama ancora in causa i vecchi Moonspell, con la voce del buon Mancan a rappresentare il marchio di fabbrica per il nerboruto trio, quello che mi convince davvero in questa song è la componente solistica forte dell'ottimo lavoro del bravo Nikko, con le chitarre qui dotate di un eccellente taglio classicheggiante, peccato solo per la loro esigua durata. I temi legati alla magia, al paganesimo e all'occultismo non mancano nemmeno in questo cd e "The Night of the Witch" lo conferma a chiare lettere a livello lirico, laddove a livello musicale invece, sono le ormai consuete atmosfere sinistre venate di una discreta aura malinconica a farla da padrona. Il riffing è pacato, le keys dipingono paesaggi che mi ricordano da lontano Rapture, Enshine e Slumber, mentre quello che mi esalta sempre un sacco sono decisamente i cori, cosi evocativi, epici e coinvolgenti, tanto da ritrovarmi alla fine del brano con il pugno volto al cielo. Arriviamo anche alla traccia che non necessita di sottotitoli, "Vampiri", con quel suo mood dark new wave che mi evoca una band nostrana, i Burning Gates. Pur trovando che il cantato in italiano caratterizzi maggiormente la proposta del trio lucano, capisco di contro che la possibilità di esportazione del prodotto Ecnephias fuori dai confini nazionali, potrebbe divenire più complicato. Spettacolare intanto l'assolo sciorinato in questo brano dal sempre bravissimo Nikko, in quello che forse alla fine dei conti, risulterà essere anche il mio pezzo preferito. "Tenebra Shirt" è una traccia piuttosto lineare nella sua progressione, non tra le più memorabili inserite nella discografia degli Ecnephias, ma comunque un onesto episodio di fine atmosfera. Molto meglio l'inquietante incedere ritmato di "The Dark", che nel suo break centrale, cerca di coglierci di sorpresa con uno stralunato fuori programma, giusto una manciata di secondi per disorientarci dallo stato di intorpidimento in cui stavamo per cadere, si perchè talvolta la proposta dei nostri sembra un po' depotenziata, insomma col classico freno a mano tirato. L'incipit di "Run" mi ha fatto pensare per una frazione di secondo alle operistiche partiture dei Therion, ma tranquilli nulla di tutto ciò viene poi qui esplorato, anche se Mancan alterna il proprio growling ad un cantato molto pulito, ma niente paura perchè è giunto il momento anche dello spazio etnico grazie all'utilizzo di percussioni che non mi fanno tanto pensare al Mediterraneo, piuttosto al voodoo africano. Un sintetico incipit ci introduce a "The Clown", la traccia sicuramente più ricca di groove e mi verrebbe da dire anche quella più canticchiabile (mi scuserà Mancan) con quel suo coretto "I saw a clown..." che si stampa nella testa; ottima poi la melodia di fondo su cui si staglia l'ascia sempre vigile di Nikko. L'apertura de "Il Divoratore" nasconde nelle sue iniziali percussioni melliflue (eccellente anche Demil dietro alle pelli) un che del misticismo di Twin Peaks, a cui fa seguito l'arpeggio della sei corde qui a braccetto con le tastiere, e il cantato di Mancan qui particolarmente carico di emotività, a rafforzare la mia ipotesi che in italiano la proposta degli Ecnephias renda molto di più. E per chiudere in bellezza, ecco che anche la conclusiva e arrembante "Rosa Mistica" ci concede gli ultimi minuti di punk dark wave cantata in italico lingua, in quella che fondamentalmente è la song più violenta del disco, e che sembra quasi una bonus track a prendere le distanze da tutto quello ascoltato fino ad ora. Per concludere, a parte quella sensazione percepita in un paio di occasioni di un sound talvolta privo di incisività, la settima release degli Ecnephias va assaporata con una certa calma e armonia dello spirito. Detto questo, la mia stima nei confronti della band rimane immutata per carisma, professionalità e una certa ricerca di originalità. Per il resto, è sempre una certezza e un piacere aver a che fare con i nostrani Ecnephias. (Francesco Scarci)

Hyperia - Insanitorium

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Testament, Over Kill
Da Calgary ecco arrivare gli Hyperia con tutto il loro carico death thrash contenuto nel loro full length d'esordio 'Insanitorium'. Se vi state già chiedendo quali possano essere le peculiarità di una band in un genere che ormai ha detto proprio tutto, potrei partire col dirvi che il vocalist è una donna ad esempio, che si dipana tra un cantato pulito ed un growling bello corposo. Niente di nuovo qualcuno di voi potrebbe obiettare, visto l'esempio degli Arch Enemy, un nome diventato famoso per la sua frontwoman Angela Gossow, e in effetti non potrei controribattere. E allora proviamo a dare un ascolto attento all'opening track "Mad Trance", una song che mette in luce immediatamente le qualità compositive e distruttive dell'ensemble canadese. Ottima la verve ritmica e melodica del quintetto, potente la furia chitarristica, anche a livello solistico, faccio fatica semmai a digerire la voce di Marlee nella sua veste pulita (e più urlata) che sembra prendere spunto da quella degli Artillery ma con un effetto meno convincente, un qualcosa su cui lavorerei un po' di più in ottica futura. Dove la compagine sembra convincere maggiormente è invece la componente musicale, visto che i nostri sanno come fare male e dove colpire al cuore l'ascoltatore. Lo dimostra assai bene "Starved by Guilt", con un uno-due ben assestato e udite udite, una componente vocale che si presta ad essere ben più convincente nelle tonalità più baritonali. Il disco suona però come un tributo al thrash metal anni '80 e non solo per una cover che rimanda a quegli anni, ma in generale per un rifferama che chiama in causa gli Slayer nell'incipit di "Asylum", le cavalcate dei primi Testament ("The Scratches on the Wall") o ancora gli Exodus, sfoderando proprio come quei mostri sacri, ottime prove strumentali. Interessante a tal proposito il bridge proprio della già citata "Asylum", cosi come quel suo chorus di scuola Over Kill, periodo 'Under the Influence' (lo si apprezzerà anche nella conclusiva e scoppiettante "Evil Insanity"). Insomma, per uno come me, cresciuto musicalmente negli anni '80 a botte di thrash ed heavy metal, è facile e inevitabile fare tutta una serie di confronti con gli originali. In "Unleash the Pigs", ci sento anche del power metal cosi come del melo death scuola Children of Bodom, tutte influenze che si fondono alla velocità della luce e scorrono altrettanto velocemente tra cambi di tempo, accelerate e cavalcate varie dal forte sapore heavy, per un disco senza tempo che farà la gioia di tutti i thrashettoni che hanno amato, come il sottoscritto, i grandi classici (dimenticavo di citare anche i Metallica di 'Kill'em All', gli Anthrax o i Megadeth nell'emblematica "Fish Creek Frenzy") o più recentemente, act quali gli Skeletonwitch. Che altro dirvi per invitarvi a questo "back to the past" con gli Hyperia? Un ascolto datelo, datemi retta.  (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2020)
Voto: 70

https://hyperiametal.bandcamp.com/album/insanitorium