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martedì 25 settembre 2018

?Alos - The Chaos Awakening

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Drone
Parlare di ?Alos e delle sue opere non è mai stato facile, né mai lo sarà. La sua arte di confine ispirata da ombre e oscurità si colloca nei meandri più bui dell'avanguardia sonora e la sua ricerca vocale è tanto focalizzata, mirata e vasta che a fatica, il grande pubblico riuscirà ad apprezzarla e a capirla veramente. Del resto Stefania Pedretti non è artista facile che si vuol far amare da tutti, cominciando con la sua recente affiliazione al filone black/doom, ai suoi riferimenti luciferini e al suo inasprirsi e radicalizzarsi verso sonorità sempre più estreme. Diciamo subito che di musica sperimentale/ambient drone si tratta e che in questo nuovo 'The Chaos Awakening' la nostra artista si cimenta in una sorta di catarsi etnica basata su leggiadri e mistici rintocchi di campanelli, tenui ed ipnotici strumenti a percussione, suonati su divagazioni vocali che invocano un matra spirituale, un percorso sciamanico, calati su loop dronici cupi e profondi. Una lunga suite dove il tempo/spazio si perde e dove la forma canzone abbandona tutta la sua architettura classica, per lasciar spazio alla trance ancestrale provocata dalle corde vocali di ?Alos, che genera suoni contorti e disturbanti al passo con le evoluzioni della divina Diamanda Galas. Rintocchi etnici si muovono in sottofondo, sinistri e glaciali, siderali armonie monotone ad alimentare la trasformazione vocale che cerca di emergere a suon di esplorazioni gutturali ed impennate liriche, trafitte sempre da quel sodalizio/attitudine/appartenenza alla musica nera e diabolica. Avanguardia, come poteva intenderla Luciano Berio in alcune sue spettacolari opere, rumori/suoni che vanno oltre la semplice musica, sperimentazione intelligente ed affascinante. Il finale è lasciato a fiati terrificanti di trombe pronte ad aprire i cancelli degli inferi. Una ventina di minuti di buio totale ed un risveglio tra le fiamme dell'inferno, contorto, mistico, sinistro e malato, carico di silenzioso, violento, attrente, pagano, rispettoso, libero amore verso il caos primordiale. Alla ricerca del risveglio dell'anima, io ne consiglio l'ascolto. (Bob Stoner)

lunedì 24 settembre 2018

La Fantasima - Notte

#PER CHI AMA: Post Rock/Drone/Psych
La Fantasima sembra l’incrocio tra le parole “fantasma” e “fantasia”, due immagini che ben si sposano con il suono silvano e crepuscolare del trio romano alla seconda prova in studio dal titolo 'Notte'. Si tratta di un post rock strumentale che ricorda a tratti i My Sleeping Karma, con venature drone e squisitamente psych, il tutto sostenuto da una ritmica cadenzata e costante che riporta a generi come lo stoner o il doom. Da notare l’utilizzo del basso che spesso si arrampica in complicati fraseggi, spiccando dal mix sonoro e di fatto, prendendo la posizione di strumento solista. Per gran parte del disco assistiamo al dispiegarsi di ambienti sospesi ed eterei, la chitarra effettata e scintillante, traccia degli scenari da fiaba, quelle fiabe per bambini che hanno una trama stranamente oscura e finiscono con la morte di qualcuno vicino al protagonista. Sono presenti anche dei momenti di rilascio della sospensione saturi di fuzz e carichi di energia come la parte centrale di “Sino al Mattino” che ricorda gli ultimi lavori degli Ufomammut, band che la band dichiara come influenza sulla propria pagina. La musica dei La Fantasima riesce a coinvolgere e a trasmettere, personalmente ho provato quella sensazione che si prova mentre si è in viaggio verso qualcosa di sconosciuto, quel misto di paura e di euforia, di curiosità e di allerta continua per non farsi prendere alla sprovvista. Ogni pezzo è un sentiero in una selva fantastica, uno scenario impossibile perennemente al centro della notte, gli alberi rifulgono di riflessi blu scuro e il verde e l’azzurro dei ruscelli non esiste mai. Il vento muove le fronde che dialogano tra loro e racchiudono gelosamente il suolo coperto di vegetazione fittissima mai toccata dall’uomo. Si tratta quasi di una colonna sonora, un percorso sinestetico nella grandiosità e nel mistero della natura il tutto decorato da uno splendido scenario oscuro e boschivo che trasporta la mente in una favola antica e dimenticata. (Matteo Baldi)

domenica 23 settembre 2018

Taiga - Cosmos

#PER CHI AMA: Depressive Black/Doom, Austere
La Russia da sempre è sinonimo di affidabilità in fatto di sonorità black doom atmosferiche. Poi quando hai un moniker che si rifà alla foresta boreale, la taiga appunto, non si può sbagliare assolutamente. Questa l'introduzione di 'Cosmos', quarto album del duo di Tomsk, che all'attivo ha anche quattro EP. Il genere espresso dai nostri siberiani è un depressive black dalle tinte atmosferiche che include ovviamente chiari riferimenti doom (visibili nell'opener "Стыд"), verosimilmente un retaggio dell'altra band di Nikolaj Seredov, i funeral doomsters Funeral Tears. Curioso poi il fatto, che il secondo membro dei Taiga sia Alexey Korolev, il proprietario dell'etichetta Symbol of Domination, che produce questo disco. Fatte le dovute presentazioni, introdotto anche il primo brano, citerei immediatamente la seconda traccia "Жить" per quel suo sound intenso, melodico, straziante (soprattutto a livello vocale) e malinconico che mi ha fin da subito conquistato. Certo ci sono ancora tante imperfezioni da limare e correggere, ma il dirompente attacco che dà il via alla song, è da brividi: una sorta di post black dal forte sapore nostalgico, in cui l'unica cosa a non solleticarmi i sensi è lo screaming efferato di Nikolaj, da rivedere sicuramente. Per il resto, il cd scivola via piacevolmente tra decadenti melodie, ariose parti di synth e rallentamenti depressive, come accade nella prima metà della title track, prima che le tastiere s'impossessino della scena e regalino attimi di grande pathos, e le chitarre abbandonino il classico ronzio black per avvicinarsi maggiormente all'heavy classico. Mi piacciono questi Taiga, hanno grinta, buon gusto per le melodie, la capacità di alternare momenti vivaci e dinamici con altri più oscuri ("Ты"), in cui le sgraziate urla del frontman, lontane in sottofondo, s'incastrano su un drammatico impianto ritmico. E cosi, evocando i primi Burzum o i più criptici Austere, i due loschi figuri continuano a ricamare pezzi più che dignitosi, in cui black, eteree atmosfere, sfuriate al limite del death ("Слова потеряют значение") e deprimenti melodie, se ne vanno a braccetto per celebrare questo quarto capitolo targato Taiga. (Francesco Scarci)

(Final Gate Records/Symbol of Domination - 2017)
Voto: 70

https://symbolofdomination.bandcamp.com/album/sodp103-taiga-cosmos-2017

Hellyeah - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Groove Metal
Il primo album del supergruppo formato dal campione rionale dei mangiatori di hot dog dei Mudvayne, dal taroccatore di marmitte dei Nothingface, dallo spacciatore di pasticche di Lexotan dei Bloodsimple e dal rivenditore di cessi a muro militante nei Damageplan e prima nei Pantera, e il cui nome corrisponde all'esclamazione che fareste al venerdì sera se foste anglofoni e un amico vi invitasse fuori per una birra (cit. Vinnie Paul), esprime bandane, pizzetti lunghi sotto il mento e un groove metalloso anni '00 poco alt e molto ortodosso, tra certi grattugiosi melodismi grunge ("Thank You", "Star") planet-carovanate ("In the Mood"), compressioni old-school-nu-metal ("GodDam", "Nausea" et many al.) e una certa, malamente sopita, predilezione southern ("Alcohaulin' Ass" o la stessa title track in apertura). Esattamente quel che ci vuole per un ascolto sguaiato al venerdì sera in auto coi finestrini abbassati mentre raggiungete un amico al pub per farvi una birra. (Alberto Calorosi)

venerdì 21 settembre 2018

Skjult - Progenies ov Light

#PER CHI AMA: Black Old School, Gorgoroth, Watain
Pensavo di aver visto tutto nel panorama musicale odierno, invece mi sbagliavo. Si perchè una one-man-band cubana devota ad un black metal glaciale di stampo scandinavo, mi mancava. 'Progenies ov Light' è il secondo album degli Skjult, ensemble guidato dal factotum Conspirator che si diletta nello scaraventarci addosso tutta la ferocia dell'act caraibico. Sette i brani a disposizione (più una bonus track che era contenuta nel tributo a Trond Nefas, leader degli Urgehal, scomparso nel 2012) per aver chiaro che quanto contenuto nel qui presente album, potrebbe tranquillamente stare in un disco di una qualsiasi band norvegese/svedese votata alla fiamma nera. Si parte con "Into the Void" e si prosegue a ruota con "Immolation Rites", "Summoning The Eternal Black Flames Of Death" e tutte le altre fino a "Baptized By The Unholy Goat": lungo questo percorso, il canovaccio della proposta dell'artista de L'Havana, non muta però particolarmente. Cosi ci si trova ad affrontare un black metal fumante e iroso, tra sfuriate ritmiche, harsh vocals e atmosfere nere come la pece (basti ascoltare la doomish "Glorious Night"), il tutto corredato da una produzione secca che conferisce quell'aura maligna che si confà degnamente ad un lavoro di questo tipo. Chiaro, che se siete in cerca dell'originalità in questa tempesta sonora, ne troverete gran poca, ma se siete degli amanti di sonorità in stile Gorgoroth, Watain o Urgehal stessi, qui troverete pane per i vostri denti. Un ascolto lo darei non fosse altro per il carattere esotico del mastermind che si cela dietro a questo moniker e per la sua musica glaciale che tradisce completamente le sue origini. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/Black Metal Propaganda Deutschland - 2018)
Voto: 60

https://satanath.bandcamp.com/album/sat187-skjult-progenies-ov-light-2018

giovedì 20 settembre 2018

Lilla Veneda - S/t

#FOR FANS OF: Black/Death
Black/death metal is king when we talk about fusion success of the genres, we have several of the best bands ever among this mixing of aggression, violence, technique, and boldness from death metal; while ambient, darkness, melancholy and emotion from black metal, bands such as Dissection, Behemoth, Dawn or Sacramentum to name a few. But there is a difference, believe it or not, if we change the order of the mix to death/black metal, then we have a focus on instrumental extremity, violence, production, and heaviness but less of a direction to the atmosphere and cathartic element proper of the black art, nevertheless we have aswell great bands like Belphegor, Azarath, Necrophobic or Unanimated.

Now, when we find a band like Lilla Veneda is hard to say where they want to land and what their music is about because they seem to want to take a direction towards darkness, grimness and melancholy in some points, and being violent, visceral and bestial in some other parts without finding their middle ground.

Lilla Veneda is a Polish band that at first sight looks like a black metal band, their lyrical themes are related to philosophy, romance and misanthropy, their art direction allude obscurity and sadness (check the album cover art), but they play a sophisticated yet indefinite mix of many things. I wouldn't say they are a blackened death metal band, because it is interesting how they combine the elements of their music, however, it is difficult to pigeonhole them in a concrete genre and in this case is not a virtue, and that problem is present in the whole album.

Lilla Veneda's second record is bold and full of good music, right from the opener song "Divination" you can tell they are talented musicians, the structure of their compositions is complex and well thought, guitar riffs are diverse and powerful, the bass line is solid and drums are creative, the vocals, however, stays behind at some points, since the music overshadows it. The guitarist especially shines offering a great collection of heavy riffs and extreme moments.

Tough clearly this album has a sublime production and exquisite mastering, the band does too little to transmit their message, maybe I'm going to hard on Lilla Veneda, but to me, the album as good as can be, can't convey me much. However, the complex instrumentation and the skilled musicians aren't enough to create the art that can touch and affect others, take a brutal/technical death metal band for instance, as impressive and superb their music is, it remains sterile. To me that's the problem with this album, I feel little to nothing with its music, and maybe someone can be very touched with this album tracks and technique, but I'm a black metal head, emotion is important in my music, and darkness as ambiguous as it can be, contributes with an important element of thrill.

There are some songs that stand out and seem to express more, songs like "Divination", "Martyranny" and "Wheel of misfortune", something worth mentioning is the presence of a violin to add ambiance to the music and more specifically to this songs. Guitar solos are short but well executed, and the guitar work shines in the melodic parts. Impressively how the shortest and last song is the highlight of the album, "Chmury" is a song where they crafted black/death metal more coherently: is heavy, fast, rampant yet grim and dark, this song has essence, soul and a motive, we get to listen to black metal riffs and some sort of angry melancholy, the lyrics are dismal and poetic.

In the end, Lilla Veneda's second album is not a bad effort, but it seems lost, indecisive in the objective, the band seems unsure if they want to crush it and be fierce and savage or to be more emotional, cathartic and grim. We can only wait and see if the band finds its way and perfection their formula because this album could have been a masterpiece if they had focused more in the expression of ideas and feelings than in the delivery of dexterous performance. (Alejandro Morgoth Valenzuela)


(Via Nocturna - 2018)
Score: 65

https://lillaveneda.bandcamp.com/

Akhenaten - Golden Serpent God

#PER CHI AMA: Black/Death, Melechesh, Arallu
Dopo Melechesh, Nile e Arallu, ecco arrivare dagli Stati Uniti, altri esponenti della corrente arabo-mesopotamica. Si tratta del duo formato dai fratelli Houseman, che dal 2012 a oggi, ha rilasciato sotto il moniker Akhenaten, quattro album fatti di suoni estremi ispirati al mondo mediorientale. Le classiche venature arabeggianti sono già identificabili nell'apertura di questo 'Golden Serpent God', nell'opener "Amulets of Smoke and Fire", dove le peculiarità del combo del Colorado, si palesano immediamente. Ecco quindi la loro forma arcaica di death/black, in cui trovano ampio spazio delle percussioni dal sapore mediterraneo, un dualismo vocale che si muove tra growl e scream e ottime orchestrazioni. Insomma, tutti gli ingredienti essenziali per condire un genere interessante e che vede negli Akhenaten nuova linfa vitale per arricchirne di contenuti. Poi dopo quattro album e parecchia esperienza maturata, anche attraverso il progetto Helleborus, i nostri si divertono a sciorinare un pezzo dopo l'altro, contrappuntandoli di un forte impatto musicale. Splendida a tal proposito, la seconda "Dragon of the Primordial Sea", affascinante per le liriche ispirate al culto di Akhenaton (che per chi non lo sapesse era il padre di Tutankhamon e fondatore di una religione di stampo enoteistico), ma soprattutto per quegli inserti strumentali tipici della tradizione araba che ci trascinano al tempo dei faraoni. "Throne of Shamash", la terza song, prende le distanze dalle altre canzoni e si manifesta come una mazzata di violenza inaudita, al limite del brutal. Facciamo una piccola pausa con l'esoterismo strumentale di "Through the Stargate" e arriviamo a "Erishkigal: Kingdom of Death". Erishkigal, nella tradizione mesopotamica, era la regina della Grande Terra, dea di Kur, la terra dei morti nella cultura sumera e qui le sue tematiche vengono affrontate grazie ad un sound malvagio, oscuro che arriva a scomodare anche gli Aevangelist in una furibonda traccia, dove la roca voce del frontman, convince appieno. La song è monolitica, una sassata in pieno volto senza troppi orpelli stilistici, che invece riappaiono in "Pazuzu: Harbringer of Darkness", traccia decisamente più ritmata, dal forte sapore epico e battagliero, in cui le vocals appaiono per la prima volta anche in formato pulito e le tastiere si prendono la scena nella seconda parte. Siamo a metà disco e non temete, rimangono ancora parecchi momenti interessanti di cui godere: ad esempio le tre tracce strumentali (di cui "Sweat of the Sun" è la mia preferita) che ci prendono per mano e conducono in un qualche souk arabo, dove ad esibirsi troviamo incantatori di serpenti e danzatrici del ventre. C'è però ancora modo di fare male con il death metal distorto e contorto di "God of Creation" o ancora con l'apocalittica ed esoterica "Apophis: The Serpent of Rebirth" che sancisce la bravura, la preparazione tecnica e l'originalità di questo ensemble statunitense, devoto al culto del solo dio Aton. Eretici! (Francesco Scarci)

(Cimmerian Shade Rec/Satanath Rec/Murdher Rec - 2018)
Voto: 80

https://satanath.bandcamp.com/album/sat201-akhenaten-golden-serpent-god-2018

mercoledì 19 settembre 2018

The Clouds Will Clear - Recollection of What Never Was

#PER CHI AMA: Post Rock, Russian Circle, Ulver
Quello dei The Clouds Will Clear è un quartetto proveniente dalla Germania, Francoforte per l'esattezza. La musica che propongono i nostri è un post rock piuttosto lineare che ogni tanto prova ad uscire dai binari grazie all'uso dei synth. "In Cyles", l'opening track, delinea comunque la proposta dei teutonici, un sound con ariose aperture cinematiche, assai poco pretenziose aggiungerei ahimé. Buone per carità le linee di chitarra, belle pesanti in alcuni frangenti, poi il solito compitino portato a casa con sufficienza e senza particolari sussulti. I riverberi di chitarra, l'aura malinconica, i frangenti ambient e tutti gli ingredienti tipici del genere, li possiamo ritrovare in questo 'Recollection of What Never Was', troppo poco per permettere ai nostri di uscire dalla massa informe di band post rock che popola ormai il pianeta. Serve una trovata, un'uscita di pista che possa realmente farmi pensare che questi The Clouds Will Clear meritino veramente la vostra attenzione. Ecco nella prima traccia non l'ho trovata e nemmeno quando il piano (un cliché) apre "Recollection", rimango colpito, già sentito mille volte, cosi come il riffing in tremolo picking o una voce che sembra provenire da una radio. Quello che più mi colpisce invece è un'atmosfera che si fa man mano più tesa, che riesce a catalizzare la mia attenzione, pur ricordandomi l'incipit del dvd degli Ulver, 'The Norwegian National Opera'. Non male soprattutto l'ascesa musicale, ma serve sicuramente qualcosa in più per scuotere la mia attenzione. Ci prova "Before the Tempest", e il suo carattere ambientale affidato a piano e basso, in un brano dal tiepido carattere autunnale che sembra fungere più da riempipista che altro e che alla fine, francamente, non mi lascia granché. Si arriva a "Attack Warning" e la solfa è la medesima, un peccato perchè mi stavo quasi ricredendo sulle potenzialità dei quattro teutonici. Troppo facile ma piuttosto inutile ripetere la lezione pedissequamente dei maestri (Russian Circle e This Will Destroy You), serve ben altro che una schizoide voce radiofonica per poter pensare di emergere dalla massa. Meglio allora provare a sterzare anzichè continuare ad insistere su flebili melodie, come quelle contenute anche nella conclusiva "Deep Sea Mining", il rischio di annoiarsi è dietro l'angolo. Onestissimi mestieranti, ma nulla di più. (Francesco Scarci)