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domenica 24 marzo 2019

Gloomy Grim - Obscure Metamorphosis

#PER CHI AMA: Black/Death, primi Dimmu Borgir
Dei finlandesi Gloomy Grim ho amato alla follia 'Blood, Monsters, Darkness', loro primo album ormai datato 1998. Da allora, ogni qualvolta usciva un lavoro della band, speravo potesse accadere il miracolo della ripetizione di quel fantastico debutto, ma niente da fare. Ultimamente, quando tra le mani mi è capitato l'EP 'Obscure Metamorphosis', devo ammettere di aver avuto il solito sussulto, speranzoso di ritrovarmi un piccolo gioiellino che attendo ormai da oltre vent'anni. Purtroppo l'aspettativa è stata delusa anche questa volta, non perchè le quattro tracce qui contenute siano delle ciofeche, semplicemente perchè lo standard qualitativo non riflette ancora quello altissimo dell'esordio dell'act di Helsinki. Quattro brevi tracce (per un totale di poco più di 13 minuti) di black vecchia scuola, sporcato qua e là da venature sinfoniche-orrorifiche ("Stars Above Me") che hanno più di un rimando ai primi Dimmu Borgir. La band non si scorda nemmeno come ci si lancia in cavalcate death come nel finale di "Crawling Saviour". "The Lord of Light" è la perfetta sintesi tra black e death, tra atmosfere cupe, ottime fughe chitarristiche (interessante l'assolo posto ad inizio brano) e qualche buon inserto di tastiere che si ripetono anche nella conclusiva "Impressive Physical Sight", una song molto atmosferica che abbina un riffing black con uno a tratti di scuola Morbid Angel e stop'n go spettrali che ci danno modo di capire che la band è viva e vegeta, nonostante gli ampi rimaneggiamenti a livello di line-up. Quel che voglio portarmi a casa è soprattutto la voglia della band di tornare a proporre qualcosa fuori dagli schemi. Per ora il risultato è uscito solo a metà, ma la strada imboccata potrebbe anche essere quella giusta. (Francesco Scarci)

(Grimm Distribution/Murdher Records - 2018)
Voto: 67

https://gloomygrim.bandcamp.com/album/obscure-metamorphosis-ep-2018

lunedì 1 ottobre 2018

Руины вечности (Ruins of Eternity) - Шёпот забытых холмов

#PER CHI AMA: Death Doom
Faremo un'indigestione di band russe nelle prossime settimane, ve lo posso garantire. La band di oggi arriva da Krasnoyarsk, si chiamano Руины вечности, che traslato in inglese dal cirillico, corrisponderebbe a Ruins of Eternity, mentre 'Шёпот забытых холмов' (traducibile in italiano come "il sussurro delle colline dimenticate") rappresenta il debut album. La proposta della compagine russa, che consta di addirittura sette elementi (tra cui un sinistro violino), è un death doom robusto e feroce. Non basta infatti il bieco suono del violino ad incantare l'ascoltatore con le sue sghembe melodie, qui troverete anche un riffing brutale che spezza quella meravigliosa spettralità che trasuda già dall'opening track, "Будни войны" e che pervade l'intero lavoro. L'obliquo sound di quel magico strumento ad arco apre infatti anche la seconda traccia e, fintanto che riveste il ruolo di protagonista nell'economia della band, tutto va bene. Le cose cominciano a complicarsi e a farmi storcere il naso, quando i nostri vogliono a tutti i costi, mostrare il loro lato più muscoloso. E qui iniziano i dolori, perchè in una veste diversa dal gothic doom, i sette russi non sono poi cosi adatti, perdono quella magia che contraddistingue pezzi come "Брест" o "Кто будет первым?!". Per quanto possa anche essere interessante un esperimento in cui i Morbid Angel inseriscono dei violini nella loro matrice sonora, rimane il fatto che i Руины вечности non siano i Morbid Angel e che alla lunga la pesantezza del death rischi di stufare i fan di sonorità più ispirate ed orchestrali, considerato anche il fatto che la band si avvale delle classiche eteree voci femminili ("Танк"). E allora, ve lo chiedo ancora, immaginereste mai i Morbid Angel ricamare la loro musica con violini e soavi voci di gentil donzella? Io francamente faccio fatica, e pur apprezzando tutti i clichè tipici del genere, con violini e female vocals annesse, alla fine faccio fatica a scontrarmi col muro ostico ed invalicabile eretto dal team di sette strumentisti. Se devo scegliere una song che ho però apprezzato più delle altre, citerei "Победа для мёртвых" e sapete perchè? Mi ha rievocato il mitico 'Immense Intense Suspense' dei tulipani Phlebotomized, anche se con meno classe ed ispirazione. Diciamo che la band ha ancora parecchio da lavorare per snellire il proprio sound ancora troppo farraginoso, ed indirizzarlo verso lidi più accessibili, ma sicuramente la strada intrapresa potrebbe regalare grosse soddisfazioni. (Francesco Scarci)

(Grimm Productions/MurdHer Records - 2017)
Voto: 60

https://grimmdistribution.bandcamp.com/album/016gd-2017

giovedì 20 settembre 2018

Akhenaten - Golden Serpent God

#PER CHI AMA: Black/Death, Melechesh, Arallu
Dopo Melechesh, Nile e Arallu, ecco arrivare dagli Stati Uniti, altri esponenti della corrente arabo-mesopotamica. Si tratta del duo formato dai fratelli Houseman, che dal 2012 a oggi, ha rilasciato sotto il moniker Akhenaten, quattro album fatti di suoni estremi ispirati al mondo mediorientale. Le classiche venature arabeggianti sono già identificabili nell'apertura di questo 'Golden Serpent God', nell'opener "Amulets of Smoke and Fire", dove le peculiarità del combo del Colorado, si palesano immediamente. Ecco quindi la loro forma arcaica di death/black, in cui trovano ampio spazio delle percussioni dal sapore mediterraneo, un dualismo vocale che si muove tra growl e scream e ottime orchestrazioni. Insomma, tutti gli ingredienti essenziali per condire un genere interessante e che vede negli Akhenaten nuova linfa vitale per arricchirne di contenuti. Poi dopo quattro album e parecchia esperienza maturata, anche attraverso il progetto Helleborus, i nostri si divertono a sciorinare un pezzo dopo l'altro, contrappuntandoli di un forte impatto musicale. Splendida a tal proposito, la seconda "Dragon of the Primordial Sea", affascinante per le liriche ispirate al culto di Akhenaton (che per chi non lo sapesse era il padre di Tutankhamon e fondatore di una religione di stampo enoteistico), ma soprattutto per quegli inserti strumentali tipici della tradizione araba che ci trascinano al tempo dei faraoni. "Throne of Shamash", la terza song, prende le distanze dalle altre canzoni e si manifesta come una mazzata di violenza inaudita, al limite del brutal. Facciamo una piccola pausa con l'esoterismo strumentale di "Through the Stargate" e arriviamo a "Erishkigal: Kingdom of Death". Erishkigal, nella tradizione mesopotamica, era la regina della Grande Terra, dea di Kur, la terra dei morti nella cultura sumera e qui le sue tematiche vengono affrontate grazie ad un sound malvagio, oscuro che arriva a scomodare anche gli Aevangelist in una furibonda traccia, dove la roca voce del frontman, convince appieno. La song è monolitica, una sassata in pieno volto senza troppi orpelli stilistici, che invece riappaiono in "Pazuzu: Harbringer of Darkness", traccia decisamente più ritmata, dal forte sapore epico e battagliero, in cui le vocals appaiono per la prima volta anche in formato pulito e le tastiere si prendono la scena nella seconda parte. Siamo a metà disco e non temete, rimangono ancora parecchi momenti interessanti di cui godere: ad esempio le tre tracce strumentali (di cui "Sweat of the Sun" è la mia preferita) che ci prendono per mano e conducono in un qualche souk arabo, dove ad esibirsi troviamo incantatori di serpenti e danzatrici del ventre. C'è però ancora modo di fare male con il death metal distorto e contorto di "God of Creation" o ancora con l'apocalittica ed esoterica "Apophis: The Serpent of Rebirth" che sancisce la bravura, la preparazione tecnica e l'originalità di questo ensemble statunitense, devoto al culto del solo dio Aton. Eretici! (Francesco Scarci)

(Cimmerian Shade Rec/Satanath Rec/Murdher Rec - 2018)
Voto: 80

https://satanath.bandcamp.com/album/sat201-akhenaten-golden-serpent-god-2018