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lunedì 30 gennaio 2017

Kiuas - Reformation

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Power Thrash, Nevermore, Ensiferum
Vedendo le facce di questi ceffi avrei scommesso 100 € che si trattasse di una band finlandese, poi la casa discografica prima e il sound dei nostri dopo, non hanno fatto altro che confermare le mie ipotesi. Trattasi dei Kiuas, band dedita ad un power thrash, che con 'Reformation' il loro secondo album del 2006, hanno sicuramente contribuito alla gioia degli amanti del genere. Tecnica squisitamente all’altezza delle mie aspettative, gusto per la melodia tipica finlandese, composizioni orecchiabili e di facile presa: ci sono tutti gli ingredienti affinché i Kiuas potessero conquistarsi un posto di diritto nell’olimpo dei grandi di questo genere (e forse per un po' ci hanno creduto anche loro, prima dello scioglimento nel 2013). Ottime e ben strutturate le linee di chitarra; bravo il vocalist, capace di spaziare da timbriche più suadenti ad altre più urlate ed aggressive, eccellente il tastierista, sempre in primo piano a creare momenti atmosferici. Ottimi pure gli assoli, con i due axemen che si incrociano e sfidano in interessanti duelli chitarristici. C’è poco da fare, la Finlandia è da sempre fucina di talenti e i Kiuas non hanno fatto altro che confermare la regola. Da segnalare la sesta traccia, “Black Winged Goddess”, song dall’inizio furioso, dalla ritmica bella tosta e dal growl profondo del vocalist, peccato poi vada un po’ a scemare d’intensità. Interessante poi, qualche inserto dal vago sapore folk, soprattutto udibile nella title track posta a chiusura dell’album. Band davvero buona, peccato non abbia ottenuto il successo che forse meritava (Francesco Scarci)

(Spinefarm Rec - 2006)
Voto: 70

https://www.facebook.com/kiuasofficial 

domenica 29 gennaio 2017

Palmer - Surrounding the Void

#PER CHI AMA: Post Metal/Prog, Neurosis
Sarò franco: sebbene gli svizzeri Palmer calchino la scena da oltre 16 anni, io non ne avevo mai sentito parlare, almeno fino ad oggi. La Czar of Bullets contribuisce infatti a diradare la mia ignoranza, inviandomi quello che è il terzo album della band alpina, 'Surrounding the Void'. Un digipack contenente nove brani che "oscillano da qualche parte tra il post metal e il prog rock con timbriche sferiche". Ecco come desiderano essere identificati gli elvetici, che con la classica formazione a quattro (voce, basso, batteria e chitarra), sfoderano una prova, per dire in modo semplicistico, robusta. "Home is Where I Lead You" colpisce per il suo growling rabbioso e l'incisività delle ritmiche, grazie ad un riffing corposo che coniuga gli insegnamenti di molteplici band, da Neurosis a Black Sabbath, passando attraverso High on Fire, Meshuggah e primi Mastodon. Insomma, idee chiare su dove collocare stilisticamente i Palmer? "Misery" dice che la ritmica si fa ancor più rallentata, ben più profonda e che addirittura c'è spazio per qualche fuga in territori post rock, grazie a qualche simpatica parte acustica, che taglia la tensione saturante l'aria. Le song non appaiono di certo cosi lineari nel loro svolgimento e una certa carenza in fatto di melodie, non ne agevola l'ascolto, che alla fine risulterà parecchio impegnativo. Ma l'impegno nel dover ascoltare questo disco non è necessariamente un fatto negativo, spinge semmai a molteplici ascolti, ed in generale ad una più estesa longevità del disco. "Divergent" ha un incedere dilatato che evoca inesorabilmente le ultime cose più sludge di Scott Kelly e soci, con una seconda parte affidata ad una visionaria, nonché noisy, rivisitazione del sound della band californiana. Che gli svizzeri non fossero degli sprovveduti, l'avevo già intuito da tutta una serie di piccoli segnali, ma dopo aver sentito di che cosa sono capaci qui ma soprattutto nella successiva "Artein", mi ritrovo a sottolineare le notevoli capacità tecniche di questo quartetto. A parte che mi sembra di aver a che fare con una nuova band, questa volta dedita ad un prog rock strumentale; dovreste sentire con quale classe ed eleganza, i nostri si destreggiano con la loro strumentazione. Con "Digital Individual" si torna a pestare sul pedale dell'acceleratore con un'altra song irrequieta, che nel break centrale si concede questa volta a divagazioni prog/jazz, che consentono al combo bernese di prendere un po' più le distanze dai gods citati ad inizio recensione e togliersi l'etichetta di meri emulatori. Direi a questo punto che è nella seconda parte di questo disco che si racchiudono le peculiarità di questi musicisti: dall'intimismo di "Fate Hope", in cui il vocalist Steve prova anche a modulare maggiormente la propria timbrica, alla più tumultuosa "Importunity", granitica nel suo rifferama, qui a tratti melodico. Il disco è lungo, oltre i 60 minuti e quando si arriva verso il fondo, mi sento ormai piegato sulle gambe, sfiancato dal lavoro tortuoso a livello ritmico, di cui farei un plauso al bravissimo Remo dietro alle pelli e a Jan alle chitarre, per l'eccellente lavoro proposto in una traccia dinamica com'è "Rising". Non posso soprassedere a questo punto nel non citare anche Ueli, preciso con quei suoi fendenti di basso, che completano il quadro di una band matura al punto giusto per fare quel salto di qualità che ci si aspetterebbe da una band sulla scena da parecchio tempo. D'altro canto, io non li conoscevo proprio fino a ieri, ma oggi posso certamente affermare che i Palmer sono una band da supportare alla grande. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2016)
Voto: 80

sabato 28 gennaio 2017

Dawn on Sedna - Our Sky Has Changed

 #PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna, Isis
Credo di avere sottovalutato quest'album e questa band, indi per cui devo fare immediatamente ammenda per la mia superficialità. Forse non mi convinceva un artwork troppo semplicistico o un sound che di primo acchito non ho trovato cosi cristallino causa forse suoni troppo impastati, mah. Fatto sta che invece 'Our Sky Has Changed' denota una certa conclamata maturità artistica dell'ensemble toscano, che conferma ancora una volta il buon stato di salute di cui gode la scena italiana, almeno a livello di uscite discografiche; tralascerei poi gli aspetti più puramente legati al music business. A parte questo, il debut dei Dawn on Sedna è un bel disco di post metal, contenente sei canzoni più la classica intro. I nostri partono con convinzione con "Amniotic Sea", una traccia sicuramente roboante a livello ritmico con una potenza da far tremare i polsi, al contempo con delle suadenti atmosfere ambient/post rock da brividi, in cui il vocalist modula un cantato che si muove tra il classico animalesco growling e qualcosa di molto vicino ai Fields of Nephilim. Davvero niente male. Soprattutto perché le cose vanno migliorando di brano in brano, in cui i nostri danno maggior spazio alla componente post metal/sludge senza tralasciare tuttavia le immancabili e fondamentali parti acustiche che stemperano la causticità di un suono profondo, infausto, dilatato, a tratti apocalittico ("The Rest"), dove la voce assolve ancora una volta un ruolo fondamentale nel rendere il tutto decisamente più armonico. L'arpeggio malinconico non manca in apertura di "Adlivun Rituals", una traccia straziante a livello emotivo, in cui Alex, dietro al microfono, offre una prestazione sofferente nella sua componente pulita, mentre la song cresce piano insieme ad una musica ipnotica e celestiale, grazie ai riverberi chitarristici in tremolo picking degli axemen, sussurri musicali che rendono questa monumentale song la mia preferita di un disco che ha ancora da regalare ulteriori sussulti. Penso infatti alla tribal/ritualistica “Five Degrees on the Sky Line”, una sorta di semi ballad, almeno la prima metà, post metal; poi le cose cambiano drasticamente e dalle sue morbide melodie iniziali si passa ad una disarmonica e caotica struttura conclusiva. Ultima menzione per la sferzante "Descending Path", malvagia quanto basta per affermare che i Dawn on Sedna sono una gran bella scoperta da tenere strettamente monitorata in futuro. Mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 75

Intervista con Shores of Null


In occasione del tour autunnale dei Shores of Null, abbiamo incontrato la band capitolina e fatto due chiacchiere per sapere un po' di più del loro passato, presente e futuro. Di seguito il link all'intervista:

The Pit Tips - Best of 2016

Caspian Yurisich

Vektor - Terminal Redux
Metallica - Hardwired... To Self Destruct
Nadja - The Stone is not hit by The Sun, nor Carved with a Knife
Recitations - The First of the Listeners
Conan - Revengeance

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Francesco Scarci

Thy Catafalque - Meta
Fallujah - Dreamless
Coldworld - Autumn
Saor - Guardians
Cult of Luna and Julie Christmas - Mariner

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Don Anelli

Inquisition - Bloodshed Across the Empyrean Altar Beyond the Celestial Zenith
Wormed - Krighsu
Maze of Terror - Ready to Kill
Untimely Demise - Black Widow
Decimated Humans - Dismantling the Decomposed Entities

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Eric Moreau

Striker - Stand In The Fire
Cauldron - In Ruin
The Hazytones - S/t
Asteroid - III
Sumerlands - S/t

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Kent

David Wohl - Holographic
Mélanie De Biasio - Blackened Cities
Sleepwalker - 5772
Lifeless - Unstable Structures
Laura Cannell - Simultaneous Flight Movement

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Five_Nails

Trees of Eternity - Hour of the Nightingale
Drudkh/Grift - Betrayed by the Sun/ Hagringar
Homicidal Raptus - Erotomaniac Hallucinosis
Waldgefluster -Ruinen
Black Sabbath - The End

Horn - Turm am Hang

#FOR FANS OF: Epic Folk Black, Drudkh, Waldgefluster
Horn is the kind of one-man black metal band that many of today's bedroom black metal blasters can take some inspiration and notes from. With the album 'Turm am Hang', which (as aptly illustrated on the cover) quite literally translates to 'Tower on the Slope', the old German mainstay of being as literal as possible is beautifully demonstrated alongside the forthright power of some dead-on exhilarating music. So far the title track is the only single of this album and has a great video of the process of illustrating the cover, but I'm sure that metal fans can easily understand why this reviewer believes there to be a striking series of superb songs on this album that can each be considered hits. Horn's matchless mind, Nerrath, has built a formidable structure, composed a captivating aesthetic, and etched it into an imposing black metal monolith.

The album opens with a dour long-winded sigh of a guitar melody that morphs into an intoxicating and inspiring sound. This uniquely frenzied approach is forcibly freed from the fetters of familiar forlorn folk pieces that bridge on banality as they endlessly echo each other. While most black metal accentuates the morose, Horn celebrates the beauty of the melancholy. Riffs revel in dissonant resonating guitars, proudly wailing in an anthemic obscurity, drawing the listener into pensive melodies that, in defiance of their frigid arrangements, become inspirational reveries with an upbeat percussive heat and beer hall style harmonic bliss. This is some after-the-battle beer drinking, fist pumping, headbanging black metal that's not all up its own ass about being cold, kvlt, and hiding in a cave. Instead Horn is celebrating another great evening in Valhalla surrounded by brethren in victory or defeat. Horn also lyrically appreciates nature and the forest, a common theme with many of this band's black metal contemporaries. The fury and structuring of each song puts the band closer on par to the likes of Drudkh and Waldgefluster as riffs round out with some folk and Celtic edges, smatterings of influences that enhance the echoes of fellowship and camaraderie without just repeating the same stances just so say he went there. “Verhallend in Landstrichen” is where you will experience the first major turn from a pair of songs that seemingly go their separate ways to a sound that builds an increasing energy flowing forth from the next three songs. As these pieces grow in intensity they keep a common rhythmic core with a correspondence from the treble issued throughout these marvelous four. The high water marks of 'Turm am Hang' happen in this series of songs where the chorus in “Totenraumer” is signaled by the toll of a bell, the Maidenesque opening of “Die mit dem Bogen auf dem Kreuz” becomes a headbanging hail to badass black metal, and “A(h)renschnitter” envelopes you in shredding melodies undulating around the robust snare hammering. This is an album that must be played live, loud, and to a very drunk crowd. It would be a privilege to see such a spectacle.

After a short interlude called “Lanz und Spiess”, a delirious and unusual track that sounds like the machinations of a restless mind sleeping off the delusions of the drink, the album closes with two strong but slower songs. Like awaking and setting off to task, “Bastion, im Seegang tauber Fels” wearily marches to a new position, forming up and stretching its martial rhythm in preparation for today's predestined practice. “The Sky Has Not Always Been This” sings of the rise and fall of civilizations, the birth and rebirth that humanity has always undergone while the soil underfoot was tread bare by man's ambition. There is some interesting and well-thought arrangement in these songs, some experimentation with different concepts, and a keen ear for production quality throughout Horn's 'Turm am Hang'. While most one-man bedroom black metallers would be quick to describe loneliness, Horn creates a unifying atmosphere throughout the meat of this album. This is a welcome difference to the style of this branch of black metal that has carved out a unique notch in the overall musical tree. (Five_Nails)

(Northern Silence Productions - 2017)
Score: 80

giovedì 26 gennaio 2017

Rudra - Enemy of Duality


#FOR FANS OF: Black/Death
Count me in as pretty impressed. Rudra made a big impression on me on 'Kurukshetra'? Think it was that one. Back then I was an 18 year old belatedly getting into extreme metal who was blown away by just how different it sounded. These days I'm much harder to please, but to my surprise, I found myself digging this album just as much.

I reckon the obvious comparison here would be Nile. I mean they don't exactly sound all that alike, but Rudra's thrashing, often death-ing metal has a lot of similar hallmarks- namely a dedication to going for exactly one and one vibe only, fascination with a bunch of old, dusty things and a tendency to use the same scale over and over again. The ancient, mystical culture they're trying to invoke is just a bit further east, that's all.

And they're really good at it. It's arguably a team effort - the guitarist throws out a lot of pretty decent riffs - but it's really a percussion and vocal based thing. The vocals - this big midranged snarling thing, growling away in a bunch of languages and really adding a powerful, rich, very fierce vibe to proceedings. There's this tendency in tracks like "Hermit in Nididhysana" for him to get into a fairly repetitive, ritualistic mood and it's freakin' great. All up it's those moments - much of "Hermit", the epic closer and "Roots of Misapprehension" to pick a few examples - where Rudra are at their finest. They can do fairly decent, crunchy death metal but it's when the drums start getting increasingly off beat and things get a bit trancey that the band takes off and things get really fun.

There's a few nit-picky criticisms, perhaps - the production could certainly be a bit beefier, and the bass is reduced to a rumbling somewhere in the distance, and a few of the riffs, particularly earlier in the album, are a bit weak. I really like this album, but you certainly get the feeling that if Rudra just went a bit more off the deep end - a few more far-out parts, and perhaps a more intense riffset at times - then you'd really have an all-time band on our hands.

As it stands though, I'm still playing this regularly a month or so after the initial promo download, which says a lot. Well worth your time, 'Enemy of Duality' is definitely a quality album. (Caspian Yurisich)

(Transcending Obscurity - 2016)
Score: 80

https://rudrametal.bandcamp.com/

Tystnaden - Sham of Perfection

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic, Lacuna Coil
Tra le band che ho tenuto a battesimo fin dai loro esordi, quando i nostri mi spedirono il loro demo Cd omonimo nel 2000, ci sono i Tystnaden. Di strada ne hanno fatta parecchia questi sei ragazzi friulani, che con 'Sham of Perfection' giunsero al debutto. Era il 2006 e il sound dei nostri nel frattempo era già mutato dagli inizi, quando l'act italico proponeva uno swedish death, frutto della innata passione per In Flames, Dark Tranquillity e Sentenced. Ascoltando questo disco, è palese invece la virata della band verso sonorità più soft, che richiamano di primo acchito Lacuna Coil o i ben più famosi Evanescence. La voce di Laura infatti, grazie alla sua notevole estensione, garantisce un’ottima performance vocale; un po’ più fuori posto per il genere invece, i saltuari gorgheggi del vocalist, retaggio di un passato non ancora sopito. La musica dei Tystnaden, abbandonati gli estremismi degli esordi, viaggia qui su coordinate stilistiche più progressive e classiche. Non aspettatevi quindi le cavalcate alla Dark Tranquillity o i riff alla In Flames, nulla è rimasto di tutto ciò. I Tystnaden del 2006 sono una band rinnovata, con buone idee, preparata tecnicamente (ottime le strutture e le linee di chitarra), che apparentemente ha trovato la propria dimensione con questo genere più commerciale, che comunque è ancora in grado di regalare profonde emozioni. Gli amanti di sonorità gotiche non si lascino sfuggire l’ascolto del disco d’esordio dei Tystnaden, una band che tanto aveva da dire e che negli anni si è forse un po' persa per strada. (Francesco Scarci)

(Limb Music - 2006)
Voto: 70

https://www.facebook.com/pages/Tystnaden

mercoledì 25 gennaio 2017

Olÿphant - Expedition to the Barrier Peaks

#FOR FANS OF: Heavy/Speed Metal, Judas Priest, The Sword
Formed in 2009, Massachusetts metallers Olÿphant were originally conceived as a classic metal cover band before quickly moving on to writing original music that brings a classic metal with doom and stoner influences to prog and thrash elements alongside. Basically dripping with sprawling, mid-tempo dirges, the album’s main focus becomes quite clear early on with the ability to effortlessly shift from these wide-ranging elements as there’s a strong showing of spindly, galloping heavy metal, swirling stoner riff-work and plodding, oppressive doom rhythms that all come together here. This wide-ranging set of influences creates a wide-ranging sense of free-flowing and unpredictable work, never really journeying through the expected realms of the genres in order to continually warp themselves into a finely-tuned effort that’s quite enjoyable when it drops these vastly-varying elements into the journey without warning. At times, though, that does the album a slight disservice as this rarely manages to feel like it shifts all that cohesively, being essentially a wide-ranging hodgepodge of influential elements coming together to create a seemingly jarring and discordant array of tracks without a singular connecting vibe between any of it, and is an issue to contend with as the band carries on. Efforts like ‘Brown Jenkin,’ ‘Incidents in the Butterfly Garden’ and ‘The Expedition’ offer up the most nominal and enjoyable variations of the style, featuring these elements coming together into a stylistic whole to be the highlight tracks on the album. The multi-faceted ‘The Grey Havens (To the Sea)’ offers a fine look at these elements shifting continuously throughout it’s epic passages that makes for quite a winding journey, while ‘Before the Fall’ abandons the vast majority of what came before in order to turn into a raging speed-metal mosher. Still, this isn’t that problematic of an effort and still has a lot to like. (Don Anelli)

lunedì 23 gennaio 2017

Derhead - Via

#PER CHI AMA: Post Black, Wolves in the Throne Room
Sebbene 'Via' sia nelle mie mani da soli pochi giorni, ci tenevo a recensirlo con una certa celerità. Il disco della one man band genovese include nove tracce, di cui sei appartenenti a due vecchi demo (di cui uno addirittura del 2003 e il più recente del 2013) e tre nuovi pezzi. Si apre ovviamente con la più recente produzione: "Cenere", "Piombo" e la title track che, nere come la pece, si abbattono sulle nostre teste con sonorità distorte, allucinate ma di sicuro fascino, poggiando su ritmiche forsennate di scuola post black cascadiana, che chiamano in causa i maestri del genere, su tutti i Wolves in the Throne Room. Il mastermind ligure picchia di gusto, ma è probabilmente nelle parti più rallentate e controverse che dà il meglio di sé. "Piombo" è una song di sicuro impatto, che scomoda ben più facili paragoni con la tempesta cervellotica dei Deathspell Omega o con le atmosfere più ipnotiche dei Blut Aus Nord. Non male a tal proposito un break stralunato che impera a metà brano, e che ha il merito di generare una certa sensazione di soffocamento, per poi lasciar modo ad un sound più arrembante, di incalzarci fino al termine della seconda traccia con fare angosciante. "Via", la title track, prosegue su quest'onda anomala di suoni belligeranti, fatti di vocals arcigne e ritmiche infauste, che ci conducono fino alle tre successive tracce, incluse originariamente nel Demo 2013. La differenza sostanziale che colgo con l'ultima produzione dell'artista ligure è sicuramente relativa a brani più corti (con durate che sono circa la metà delle nuove track), ove inalterate rimangono comunque le pulsioni nevrotiche del musicista italico che in "Lamina" dà addirittura maggior spazio alla componente atmosferica, anche se in questo caso non ho apprezzato invece il suono troppo innaturale della drum machine. "Circle" ha un incipit più tranquillo, prima di concedersi alle consuete mitragliate inferte dal suono infernale di ultra blast beat; qui segnalerei il mood malinconico delle chitarre che viene riproposto anche nella successiva demoniaca "End". Sembra un viaggio all'Inferno quello che in cui ci accompagna il buon Giorgio Barroccu, in una song spiritata che trae linfa vitale dalla produzione dei primi Aborym ma anche da qualcosina dei Cradle of Filth, soprattutto nel modo di cantare del frontman. Nel frattempo ci si avvia verso la musica più datata della band e le differenze si fanno più sostanziali, forse perché nel 2003 il concetto di post black non era ancora stato completamente sviscerato. A parte un sound più ovattato ed una registrazione decisamente più casalinga, nel flusso sonico primordiale dei Derhead compaiono influenze più death oriented che nelle ultime tracce erano rimaste parzialmente celate. Non mancano comunque le sfuriate sinistre, complici probabilmente l'utilizzo di keys che sembrano evocare lo spirito dei Nocturnus di 'Thresholds', in una matrice sempre oscura ed insana, che trova modo in "II" di svelare anche un lato barocco del bravo Giorgio, che già nel 2003, poteva vantare di proporre musica estrema d'avanguardia. (Francesco Scarci)

(Via Nocturna - 2016)
Voto: 70

https://derhead.bandcamp.com/album/via

Transilvanian Beat Club - Willkommen Im Club

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death Rock
Facciamo un salto indietro nel passato per conoscere un act ormai sciolto, non proprio fortunatissimo e brillantissimo. Sto parlando dei Transilvanian Beat Club che nel 2006 proposero il loro debut album, 11 tracce di un death rock influenzato da sonorità gotiche, dark e doom, interamente cantato in tedesco, lingua che notoriamente faccio fatica a digerire in ambito musicale. Comunque sia, la band tedesca, che includeva membri di Eisregen e Ewigheim, nonché come guest star Martin Schirenc dei Pungent Stench, propina uno strano mix di suoni: un gothic-black sporcato da sonorità rock punk e musiche da B-movie horror, su cui fanno capolino female vocals e un sax (credo, ma non ne sono certo), che richiama parecchio i suoni degli ungheresi Sear Bliss. Per il resto, se potessi azzardare un paragone un po’ folle, mi verrebbe da dire che il disco è un po’ come se i Motorhead suonassero brani dei Rammstein, quindi in modo grezzo e privo ma dotato di quella pomposità che contraddistingue la band tedesca. Se il lavoro fosse stato curato maggiormente, soprattutto a livello di suoni, di sicuro avrebbe ottenuto un riscontro più positivo da parte del sottoscritto. Da segnalare infine, che l’ultima traccia dell’album è la cover “Transilvanian Hunger” dei Darkthrone, forse il pezzo più interessante di questo 'Willkommen Im Club'. A meno che non siate dei grandissimi fan degli Eisregen, ne farei a meno. (Francesco Scarci)

(Massacre Records - 2006)
Voto: 50

http://www.transilvanian-beat-club.com/

domenica 22 gennaio 2017

Countless Skies - New Dawn

#PER CHI AMA: Melo Death/Doom, Insomnium, Be'lakor
Quelle volte in cui parto ad ascoltare un disco con le aspettative sotto soglia, sono quelle volte in cui in realtà vengo conquistato maggiormente dalla proposta di una band. Ho ricevuto questo cd con una descrizione un po' sotto tono per la band inglese e quindi potete immaginare il mio scarso entusiasmo nel dover recensire il lavoro. E invece, dopo aver infilato il cd nel lettore ed averlo ascoltato uno, due e tre volte, mi sono lasciato travolgere dal sound fresco di questi Countless Skies (moniker che deriva da una song degli australiani Be'lakor) e del loro debutto 'New Dawn', edito dalla nostrana Kolony Records. Otto tracce che, a parte l'intro strumentale, irrompono con "Heroes" e le sue melodie tipicamente scandinave (penso ai Dark Tranquillity o agli Insomnium quali primi nomi) ma che strizzano l'occhiolino anche all'ensemble da cui traggono il loro nome. I nostri corrono via veloci con brani che si susseguono tra cavalcate melodiche, pregne di una certa emotività, cori azzeccatissimi, growling vocals e tutta una serie di ingredienti che possono dar modo a 'New Dawn' di essere un album vincente. Buoni anche per quel che concerne il songwriting, gli inglesi si confermano addirittura entusiasmanti in "Solace", traccia assai ritmata ma dal forte mood malinconico, impreziosita da una chiusura assai doomish. Si torna a correre con "Daybreak", song spiritata, carica di groove e con il vocalist che si lancia in urla che ecco, non appartengono proprio a questo genere, e su cui si può anche sorvolare. Con "Wanderer" i quattro britannici scomodano gli Swallow the Sun, con un sound robusto, intimista e malinconico al punto giusto, per un risultato conclusivo di sicuro accattivante, che rapisce in intensità, melodia, atmosfere e gusto estetico in generale, soprattutto a livello chitarristico, dove la band si diletta con tagli acustici ma anche con ottimi assoli. Chiusura per l'orientaleggiante "Return", dieci minuti di sonorità ben calibrate che confermano la solidità di un ensemble di cui sentiremo a lungo parlare in un futuro non troppo lontano. (Francesco Scarci)

James Murray - Eyes to the Height

#PER CHI AMA: Ambient, Minimal, Soundtrack
Nella musica di James Murray ci si può perdere con leggerezza, con quel sentore settembrino appena fresco ed intenso, immergersi in colori autunnali, liberi di sfoderare un'emotività multicolore, contenuta ed accesa, alla ricerca di una forma d'essere che sia pura come l'acqua più cristallina. È di queste cose che si ricopre il nuovo album dell'artista inglese, piccoli battiti di musica elettronica rubati alle pulsazioni del cuore, un suono caldo, avvolgente e profondo, rarefatto, come se la musica di Daniel Lanois virasse sicura verso i lidi della migliore elettronica minimale, passando per dovere tra Mùm, le magie di Eno, shoegaze vari e certe cose ambient di Robert Rich e Tangerine Dream. In "Holloways" (brano stupendo) troviamo un musicista in forma fantastica che trasuda classe e stile da vendere, in orbita tra galassie ambient, ritmi lievi, bassi profondi e foreste sacre, che lo uniscono di fatto al concetto di suoni per una natura incontaminata. Si continua con il sogno diviso a metà tra meraviglia e oscuri presagi di "What Can be Done", tra drone e leggerissimi innesti ritmici, un mantra sonico affascinante ed avvolgente come una fitta nebbia mattutina in aperta campagna. La peculiarità e la cura maniacale per un sound perfetto, si mette in mostra in tutta la durata del disco e la ricerca di un suono che possiamo definire tridimensionale, è centrata in pieno. Composizioni quelle di James, che ammaliano e pongono l'ascoltatore di fronte ad un'esperienza sonora atta alla rigenerazione sensoriale, rispolverando downtempo e cariche emotive in voga ai tempi della migliore new age music ed al trip hop più lisergico e misterioso. Una colonna sonora dell'anima senza fissa collocazione nel tempo e nei generi. Una decina di brani che potevano essere, in veste elettronica e strumentale, la colonna sonora di una nuova opera di Wenders, con in prima fila un pezzo sopra le righe come "Ghostwalking", che reputo un vero e proprio gioiellino. Splendida compilation in perfetta linea qualitativa con le produzioni d'alta classe dell'etichetta d'oltralpe Ultimae Records, anche se, per certi aspetti, in questo bel disco, si nota una controtendenza che lo diversifica dai lavori dei compagni di scuderia (se si pensa al mitico viaggiatore spaziale Martin Nonstatic) che optano per un sound più tecnologico, futurista e moderno. Un contrasto ricercato ed originale, che si fa notare mostrando volutamente un suono più umano, sognante e parecchio analogico, per certi aspetti, più legato ad un effetto vintage e retrò dell'elettronica. L'ascolto di quest'ultima fatica del compositore britannico, uscita sul finire del 2016 per la sempre più rosea etichetta francese, è indubbiamente un'esperienza che merita di essere fatta, una full immersion rigenerante e inebriante, in definitiva un ottimo lavoro. (Bob Stoner)

Spektr - Near Death Experience

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black, Blut Aus Nord, Bathory, Khold
Gli Spektr sono un duo di origine, manco farlo apposta francese, che con 'Near Death Experience' taglia il traguardo del secondo lavoro. Era il 2006 e i nostri proponevano un mix di black metal primordiale e atmosfere maledettamente rarefatte. Nove brani più un video di 12 minuti costituiscono questo sulfureo lavoro, partorito da menti assai malate, che fece sicuramente la gioia degli amanti del black più primitivo unito a quelle malsane ambientazioni da film dell’orrore. Non so se realmente quest’album mi sia mai piaciuto, tuttavia devo ammettere che mi risultò estremamente affascinante per quel suo mood tenebroso, oscuro e insano. Le chitarre, sempre molto grezze, possono ricordare i primi riff messi su disco da Quorthon nei Bathory o dal buon Conte Grisnack nei suoi Burzum, così come pure i vagiti del vocalist, non fanno altro che richiamare tempi ormai andati. Molteplici e di lunga durata sono poi i momenti più d'atmosfera, in cui i nostri si dilettano nel creare situazioni angoscianti, fin apocalittiche. Difficile sottolineare gli apici espressivi di un lavoro, che pecca forse di una eccessiva ripetitività, un album che va comunque gustato dall’inizio alla fine in una stanza senza luci e finestre. Se volete impazzire, questo disco farà al caso vostro. (Francesco Scarci)