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giovedì 15 marzo 2018

Oregon Trail - H/aven

#PER CHI AMA: Post-Hardcore
Da Neuchâtel, la città più felice della Svizzera, ecco arrivare gli Oregon Trail, fuori per la Czar of Bullets, con un lavoro dedito ad un post-hardcore, aspro ed incazzato. 'H/aven', il titolo di questo loro secondo album (compare anche uno split nella loro discografia), include otto pezzi che irrompono con l'energica "Sun Gone Missing", song dalla lineare andatura punk, contraddistinta da una voce rabbiosa e soprattutto da delle melodie assai intriganti. Quasi quattro minuti che ci accompagnano a "Aimless at Last", in cui l'atmosfera si fa più cupa, e in cui il ruolo di assoluta protagonista se la prende la voce di Charles A. Bernhard, anche chitarrista che insieme a Jonas Roesti, si lanciano in lunghe fughe in tremolo picking, in grado di donare quel mood malinconico all'intero lavoro. Più tranquilla l'introduzione che ci porta al cuore di "Everlasting Walks", un'altra traccia che rivela l'anima inquieta del quartetto svizzero e che mostra l'abilità alle pelli del bravo Arnaud Martin. Non vorrei non menzionare anche il lavoro oscuro in sottofondo del bassista Antoine Dollat, sempre preciso e tonante nelle sue linee di accompagnamento alle due asce. I nostri devono essere comunque dei timidoni, aprendo ogni brano con una certa contemplazione, prima di esplodere in brani più arrembanti: non è da meno anche "Aven", che forse prolunga per più tempo la fase onirico/riflessiva prima di deflagrare in modo ancor più eruttivo, tutta la propria rabbia repressa in un finale incandescente. "Safety of the Storm" ha un carattere diverso, più feroce inizialmente, più tranquilla nella parte centrale al limite del post-rock, ma si capisce subito che quel momento di falsa atmosfera non è altro che la classica quiete prima della tempesta che da li a pochi secondi si abbatterà sulle nostre teste. La furia non si placa, sembra anzi trovare spazio per risuonare ancor più aggressiva degli episodi precedenti: "Hound's Will" prima, ancor di più "Candles" e la stralunatissima e doomish "Marble Grounds", sono pezzi in cui si fondono punk, sludge e post-hardcore, ma in cui si guarda anche a band quali i Deafheaven come potenziale esempio grazie all'utilizzo delle classiche sgaloppate post-black. Acidissimi. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2018)
Voto: 70

venerdì 3 novembre 2017

Cold Cell - Those

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Schammasch, Celtic Frost
Dopo aver esordito nel 2013 per la Gravity Entertainment, essere passati per la "nostra" Avantgarde Music con il loro secondo lavoro, gli svizzeri Cold Cell tornano a casa, arruolati dalla Czar of Bullets. Escono ora con il terzo album della discografia, intitolato semplicemente 'Those', un titolo enigmatico quasi quanto la cover del digipack, una cornice su un ritratto spettrale ed inquietante che si riflette nella musica oscura del quintetto di Basilea. Otto le canzoni a disposizione per i nostri per conquistare nuovi fan grazie alla bontà della loro proposta musicale. La compagine confederata propone un black atmosferico, che già dalla opener "Growing Girth" convince non poco per i suoi contenuti, grazie ad un sound tenebroso che chiama in causa per assonanza musicale, i connazionali Schammasch (sarà un caso che due dei membri dei Cold Cell suonino anche in questa band?). È un black mid-tempo quello che risuona nelle casse del mio stereo, dal taglio assai melodico e che sporadicamente vive di accelerazioni post black. La voce di S, che ricorda per impostazione vocale quella di Attila Csihar, si conferma davvero buona nel suo intellegibile screaming. "Entity I" è un pezzo decisamente più breve rispetto alla opening track, ritmato ed epico quanto basta, che sfoggia un break centrale orrorifico; non mi è chiaro però per quale ragione la band l'abbia scelto per farne un video, tre minuti li reputo infatti un po' troppo scarsi. Nel frattempo il disco avanza ed esplode la sua funambolica rabbia post black nella terza "Seize the Whole", che identificherei musicalmente come un mix musicale tra i Wolves in the Throne Room e i Celtic Frost, questi ultimi forse la più palese influenza per i nostri. I suoni sono rarefatti ma incisivi quanto basta, soprattutto nella lunghissima "Tainted Thoughts", dove rilevo un'altra influenza importante per l'ensemble svizzero, i Bethlehem e il loro plumbeo dark sound che riempie una song cruda a livello ritmico, in cui a mettersi in luce è invece una batteria sparata a tutta velocità su degli arpeggi compassati di chitarra che assieme alla voce sempre ispiratissima e a rallentamenti carichi di tensione nella seconda metà del brano, rappresentano il punto di forza di questa release. La registrazione è impeccabile, non fosse altro che alla consolle si è seduto Victor Bullok (Triptykon, Farsot e gli stessi Schammasch): lo dimostra anche l'evocativo sound di "Sleep of Reason", gelida e funerea nel suo incedere liturgico che solo verso il finale evolve in un deflagrante suono primordiale in cui tutti gli strumenti nel loro atavico caos, sono in realtà posizionati chirurgicamente nel migliore dei modi. "Entity II" è un altro breve capitolo, che forse funge da collegamento a "Drought in the Heart", una song dall'attitudine mortifera e disperata (almeno a livello vocale) che esalta le capacità tecniche di aW dietro le pelli e che gioca con un riffing in tremolo picking che ne enfatizza il mood decadente. A chiudere ecco gli ultimi nove minuti di "Heritage", una song più tradizionale dal punto di vista ritmico che conferma le qualità indiscusse di una band di cui sentiremo certo parlare in futuro. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 75

https://cold-cell.bandcamp.com/

venerdì 27 ottobre 2017

Wolf Counsel - Age Of Madness / Reign Of Chaos

#PER CHI AMA: Doom, primi Cathedral
Pronti ad immergervi in soffuse atmosfere sludge doom con gli svizzeri Wolf Counsel? Freschi di uscita con questo terzo album, 'Age Of Madness/Reign Of Chaos', la band di Zurigo torna con un nuovo intrigante lavoro, forti sempre del supporto della Czar of Bullets alle spalle. Sette brani, per una quarantina di minuti a disposizione, per abbandonarsi ad un sound che ci riporta ai vecchi classici del genere, Black Sabbath in testa, senza però scordarsi i più recenti, si fa per dire, Cathedral. I Wolf Counsel non sono certo dei pivelli e lo dimostrano le architetture sonore innalzate ad esempio nella lunghissima, funerea ed ipnotica title track, song che delinea l'animo nero come la pece del quartetto elvetico, di cui mi preme sottolineare la performance vocale del bravo Ralf Winzer Garcia e dello splendido assolo conclusivo (di chitarra, basso e poi batteria), che sottolinea la vena musicale dell'ensemble votata agli anni '70/80, da brividi e palma come mia song preferita. In "O' Death" compare la voce di una gentil donzella, Daniela Venegas, con una timbrica vocale che si avvicina a quella di Anneke van Giersbergen, ex dei The Gathering, che duettando con Ralf, ci regala quattro minuti di musica vibrante, emozionale che prende un po' le distante dalle altre tracce. Esperimento decisamente riuscito. Si torna ad un riffing più compassato con "Eternal Solitude", in cui la voce del buon Ralf, sembra il perfetto ibrido tra Ozzy e Lee Dorrian. L'ultima curiosità per l'album è relativa al testo di “Coffin Nails”, una sorta di campagna antifumo che sottolinea come i nostri siano anche attivi da un punto di vista sociale. Insomma, 'Age Of Madness/Reign Of Chaos' conferma l'ottima verve musicale di questi ragazzi zurighesi e l'oculata attenzione di un'etichetta, la Czar of Crickets e consociate, che sta crescendo giorno dopo giorno a vista d'occhio. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/thewolfcounsel

martedì 26 settembre 2017

Erupdead - Abyss of the Unseen

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death
Sono rimasto un po' stupito di fronte a questa uscita della Czar f Bullets, death metal nudo e crudo per una band alquanto datata nella scena svizzera. Si tratta dei basilesi Erupdead, in giro dal 2007 e con all'attivo un EP, uno split con i Total Annihilation, e che con questo 'Abyss of the Unseen', raggiungono i due full length nella loro discografia. Del genere abbiamo già detto, un ferale death metal che si evolve lungo le nove tracce contenute, che partono peraltro all'insegna della melodia accattivante di "Fucked Up", una traccia che poi ci spara in faccia tutta la propria furia tra sgroppate infauste, frustate ritmiche e qualche buona apertura carica di groove in stile Dark Tranquillity. Il tiro si fa ancor più incendiario con la seconda "Guns and Roses" (buffa la scelta di questo titolo per una song cosi incazzata) e forse ancor di più con la frenetica "Temple of Baal", dove le voci si palesano sia in growl che con un arcigno screaming. Il problema di fondo dell'album però è che non trovo abbia granché da dire in un genere che in trent'anni credo che abbia esplorato in lungo e in largo tutto lo scibile musicale e che 'Abyss of the Unseen' alla fine arrivi fondamentalmente fuori tempo massimo. Non posso negare che non ci siano cose discrete: il solismo di "Bolon Yokte 'K' uh" non mi dispiace affatto, cosi come l'approccio doomeggiante di "Me First: The Gentleman" che ritornerà anche nella conclusiva title-track. La ricerca di una maggiore forma di originalità ha prodotto "Private Rearmament", una song in cui accanto al grugnito di Sebbi, compaiono anche delle spoken words su un tappeto ritmico come sempre devastante ma che spiccano anche per una certa ricerca in fatto di melodia. Si continua a pestare con "Unhumanizer", una song che mette in luce il lavoro alla sei corde da parte delle due asce, cosi come il mostruoso e dispendioso armeggiare dietro alle pelli di Atz, che sicuramente premiano a livello tecnico le capacità della band. Il resto? Normale amministrazione all'insegna di un death pirotecnico e brutale che tuttavia necessita di una spinta addizionale per poter emergere dalla massa. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/erupdead/

venerdì 7 aprile 2017

When Icarus Falls - Resilience

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna, Russian Circle
Sapete vero che cos'è la resilienza? Se ne parla molto spesso oggigiorno, ossia della capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Non so se gli svizzeri When Icarus Falls si siano trovati di fronte a tale situazione, ma hanno pensato bene di chiamare il loro secondo full length proprio 'Resilience'. I nostri si sono presi tre anni per rilasciare un nuovo lavoro, da quel precedente EP 'Circle', recensito proprio dal sottoscritto su queste stesse pagine. L'attesa come sempre ci ha ripagati, in quanto le cinque tracce contenute in questo cd, rilasciato dall'onnipresente Czar of Bullets, ci consegnano una band in stato di grazia, capace di confezionare delle gemme di post rock/post metal che definirei crepuscolare, intellettuale, raffinato ed impegnato. Premessa iniziale: mixing e mastering dell'album sono ad opera di Magnus Lindberg (Cult of Luna), non certo un pivello qualunque. Si parte con l'ipnotico sound di "One Last Stand" con le sue linee di chitarra circolari, dilatate, soffuse, ariose, timide e compassate, che per oltre dieci minuti vi coccoleranno come in una ninna nanna, in cui si percepisce però una tensione profonda, in grado di creare un evidente stato di ansia. Non sono sufficienti i vocalizzi rassicuranti (in parlato) del frontman a placare quello stato di angoscia che lentamente sale in gola, qualcosa di ammorbante è pronto ad esplodere e lo fa ad un minuto e mezzo dalla conclusione con un ingrossamento ritmico da paura, in un brano che ha modo di chiamare in causa Cult of Luna, Russian Circle, Tool e The Ocean. Il sereno torna ad apparire in cielo dopo la tempesta con la più breve "Into the Storm" che, nonostante un titolo poco rassicurante, garantisce oltre quattro minuti di melodie ben più distese, evocanti questa volta i God is an Astronaut, anche se il finale si fa più rabbioso, almeno per ciò che concerne il versante vocale. State forse storcendo il naso perché su due pezzi ho citato mille influenze? Lasciate perdete, ce ne fossero di band di questo calibro che condensano gli insegnamenti dei maestri in modo cosi completo e coinvolgente. Con "The Lighthouse" si inizia anche a spingere a tavoletta per quanto riguarda la pesantezza dei suoni, con un riffing che da etereo e guidato dalle tastiere, inizia a farsi più grosso, cosi come i vocalizzi, ben più rabbiosi (ed in growl), anche se sul finale c'è un cambio repentino sia a livello ritmico che vocale, a rendere la song ancor più intrigante. Con la title track si torna a percorrere le atmosfere contemplative del post rock, in una lunga traccia completamente strumentale. Rimane ancora "A Blue Light", gli ultimi 12 minuti di un disco griffato, in grado di regalare ottime melodie, lunghi squarci malinconici, suoni dilatati che s'intervallano con scorribande più nevrotiche e accelerazioni improvvise, vocals strazianti e disperate che lasciano percepire tutta la tristezza insita in un album che non deve per alcun motivo passare inosservato. Peccato solo che per il tour europeo non passino dall'Italia. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2017)
Voto: 80

https://www.facebook.com/whenicarusfalls/

domenica 5 febbraio 2017

Wolf Counsel - Ironclad

#PER CHI AMA: Doom/Sludge, Saint Vitus, Cathedral, Candlemass, Black Sabbath
Alla prova del secondo album, gli svizzeri Wolf Counsel confezionano un piccolo gioiellino che si muove nei territori del doom e dello sludge vecchia scuola, supportati in particolare dall’ipnotica voce di Ralf W. Garcia – chiaramente ispirata ai grandi del genere come Wino e Lee Dorrian – e da una capacità di songwriting veramente eccellente. Con brani mai sotto i 5 minuti e più facilmente sopra i 6, non è facile non annoiare: ma, nonostante una scrittura nemmeno troppo riff-oriented (siamo da tutt’altra parte rispetto, ad esempio, al riffing di Mastodon o The Melvins!), gli Wolf Counsel riescono a tenere altissima la tensione dal primo all’ultimo minuto di 'Ironclad'. Apre le danze la splendida “Pure As The Driven Snow”, un canto di battaglia ipnotico e ripetitivo, persino epico negli assoli, guidato da una melodia che non dimenticherete facilmente. La successiva “Ironclad” mi ha ricordato i molto più metallari Grand Magus, che tuttavia con i Wolf Counsel, sembrano condividere la stessa passione per le corna alzate e per i potenziali cori di risposta dal pubblico nei live. L’oscurità arriva con le successive “Shield Wall” e “The Everlasting Ride”, pesanti come un macigno e, stavolta, più concentrate nel riffing e nella batteria marziale. L’acida “Days Like Lost Dogs” e la nerissima “When Steel Rains” (il punto più doom del disco) sembrano uscite dritte dritte da uno split tra Saint Vitus e primi Black Sabbath (di nuovo, la voce di Garcia qui è da pelle d’oca, specie quando arricchita dal delay). Chiudono l'opera i 7 minuti abbondanti di “Wolf Mountain”, che di nuovo tributano Cathedral e Candlemass nell’uso dei cori, nei fill di batteria e nell’ossessività delle melodie. Se vi piace lento, cantabile e un bel po’ vecchia scuola – ma amate le produzioni cristalline e i suoni potenti, contemporanei – 'Ironclad' sarà il vostro disco dell’anno. Da ascoltare. (Stefano Torregrossa)

(Czar Of Bullets - 2016)
Voto: 75

https://wolfcounsel.bandcamp.com/album/ironclad

domenica 29 gennaio 2017

Palmer - Surrounding the Void

#PER CHI AMA: Post Metal/Prog, Neurosis
Sarò franco: sebbene gli svizzeri Palmer calchino la scena da oltre 16 anni, io non ne avevo mai sentito parlare, almeno fino ad oggi. La Czar of Bullets contribuisce infatti a diradare la mia ignoranza, inviandomi quello che è il terzo album della band alpina, 'Surrounding the Void'. Un digipack contenente nove brani che "oscillano da qualche parte tra il post metal e il prog rock con timbriche sferiche". Ecco come desiderano essere identificati gli elvetici, che con la classica formazione a quattro (voce, basso, batteria e chitarra), sfoderano una prova, per dire in modo semplicistico, robusta. "Home is Where I Lead You" colpisce per il suo growling rabbioso e l'incisività delle ritmiche, grazie ad un riffing corposo che coniuga gli insegnamenti di molteplici band, da Neurosis a Black Sabbath, passando attraverso High on Fire, Meshuggah e primi Mastodon. Insomma, idee chiare su dove collocare stilisticamente i Palmer? "Misery" dice che la ritmica si fa ancor più rallentata, ben più profonda e che addirittura c'è spazio per qualche fuga in territori post rock, grazie a qualche simpatica parte acustica, che taglia la tensione saturante l'aria. Le song non appaiono di certo cosi lineari nel loro svolgimento e una certa carenza in fatto di melodie, non ne agevola l'ascolto, che alla fine risulterà parecchio impegnativo. Ma l'impegno nel dover ascoltare questo disco non è necessariamente un fatto negativo, spinge semmai a molteplici ascolti, ed in generale ad una più estesa longevità del disco. "Divergent" ha un incedere dilatato che evoca inesorabilmente le ultime cose più sludge di Scott Kelly e soci, con una seconda parte affidata ad una visionaria, nonché noisy, rivisitazione del sound della band californiana. Che gli svizzeri non fossero degli sprovveduti, l'avevo già intuito da tutta una serie di piccoli segnali, ma dopo aver sentito di che cosa sono capaci qui ma soprattutto nella successiva "Artein", mi ritrovo a sottolineare le notevoli capacità tecniche di questo quartetto. A parte che mi sembra di aver a che fare con una nuova band, questa volta dedita ad un prog rock strumentale; dovreste sentire con quale classe ed eleganza, i nostri si destreggiano con la loro strumentazione. Con "Digital Individual" si torna a pestare sul pedale dell'acceleratore con un'altra song irrequieta, che nel break centrale si concede questa volta a divagazioni prog/jazz, che consentono al combo bernese di prendere un po' più le distanze dai gods citati ad inizio recensione e togliersi l'etichetta di meri emulatori. Direi a questo punto che è nella seconda parte di questo disco che si racchiudono le peculiarità di questi musicisti: dall'intimismo di "Fate Hope", in cui il vocalist Steve prova anche a modulare maggiormente la propria timbrica, alla più tumultuosa "Importunity", granitica nel suo rifferama, qui a tratti melodico. Il disco è lungo, oltre i 60 minuti e quando si arriva verso il fondo, mi sento ormai piegato sulle gambe, sfiancato dal lavoro tortuoso a livello ritmico, di cui farei un plauso al bravissimo Remo dietro alle pelli e a Jan alle chitarre, per l'eccellente lavoro proposto in una traccia dinamica com'è "Rising". Non posso soprassedere a questo punto nel non citare anche Ueli, preciso con quei suoi fendenti di basso, che completano il quadro di una band matura al punto giusto per fare quel salto di qualità che ci si aspetterebbe da una band sulla scena da parecchio tempo. D'altro canto, io non li conoscevo proprio fino a ieri, ma oggi posso certamente affermare che i Palmer sono una band da supportare alla grande. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2016)
Voto: 80

mercoledì 20 gennaio 2016

Phased – Aeon

#PER CHI AMA: Psych/Doom
Contrariamente a quanto già visto per altre band in passato (penso agli Entombed, ma non solo) che, partendo da posizioni intransigenti, hanno poi evoluto il loro suono in qualche modo “ammorbidendolo” (sempre che sia questa la parola adatta), gli svizzeri Phased hanno invece compiuto il percorso inverso. Questo può dirsi vero se quest’ultimo 'Aeon' può definirsi a tutti gli effetti un disco doom, quando in passato l'ensemble di Basilea aveva offerto ottimi esempi di stoner garage incendiario. 'Aeon', che arriva sei anni dopo il precedente lavoro e due dopo una bella compilation retrospettiva, è un monolite fatto di chitarre accordate un tono sotto, tempi lenti e voci tonanti. Un affresco monocromatico di doom scurissimo ma fortemente psichedelico, che non rinuncia al groove ma che non lascia intravedere alcuno spiraglio di luce. Il trio formato dal fondatore Chris Sigdell (chitarra e voce), Marko Lehtinen (batteria) e Michael Greilinger (basso) riesce a condensare in questi sette brani tutti i miasmi malsani e sulfurei di una notte che sembra eterna. Il pachidermico incedere dell’iniziale “Seed of Misery” prosegue inarrestabile per tutti i 44 minuti del disco, senza accelerare praticamente mai e anzi rallentando fino alla perdita di coscienza nella raggelante “Into Her Gravity Well”, il suono di una sofferenza indicibile di un cuore che rallenta e in cui sembra di sentire spirare il vento gelido della fine di tutto. Come già accennato, il doom dei Phased è decisamente innervato di psichedelia, cosa che contribuisce a rendere la proposta dei tre elvetici sicuramente affascinante, fino a raggiungere l’apice, a mio parere, nella sulfurea “Eternal Sleep”. Assunto che la varietà non è la caratteristica principale di questo tipo di musica, in definitiva 'Aeon' è un album solido e denso come piombo fuso, senza veri punti deboli, che ad un ascolto attento rivela piú sfaccettature di quanto non sembri all’inizio. (Mauro Catena)

(Czar of Bullets - 2015)
Voto: 75

martedì 24 marzo 2015

Unhold - Towering

#PER CHI AMA: Post Metal, Sludge, Isis, Neurosis
Diavolo, e io che credevo che gli svizzeri Unhold fossero gli ultimi arrivati, mi riscopro ignorante dopo quasi 30 anni di musica. E invece, la band si forma a Berna addirittura nel 1992 e rilascia quattro album nel giro di vent'anni. Ecco la prolificità non è di certo il punto di forza dei nostri: sette anni sono infatti passati dal precedente 'Gold Cut', però un tempo per cui forse è anche valsa la pena attendere. 'Towering' è un signor album che sposa sonorità sludge/post-metal tanto care ai Neurosis, vero primo punto di contatto per il combo bernese, a cui aggiungerei immediatamente i Kylesa. Il quintetto elvetico, dopo varie vicissitudini a livello di line-up, si presenta con una nuova formazione, in cui spicca il nome di Miriam Wolf, famosa per far parte anche dei Crippled Black Phoenix. Le song, 11 contenute in questo disco, esordiscono con "Containing the Tyrant" che svela immediatamente la direzione sonora dei nostri che si muovono lentamente tra riff torbidi, limacciosi come il fango e vocals che evocano lo spettro di Scott Kelly. Un intermezzo drone e poi tocca a "I Belong" intorpidire i nostri sensi con un temperamento languido e contorto, che mi conquista anche per una certa cura a livello di arrangiamenti. "Southern Grave" suona più rock stoner e mette in mostra un impianto vocale in cui spicca il dualismo tra Thomas Tschuor e Philipp Thöni, l'uno pulito, l'altro più selvaggio. Con "Voice Within" torniamo a calcare solo in apparenza i sentieri del post metal, perché nel giro di un paio di minuti la song si indirizza verso lidi più meditativi, addirittura shoegaze (grazie anche al cantato di Miriam), in stile Alcest (mancano solo i testi in francese), però la bravura dei nostri risiede nel non ripetere pedissequamente quanto fatto da altri ma reinterpretarlo in modo abbastanza originale e con risultati davvero interessanti. E se qui forti erano i richiami shoegaze, la storia nella title track vira verso un post rock strumentale assai malinconico che vede in Mogway o Explosions in the Sky, grandi interpreti di riferimento. L'album è in continua evoluzione e in "Hydra" mi pare di avere a che fare con un'altra band, molto più essenziale e minimalista. Se fino a pochi istanti fa, stavo fluttuando nello spazio con una musicalità cosmica, qui mi lancio in una cavalcata di sporco hard rock. Ma niente paura, nulla è come sembra, "(Ascending)" mi riporta sui binari del post, quello di memoria bostoniana, ovviamente scuola Isis. Ottimi suoni, splendide melodie, interessanti frangenti acustici e atmosfere ipnotiche che ci restituiscono una band in ottima forma, che nella conclusiva "Death Dying" regala un'ultima vibrante perla musicale grazie alla magnetica voce di Miriam che invita voi tutti ad ascoltare questo entusiasmante 'Towering', un album assolutamente da far vostro. (Francesco Scarci)

(Czar of Bullets - 2015)
Voto: 85