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martedì 15 settembre 2015

Anabasi Road - S/t

#PER CHI AMA: Progressive/Rock Blues/70s Hard Rock
Il giorno in cui il cd degli Anabasi Road viene recapitato sulla mia scrivania, ho iniziato da poco la rilettura de 'I Guerrieri della Notte' di Sol Yurick, libro dichiaratamente ispirato all’Anabasi di Senofonte. Lo prendo per un segno del destino e inserisco immediatamente il dischetto nel lettore. Non mi è semplice esprimere quelli che sono i miei sentimenti verso quest'album e la formazione reggiana che si è scelto un nome così impegnativo. Perché se da un lato amo il progressive e il blues rock degli anni 70, dall'altro non riesco proprio a digerire le propaggini virtuosistiche da essi originatisi nel corso degli anni e sfociate in pletore di guitar hero dediti ad un prog hard rock onanista (leggasi Dream Theater e compagnia cantante) che ho sempre ritenuto sterile e per me poco interessante. E quest'album sembra essere composto in egual misura da entrambe queste componenti, in un delicato gioco di equilibri, a mio avviso non sempre riuscitissimo, con il risultato di essere a volte un po’ troppo pesante; non una sintesi quanto una somma delle parti. C’è tanta, tanta carne al fuoco qui, a partire dal fatto che gli Anabasi Road sono tutti eccellenti musicisti, nessuno escluso, ma il problema sta proprio nel fatto che sembra vogliano rimarcarlo incessantemente per tutta la durata del disco, senza un solo secondo di pausa. Così facendo, purtroppo, i brani a volte scappano un po’ di mano e sembrano diventare solo delle vetrine per le proprie qualità strumentali. Se l’iniziale “Pleasure in Me” promette molto bene con il suo hard screziato black grazie a un hammond caldissimo, già dalla successiva "Clashing Stars" le cose iniziano pian piano a sfilacciarsi fino a diventare pretenziose, con le inutili prolissità di “Say Man”, improbabile nel suo accostare blues canonico e prog neoclassico, o “I Walk Alone”, che nel finale vuole forse omaggiare i duetti voce-chitarra di Page e Plant con un risultato però parodistico. Troppo spesso chitarre e tastiere si suonano sopra, quasi senza ascoltarsi, lasciando un po’ l’amaro in bocca per quello che sarebbe potuto essere con solo un po’ piú di moderazione un ottimo lavoro, forte anche della presenza di un vocalist ispirato e potente, dal timbro profondo e personale (anche se nell'unico brano cantato in italiano, il peraltro ben riuscito “Guerra Mondiale”, ricorda il cantante dei Nomadi, quelli di oggi). Se posso riassumere la recensione in una frase, direi “Bravi, ma fermate un secondo quelle chitarre!”. Mark Hollis, geniale leader dei Talk Talk dice che non c’è bisogno di suonare due note, se puoi suonarne una sola. Ecco, senza arrivare a questi estremi, un produttore che avesse dato un freno alle debordanti sei corde degli Anabasi Road avrebbe fatto un gran servizio al disco. C’è del talento, qui dentro, e anche tanto. Bisogna solo lasciare che emerga, magari qualche volta togliendo piuttosto che aggiungendo sempre. (Mauro Catena)

(Self - 2014)
Voto: 65

sabato 12 settembre 2015

The Morganatics - We Come From The Stars

#PER CHI AMA: Alternative Progressive Rock, Lacuna Coil
Le torride giornate di quest'estate che volge al termine, hanno visto arrivare tra le mie grinfie diversi CD abbastanza interessanti e quello di questa band francese, si dimostra essere forse tra i più convincenti. La band arriva da Parigi e dà alle stampe questo secondo lavoro, dopo un debutto che aveva dimostrato le potenzialità del combo. Cinque componenti, ognuno con delle influenze diverse confluiscono in un solo progetto per produrre musica davvero “scintillante”. Definisco così la loro proposta perchè, sebbene io non sia un grande estimatore dei miscugli di genere, le loro composizioni (oltre ad essere molto interessanti) brillano di luce propria, nonostante emergano qua e là i riferimenti alle band preferite dai vari componenti. Nella biografia della band leggo che le band maggiormente apprezzate sono Linkin Park e Porcupine Tree, due proposte nettamente agli antipodi, ma di cui chiari sono i rimandi in alcune tracce. Aggiungerei poi che in alcuni passaggi i nostri mi hanno ricordato anche i nostrani Lacuna Coil, pertanto mi sentirei di definire la proposta dei transalpini come un solido prog rock moderno. Non vorrei dare per forza un'etichetta ai The Morganatics, ma cerco di farlo per far comprendere meglio a chi legge, se possibile, la particolarità e l'originalità di 'We Come From The Stars'. La musica scorre via piacevolmente lungo i 64 minuti dell'album che consta di 11 tracce. Le canzoni sono facilmente apprezzabili sotto un punto di vista melodico e di esecuzione, risaltate da una produzione al limite della perfezione. Sintetizzatori, archi e parti electro si amalgamano a chitarre più classicamente metal, con un drumming preciso e coinvolgente a creare la solida struttura sulla quale si intersecano precise linee di basso e le vocals, sia femminili che maschili, sempre in clean. Alla fine dell'ascolto rimane la consapevolezza di essere a cospetto di un lavoro assolutamente ben concepito, che a mio parere potrebbe dare il meglio di sé in sede live. Le mie song preferite, pur apprezzando tutte le composizioni, rimangono l'opener “I'm a Mess (but I am Free)” e “Even Terminators Can Cry”. Se avete voglia di ascoltare un disco ben fatto, allontanatevi (come ho fatto io) dai preconcetti legati al genere e date una chance a questi ragazzi transalpini, non ve ne pentirete di certo. Ottimo lavoro. (Claudio Catena)

Ketha - #!%16.7

#PER CHI AMA: Musica totale, Primus, Tool, Meshuggah
Sapete che quando trovo un album eccezionale lo devo gridare a tutti, è più forte di me; cosi spulciando per la rete ecco capitarmi fra le mani i polacchi Ketha, sconosciuti autori già di due album e di questo incredibile EP dal titolo emblematico '#!%16.7'. La durata ahimé limitata rendono ancor più ossessiva la mia caccia ai precedenti introvabili lavori. Nel frattempo devo accontentarmi di queste 12 minuscole tracce che in realtà ne costituiscono una sola dato il flusso sonico continuo che si sviluppa dalla opening track, "Shhh" alla conclusiva "Redshift", in un viaggio musicale senza precedenti. Ragazzi, qui non si scherza. L'ensemble polacco ha prodotto un qualcosa di estremamente delirante che abbina il riffing nevrotico dei Meshuggah con la follia dei Primus, in un percorso ipnotico che vi lascerà di sasso e avrà modo di percorrere saliscendi progressivi, partiture blues-jazz, rimandi di tooliana memoria, trionfi di sax e trombe, aperture cinematiche, growling vocals, twist and shout, superbe montagne di groove, splendidi assoli, death metal, space rock e chi più ne ha più ne metta. Non fatevelo scappare, per loro garantisco io. (Francesco Scarci)

(Instant Classic - 2015)
Voto: 90

https://www.facebook.com/kethaband

mercoledì 9 settembre 2015

Last Minute to Jaffna - Volume II

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge, Neurosis, Cult of Luna
Non proprio una passeggiata affrontare il nuovo album dei torinesi Last Minute to Jaffna. 'Volume II' è infatti un lungo percorso di 70 minuti che vi darà modo di conoscere l'inesplorata cerebralità del combo piemontese. Otto i capitoli a disposizione dello storico quartetto nostrano, otto lunghe tracce che seguono il sentiero tracciato dagli statunitensi Neurosis, vero punto di riferimento dei nostri, e lo ampliano grazie ad una propria caratteristica fisionomia, che nel tempo è andata via via maturando in seno alla band. Le chitarre ribassate rombano che è un piacere nelle casse del mio stereo, ma devo ammettere che sono quei break pseudo acustici, che prendono il sopravvento all'interno dei brani, ad entusiasmarmi maggiormente. Il flusso canalizzatore che la band instaura è infatti da manuale, con il sound che cresce lentamente e come un serpente striscia minaccioso, facendo breccia nella mia testa. "Chapter DCCXV" è forse la traccia che maggiormente rappresenta il sound della band, con quell'alternanza tra chitarre sporche e cattive e frangenti più intimistici (e più votati ad un post rock claustrofobico), dove la voce di Valerio Damiano abbandona il growling selvaggio per dedicarsi a gorgheggi più delicati. "Chapter XII" è un altro pezzo che parte forte anche se dopo un minuto, i quattro tirano il freno a mano e deliziano i palati più raffinati, con un sound al limite del trip hop, e un cantato quasi liturgico, decisamente da brividi. L'atmosfera che si respira è rappresentata dai colori monocromatici della cover del disco. La song non tarda però ad assumere connotati quasi tribali a livello del drumming che cresce progressivamente e si ingrossa (e mi sovviene un'immagine live di qualche anno fa a Torino, che rimarrà indelebile nella mia mente per tutta la vita: i due vocalist dei Neurosis che suonano le percussioni all'unisono), mentre la voce di Valerio diventa sempre più corrosiva. Anche qui è questione di attimi, perché il sound torna ad incupirsi, rinchiudersi in se stesso provare a disegnare lande gelide, come fatto dai Cult of Luna in 'Somewhere Along the Highway'. Non c'è modo di annoiarsi in questo disco perché i nostri si divertono non poco, addirittura propinandoci sonorità drone nella psicotica "Chapter DCLXVI". "Chapter XIII" (presente peraltro in veste acustica insieme alla notturna "Chapter XXV", su 'Volume III') è quella che per costruzione mi ricorda maggiormente i gods di Oakland: una traccia di ben dieci minuti che avanza lenta come la morte, con la voce del bravo Valerio a emulare quella di Scott Kelly (anche se alla fine risulterà più litanica), mentre il sound caliginoso dell'act italico passa con estrema disinvoltura da frangenti atmosferici a qualche rara sfuriata elettrica, fino a tormentate e opprimenti visioni da fine del mondo, in un tortuoso percorso musicale di ottima fattura. "Chapter XIV" ha un che dei Fields of the Nefilim con quella sua forte aura darkettona, anche se poi quando esplode la veemenza del vocalist e deflagra il sound della sei corde, i nostri prendono le distanze dal dark sound della band inglese capitana da Carl McCoy. Ma l'atmosfera apocalittica torna da li a breve ad avvolgere il sound maledetto dei Last Minute to Jaffna che si riaffaccerà in modo violento nella parte finale del pezzo. La conclusiva "Chapter XXVI" è un esempio di suono crepuscolare affidato a sole malinconiche chitarre che segnano l'epilogo di questa entusiasmante release targata Argonauta Records. Eccellenti! (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2015)
Voto: 85

INTERVIEW WITH VOLA

Follow this link for an interesting chat with the Danish guys of VOLA, authors of one of the best albums of this summer:




Aidan - Témno

#PER CHI AMA: Instrumental Post-metal/Ambient, Pelican, Mogwai
Aspettavo al varco i padovani Aidan, dopo il bel debutto di 'The Relation Between Brain and Behaviour' di due anni fa. Tornano sulla scena con questo EP di quattro brani, sostanzialmente diviso in due grandi momenti: l’apertura e la chiusura del disco (affidate rispettivamente a “Levnad” e “Ora Puoi Scendere nella Fossa con la tua Musica”) pescano a piene mani nell’ambient: atmosfere inquiete, synth ronzanti, violini carichi di pathos. Due brani che sono quasi colonna sonora – in “Ora Puoi Scendere…”, non a caso, appare il lungo dialogo sulla bellezza e il genio da 'Morte a Venezia' di Luchino Visconti –, onirici ed emozionanti, valorizzati da una produzione praticamente perfetta. Il secondo momento del disco, invece, è rappresentato dai due brani centrali, più legati alla tradizione strumentale del post-rock e post-sludge. “Negazione dell’Appartenenza/Appartenenza alla Negazione” è forse il migliore momento di 'Témno': una lunga suite, che oscilla con naturalezza tra il riffing ipnotico e progressivo dei Pelican e l’armonia delle parti più riverberate e sognanti, che ricordano in certi tratti i Mogwai ma persino i Tame Impala. La successiva “Il Terzo Escluso” è un lavoro più psichedelico e ambizioso, che premia la maturità degli Aidan in particolare nell’armonizzazione delle melodie tra le due chitarre e il basso (ascoltate il magistrale incastro tra strumenti dal primo minuto in avanti). Delay e feedback, ben dosati su suoni ruvidi tipici dello sludge, condiscono il lavoro trasformandolo in un piccolo capolavoro. C’è maturità negli Aidan, e si sente: si va oltre il solito gioco forte/piano del post-rock, e in generale i due brani centrali lasciano trasparire un lavoro su dinamica, tempi, melodie e suoni maggiore del precedente debut album. 'Témno', nonostante le altissime potenzialità, lascia però a bocca asciutta: la brevità dell’EP delude, e delude ancor di più se metà disco è sostanzialmente ambient, giocato su una singola nota che evolve tra arpeggi, delay e synth. Attendo il full-length che, mi auguro, valorizzerà meglio le grandi capacità compositive e tecniche della band, soprattutto quando lavora a pieno regime su brani complessi e completi. (Stefano Torregrossa)

(Red Sound Records - 2015)
Voto: 75

domenica 6 settembre 2015

Assumption – The Three Appearances

#PER CHI AMA: Death Old School/Doom/Psichedelia
Prendete come esempio gli Incantation dell'EP 'Deliverance of Horrific Prophecies', 'In Memorium' dei Cathedral e 'Dawn of Possession' degli Immolation e chiudete gli occhi. Mettete il nuovo album (il secondo) degli Assumption nel lettore e ditemi se il sogno non si avvera, se non sembra di tornare indietro nei primi anni '90 quando il Death metal agli albori mostrava le sue divine mostruosità di incesti malsani tra metal, figure horror e doom degenerato con una credibilità da pelle d'oca. Ecco, 'The Three Appearances' non necessita di ulteriori spiegazioni, è semplicemente un gioiellino dal fascino vintage, intelligente, allucinato e curatissimo ma soprattutto è bellissimo. Il duo palermitano suona come una vera band dell'epoca ed i brani sono così intensi, lugubri e deformi che risultano perfetti. La voce fa la differenza ed il gutturale di G., che suona anche chitarre, synth e basso, è magnifica come la parte grafica; l'artwork è infatti così legato a quell'epoca che quasi commuove. L'immagine space/fantasy dal retrogusto horror della copertina è perfetta per il sound decadente e marcio promosso dalla band nostrana. Prodotto divinamente, con qualità, conoscenza del genere e attitudine moderna, i due bravi musicisti siciliani riescono a rinverdire i fasti di un tempo e mostrarsi perfino originali, cogliendo spunti anche dal doom degli Esoteric. Il tocco d'infinita oscurità che corona le composizioni di un aurea macabra e futurista, si muove sinuoso tra le tracce e pur non mostrando nulla di nuovo, risulta affascinante in maniera disarmante. Una catarsi buia nei meandri di una psiche malata, ventinove minuti di ottimo delirante primordiale death metal diviso in quattro brani di eguale splendore usciti per Terror From Hell Records/Elektroplasma Music nel 2014 (anche se "Moribund State Shifts" rimane la mia hit del disco insieme all'esperimento psich/death/doom di "The Non - Existing"). Death metal old school, doom, psichedelia, chitarre impazzite, voce gutturale, sound proveniente dal cosmo più profondo e sconosciuto...un lavoro di culto imperdibile! (Bob Stoner)

(Terror From Hell Records / Elektroplasma Musik - 2014)
Voto: 90

https://www.facebook.com/assumptiondoom

Heaving Earth - Denouncing the Holy Throne

#FOR FANS OF: Death Metal, Morbid Angel, Destroying Divinity, Hate Eternal
As has been the case with a large amount of Eastern European Death Metal, the influence of American acts is pretty astounding to behold as not only is it stylistically similar in creation but also growing in enjoyment, which follows suit with this Prague-based act. Technical when it needs to be but much more often just blasting away with urgency and intent, there’s a lot at work here as the band shifts from the mid-tempo realms filled with those technically-proficient guitar rhythms popularized by Morbid Angel to the frantic, flesh-flaying full-throttle assaults whipping through numerous sections here which are much more prominent in the modern Death Metal scene. Coupled with the album’s approach of mixing that audio violence with an appropriately surging hellfire-inspired sound it just brings the riffs to life and makes for another outstanding piece to the puzzle found throughout here. The tight leads and the explosive drumming are all favorably aided by this and it truly makes for a much dynamic affair here that does seem more than able to cover up the lone flaw running through the album in having way too many instrumental interludes. In the second half, its split evenly with track-interlude-track-interlude into the finale and that leaves a slightly jarring effect against the rest of the album which didn’t have much. Knock off one or three of them and this would be even higher up than it already is, which is a testament to the rest of the tracks on the album. Opener ‘The Final Crowning’ gets this going nicely with a fine build-up into pounding drumming and hellfire-soaked rhythms blistering into a mid-tempo cacophony bristling with the technical nuances dripping through the guitar work along the extended final half to set the stage perfectly here. ‘Nailed to Perpetual Anguish’ goes slightly more technical in approach and as a consequence eases off the throttle slightly but still manages quite the impressive outing here, while ‘Doomed Before Inception’ continues featuring blazing-fast technically-proficient riffing and dynamic blasting drum-work that gives this a solid three-peat opening. The first instrumental, ‘And the Mighty Shall Fall’ offers stylized majesty melodies and growing atmospheric riffs gradually build to dark, heavy rhythms that segues into ‘Worms of Rusted Congregation’ that continues on with the majority of time offering those slow, dark and heavy rhythms while still maintaining a decidedly Death Metal edge while putting out some Doom influences in the only real section of the album. The next instrumental, ‘...into the Sea of Fire’ features trilling guitar riffs and ambient, dark atmospheric rhythms which is so short it’s questionable why it’s here altogether. Luckily, that’s all quelled with back-to-back quality efforts in ‘Forging Arcane Heresy’ and ‘I Am Nothing’ as the ripping riff-work, utterly explosive drum-blasts and raging tempo changes that sweep from technical thrashing to demonic tremolo-rhythms and mid-tempo blasting make for the album’s two-best overall highlight quality efforts. While not as explosive, ‘Into the Depths of Abomination’ does feature enough engaging rhythms, blasting drum-work and frantic energy to come off as enjoyable even with the odd track placement in the second half when it really reads more of what happened to the first half’s tracks. The next instrumental, ‘...Where the Purified Essence Descends Ablaze’ is so worthless it’s not worth mentioning, while the epic ‘Jesus Died’ offers up slow, sprawling rhythms and tremolo-picked melodies alongside a tight series of drum-blasts and the occasional frantic series of riff-work that really gives this a punch for a fine offering overall. The outro instrumental ‘Endless Procession of the Holy Martyrs / Final Termination’ continues that sprawling blast-work and tight rhythms before fading out into an extended collage of noise that makes for a fine conclusion and a well-placed interlude. If only it had cut back on the others this one might be even more impressive. (Don Anelli)

(Lavadome Productions - 2015)
Score: 85

https://www.facebook.com/heavingearth