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martedì 20 dicembre 2016

Rosario - And The Storm Surges

#PER CHI AMA: Sludge/Stoner
Siano lodati i Rosario che, dopo la bella prova di 'Vyscera', recensito sulle nostre pagine quasi due anni fa, tornano con un nuovo lavoro, 'And The Storm Surges'. La band padovana nel frattempo di strada ne ha fatto parecchia e, cosciente del proprio potenziale, ha dato una grossa spinta ai live in patria e oltre confine, curando parecchio il sound e la composizione dei brani. Questa volta quindi puntano sull'all-in con un risultato finale davvero ottimo, dopo aver compreso che la via del successo è quella di far tesoro delle influenze e dell'esperienza per ricercare un proprio stile. Si può dire che i nostri si siano scrollati di dosso il cliché basato sui volumi e il muro sonoro, lavorando su quel groove che rapisce l'ascoltatore e te lo fa tenere stretto come un seguace pronto a seguirti ovunque tu vada. Già forti di una sezione strumentale solida e creativa, la parte vocale li aiuta a spiccare tra le tante band che affollano l'ambiente stoner/doom/sludge e la cordata di etichette a supporto, spingerà al massimo questo nuovo album. La versione che abbiamo ricevuto è quella digisleeve, ma lo troverete anche su un godurioso doppio LP da 180 gr. con un fitto merchandising fatto di t-shirt, cappelli e quant'altro. L'artwork è spettacolare, curato dagli stessi Rosario che hanno optato per il classico bianco e nero dal tema lugubre e vintage. Ma passiamo ai brani, cuore pulsante di questo full length dove tutto inizia con "To Peak and Pine", una bordata stoner/sludge dall'impronta heavy metal/thrash che i nostri padovani si portano dietro come bagaglio musicale di chi suona da qualche anno. La sezione strumentale, nonostante sia trascinata dai possenti riff delle chitarre, esce in maniera piena e maestosa, ricordando i Mastodon per i suoni azzeccati e gli arrangiamenti. Subito si viene coinvolti dal cantato, una voce ruvida e potente che si destreggia con classe e riesce a rincarare la dose nei passaggi cruciali del brano. Un brano carico, trascinante e messo in apertura al disco per mettere subito in chiaro che i Rosario sono qui per picchiare duro puntando su brani ben fatti, come il successivo "Vessel of the Withering". L'introduzione è perfetta nella sua semplicità, gli arpeggi di chitarra al limite del ambient/post rock sono il cancello che ci permette di accedere al mare di oblio che i nostri faranno attraversare con il loro vascello fantasma. Le note dissonanti instillano ansia e desiderio di fuga che portano al ritornello, ma poi si innesca un cambio di ritmo dove batteria e basso la fanno da padrone, martellando a più non posso e giocando su stop & go che danno dinamicità al brano che supera abbondantemente i sei minuti. Le accelerazioni ricordano la scuola thrash death di Pantera e Sepultura, ove velocità e dinamica ci conducono fino alla fine provati ma con il sorriso sulle labbra. Arriva il turno di "Radiance" e la vostra sanità mentale verrà messa alla prova definitivamente con un'introduzione dal sapore quasi grunge e southern rock, ove le chitarre duettano con il cantato trasognante e onirico che ci porta nella fredda notte del deserto sotto un cielo stellato. Un momento intimo e spirituale che ad occhi chiusi innesca la risonanza delle vostre molecole che seguiranno il crescendo e la successiva esplosione distorta. Gli arrangiamenti permettono di apprezzare appieno l'evoluzione del brano che pulsa, si allunga e poi ritorna su suoi passi, coinvolgendo l'ascoltatore che rende grazie anche per suoni sempre all'altezza. Ma i Rosario sono anche dei vecchi thrasher che badano al sodo e alla botta, come in "Monolith", dove corrono veloci e senza freni, ma sempre con un taglio personale. Particolare e ben riuscita anche "Dawn of Men", un ritorno alle origini tra chitarre acustiche e vocalizzi, con la band che si spoglia dei suoni pesanti ed elettrici per alleggerirsi e tornare, anche se per poco, ad una musica primitiva che va ascoltata e non capita. L'album chiude con "And Then... Jupiter", altro pezzo complesso dalle sonorità a cavallo tra post metal e stoner/doom, a conferma che i Rosario hanno lavorato tanto e duramente per centrarsi interiormente e trovare la propria identità nel vasto panorama musicale di questo momento storico. Non ho dubbi, un album bello ed appagante, meritevole di un ascolto attento per essere apprezzato in toto, cosi come pure i live della band che regalano trip lisergici ad alto contenuto di watt. (Michele Montanari)

(Brigante Rec/Dio)) Drone/Electric Valley/In the Bottle Records/Taxi Driver
Red Sound Records - 2016)
Voto: 85

https://rosariomusic.bandcamp.com/

giovedì 4 agosto 2016

Le Scimmie - Colostrum

#PER CHI AMA: Stoner/Psichedelia/Doom, Ufomammut
Oscurità, psichedelia, sonorità distorte e avvolgenti. Le Scimmie sono gli Ufomammut sotto acido: cinque brani che mescolano sapientemente stoner, doom, metal e ambient. I quattro brani che compongono 'Colostrum' – terzo lavoro del trio italiano, dopo 'Dromomania' (2011) e 'Habanero' (2012) – sono costruiti su riff granitici e ossessivi, che si sommano ridondanti, generando enormi architetture sonore, vere e proprie cattedrali oscure e magnifiche. I 14 minuti della opening e title-track "Colostrum" ruotano attorno ad un riff massiccio e potente ripetuto fino allo spasmo, su cui l’ottima batteria costruisce interessanti variazioni, sostenuta da un synth inquieto e surreale, che apre e chiude il brano. Segue "Crotalus Horridus", l’episodio più breve e veloce del disco, che rimanda a sonorità stoner. Infernale e onirica, "Triticum" è sostenuta da un compatto giro di basso, su cui una batteria a tratti tribale costruisce una progressiva esplosione. Chiude "Helleborus", violenta e tesa, disturbante nelle sue vene industrial centrali che spezzano i granitici pattern – non dimenticherete facilmente il geniale riff di apertura – su cui l’intero pezzo si regge. 'Colostrum' è un disco nero come il più buio angolo dell’inferno, una creatura enorme e abominevole, che rotola sulla terra radendo al suolo ogni cosa e sbriciola le menti più deboli con l’ossessiva ripetizione e le sue inaspettate aperture ambient. Un lavoro che – pur registrato con qualche pecca di produzione – lascia speranze per la scena più scura della musica italiana. (Stefano Torregrossa)

(Red Sound Records - 2016)
Voto: 80

https://lescimmie.bandcamp.com/

sabato 19 marzo 2016

Atom Made Earth - Morning Glory

#PER CHI AMA: Prog/Post Rock/Stoner, Mono, Mogwai, Pink Floyd
Difficile catalogare il quartetto marchigiano degli Atom Made Earth, una delle realtà più eclettiche e originali che abbia sentito ultimamente. Nel loro lavoro (il primo studio album, dopo un live del 2014) c’è davvero di tutto: c’è la psichedelia spaziale dei Pink Floyd mescolata alle cavalcate stoner degli Sleep ("Thin"), c’è il prog-rock contemporaneo di "Reed", dove si respirano echi di Porcupine Tree e Rush, c’è lo stoner-rock anni 2000 stile June of 44 e Brant Bjork & The Operators ("Baby Blue Honey"). Su lunghe parti strumentali uscite dritte dritte da qualche b-side dei Black Sabbath si aprono all’improvviso parentesi dispari di ispirazione King Crimson e lunghe suite settantiane di hammond ("StaC", vero capolavoro del disco); e poi, qua e là, si trovano anche gemme di kraut-rock, sperimentazioni ambient, azzardi sonori e spolverate di jazz. Gli Atom Made Earth suonano tutto, e molto bene: le chitarre passano da suoni acustici crepuscolari a distorsioni pungenti, da wah-wah funkeggianti a misurati delay; le tastiere sfruttano a pieno elettronica, organi, pianoforti e sintetizzatori. Basso e batteria non sbagliano mai, prediligendo sonorità più naturali, grande dinamica e partiture mai banali. La produzione è forse un po’ troppo asciutta e concentrata e – nonostante il gran lavoro di James Plotkin e Gianni Manariti – avrebbe forse goduto di un po’ più apertura, anche a discapito della pulizia generale che, bisogna ammetterlo, mantiene chiara e godibile ogni singola nota suonata. Il vero difetto degli Atom Made Earth è però la sottile sensazione di manierismo che pervade il lavoro: se alcuni accostamenti di generi funzionano alla grande, altri sono studiati un po’ troppo a tavolino e risultano freddi e forzati. Le pur sopraffine tecnica e creatività compositiva dei musicisti, in alcuni casi, sono controproducenti e 'Morning Glory', qua e là, perde di spontaneità e risulta solo un artificiale esercizio di stile imitativo. (Stefano Torregrossa)

(Red Sound Records - 2016)
Voto: 65

https://atomadearth.bandcamp.com/album/morning-glory

martedì 27 ottobre 2015

Narrenschiff – Of Trees and Demons

#PER CHI AMA: Stoner/Psych/Doom
La band di Senigallia dopo un EP del 2014, immette sul mercato grazie alla Red Sound Records, un album di caldissimo stoner rock saturo di polvere e pesantezza, dal titolo 'Of Trees and Demons'. La grafica di copertina, curata dall'artista Stonino, è impeccabile, concisa, psichedelica e astratta al punto giusto, mentre la musica contenuta nel box, soffre benevolmente dei retaggi più noti del genere, recuperando forme e sonorità dai ben più famosi alfieri della musica del deserto, come Kyuss, Goatsnake, Fu Manchu, Orange Goblin, Sleep e Nebula. In realtà questa appartenenza così vistosa risulterà una carta vincente nel sound della band che alla fine si presenta molto professionale ed alquanto originale. La commistione di generi e la sua intelligente mescolanza fa in modo che l'intero album scorra felicemente nelle nostre vene, risvegliando vecchi amori dell'epoca d'oro, che assai di frequente le stoner band moderne nemmeno si sognano di fare, risultando troppo spesso e volentieri tutte omologate. I Narrenschiff si muovono nell'heavy psichedelico con lanciatissime scorribande lisergiche, con abilità e profonda conoscenza del genere, risultando compressi, pesanti, e con un vocalist, Riccardo Pancotti, la cui voce porta un timbro vintage volutamente monotematica in stile Saint Vitus/Orange Goblin, anche se più bassa e salmodiante, quasi blues alla Fatso Jetson. Nei brani convivono momenti di alta allucinazione e stati di deflagrante voglia di watt sparati a tutto volume, frenesia con ogni song tesa e pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Ottimi musicisti, una produzione eccellente, accompagnata da recording e mixing dell'ingegnere del suono Gianni Drone Manariti al Red Sound studio tra i confini nazionali (Petacciato – CB) e mastering a New York da parte di James Plotkin, fanno di 'Of Trees and Demons' un buon album stoner al 100% e come detto, brano dopo brano (vi segnalo tra le altre “Event Horizon” per l'utilizzo del digderidoo nel suo interno) si ha l'impressione di navigare attraverso i suoni di quelle band storiche e rivivere esperienze allucinogene passate. C'è molta passione in questi ragazzi rimasti esposti al sole dei deserti americani per troppo tempo, il tempo necessario per rubare tutti i segreti della sua musica e risuonarla alla grande. (Bob Stoner)

(Red Sound Records - 2015)
Voto: 80

mercoledì 9 settembre 2015

Aidan - Témno

#PER CHI AMA: Instrumental Post-metal/Ambient, Pelican, Mogwai
Aspettavo al varco i padovani Aidan, dopo il bel debutto di 'The Relation Between Brain and Behaviour' di due anni fa. Tornano sulla scena con questo EP di quattro brani, sostanzialmente diviso in due grandi momenti: l’apertura e la chiusura del disco (affidate rispettivamente a “Levnad” e “Ora Puoi Scendere nella Fossa con la tua Musica”) pescano a piene mani nell’ambient: atmosfere inquiete, synth ronzanti, violini carichi di pathos. Due brani che sono quasi colonna sonora – in “Ora Puoi Scendere…”, non a caso, appare il lungo dialogo sulla bellezza e il genio da 'Morte a Venezia' di Luchino Visconti –, onirici ed emozionanti, valorizzati da una produzione praticamente perfetta. Il secondo momento del disco, invece, è rappresentato dai due brani centrali, più legati alla tradizione strumentale del post-rock e post-sludge. “Negazione dell’Appartenenza/Appartenenza alla Negazione” è forse il migliore momento di 'Témno': una lunga suite, che oscilla con naturalezza tra il riffing ipnotico e progressivo dei Pelican e l’armonia delle parti più riverberate e sognanti, che ricordano in certi tratti i Mogwai ma persino i Tame Impala. La successiva “Il Terzo Escluso” è un lavoro più psichedelico e ambizioso, che premia la maturità degli Aidan in particolare nell’armonizzazione delle melodie tra le due chitarre e il basso (ascoltate il magistrale incastro tra strumenti dal primo minuto in avanti). Delay e feedback, ben dosati su suoni ruvidi tipici dello sludge, condiscono il lavoro trasformandolo in un piccolo capolavoro. C’è maturità negli Aidan, e si sente: si va oltre il solito gioco forte/piano del post-rock, e in generale i due brani centrali lasciano trasparire un lavoro su dinamica, tempi, melodie e suoni maggiore del precedente debut album. 'Témno', nonostante le altissime potenzialità, lascia però a bocca asciutta: la brevità dell’EP delude, e delude ancor di più se metà disco è sostanzialmente ambient, giocato su una singola nota che evolve tra arpeggi, delay e synth. Attendo il full-length che, mi auguro, valorizzerà meglio le grandi capacità compositive e tecniche della band, soprattutto quando lavora a pieno regime su brani complessi e completi. (Stefano Torregrossa)

(Red Sound Records - 2015)
Voto: 75

lunedì 1 giugno 2015

Lorø - S/t

#PER CHI AMA: Drone/Noise/Math, Helmet, Zu
Devo ammettere che pensavo di aver già visto ogni sorta di artwork per un cd, dalle bare ai cofanetti in legno, dai libri agli origami, ma quello dei patavini Lorø si mostra come uno dei più eleganti. Difficile spiegarne l'essenza: una lastra di plastica trasparente avvitata su un supporto dalla grafica serigrafata, il tutto decorato con la scritta LORØ in oro. Visto che anche l'occhio vuole la sua parte, concedo già mezzo punto in più solo per questa diavoleria, peccato poi che per estrarre il cd dalla custodia, si debba bestemmiare in sette lingue, ma son dettagli. Il self-title album della band veneta, prodotto addirittura da cinque etichette indipendenti (credo sia un record), rappresenta il debutto per il trio di quest'oggi. Nove i brani a disposizione, che irrompono con il disturbante sonoro di "Pollock", traccia dal piglio math/noise assai vicina anche al nintendocore, che dichiara che il percorso avantgarde-sperimentale dell'ensemble, sarà tutto fuorché accessibile. Difficile affibbiare un'etichetta ben precisa alla musica dei Lorø, vi basti sapere che il disco è strumentale e lungo i suoi 48 minuti, sarà alquanto facile passare dal sound di "tooliana" memoria di "Thalia", in cui psichedelici synth ci accompagnano a sprazzi lungo il suo liquido defluire, a fraseggi jazz, noise o math rock. Torniamo a "Thalia", il cui rifferama è abbastanza complesso, risentendo di influssi orientaleggianti e richiami alla System of a Down, solcando nel finale anche il mare del rumore. "A Trick Named God" è una lunga song elucubrante, che si muove tra riffoni al limite del doom, idiosincrasici passaggi noise, energiche cavalcate cinematiche ed un dilatato spazio drone, il tutto guidato dalla maestria effettistica di Mattia Bonafini. Con "High Five", sembra di aver a che fare con un'altra band, uno di quei complessi che riempiono jazz club o lounge bar: il clima è rilassato, almeno fino a quando il riffing distorto di Riccardo Zulato aumenta in profondità, mentre il lavoro delirante ai synth, accresce la follia distorsiva dei nostri. Ancora noise/drone con "Ø", un'accozzaglia di rumori e ambientazioni angoscianti create dal suono di un didjeridoo, che tuttavia non trova il mio pieno consenso. Skippo alla successiva "At Mortem", una traccia in apparenza normale, quasi rock, in cui la sezione ritmica acquista in abrasività col crescere del brano, e i suoni sembrano quelli di un trapano che vuole penetrare la calotta cranica. Fortunatamente un break ambient ne interrompe il supplizio, concedendo un attimo di tregua prima della claustrofobica chiusura affidata all'elettronica e a deliziose melodie di sottofondo. Forse è il suono di un allarme quello che brevemente si palesa in "Clown’s Love Ritual”, il pezzo più lineare del cd, ma anche quello più tribale, grazie all'eccelsa performance dietro alle pelli di Alessandro Bonini. L'improvvisazione si cela comunque dietro ogni angolo, pertanto mai abbassare la guardia con questo power trio di Padova. "Faster, Louder & Better" accentua il riffing vetriolico dell'act italico, già sottolineato in precedenza, agendo anche sulla velocità, con una cavalcata che gronda in termini di groove. Come dicevo però, ecco che i Lorø deviano ancora una volta dalla strada maestra arrivando ad imbastire un finale schizofrenico. Centrifugato dai suoni catatonici di questa inusuale band, che trova alcuni punti di contatto con gli Zu e gli Helmet, arrivo alla conclusiva "To Whom it May Concern", frase che utilizzo molto spesso nei documenti di lavoro e che qui invece segna la fine di un impervio viaggio musicale che non sarà cosi semplice intraprendere. Di idee ce ne sono un'infinità, starà ai Lorø provare a renderle più abbordabili se vorranno far breccia tra un pubblico più vasto. Assai coraggiosi. (Francesco Scarci) 

(Red Sounds Records/In the Bottle Records/Cave Canem DIY/
DIO)))Drone/Icore Produzioni - 2015)
Voto: 75

sabato 17 maggio 2014

Whales and Aurora - Whales and Aurora EP

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna
Dopo aver ascoltato questo EP di due pezzi dei vicentini Whales and Aurora, vecchia conoscenza del Pozzo dei Dannati, l'unica cosa che mi viene da chiedermi è come sia possibile una tiratura limitata a 66,6 copie. Mi è andata di culo se fra le mani non mi sono ritrovato un cd storpio, privo di un pezzo; mah, tutta colpa del marketing. Certo, fossero i nostri una band black satanista ci poteva anche stare questa trovata, ma trattandosi di sludge/post metal, e, essendo il contenuto assai interessante, ci si poteva spingere anche a 100 copie. Ma si sa che in tempi di magra ci si deve accontentare, e in questo caso ancor di più, visti i soli due brani che compongono questo EP omonimo. Faccio allora partire "Haunted by Coyotes", song dall'incedere ossessivo, colpa di una sorta di loop doomish contrappuntato da sonorità southern che cresce pian piano in modo vorticoso per esplodere finalmente al minuto 3:30 (un po' troppo tardi considerata la sua durata di poco più di 5 minuti). La proposta del combo veneto torna a solcare i mari del post metal cosi come fatto nella precedente release, seguendo un po' le dinamiche di act quali Cult of Luna o Isis. Solite vocals al vetriolo completano il finale tempestoso. Un altro incipit ipnotico ci introduce "Albatros", song di quasi nove minuti che si dispiega tra oniriche sonorità post rock, che sembrano delineare il nuovo percorso musicale per il 5-piece italico: raffinate atmosfere si alternano ad ambientazioni soffuse, delicate e progressive in cui è soprattutto la componente malinconica, affrescata dalle linee melodiche delle sue chitarre, a rimanere impressa nella mia testa. Dopo una lunga interminabile intro, i nostri riprendono con il loro sound che sembra aver perso parte della primordiale ruvidità a favore di sonorità più psichedeliche, quasi shoegaze. Non ci sono ancora vocals ruffiane in stile Alcest sia chiaro, però la musica dei Whales and Aurora si mostra più accessibile che in passato. L'EP termina qui, al minuto 14:09 e mi rendo conto che l'antipasto è si succulento, ma anche assai scarsino. Auspico pertanto l'uscita quanto prima del nuovo full length e altre due chiacchiere in compagnia dei nostri, nello studio del Pozzo dei Dannati. (Francesco Scarci)

(Red Sound Records - 2014)
Voto: 70

http://whalesandaurora.bandcamp.com/

mercoledì 26 febbraio 2014

Woodwall - Woodempire

#PER CHI AMA: Stoner, Post Metal, Orange Goblin, Isis 
Una rivelazione, semplice quanto improvvisa e fulminante. Ecco cosa mi è accaduto quando ho avuto tra le mani questo album marchiato Red Sound Records, che tra l'altro sta pubblicando una serie fortunata di ottime band. I Woodwall sono un quartetto lunigiano relativamente giovane di formazione (2009), ma che sfodera un sound e una composizione che porta subito alla mente gruppi di grosso calibro come Isis e Orange Goblin. Ma le somiglianze si fermano qui perché i Woodwall hanno lavorato molto per creare una proposta molto personale che prende si spunto dallo stoner psichedelico (i synth svolgono un ruolo molto importante in questo 'Woodempire'), ma va oltre fino a toccare il post rock/metal e tornare poi allo sludge. Dopo questa classificazione necessaria per gli amanti delle etichette, possiamo goderci a pieno le sei tracce ed entrare con passo leggero nel magico bosco dei Woodwall. La prima traccia affonda le sue radici tra riff grossi e carichi di bassi all'inverosimile con una sezione ritmica che non lascia respiro. Blues sporco di fuliggine annerisce le nostre mani e cerchiamo una via di fuga che ci riporti alla luce del sole, ma il bosco è troppo fitto e le note dei synth ci chiamano con voce suadente. Abbiamo appena varcato la soglia e i lunghi rami degli alberi ci hanno già avvinghiato, non ci resta che continuare il nostro cammino. "Kind Stuste" è un classico pezzi stoner che prende spunto dai storici Kyuss e Sleep, ma la band riesce bene nell'impresa e punta tutto sul suono. Le tastiere sono quasi sommesse e forse avrebbero potuto osare di più e dare più personalità al pezzo. Dopo questa breve divagazione, riprendiamo il nostro viaggio e grazie a "Walden" possiamo bere la linfa vitale e raggiungere la conoscenza. L'introduzione è maestosa, con sonorità prog direttamente dagli anni settanta che omaggiano i Goblin di Simonetti e ci trascinano in un vortice mistico che fa venire voglia di perdersi e divenire noi stessi parte del magico bosco dei Woodwall. Sono sincero, era da molto tempo che non mi emozionavo così tanto e ho sentito solo la mancanza della versione vinile di questa traccia che potrebbe regalare ancora maggiori emozioni sonore. Riff di basso e batteria potenti, assoli ricchi di delay e pad quasi ambient si uniscono perfettamente per dar voce ad ottimi arrangiamenti e cambi di direzione che non fanno altro che arricchire un brano già speciale di suo. Dopo questi undici minuti ti ritrovi a boccheggiare ed a soffrire subito di una crisi di astinenza che deve essere placata quanto prima. Per fortuna arriva "Holocene/Cambrian" la cui struttura si basa sulla batteria e basso che all'unisono creano una ritmica onirica accompagnata da una voce ricca di effetti e fascino. Synth e chitarra rincarano la dose e chiudono un album che rasenta la perfezione. È presto per dire che è il miglior lavoro dell'anno, ma gli altri gruppi sono avvisati. Il bosco rischia di incantarvi e difficilmente troverete il sentiero che vi riporterà indietro. (Michele Montanari)

(Red Sound Records - 2013)
Voto: 90 

venerdì 7 febbraio 2014

Muschio - Antenauts

#PER CHI AMA: Post-hardcore, Noise, Psichedelia
I Muschio sono un power trio strumentale di Verbania che vede la luce nel 2011 e da allora hanno lavorato caparbiamente per forgiare il loro sound tra post-hardcore, noise e psichedelia. Dopo l'iniziale fase che ha preferito l'esibizione, circa un anno fa hanno rilasciato questo "Antenauts" marchiato Red Sound Records. Otto tracce per circa quaranta minuti di elucubrazioni sonore, riff granitici, phaser e violenza sonora a go go. Tolto il cantato come linea melodica (quando possibile), il lavoro grosso rimane nelle sapienti mani dei musicisti e devo dire che i Muschio se la cavano bene. Le tracce sono diverse tra loro e non vi ritrovate con quaranta minuti di supplizio da dover affrontare con calma e concentrazione, anzi. I pezzi scivolano via facilmente lasciando piacevolmente colpito chi li ascolta. "Black Mamba" è un'ottima apertura da live e funziona benissimo come biglietto da visita della band. Infatti c'è tutto, intro noise, arpeggio rockeggiante e un bel riff di chitarra che accarezza e poi scuote in crescendo. Saltando qualche traccia, vi segnalo "Ariel", pezzo dalle atmosfere iniziali cupe e guidato da una scala in minore che poi cambia verso i due minuti di ascolto e diventa più aggressivo. Basso e batteria duettano sempre in sintonia, forse un pò troppo lineari se si vuole cercare il pelo nell'uovo. Bello anche il riff stoner in stile QOTSA a metà traccia. Altra traccia degna di nota è "Volcano", ritmo cadenzato e riff di chitarra che seguono una struttura ben bilanciata. Quasi sei minuti pompati con un bel break in stile doom a metà traccia che aiuta l'ascoltatore e gli permette di ripendere fiato prima del gran finale. Distorsioni rotonde e tanti bassi, come piacciono a me. Ottimo esordio, ascoltate la versione digitale del cd e poi decidete se vale la pena. (Michele Montanari)

(Red Sound Records - 2013)
Voto: 70

http://facebook.com/muschiocampari

mercoledì 5 febbraio 2014

Dotzauer - Deep

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Cult of Luna
Come al solito ho bisogno dei miei tempi per recensire un lavoro. Se poi so che di mezzo c'è anche lo spazio per un'intervista, preferisco certamente conoscere i musicisti prima di emettere la mia sentenza. E cosi è stato. Intervista fatta, e un'immagine dei nostri è già abbondantemente chiara nella mia testa. E ora la sentenza. I Dotzauer non sono degli sprovveduti, ma anzi dietro questi visi da bravi ragazzi, si celano dei musicisti con decenni di esperienza alle spalle (all'attivo già un disco con una band di fusion progressive) e un bagaglio tecnico a dir poco invidiabile, addirittura non del tutto palesato all'interno di questo promettente 'Deep'. Ecco 'Deep', l'esordio della band trevigiana, disco maturato e pensato un po' sulla scia dei gusti musicali del bassista, cosi vicino (e chi potrebbe dargli torto) alla emotività che emanano le band post metal, Isis e Cult of Luna, su tutti, veri e propri capisaldi di tutti coloro che si mettono a suonare questo fantastico genere, creduto da tanti come giunto al capolinea. Non sono d'accordo. E le emergenti realtà come i Dotzauer, qui coadiuvati dal vocalist dei Whales and Aurora, sono la prova evidente che c'è ancora tanto da dire in quest'ambito. Sei le tracce a disposizione dei nostri, che attaccano con la classicheggiante (rude e più orientata ad un versante doom) "Organic Silver" (da cui è stato anche estrapolato un video, assolutamente da vedere), per proseguire con "Water Buries the Skyline", che sottolinea la grande capacità dei nostri nel giocare con una serie di arpeggi dal flavour tipicamente post rock, coniugando il tutto con il rifferama marcatamente ribassato del post metal e non solo. I desolanti paesaggi tracciati in 'Somewhere Along the Highway' dai Cult of Luna si coniugano con lo stoner energico dei Mastodon, regalando una sana goduria alle mie orecchie. "Deepster" è un intermezzo drone che apre all'affabile raffinatezza di "Air Hunger": un pezzo che si apre con straordinaria delicatezza, in cui le vocals di Alberto Brunello smettono per un attimo di essere straripanti nei loro vocalizzi growl e si adoperano in una veste decisamente pulita con le linee di chitarra che accompagnano soavi e rilassate. Lecito aspettarsi l'innesco della tempesta: come da copione vengo accontentato e la song si srotola in un riffing minaccioso ma mai efferato, un po' come quel pesce fossile che troneggia sulla copertina del disco. Siamo quasi ai titoli di coda: "Shred of Consciousness" è un'altra perla di suoni post rock, in cui si mischiano addirittura echi di scuola Cynic, ma forse dovrei andare più lontano ancora e ricercare nel blues quei riff di chitarra dell'ottimo Matteo che esplodono nell'arco della traccia, per un risultato finale che come nuovamente si muove tra l'ardore del post e notturne divagazioni ambient, che scomodano oltre che gli Isis anche i gods di Oakland, Neurosis. A chiudere l'ottimo esordio dei Dotzauer, ecco arrivare "When the Soul and the Abyss Wave to Each Other": inizio tiepido, quasi romantico, vocals pulite, per volgere di li a poco, verso un riffing irrequieto e un po' più pesante, ma che non tralascia di riservare splendidi attimi acustici, che confermano la caratura di un terzetto che ora ha il solo compito di trovare un vocalist in pianta stabile. Per ora, ottima prova, da essere confermata con l'album che verrà, magari quello di una maggiore sperimentazione... (Francesco Scarci)


(Red Sound Records - 2013)
Voto: 75