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domenica 27 ottobre 2013

Osoka - S/T

#PER CHI AMA: Drone/Doom/Post, Sleep, Jesu, Om, Khanate
I russi Osoka pubblicano per la Slow Burn Records il loro primo full lenght datato 2013 e non potevano trovare casato migliore per esporre la propria musica. Proprio così, valutando che stiamo parlando di musica ipnotico/compulsiva, deviata e iper distorta. Stiamo parlando di un ingorgo astrale fatto di Sleep, Khanate e Jesu, musica senza compromessi devastante e letale. Non ci sono momenti di luce, il tutto risuona come una meditazione tibetana triturata da un asceta folle, innamorato del metal più estremo e rumoroso. Una catarsi sistematica che si muove insidiosa ed il suo avanzare lento è micidiale, asfissiante, totale, gonfio di sole nerissime ombre. Stilisticamente vicinissimi all'album apice degli Sleep, "Jerusalem", ma con un suono più freddo e industriale, senza le influenze '70s, agli assoli si sostituiscono cascate di lavici feedback. I vocalizzi alla Om sono un optional che a volte ritorna per aumentare l'ipnosi sotto forma di canti sciamanici siberiani... buona la grafica del cd, peccato per la grafia completamente in cirillico che assolutamente non decifriamo. L'album si snoda in sette lunghissime tracce monotematiche e monolitiche, straripanti distorte rasoiate al rallentatore, un umore nero capace di far sprofondare chiunque all'inferno e non farlo più tornare e una patologica composizione devota alla psichedelia pesante più introspettiva e cupa. Da elogiare uno sforzo sonoro di tale portata anche se l'ombra del mito antecedente, ossia il suddetto "Jerusalem", ci fa perdere un po' il senso di questo lavoro, caricandolo di idee ben sviluppate ma sensibilmente poco originali. Per amanti del genere è consigliato. (Bob Stoner)

(Slow Burn Records - 2013)
Voto: 65

http://slowburnrecords.bandcamp.com/album/osoka

sabato 26 ottobre 2013

Australasia - Vertebra

#PER CHI AMA: Post-rock strumentale
Già recensiti e acclamati dal sottoscritto in occasione del loro EP d'esordio “Sin4tr4“, ritornano sulle scene gli Australasia a presentarci il loro primo full lenght. Fortunatamente non mi devo più accontentare di una manciata di brani come accadde per il debut, ma il nuovo “Vertebra” ci tiene compagnia con i suoi suoni fluttuanti per 35 minuti. La componente post rock strumentale si consolida in questa nuova release, anche se “Aorta” apre in modo roboante accarezzandoci poi con delicati tocchi acustici. I brani sono corti e per questo meglio immagazzinabili nella nostra memoria sonora. Una soave voce femminile (di Mina Carlucci) delizia il nostro palato sul finale della opening track con una eterea performance. E via con “Vostok”, il cui intro è affidato a suoni elettronici, che si accavallano con robuste chitarre e pezzi in acustico, a cura di Giuseppe Argentiero. Però è il driver Gian Spalluto, mastermind dei nostri, a condurci nei meandri più ispirati e reconditi della sua mente e con “Zero” tocca il proprio apice musicale. La canzone non è nulla di trascendentale in realtà, ma quel suo ardore pregno di malinconia e gioia allo stesso tempo, donano un sorriso al mio viso. L'accelerata finale poi, degna delle migliori band shoegaze, e retaggio della componente black che anima lo spirito irrequieto di Gian, completano quella che sarà la mia song preferita di questo intrigante “Vertebra”. È il turno di “Aura”, song al limite del trip hop, che potrebbe vivere tranquillamente su un disco di Sigur Ros o Massive Attack, in cui la bravissima Mina ci regala anche gli attimi più emozionali di questo disco. Dopo l'ascolto di questa song mi domando come l'Immortal Frost Productions, label dedita per lo più a black e ambient, abbia pensato di promuovere i nostri, che nutrirebbero maggiori speranze e visibilità, con etichette più vicine al loro sound. Scelta opinabile e non me ne vogliano gli amici della IFP. Con “Antenna” però me ne chiarisco il motivo: pezzo caustico, che rievoca l'ardore post black del polistrumentista italico, a miscelarsi egregiamente con sonorità cupe post rock. Si continua a martellare anche con la breve “Volume”, mentre i due minuti della title track rappresentano piuttosto un intermezzo che ci prepara alle soffuse melodie di “Apnea” (che già avevamo ascoltato nel precedente EP) in cui ancora una volta è la calda voce di Mina a deliziarci, quando si insinua nel vortice musicale dominato dall'elettronica. A chiudere ci pensano la robustezza disgregante di “Deficit” e la lunghissima “Cinema”, traccia che evoca paesaggi lontani, avvolti da una malinconica nebbia autunnale che conferma le eccelse qualità di una band che deve avere solo quel pizzico di fortuna per poter esplodere. Fossi in loro punterei oltremanica (o oltreoceano) per guardare speranzosi al proprio futuro. Bravi! (Francesco Scarci)

(Immortal Frost Productions - 2013)
Voto: 80

http://www.australasiamusic.com/

Nightbringer/Dødsengel - Circumambulations of the Solar Inferno

#PER CHI AMA: Black, Deathspell Omega, Blut Aus Nord
Un altro split cd, questa volta rilasciato dalla interessantissima etichetta Daemon Worship Productions (date pure un occhio al loro malvagio catalogo) in cui a confrontarsi sono i norvegesi Dødsengel, balzati alle cronache lo scorso anno con la release dell'introvabile “Imperator” la cui recensione potete trovare su questa stesse pagine e gli americani Nightbringer. Quattro tracce di oscuro ed enigmatico black metal, che vede aprire i battenti con la band del Colorado. “Watchtower of the West: Gate of the Mighty Dead“ ci presenta la band statunitense, che si è fatta notare nel 2011 con il lavoro “Hierophany of the Open Grave”, fuori per Season of Mist. In queste due tracce il quintetto dà prova di un granitico e sghembo black metal. Inizio affidato a delle litanie liturgiche, quasi ambient, in cui l'unica cosa che percepisco è un'insana malvagità. Poi ecco esplodere nelle mie casse il fragore malsano e distorto del sound dei nostri. Blut Aus Nord e Deathspell Omega i principali punti di riferimento per un black ortodosso ricco di atmosfere pregne di magia nera. Da brividi i rallentamenti assai vicini al doom, da incubo le screaming vocals che si ergono sul tappeto lento e occulto. Con “Watchtower of the North: Ascension of the Midnight Sun“, una gelida folata arriva dal nord con inno black di suprema bellezza. Dentro di me si materializzano le più infauste paure, insicurezze che gravitano e popolano la mia mente che tortuosamente viene inglobata e divorata dai suoni spettrali dei Nightbringer. Spaventosamente affascinanti. È il turno dei norvegesi, da cui è lecito aspettarsi molto. “Watchtower of the East: Horus Sunflesh“ apre come un'altra invocazione carica di delittuosa malvagità, una tempesta sonora che spazza via quanto era rimasto nelle nostre menti. Le melodie delle chitarre sono quelle di sempre, gelide ma in questo caso non cosi intense come in “Imperator”. La conclusiva “Watchtower of the South: Drunk Upon Inmost Fire” è una montagna insormontabile da 12 minuti che ci conduce finalmente all'ultimo cancello (il concept del cd ruota intorno ad un viaggio che dalla morte, attraverso il mondo sommerso si arriva all'ascensione ed infine alla rinascita). La furia black si mutua con ritmiche doom, in cui a ergersi è un'aspra voce spiritata; a fare capolino e rendere la proposta più lugubre ci pensano cupi momenti di desolante atmosfera. Non mi hanno impressionato granché in quest'occasione i Dødsengel, decisamente più all'altezza i Nightbringer, per un disco che comunque merita assolutamente il vostro ascolto. Sinistri! (Francesco Scarci)

Petrychor/Frozen Ocean - Autumn Bridges

#PER CHI AMA: Cascadian Black Metal
Come nella più classica competizione sportiva, ecco scontrarsi i contendenti delle due super potenze mondiali, da una parte gli statunitensi Petrychor e dall'altra i russi Frozen Ocean, quest'ultimi amici di vecchia data del Pozzo dei Dannati. Ad aprire le danze di questo split, ci pensa il cascadian black del mastermind californiano, Tad Piecka. “Tomorrow it will Rain Over Bouville” è una traccia di undici minuti che mischia il folklore degli Agalloch con la furia chitarristica e vocale dei Wolves of the Throne Room e la malinconia dei Panopticon, per un risultato davvero intrigante. Sprazzi acustici, un'alternanza umorale e intermezzi tribali ne completano l'opera. È la volta della one man band russa e di “To Drown in Hoary Grass”. Sappiamo quanto sia eclettico il musicista russo (punk, black, elettronica e ambient nel suo repertorio): qui ci propone due pezzi di black dal forte sapore epico: le sfuriate a livello ritmico non mancano di certo, ma come al solito sono le parti atmosferiche a farla da padrone in cui il buon Vaarwel ci spinge in una performance vocale di notevole spessore con voci assai evocative. L'unico neo nel sound della band russa, rimane quel tappeto ritmico affidato alla drum machine che molto spesso mi fa storcere il naso, per il suo suono cosi artificiale. Chiude la title track, una song strumentale dal flavour cibernetico, che fondamentalmente funge da outro ad uno split che in 23 minuti riesce a regalare sprazzi di buona musica. Sinceramente ne avrei graditi di più, ma confido nelle enormi potenzialità delle due band di offrirci nuovi album completi ricchi di quella componente black naturalista, ascolta quest'oggi. Un plauso ad entrambi. (Francesco Scarci)

(Wolfsgrimm Records - 2013)
Voto: 75

http://petrychor.com/
http://frozen-ocean.net/

venerdì 25 ottobre 2013

Achernar Dream – Hypocrisera

#PER CHI AMA: Progressive Metal, Djent, John Petrucci, Chimp Spanner
Non si sa né da dove né come mi sia arrivato questo disco. Gli Achernar Dream, band formata dal duo A/s.i.de. e Bleeding Heartist, propongono con questo "Hypocrisera", una sorta di viaggio musicale, un’opera dedita ad un progressive metal, rattoppato da svariate parti ambient atmosferico avanguardistiche. Poche idee un po’ confuse, è così che si evolve questo lavoro: un patchwork di parti melodiche, dove prevale una voce femminile e più spesso una maschile (tutte rigorosamente in pulito), come in “I Breathed”, vari assoli che spuntano inaspettatamente, più varie sezioni che risultano spesso sconnesse dal tema principale, il tutto alternato a tracce ambient minimalistiche. Tuttavia la musica del combo italico evidenzia una certa perizia tecnica, velocità d'esecuzione e una composizione più fitta. La produzione, cristallina per gli intermezzi atmosferici, è invece secca e poco profonda nel resto del cd, perdendo mordente soprattutto nelle parti ritmiche che fortunatamente sono sostenute da un ottimo drumming, anche se reso opaco dalla produzione. Questo viaggio di una cinquantina di minuti termina com'era iniziato, ovvero senza nulla di concreto. Ci sono tante piccole parti, figlie l'una dell'altra concettualmente, le quali non fanno altro che sostituirsi man mano, creando un vortice apparentemente confusionale, ma che dopo svariati ascolti accusa un po’ di ripetitività. Tanta carne al fuoco sicuramente, io avrei giocato maggiormente sull'utilizzo delle parti atmosferiche che qui non sono sfruttate appieno, lasciate in mano troppo spesso a un piano mono tono o per colmare buchi e passaggi delle composizioni. Da rivedere. (Kent)

giovedì 24 ottobre 2013

X Suns – S/T

#PER CHI AMA: Post-rock, Russian Circle, Explosion In The Sky
La domanda è sempre quella, ovvero che cosa ci sia effettivamente ancora da dire nell’ambito di quel calderone di stili che per comodità di tutti chiamiamo post-rock. E la risposta, naturalmente, è sempre la stessa: probabilmente niente, ma forse non è poi così importante. Non se chi suona questo tipo di musica riesce a tirare fuori dal cilindro una manciata di minuti di grande musica, capace di emozionare, trascinare, e farti pensare che sia stata creata per esistere nel momento stesso in cui la stai ascoltando, come se fosse inevitabile, come se non ci fosse altra possibilità. E questa cosa riesce, parzialmente, ai X Suns (si pronuncia “Ten Suns”) trio chitarra-basso batteria di Seattle, se non altro per buona parte degli 11 minuti di “Pillars and Palaces”, seconda traccia di questo loro lavoro d’esordio. Un brano pressoché perfetto nella progressione e nel disegno di architetture ardite che paiono per un istante potersi staccare dal suolo. Suolo dove rimangono invece ancorati saldamente gli altri brani, che piacciono pur senza incantare (in particolare “In Irons”), nel loro declinare un post-rock strumentale energico e tutta sostanza, fondato in particolare sull’esuberanza del batterista Trent McIntyre, sempre protagonista nel corso del disco con improvvise accelerazioni, lente salite e vertiginose discese. Una proposta che si rifà – nelle intenzioni più che nei risultati – tanto alla complessità e la stratificazione dei Russian Circles quanto ai picchi emotivi di band quali gli Explosion in the Sky, pur non avendo l’impatto post-metal dei primi o la profondità e il respiro dei secondi. Lavoro comunque nel complesso ben fatto e molto godibile, che forse non verrà ricordato come una pietra miliare del genere, ma in grado di regalare una mezz’ora di buona musica. Oggi i X Suns sono un quartetto, con due chitarre (anche se il chitarrista originale, Keith Furtado, ha lasciato nel 2012), e pare stiano lavorando a nuovo materiale. Attesi alla seconda prova. (Mauro Catena)

Distorted Memory - The Eternal Return

#PER CHI AMA: Dark/Gothic EBM, Aggrotech, Elettronica
Dietro ai Distorted Memory c'è il canadese Jeremy Pillipow, iperprolifico e talentuoso guru dell'elettronica oscura e di ispirazione gotica e dark. I precedenti lavori ("Swallowing the Sun" del 2011 ma soprattutto "Temple of the Black Star" del 2012) erano già stati accolti con grande favore da pubblico e critica per l'innata capacità di unire l'avanguardia elettronica di ispirazione tedesca al trance/hip-hop, senza tralasciare inserti tribali, sonorità darkwave e ritmiche spiccatamente da dancefloor; il tutto condito da voci e liriche oscure, sussurrate e occulte. Il passo successivo nel percorso dei Distorted Memory, perfettamente in linea con i precedenti lavori, è questo "The Eternal Return": nove brani di elettronica ricca ma mai eccessivamente barocca, su cui Jeremy canta come se recitasse formule sabbatiche per invocare demoni. Sotto di lui, synth e bassi sintetici si inseguono per creare melodie (quasi) sempre interessanti, come negli splendidi brani "Throwing Stones" o "White Light/Dark Hope". Non mancano pezzi ballabilissimi (in "Back Away" o nel singolo "Lose Control" – complice il clap di mani che tiene il tempo– non posso fare a meno di immaginare due streghe da sabbath con le maschere dei Daft Punk) o curiose sperimentazioni (come nell'intro di chitarra acustica su "Fall"). Però attenzione: se siete abituati ad un'elettronica più spinta, nei canoni del dubstep o dell'industrial moderno, farete fatica ad ascoltare questo lavoro dei Distorted Memory: a parte i già citati brani da dancefloor, quasi tutto il disco è costruito sul mid-tempo, il beat perfetto per tessere le atmosfere oscure e disturbanti ricercate dai Distorted Memory. In più, batterie e synth sono di chiara ispirazione dark-wave anni '80 e '90: se rischiano di deludere gli ascoltatori più orientati all'elettronica del nuovo millennio, non potranno che far innamorare i nostalgici. (Stefano Torregrossa)

Aruna Azura - A Story of a World's Betrayal

#PER CHI AMA: Brutal Death/Jazz/Progressive/Hard Rock
Murmansk è la più grande città del mondo posta all'interno del Circolo polare Artico e anche la città che ha dato i natali a questi stralunati Aruna Azura. Li appello in questo modo perché il primo pensiero che ho fatto ascoltandoli, è stato “suonano dannatamente come gli Infernal Poetry”. Proprio la band nostrana infatti rappresenta la maggiore influenza per questo quintetto dedito a sonorità techno death progressive, che esce per la Metal Scrap Records. Si parte con “Rites” e già mi sembra di essere sulle montagne russe, con le chitarre, schizoidi, che si rincorrono tra sali e scendi da urlo e le vocals belle corrosive. Ma con l’inizio di “Disaster Lullaby” non vi è già più traccia delle influenze riscontrate nella opening track. I ritmi sono lenti, delicati, con la voce che passa con una certa disinvoltura dal growling terrificante al cleaning e le ritmiche che piano piano acquisiscono una maggiore grinta per tornare a pestare in modo convulso e disarticolato, con un break affidato ad una chitarra spagnoleggiante ed un finale in cui convergono una miriade di influenze, decisamente estranee al metal. Disorientato da questa ninna nanna, passo a “Empty Dawn”, smanioso di capire quali diavolerie ha da offrirmi questo cd. Il suono di una radio trasmette programmi confusi, la frequenza si aggiusta e nelle orecchie mi ritrovo un’altra band, dedita a sonorità space rock progressive, con una voce pulita che francamente non si dimostra di buon valore. Calma ragazzi, tanto la sorpresa è dietro l’angolo e i ragazzoni russi ci prendono per i fondelli ancora una volta, offrendoci un mix tra death metal, hard rock e glam. Fate voi. Preparazione tecnica superlativa, ottime le linee di chitarra, un po’ confuso l’utilizzo delle tre modalità vocali, la produzione forse è un po’ troppo ovattata. Sono disorientato perché riesco ad apprezzare (e tanto) questo disco, solamente a tratti. Alcuni frangenti (quelli più ruffiani) sono di bassa digeribilità e cosi la seconda parte della terza traccia diventa inascoltabile, tanto da spingermi a skippare alla successiva “Substance”. Il rombo di un motore di una moto apre la song, accompagnata da un riffing sincopato, a tratti brutale. Gorgheggi cavernosi si alternano a un cantato stridulo e contestualmente la musica si infila tra queste maglie, passando da un feroce riffing serrato ad aperture rock. Diavolo, mi piace. Non mi piace più. Come devo fare per assimilare questo lavoro? Invito anche voi a dare un ascolto a questo disco perché anche gli undici minuti di “Let Them Live” non mi sono certo d’aiuto, soprattutto quando nel tessuto della song compare Louis Armstrong con ”What a Wonderful World”. Troppa carne al fuoco e forse miscelata non proprio nel migliore dei modi. Gli Aruna Azura, forti del loro isolamento nell’estremo nord, hanno messo insieme in un bel calderone, le influenze provenienti dai mondi più disparati: jazz, brutal death, progressive, thrash convergono in un esplosivo concept relativo ad un viaggio in differenti mondi, ove ormai giace il ricordo di una civiltà che si è autodistrutta... (Francesco Scarci)

(Metal Scrap Records - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/arunaband