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sabato 26 ottobre 2013

Petrychor/Frozen Ocean - Autumn Bridges

#PER CHI AMA: Cascadian Black Metal
Come nella più classica competizione sportiva, ecco scontrarsi i contendenti delle due super potenze mondiali, da una parte gli statunitensi Petrychor e dall'altra i russi Frozen Ocean, quest'ultimi amici di vecchia data del Pozzo dei Dannati. Ad aprire le danze di questo split, ci pensa il cascadian black del mastermind californiano, Tad Piecka. “Tomorrow it will Rain Over Bouville” è una traccia di undici minuti che mischia il folklore degli Agalloch con la furia chitarristica e vocale dei Wolves of the Throne Room e la malinconia dei Panopticon, per un risultato davvero intrigante. Sprazzi acustici, un'alternanza umorale e intermezzi tribali ne completano l'opera. È la volta della one man band russa e di “To Drown in Hoary Grass”. Sappiamo quanto sia eclettico il musicista russo (punk, black, elettronica e ambient nel suo repertorio): qui ci propone due pezzi di black dal forte sapore epico: le sfuriate a livello ritmico non mancano di certo, ma come al solito sono le parti atmosferiche a farla da padrone in cui il buon Vaarwel ci spinge in una performance vocale di notevole spessore con voci assai evocative. L'unico neo nel sound della band russa, rimane quel tappeto ritmico affidato alla drum machine che molto spesso mi fa storcere il naso, per il suo suono cosi artificiale. Chiude la title track, una song strumentale dal flavour cibernetico, che fondamentalmente funge da outro ad uno split che in 23 minuti riesce a regalare sprazzi di buona musica. Sinceramente ne avrei graditi di più, ma confido nelle enormi potenzialità delle due band di offrirci nuovi album completi ricchi di quella componente black naturalista, ascolta quest'oggi. Un plauso ad entrambi. (Francesco Scarci)

(Wolfsgrimm Records - 2013)
Voto: 75

http://petrychor.com/
http://frozen-ocean.net/

venerdì 25 ottobre 2013

Achernar Dream – Hypocrisera

#PER CHI AMA: Progressive Metal, Djent, John Petrucci, Chimp Spanner
Non si sa né da dove né come mi sia arrivato questo disco. Gli Achernar Dream, band formata dal duo A/s.i.de. e Bleeding Heartist, propongono con questo "Hypocrisera", una sorta di viaggio musicale, un’opera dedita ad un progressive metal, rattoppato da svariate parti ambient atmosferico avanguardistiche. Poche idee un po’ confuse, è così che si evolve questo lavoro: un patchwork di parti melodiche, dove prevale una voce femminile e più spesso una maschile (tutte rigorosamente in pulito), come in “I Breathed”, vari assoli che spuntano inaspettatamente, più varie sezioni che risultano spesso sconnesse dal tema principale, il tutto alternato a tracce ambient minimalistiche. Tuttavia la musica del combo italico evidenzia una certa perizia tecnica, velocità d'esecuzione e una composizione più fitta. La produzione, cristallina per gli intermezzi atmosferici, è invece secca e poco profonda nel resto del cd, perdendo mordente soprattutto nelle parti ritmiche che fortunatamente sono sostenute da un ottimo drumming, anche se reso opaco dalla produzione. Questo viaggio di una cinquantina di minuti termina com'era iniziato, ovvero senza nulla di concreto. Ci sono tante piccole parti, figlie l'una dell'altra concettualmente, le quali non fanno altro che sostituirsi man mano, creando un vortice apparentemente confusionale, ma che dopo svariati ascolti accusa un po’ di ripetitività. Tanta carne al fuoco sicuramente, io avrei giocato maggiormente sull'utilizzo delle parti atmosferiche che qui non sono sfruttate appieno, lasciate in mano troppo spesso a un piano mono tono o per colmare buchi e passaggi delle composizioni. Da rivedere. (Kent)

giovedì 24 ottobre 2013

X Suns – S/T

#PER CHI AMA: Post-rock, Russian Circle, Explosion In The Sky
La domanda è sempre quella, ovvero che cosa ci sia effettivamente ancora da dire nell’ambito di quel calderone di stili che per comodità di tutti chiamiamo post-rock. E la risposta, naturalmente, è sempre la stessa: probabilmente niente, ma forse non è poi così importante. Non se chi suona questo tipo di musica riesce a tirare fuori dal cilindro una manciata di minuti di grande musica, capace di emozionare, trascinare, e farti pensare che sia stata creata per esistere nel momento stesso in cui la stai ascoltando, come se fosse inevitabile, come se non ci fosse altra possibilità. E questa cosa riesce, parzialmente, ai X Suns (si pronuncia “Ten Suns”) trio chitarra-basso batteria di Seattle, se non altro per buona parte degli 11 minuti di “Pillars and Palaces”, seconda traccia di questo loro lavoro d’esordio. Un brano pressoché perfetto nella progressione e nel disegno di architetture ardite che paiono per un istante potersi staccare dal suolo. Suolo dove rimangono invece ancorati saldamente gli altri brani, che piacciono pur senza incantare (in particolare “In Irons”), nel loro declinare un post-rock strumentale energico e tutta sostanza, fondato in particolare sull’esuberanza del batterista Trent McIntyre, sempre protagonista nel corso del disco con improvvise accelerazioni, lente salite e vertiginose discese. Una proposta che si rifà – nelle intenzioni più che nei risultati – tanto alla complessità e la stratificazione dei Russian Circles quanto ai picchi emotivi di band quali gli Explosion in the Sky, pur non avendo l’impatto post-metal dei primi o la profondità e il respiro dei secondi. Lavoro comunque nel complesso ben fatto e molto godibile, che forse non verrà ricordato come una pietra miliare del genere, ma in grado di regalare una mezz’ora di buona musica. Oggi i X Suns sono un quartetto, con due chitarre (anche se il chitarrista originale, Keith Furtado, ha lasciato nel 2012), e pare stiano lavorando a nuovo materiale. Attesi alla seconda prova. (Mauro Catena)

Distorted Memory - The Eternal Return

#PER CHI AMA: Dark/Gothic EBM, Aggrotech, Elettronica
Dietro ai Distorted Memory c'è il canadese Jeremy Pillipow, iperprolifico e talentuoso guru dell'elettronica oscura e di ispirazione gotica e dark. I precedenti lavori ("Swallowing the Sun" del 2011 ma soprattutto "Temple of the Black Star" del 2012) erano già stati accolti con grande favore da pubblico e critica per l'innata capacità di unire l'avanguardia elettronica di ispirazione tedesca al trance/hip-hop, senza tralasciare inserti tribali, sonorità darkwave e ritmiche spiccatamente da dancefloor; il tutto condito da voci e liriche oscure, sussurrate e occulte. Il passo successivo nel percorso dei Distorted Memory, perfettamente in linea con i precedenti lavori, è questo "The Eternal Return": nove brani di elettronica ricca ma mai eccessivamente barocca, su cui Jeremy canta come se recitasse formule sabbatiche per invocare demoni. Sotto di lui, synth e bassi sintetici si inseguono per creare melodie (quasi) sempre interessanti, come negli splendidi brani "Throwing Stones" o "White Light/Dark Hope". Non mancano pezzi ballabilissimi (in "Back Away" o nel singolo "Lose Control" – complice il clap di mani che tiene il tempo– non posso fare a meno di immaginare due streghe da sabbath con le maschere dei Daft Punk) o curiose sperimentazioni (come nell'intro di chitarra acustica su "Fall"). Però attenzione: se siete abituati ad un'elettronica più spinta, nei canoni del dubstep o dell'industrial moderno, farete fatica ad ascoltare questo lavoro dei Distorted Memory: a parte i già citati brani da dancefloor, quasi tutto il disco è costruito sul mid-tempo, il beat perfetto per tessere le atmosfere oscure e disturbanti ricercate dai Distorted Memory. In più, batterie e synth sono di chiara ispirazione dark-wave anni '80 e '90: se rischiano di deludere gli ascoltatori più orientati all'elettronica del nuovo millennio, non potranno che far innamorare i nostalgici. (Stefano Torregrossa)

Aruna Azura - A Story of a World's Betrayal

#PER CHI AMA: Brutal Death/Jazz/Progressive/Hard Rock
Murmansk è la più grande città del mondo posta all'interno del Circolo polare Artico e anche la città che ha dato i natali a questi stralunati Aruna Azura. Li appello in questo modo perché il primo pensiero che ho fatto ascoltandoli, è stato “suonano dannatamente come gli Infernal Poetry”. Proprio la band nostrana infatti rappresenta la maggiore influenza per questo quintetto dedito a sonorità techno death progressive, che esce per la Metal Scrap Records. Si parte con “Rites” e già mi sembra di essere sulle montagne russe, con le chitarre, schizoidi, che si rincorrono tra sali e scendi da urlo e le vocals belle corrosive. Ma con l’inizio di “Disaster Lullaby” non vi è già più traccia delle influenze riscontrate nella opening track. I ritmi sono lenti, delicati, con la voce che passa con una certa disinvoltura dal growling terrificante al cleaning e le ritmiche che piano piano acquisiscono una maggiore grinta per tornare a pestare in modo convulso e disarticolato, con un break affidato ad una chitarra spagnoleggiante ed un finale in cui convergono una miriade di influenze, decisamente estranee al metal. Disorientato da questa ninna nanna, passo a “Empty Dawn”, smanioso di capire quali diavolerie ha da offrirmi questo cd. Il suono di una radio trasmette programmi confusi, la frequenza si aggiusta e nelle orecchie mi ritrovo un’altra band, dedita a sonorità space rock progressive, con una voce pulita che francamente non si dimostra di buon valore. Calma ragazzi, tanto la sorpresa è dietro l’angolo e i ragazzoni russi ci prendono per i fondelli ancora una volta, offrendoci un mix tra death metal, hard rock e glam. Fate voi. Preparazione tecnica superlativa, ottime le linee di chitarra, un po’ confuso l’utilizzo delle tre modalità vocali, la produzione forse è un po’ troppo ovattata. Sono disorientato perché riesco ad apprezzare (e tanto) questo disco, solamente a tratti. Alcuni frangenti (quelli più ruffiani) sono di bassa digeribilità e cosi la seconda parte della terza traccia diventa inascoltabile, tanto da spingermi a skippare alla successiva “Substance”. Il rombo di un motore di una moto apre la song, accompagnata da un riffing sincopato, a tratti brutale. Gorgheggi cavernosi si alternano a un cantato stridulo e contestualmente la musica si infila tra queste maglie, passando da un feroce riffing serrato ad aperture rock. Diavolo, mi piace. Non mi piace più. Come devo fare per assimilare questo lavoro? Invito anche voi a dare un ascolto a questo disco perché anche gli undici minuti di “Let Them Live” non mi sono certo d’aiuto, soprattutto quando nel tessuto della song compare Louis Armstrong con ”What a Wonderful World”. Troppa carne al fuoco e forse miscelata non proprio nel migliore dei modi. Gli Aruna Azura, forti del loro isolamento nell’estremo nord, hanno messo insieme in un bel calderone, le influenze provenienti dai mondi più disparati: jazz, brutal death, progressive, thrash convergono in un esplosivo concept relativo ad un viaggio in differenti mondi, ove ormai giace il ricordo di una civiltà che si è autodistrutta... (Francesco Scarci)

(Metal Scrap Records - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/arunaband

mercoledì 23 ottobre 2013

Revolted Masses - Us or Them

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Soulfly, Sepultura
Entusiasmante. Questo il mio primo pensiero, cliccando il tasto repeat sul lettore cd. I Revolted Masses sono 5 ragazzi provenienti dalla Grecia che, dopo aver pubblicato 2 demo, danno alle stampe il loro esordio; al primo ascolto, il deja vu che mi è balenato in mente mi ha riportato a metà anni '90, quando un gruppetto di ragazzotti brasiliani decise di andare a distribuire per il mondo tonnellate di chitarre distorte piuttosto che carnascialeschi motivetti di samba. Erano i Sepultura del mastodontico “Chaos A.D.” e del mai troppo lodato “Roots”; come per i vini di classe e le pietanze prelibate, quello che si percepisce è un retrogusto Sepultura mai troppo invadente, ma persistente per tutte le 11 tracce. La personalità del gruppo è ben presente, il quadro musicale è definito da influenze che pescano a piene mani dalla musica mediorientale, il tappeto sonoro è thrash metal ed anche piuttosto pesante. I ragazzi suonano bene, pestano con criterio e quando decidono di farlo forte, assestano colpi che lasciano il segno. Entrando nello specifico, i primi due pezzi (“Savage Temper” e “ Us or Them”) sono devastanti, per potenza e bellezza. L'incipit del dischetto lascia senza fiato, “se dovesse continuare su questi livelli ci scappa il capolavoro...” penso subito, lasciando che le note colpiscano i timpani; la scaletta continua e ci sono almeno altri tre/quattro pezzi degni di nota, su tutti le mazzate “Deathblock 11” , “Tale of a Tortured Soul” e la conclusiva “Revolted Masses”, che sembra nata apposta per chiudere la scaletta con la giusta dose di violenza. Grande la prestazione agli strumenti, davvero ottime le parti di chitarra, la batteria ha un drumming vario e tecnico quanto basta, il basso fa la sua parte senza mai strafare e la voce è padrona di un bel timbro adattissimo al genere (qua siamo molto vicini a quello di Max Cavalera). Superba la produzione, che è in grado di bilanciare perfettamente tutti gli strumenti e di fornire suoni genuini, caldi ma che evita di far finire tutto in un pastone sonoro a cui molti gruppi ci hanno abituato (purtroppo); per quello che riguarda i testi, i Revolted Masses si riferiscono alla severa situazione economica mondiale, con un occhio di riguardo ovviamente alla situazione della loro nazione; mai banali e profondamente impegnati, gli ellenici hanno sfornato un cd di tutto rispetto, una piacevolissima sorpresa in un genere che ha rischiato più volte, nella sua pur breve storia, di rasentare una monotonia irritante. Insomma, cerco di farla breve: siamo di fronte ad un signor disco, composto e suonato con maestria notevole e che non deluderà chi vorrà accostarvici; chi non vorrà correre questo “rischio”, perderà una buona occasione per capire che la buona musica è ancora in giro. Entusiasmatevi anche voi con “Us or Them”. (Claudio Catena)

sabato 19 ottobre 2013

Abstract Spirit - Theomorphic Defectiveness

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Skepticism
Con la Solitude Productions non c’è proprio verso di dormire sonni tranquilli. Dopo gli HellLight, torno a soffrire d’insonnia, tormentato da angosce e paure, contagiato dall’ascolto della nuova release dei russi Abstract Spirit, altra band che già abbiamo visionato sulle pagine del Pozzo. La proposta? Niente di più facile di un funeral doom, in cui un cavernoso e demoniaco vocalist si impossessa del microfono a partire dalla opening (e title) track, “Theomorphic Defectiveness”. Il sound del quartetto russo è decisamente meno accessibile rispetto a quello dei colleghi brasiliani sopraccitati. Meno accessibile perché di fondo vi è meno melodia, le tastiere sono decisamente meno invasive, seppur scandiscano i tempi, vi è un minor minimalismo sonoro; tuttavia qui si può trovare una maggiore imprevedibilità (l’uso delle trombe ad esempio nella breve “Leaden Dysthymia”), cosa assai rara per un genere ostico come questo. La cadenza dei nostri è sicuramente marziale, le ambientazioni nella loro cupezza, riescono addirittura ad infondere un senso di forte malessere interiore, tale da farci suggerire dalla label russa, l’etichetta per i nostri, di horror funeral doom band. Ben ci sta, aggiungo io, perché anche un ascolto non attento delle tracce, porterebbe a tale conclusione. Da brividi, non certo di piacere questa volta, l’impatto che il combo moscovita ha su chi scrive. L’oscurità di una notte senza luna si fa ancora più scura con la seconda song, “За сонмом цветных сновидений”, lenta e ossessiva nel suo macabro incedere. La voce da orco di A.K. iEzor è poi spaventosa, trasmettendo una malvagità primordiale. Le stridule ma efficaci chitarre offrono rari frangenti di epicità che richiamano il sound dei Primordial, ma non fatevi ingannare troppo, perché la musica dei nostri viaggia a rallentatore, seppur nella loro pomposa veste orchestrale. L’odio sgorga a fiumi dalla disarmonica quanto mai fluida colata lavica che emerge dagli strumenti di questo affascinante ensemble. Una voce femminile, quella di Stellarghost (la brava tastierista), fa capolino nella funerea “Prism of Muteness”, song che vanta un’ottima orchestrazione e anche la più varia del lotto. Con “Under Narcoleptic Delusions” si fa infatti ancora visita al catacombale antro della band, che chiude questo quarto capitolo della loro discografia con una monumentale cover degli Skepticism, “March October” per un finale all’insegna della cupezza totale. “Theomorphic Defectiveness” è in definitiva un album intrigante per certi versi, ma di difficilissimo approccio se non siete proprio dei fan del genere. Rischiereste seriamente di farvi male. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2013)
Voto: 70

Mother of Worms – The Grimoire of Abomination Tales

#PER CHI AMA: Black old school, Black'n'Roll
Prima di cominciare, una doverosa precisazione: non nascondo un certo grado di fatica fatta dal sottoscritto nell’affrontare un lavoro del genere, che comunque cercherò di analizzare nel modo più oggettivo possibile. Detto questo, parto col dire che il gruppo in questione non ci presenta nulla di nuovo con questo disco, avendo semplicemente raccolto il loro materiale composto per i precedenti 4 EP e sbattuto in una, udite udite, musicassetta. A giustificazione della compilation cito direttamente dal booklet: la band vige in uno stato di costante ed implacabile adorazione dei demoni della concupiscenza e della perversione, troppo pigra per vomitare un nuovo full-lenght. Ecco, a proposito del booklet, si tratta di un tripudio di pentacoli, croci rovesciate e crocefissi usati a mo’ di strumenti per trastullo personale, schizzi e spruzzi di sangue vario, borchie, catene ed accessori bondage, asce, per finire con nudi integrali con tanto di ciuffi di peli pubici e peni in erezione... credo di non aver dimenticato nulla. La tracklist si apre con “Cunt of Christ”. A questo punto è chiaro dove vogliono andare a parare i nostri, e lo fanno con 10 pezzi che spaziano tra il black metal più gracchiante ed old-school, un blackened punk-rock ed un black’n’roll dalle sonorità più settantiane, presentati con una produzione sporca (lercia a momenti) e zero fronzoli. Data la naturale bipartizione lato A - lato B della musicassetta, grosso modo possiamo riconoscere nei primi 5 pezzi (che corrispondono ai primi due minialbum “Demonatrixxx Butchery Cult” e “Hinterland”, rispettivamente del 2010 e 2011) l’anima più metal-oriented della band, mentre il lato opposto vede emergere uno spirito più punk-rock (“Silvia: Saint of Hell” – con riferimento alla procace pornodiva ceca Silvia Saint - e “Sex. Blood. Darkness”, entrambi del 2012). La band non schiaccia mai fino in fondo il pedale dell’acceleratore, affidando la struttura portante delle canzoni al semplice intreccio chitarre-batteria, mentre il basso ne esce spesso penalizzato data la qualità dell’incisione. Ai pezzi musicali poi si intrecciano carrellate di gemiti di piacere e godimento miste a grugniti, francamente fastforwardabili (FFW, è una musicassetta dopotutto). Non vi sono pezzi che emergono in modo preponderante sugli altri: segnalo solo “Under the Sign of Evil”, minimamente più in linea con le preferenze del sottoscritto in quanto a riff, e “Ritual 2012”. In breve, abbiamo a che fare con dei musicanti discreti, ma nulla che faccia realmente gridare al miracolo... che, visto lo spirito del disco, forse risulterebbe fuori luogo come termine (si insomma, i membri del gruppo potrebbero non prenderla bene). Certamente viene da chiedersi come potrebbe essere assistere ad un live show di questa band: paradossalmente, la resa rischierebbe di risultare migliore di quanto proposto su nastro, arricchita della forte e indispesabile componente scenica sulla quale il gruppo investe per tenere in piedi il carrozzone da indemoniati “pornosadomasosplatterdipendenti”. Curiosità, la discreta cover di “Fuck the Dead” di GG Allin e, se non sapete chi è, allora dieci Ave Maria ed un Pater Noster! Per concludere: senz’altro questa summa maxima, da un punto di vista prettamente musicale, scorre via abbastanza velocemente, ma altrettanto velocemente si perde perché priva di una vera idea che riesca a far presa nelle orecchie di chi ascolta. Per quel che riguarda tutto il resto lascio il giudizio finale a chiunque avrà voglia di imbarcarsi nell’ascolto di questa compilation... ma se permettete un pensiero personale, roba del genere non dovrebbe più esistere: le croci rovesciate, il sangue finto, i cazzi in tiro sbandierati hanno fatto il loro tempo e forse siamo abituati a tanto di quel peggio con cadenza quotidiana che, al fine di creare scalpore, tutto questo non basta più. Se invece lo scopo era puramente ludico, credo che vi siano sistemi ben più efficaci e, soprattutto, originali per risultare dissacranti. Amen. (Filippo Zanotti)


(Self - 2013) 
Voto: 60