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giovedì 22 agosto 2013

Runes Order - The Hopeless Days

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Dark Ambient, Cold Wave
Un tiepido inizio dalle movenze rallentate, quasi come intorpidite da una tremenda sensazione di gelo, la stessa orribile sensazione che solo il terrore per una morte iniqua può serbare. Incomincia così il settimo album di Runes Order, un lavoro le cui prime tracce lasciano ben intendere quale sia il percorso intrapreso da Claudio Dondo dopo le divagazioni nella musica horror anni '70 de "La Casa dalle Finestre che Ridono". Parlo di un ritorno alle sonorità di "Odisseum" e "Waiting Forever", lavori dai quali l'artista è ripartito per catturarne lo spirito e riproporne le intuizioni, ma affrontando l'onere con la padronanza del musicista maturo che ha preso completa coscienza del proprio potenziale espressivo (in tal senso, la collaborazione con Trevor di Northgate e Camerata Mediolanense sembra essersi rivelata cruciale). Con "Il Giorno della Vendetta" si entra nel vivo dell'incubo. Nel crescendo introduttivo di synth, sostenuto dall'incalzante base ritmica di sottofondo, lo stile dell'artista alessandrino diventa immediatamente riconoscibile ed è proprio a partire da questo brano che l'ascolto dell'album si farà sempre più coinvolgente. Segue "After the Passing", una bellissima cover dei Malombra interpretata da Daniela Bedeski (Camerata Mediolanense), la cui voce soave e distante accompagna l'ingresso inatteso di figure evanescenti, che giungono alla nostra dimora come portatrici di un messaggio funesto. Le urla raccapriccianti di "Misoginy!" non lasciano alcun dubbio su quanto stia per accadere: qualcosa di orrendo è già in atto... un delitto brutale ed efferato sta per essere consumato. Il buio della notte si adagia allora come un drappo nero su quel corpo martoriato, su quel volto privo di vita in cui la paura ha dipinto un'ultima smorfia. Le deboli luci al neon di una squallida periferia diventano così, le testimoni del macabro scenario e osservano, tra i rapidi bagliori dei flash, i movimenti di un obiettivo che cattura avidamente le istantanee della vittima. Intanto, le oscure ritmiche trip-hop di "The Night" sembrano trasformarsi nelle complici più fidate del Mostro, accompagnando la sua fuga nel traffico cittadino. Con l'arrivo di "Lucy" assistiamo infine ad uno degli episodi più intensi dell'album, un grido disperato che fa eco tra i ricordi di una mente distorta, quella di chi è pronto ad uccidere ancora. Muovendosi tra soundtrack music, dark ambient, cold wave ed electro ritmata, Claudio Dondo consegna alle stampe un altro formidabile album, un lavoro decisamente emozionante che raggiunge il culmine di una parabola evolutiva in continua ascesa. Prematuro immaginare quale ulteriore crescita affronterà l'artista in futuro; meno difficile è riconoscere "The Hopeless Days" come l'ennesima prova di un talento innato. (Roberto Alba)

(Beyond Production, 2004)
Voto: 85

https://myspace.com/runesorder

mercoledì 21 agosto 2013

Fatal Portrait - An Elusive Instinct... of Lascivia

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Black Gothic, Cradle of Filth
Un minestrone di suoni “ben congegnato”, senza alcuna cognizione di causa (nel primo brano ogni strumento pare che vada per i cazzi propri): quattro pianti di bambino, due lagne, tre strilli, un po’ di tastiera per condire il tutto e il pranzo è servito, ogni rispettabile vampiro modaiolo è accontentato. Si denota un certo miglioramento strutturale nelle ultime tracce del dischetto, pur rimanendo nei soliti canoni “heavy” triti e ritriti, senza un briciolo di originalità; troppo poco per promuovere questo cd.

(Downfall Records, 2000)
Voto: 45

https://myspace.com/fatalportrait

Burials – Burials

#PER CHI AMA: Mathcore, Progressive Death, Converge, Obscura
C'è un motivo se questa recensione arriva in ritardo, ed è che i Burials sono una delle migliori band che mi sia mai capitato di ascoltare e di conseguenza il cd è rimasto stabile nella mia rotation d'ascolto, lontano dai dischi da recensire. Il sound proposto dal gruppo è qualcosa di eccezionalmente particolare, una miscela di mathcore e progressive death con una decisa vena neoclassica che ne rende unico l'ascolto. Già da "Nova" si riesce a percepire un'atmosfera trascendente che colloca questo lavoro al di sopra di molte blasonate release di generi affini, sia tecnicamente che compositivamente, anche se difficilmente si riuscirebbe a creare paragoni date le straordinarie sonorità partorite dai nostri che riescono ad avvicinare adirritura band quali Neurosis ed Enslaved. Punto focale dell'opera è la velocità che permette al quartetto da Portland la massima resa, irrompendo con virtuosismi stupefacenti arricchiti dalle dissonanze ed armonie che riescono a creare, trovando la loro massima rappresentatività in "Synthetic" e "Wizard Lock". Ma non è certamente grazie solo alla schizofrenica chitarra che l'opera si erge, perchè la sezione ritmica dà prova di un livello ed una preparazione ottima, capace di seguire perfettamente la chitarra che si districa tra le più contorte melodie e trascina tutta l'opera oltre che l'ascoltatore. Altro punto di forza di questo lavoro è che annoia difficilmente grazie alle parti compositive che scivolano tra loro stesse, rendendo l'ascolto perpetuamente energico e febbricitante. Il mio rimpianto più grande è quello di non averli scoperti anni prima ed apetto ansiosamente lanuova release che dovrebbe uscire a breve, ascolto consigliatissimo ma solo agli ascoltatori più provati. (Kent)

(End Theory Records)
Voto: 90


http://burialspdx.bandcamp.com/album/burials

martedì 20 agosto 2013

Tons - Musineè Doom Session

#PER CHI AMA: Doom Metal, Sleep, Iron Monkey
"In the beginning God created the heavens and the earth. And the earth was without form, and void..." Vi devo confessare che inizialmente "Musineè Doom Session", debut album dei Tons, non mi aveva preso molto, probabilmente a causa dello scream troppo acido e violento di Paolo che non reputavo adatto ad un complesso doom metal; dopo svariati ascolti (confermati ulteriormente in un ultimo periodo di ascolto su vinile) devo dire che la formula proposta dai Tons è decisamente valida. Ad una prima ispezione del disco (che lo si può trovare in due versioni, il packaging originale a mo' di confezione o la versione cartonata serigrafata limitata a cento copie numerate, questa molto minimale ma di gran classe), mi balza subito agli occhi i titoli delle canzoni che richiamano grandi classici della musica metal, però migliorati. L'opera si apre con la title-track (con i passi della Genesi riportati all'inizio), traccia con riff pesantissimi e trascinanti, un ottimo inizio per catturare l'attenzione e chiarire sin da subito le intenzioni del trio torinese: tanta saturazione, tanti picchi di volume, tanta lentezza ma con ritmi capaci di far scuotere la testa (come adesso mentre scrivo questo in treno e tutti mi guardano male). Il suono già traboccante dalle distorsioni di chitarra e basso, viene ulteriormente caricato dalla voce creando un muro sonoro invalicabile. La struttura delle composizioni è pressochè semplice, su tutte spicca "Once Upon a Tentacle" traccia più breve e minimale del disco, e "Ketama Gold" traccia a mio parere più debole a causa della prima parte interamente strumentale leggermente prolissa, dato che si sposta su tre riff nel giro di quattro minuti abbondanti. Questa primo full length dei Tons è un chiaro centro pieno nella prolifera nuova scena doom italiana (una traccia come "Tangerine Nightmare" ne è la prova), capace di distanziarsi dagli stilemi classici, ma senza cadere nella banalità delle sonorità valvolari e stonerose. (Kent)

(Escape From Today Records)
Voto: 75

https://www.facebook.com/TONSBAND

sabato 17 agosto 2013

Fall Of Minerva - Departures And Consequences

#PER CHI AMA: Post-Core, Post-rock, Alexisonfire
Questo EP di debutto dei Fall of Minerva potrebbe comodamente essere usato come manifesto per tutto il movimento underground vicino al post-core sviluppatosi da un lustro a questa parte. Contiene tutti gli elementi caratterizzanti questi anni buii di musica dove abbonda la conformità di nicchia, dispersi in un mare di subgeneri e band valide, per cui necessitiamo di fari per sintetizzare elementi presenti in tutto il panorama musicale e riuscire ad avere la sicurezza sonora di un prodotto di qualità apprezzato dal naufrago ascoltatore. I Fall Of Finerva sono uno di questi fari, figli di una stratificazione di generi emersa dal crollo delle antiche civiltà del metal, del rock e del punk hardcore. Ma fondamentalmente che dire della musica? C'è tanto e poco da parlarne, la prima traccia "We're not Allowed Think of Us" riassume la formula del gruppo vicentino, l'apertura con un timido piano si sposta verso preponderanti sonorità screamo infuse di post-rock che mutano aprendo larghe parentesi metalcore e mathcore. L'andamento del disco è pressochè questo, un alternarsi di melodie ed atmosfere alla Sigur Ros e sfuriate core alla Underoath. Un lavoro che presenta un'ottima base di partenza in tempi maturi per queste sonorità. (Kent)

Face Down - The Long Lost Future

#PER CHI AMA: Thrash, Stoner, Pantera, Blind Dog, Alabama Thunderpussy
Mettiamola così: se i Pantera esistessero ancora, se Darrell e soci avessero seguito la deriva southern di Phil Anselmo ben raccontata nei Down, probabilmente oggi suonerebbero come i Face Down. Il quartetto francese, al loro primo full-lenght dopo un EP del 2010, mette insieme una forte dose di thrash metal vecchio stile con una punta di stoner rock: non aspettatevi certo le derive psichedeliche alla Kyuss, né quelle rock'n'roll di Fu Manchu o Queens of the Stone Age. Qui c'è velocità, distorsione metal, doppia cassa in abbondanza; il riffing è serrato e ben costruito, la ritmica mai scontata (finalmente un batterista davvero interessante per presenza e originalità) e i solos hanno spesso quel sapore blues che ha fatto la fortuna dell'ultimo compianto Dimebag. Dovendo dare delle coordinate più vicine, potrei citare gli Alabama Thunderpussy e i purtroppo poco noti Blind Dog, con quella mistura sempre equilibrata tra violenza sudista e blues. A contribuire con forza alla deriva stoner è senz'altro la voce: urlata ma senza mai cadere nel growl, sempre appoggiata su una melodia che ricorda l'intonazione di Jon Garcia. I brani scorrono veloci e potenti e, a parte due episodi di soli due minuti (l'acustica strumentale "Under the Sun", la velocissima sfuriata hardcore "Kiss of Death" e la brevissima parentesi di "Evil Blues"), tutti i brani hanno durate superiori ai quattro o cinque minuti, a riprova di un metal non strettamente citazionista del solo thrash dei Pantera. Sono molti i brani simbolo del gruppo, che dà quindi prova di idee chiare per tutta la durata dell'album: "Smoke Coat" è un vero laboratorio di riff sul mid-tempo, "Only Human", "N°1 Must Die" e "Blow Away the Dust" sono tre veri pugni in faccia, peraltro consecutivi, per velocità e potenza. Mi chiedo solo, pensando al futuro del quartetto: cosa succederebbe ai Face Down se abbandonassero ancora un po' la loro anima thrash a favore di atmosfere più ispirate e desertiche, di un riffing più lento e cadenzato? Può davvero essere questa una strada possibile per la fusione di due generi che hanno sempre avuto più di un punto di contatto tra loro? (Stefano Torregrossa)

The Absence - From your Grave

#PER CHI AMA: Swedish Death, Arch Enemy, Divine Souls
La Metal Blade da sempre sforna dischi di discreto valore. Da Tampa, Florida, arrivano questi The Absence, con quello che fu il loro full lenght d’esordio (un EP al loro attivo, risalente al 2004). Una breve intro chitarristica apre “From your Grave”, album dai forti richiami alla Arch Enemy con buone ritmiche, frutto del lavoro dei due axemen, che ricamano coinvolgenti fraseggi chitarristici. Non siamo di fronte a nulla di originale, per carità, tuttavia per lo meno questi ragazzi ci regalano una quarantina di minuti di death metal melodico, con dei pezzi emozionanti: è il caso di “A Breath Beneath” per il suo forte richiamo alla band svedese di M. Amott, la successiva “Necropolis”, per le aperture melodiche di chitarra e la coinvolgente title track. Ottimamente prodotti da Erik Rutan (Into The Moat, Soilent Green, Hate Eternal) presso i Manna Studios, gli Absence si dimostrano anche validi esecutori, con un discreto gusto per la melodia; lo testimoniano gli assoli della title track, ottima la chitarra solista in “Summoning the Darkness” e l’acustica “Shattered”. Da non trascurare anche la prova di Jamie Stewart, ottimo vocalist della band. Aggressivi, melodici al punto giusto, tecnici, un vero peccato che di album di tale fattura ne siano usciti a tonnellate nell'ultimo decennio, altrimenti questo lavoro (ormai datato 2005), avrebbe meritato anche qualcosina in più... (Francesco Scarci)

Continuo Renacer - Continuo Renacer

#PER CHI AMA: Prog/Techno Death, Gordian Knot, Aghora, Pestilence
Originari della penisola Iberica, i Continuo Renacer, band a me totalmente sconosciuta, sono in attività già dal 1994, con un sound influenzato da act quali Cryptopsy, Death e Suffocation. L’anno 2000 segna il punto di svolta per il gruppo, con il delinearsi di una line-up stabile, priva di un cantante e la virata del proprio stile musicale verso un genere più tecnico e progressivo fuso con il jazz, volto a dare alla band un sound più fresco e innovativo. Sicuramente i tre musicisti baschi dimostrano un più che discreto bagaglio tecnico, magnifico è infatti il basso slappato in alcuni passaggi a ricordarmi le performance di Steve di Giorgio nei Death; forti poi i richiami ai Cynic e alle varie creature nate dalle costole di questi ultimi, Gordian Knot e Aghora. L’unica pecca di quest’album omonimo (datato 2005 e che ha visto un come back discografico solo nel 2011), potrebbe sicuramente essere rappresentata dalla scelta di non avere un cantante a spezzare il ritmo, talvolta fin troppo arzigogolato dei brani, dove spesso le sperimentazioni scadono in esercizi di tecnica fini a se stessi. Interessanti indubbiamente sono i passaggi jazz e prog-rock, che si fondono alla perfezione con un genere assai ostico come può essere questo, fatto di pezzi troppo pretenziosi e complicati e con continui cambi di tempo volti a disorientare l’ignaro ascoltatore; tuttavia non abbastanza sufficienti da impreziosire questo album di debutto che comunque, si assesta su una sufficienza piena. Da rivedere sicuramente la possibilità di assoldare un cantante in formazione... (Francesco Scarci)