Cerca nel blog

sabato 22 giugno 2013

Veracrash - My Brother the Godhead

#PER CHI AMA: Stoner, Electric Wizard
Certo che fare stoner in Italia ed avere come produttore un ragazzotto svedese che all'anagrafe fa Niklas Kallgren (Truckfighters), scatenerebbe una bella frenesia anche nel sottoscritto. I milanesi Veracrash sono attivi da quasi un decennio e dimostrano la loro maturità artistica con questo secondo lavoro che vede collaborazioni eccellenti come Dave (Zippo) e Oscar Johansson (Witchcraft). Il loro sound è primitivo e ruvido, senza fronzoli inutili che punta tutto sull'impatto emotivo e viscerale dell'ascoltatore che si deve barcamenare tra chitarre grossissime e ritmica martellante. Le influenze dei big del deserto si sentono, dagli Electric Wizard per quanto riguarda la voce (anche se i Veracrash non disdegnano il growl in rare occasioni), ai gruppi svedesi degli ultimi anni. Dopotutto la scuola stoner non ha subito grosse contaminazioni, almeno sino ad ora. "Lucy, Lucifer" è un pezzo grezzo, lento che perfora i timpani a colpi di doom ad accordature tremendamente basse. La voce ricorda il grande Ozzy, mentre gli arrangiamenti sono abbastanza elementari. Okay fare un pezzo minimal, ma non esageriamo. La seconda traccia è già più nelle mie corde, veloce e con dei bei riff di chitarra, forse non eccelle in originalità, ma sicuramente è un pezzo godibilissimo che piace anche a chi non ama particolarmente lo stoner in genere. Cercatevi il video su Youtube, una piccola chicca di editing con il solo utilizzo di girati presi qua e la nell'etere. Con "Remote Killing" iniziamo a fare sul serio, nel senso che la complessità del pezzo è maggiore, addirittura i Veracrash si lanciano in assoli e cambi di ritmica. Peccato che l'esperimento duri appena due minuti e mezzo. Chiudiamo la recensione con l'untitled, il pezzo meno stoner in assoluto che sfrutta le sonorità ambient per chiudere l'album e lasciare l'ascoltatore un pò confuso. Genericamente non mi sono mai dispiaciuti i gruppi che sperimentano e propongono diversi scenari all'interno di uno stesso album, ma i Veracrash sembrano che stiano ancora cercando la loro identità musicale. Due album in otto anni di attività dicono tutto e niente su quello che il gruppo si è lasciato alle spalle e quello che invece ha tenuto, quindi ascoltateli e poi fatevi un'opinione. (Michele Montanari)

Green Carnation - Light of Day, Day of Darkness

#PER CHI AMA: Avantgarde, Progressive Rock
Lo ammetto, si tratta di una recensione difficile. Di album costruiti su un’unica, enorme canzone ne esistono una nutrita schiera nel mondo musicale heavy e metal in generale, e questo disco appartiene a tale categoria: una metal-suite senza soluzioni di continuità, un groviglio di note che va ad occupare un’ora piena del tempo di chi l’ascolta. Allora cos’ha questo disco di cosi particolare? Difficile da comprendere al primo ascolto, e pure al secondo e forse anche al terzo. Può aiutare nella fruizione il capire prima l’autore, tale Tchort, un musicista del tutto particolare: collaborazioni con diversi gruppi poderosi (... In The Woods ed Emperor su tutti), eccletismo, scelte compositive che spiazzano e spaziano tra generi svariati quali progressive rock – doom - spunti epic/folk e schegge di psichedelia – death - echi black, oggi spesso accomunati, ma che forse nel 2001 ancora viaggiavano su binari raramente così intrecciati... e personalità, molta, moltissima. Ulteriore tratto, mandatorio per trovare la chiave di volta dell’opera, la tragedia di aver perso un figlio ed la gioia di poterne cullare un altro. Perché questo è successo al Nostro e questo viene cantato, urlato, sviscerato nei 60 minuti contenuti nel platter. Ed ecco che seguire musica e parole diventa imprescindibile, un tutt’uno, un organismo in equilibrio solo se non smembrato nelle sue componenti. Non aspettatevi nulla di quanto i succitati generi, presi singolarmente, siano soliti offrire: toni vocali caldi ed un uso del growl limitatissimo (Kjetil Nordhus - ... In The Woods), sonorità praticamente perfette, nessuna distorsione fuori posto, il tutto a far da base per due cori (uno lirico e uno di voci bianche) e un esercito di guest e strumenti aggiuntivi. È necessario immaginare un unicum, l’unione di tutto, ma smussato delle componenti più estreme per lasciare spazio ad un lavoro ben levigato, liscio, che scivola, penetra dentro la mente, insinuandosi in profondità senza preavviso, in modo delicato ma violento. Arriverà così il momento in cui l’intera opera si svelerà nella sua pienezza, paralizzando per più di qualche istante il nostro sistema nervoso e pretendendo attenzione e rispetto. Un’opera, due metà, musica e parole, un prima e un dopo, simbolicamente separati ed uniti dalla straziante voce/lamento di Synne “Soprana” Larsen (... In The Woods). Lavoro grandioso, per chi scrive forse al limite del capolavoro, mai più superato dall’autore nei successivi parti compositivi, invero migrati su differenti coordinate musicali. Pretendere di descrivere una tale opera in poche righe risulta una pura presunzione, ma ci si augura ugualmente di aver aperto almeno un piccolo spiraglio per far si che questo disco, probabilmente sottovalutato al momento dell’uscita, possa essere (ri-)scoperto, compreso e doverosamente ammirato. (Filippo “Pippo” Zanotti)

lunedì 17 giugno 2013

Distress of Ruin - Predators Among Us

#PER CHI AMA: Melo Death, Omnium Gatherum, Dark Tranquillity
Essere il primo a recensire una band straniera in Italia, mi riserva sempre una certa soddisfazione e cosi quando stasera sono andato a dare un'occhiata se qualcun altro aveva già commentato il cd in questione e non ho trovato nulla , mille stimoli hanno ribollito dentro al mio animo per dare immediata voce ai finlandesi Distress of Ruin. Da Joensu, ecco arrivare quindi l'EP d'esordio di questa valido quintetto, che già nel 2011 si era messo in luce per un più che discreto demo. Quindi bando alle ciance e andiamo ad analizzare "Predator Among Us", un lavoro cha farà la felicità di chi come me, ama le sonorità death di stampo finlandese, ricche di pathos, splendide e ammiccanti melodie, sulla scia essenzialmente di due grandi nomi della scena nordica, Omnium Gatherum e Dark Tranquillity. La song introduttiva, "The Ocean of Perdition", ci offre immediatamente un breve spaccato della musica del five-piece finnico, guidato dalle ottime growling vocals di Lauri Ruotsalainen. "They Plad Dead", la seguente traccia, ci mostra la pasta dei Distress of Ruin: death melodico, devoto ai paradigmi dello swedish sound dei già citati DT, fatto di riffoni esplosivi, ma sempre carichi di un certo groove, complice l'ottimo lavoro svolto a livello di tutti gli strumenti, ma anche del dualismo vocale tra il growling possente di Lauri e i chorus puliti che ne fanno da contraltare. La musica dei Distress of Ruin, si mantiene costantemente avvincente, non concedento mai un attimo di tregua all'ascoltatore: sia comunque chiaro che non si tratta di assalti all'arma bianca di un death nevrastenico e brutale, ma sempre controllato e assai orecchiabile, anche se con "Bystander Effect", i toni si fanno decisamente più cupi e ribassati, ma un graffiante assolo conclusivo, squarcia il cielo con la sua irruenza e mi prepara a "Terminal Alteration", una traccia che si dipana tra le melodie a la Omnium Gatherum e suoni a la Soilwork, a sottolineare una prova, seppur derivativa, davvero convincente. A chiudere il disco ci pensa la violenza di "Harbinger of Ravage" che mi consegna l'ennesima new sensation che viene da nord. Ora vi voglio pronti per il salto di qualità!! (Francesco Scarci)

domenica 16 giugno 2013

Deathember Flower - Architect

#PER CHI AMA: Fusion Death, Arch Enemy, Chimaira, Death, Dark Tranquillity
Della serie piccoli Dark Tranquillity crescono, ecco arrivare dall'Ucraina i Deathember Flower, quartetto capitanato dalla vocalist Christina, che ci regala quaranta minuti di sonorità apparentemente di chiara matrice swedish. Niente di male fino a qui: l'amore spassionato per i suoni di Michael Stanne e soci si manifesta nell'opener, "My True Face", con linee di chitarra (anche a livello dei solos) che richiamano palesemente i gods svedesi, growling vocals (complimenti Christina) belle incazzate che si alternano ad altre sussurrate. Si, insomma, niente di nuovo e tutto alquanto derivativo anche da altri mostri sacri della scena svedese. Rimango basito invece quando parte la seconda traccia, la title track, in cui i nostri spostano il baricentro della propria proposta, migrando negli States e andando a ripercorrere le gesta dei Death, udibile prettamente nei giri di chitarra del duo di asce formato da Andrey e Valentin, che ci regalano un favoloso assolo conclusivo; ma nella song si può ascoltare la cantante anche in una veste decisamente più pulita e inconsueta. Visibilmente scosso dalla nuova direzione intrapresa dal combo ucraino, mi avvicino a "Insidious" con una certa titubanza mista a curiosità, non sapendo cosa aspettarmi: e in effetti, una nuova sorpresa é ancora dietro l'angolo, con i Deathember Flower che si travestono da heavy thrash band, con vocals quasi speed metal. Ma che diavolo sta succedendo: controllo che in realtà "Architect" non sia una raccolta di più artisti, ma non posso che confermare che questo rappresenti il debut della band di Zaporizhia. E allora corro veloce ad ascoltare gli altri pezzi: "Chaos Theory" è un pezzo di techno death con vocals che si rifanno quasi alla nostrana Cadaveria, stridule e aggressive, mentre la musica viaggia su ritmiche serrate, ricche di cambi di tempo e stop 'n go. "Nano" è un'altra song interessante, in cui oltre a metter in mostra le doti canore della eclettica vocalist, brava sia in chiave clean che in quella growl, decisamente vicina per timbrica ad Angela Grossow, degli Arch Enemy, i nostri presentano anche un suono dall'attitudine più alternativa, che mantiene un certo contatto con la musica estrema solo nelle sue ritmiche cadenzate e pesanti. Il death/thrash di "See No Future" finisce per richiamare anche le sonorità degli Arch Enemy anche se è sempre la performance di Christina a tener banco, mentre il sound incalzante, mostra anche le eccelse doti tecniche degli altri membri della band. I nostri picchiano che è un piacere anche con il trittico conclusivo di song, che palesano anche altre influenze, non del tutto identificabili in un movimento ben definito, ma che in realtà rappresentano un po' la summa di quello che è il Deathember Flower sound: un concentrato inpetuoso di techno death, swedish, thrash, speed e heavy metal, insomma una fusion che nella conclusiva strumentale "A New Era" potrà forse dare risposta a tutte le domande che mi frullano in testa. Complimenti per il coraggio. Da tenerli monitorati, please... (Francesco Scarci)

Enshine - Origin

#PER CHI AMA: Death Atmosferico, Slumber, AtomA, Eternal Tears of Sorrow
Adoro questo sound, quello tipico finlandese di band quali Eternal Tears of Sorrow, Throes of Dawn o Black Sun Aeon; strano però che questa new sensation non venga da Helsinki o qualsiasi altra città della Finlandia, bensì da Stoccolma. L’ensemble della capitale svedese sfodera sin dalla sua opening track, “Stream of Light”, una prova attrattiva in termini di freschezza del sound, anche se sicuramente le origini di tale musicalità, vadano ricercate nel classicissimo “Brave Murder Days” dei pluricitatissimi Katatonia, ma anche nelle prove di Slumber o della loro reincarnazione AtomA. Non a caso cito gli Slumber, visto che proprio il chitarrista dei nostri è un ex membro di quella band. Pertanto attendetevi un bel po’ di sano feeling malinconico a farla da padrone, nelle melodicissime chitarre e nelle splendide aperture atmosferiche, in cui il five-piece mostra le migliori cose, con una riffing ritmato, su cui si installano splendidi assoli, come nel caso della mia traccia preferita, “Refraction”. Le tracce si mantengono tutte sui 4-5 minuti di durata, permettendoci di assaporare, assimilare e digerire alla grande la proposta del combo scandinavo, ed essere pronti a partire con la traccia successiva. Il combo svedese vede poi tra le proprie fila anche il vocalist dei francesi Fractal Gates, Sebastien Pierre, ma non lasciatevi ingannare perché la musica dei nostri prende le distanze dalla nuova “reincarnazione” degli Edge of Sanity. Siamo appunto lontani anni luce dai territori death di Dan Swano e compagni o da quelli della neo formazione francese: gli Enshine si concentrano su sonorità ben più accessibili in fatto di melodie, ambientazioni space rock, ariose aperture di synth, ottimi chorus e un cantato, prettamente growl, che trova la sua controparte pulita nella performance di Jari Lindholm. “Cinders” rimanda ai nostrani Novembre, mentre “Nightwave” inevitabilmente mi riconduce agli Slumber, che tanto avevo apprezzato nel loro esordio. Il (poco) death si miscela in modo fascinoso al sound delle realtà finniche, scritte poco sopra, ammantato di quell’enigmatico alone di tristezza, ritrovabile solo agli esordi dei Katatonia. Dopo “Astrarium” anche con “Immersed” finisco per immergermi in sonorità seducenti e strumentali, tipiche dello space rock settantiano, prima della robusta traccia doom death “Above Us” e della dinamica e brillante, ma ahimè strumentale, traccia conclusiva, affidata a “Constellation”, che avrebbe certamente avuto maggior efficacia se avesse presentato un cantato. Sono veramente felice di aver potuto ascoltare questo “Origin” degli svedesi Enshine; di band valide ce n’è bisogno ogni giorno e i nostri ci sanno davvero fare! (Francesco Scarci) 

(Rain Without End Records)
Voto: 75

http://enshine.bandcamp.com/album/origin

venerdì 14 giugno 2013

Mutilanova - Nera Lux

#PER CHI AMA: Black Symphonic metal, A Forest Of Star, Agathodaimon, Gehenna
La band in questione arriva dalla Francia, precisamente da Grenoble ed è al secondo full lenght, uscito nel 2012 per le Crepuscule du Soir Productions e ci porge questo bel lavoro dalle tinte oscure, epiche, folkloriche e barocche. Il loro balck metal si tinge di dissonanze e stravaganze stilistiche mescolate ad arte estrema con la furia e la velocità di un classico del genere symphonic metal. Quindi non stupirà il fatto di trovare suoni folk e clavicembalo all'interno di strutture tese e drammatiche, uno screaming perpetuo e tanta melodia. Gli spunti sono moltissimi, dicevamo, presi in prestito dal folk come dal barocco, ma quello che più colpisce è la semplicità con cui la band riesce a trasportare l'ascoltatore da un'estremità all'altra di tale musica usando sempre il verbo oscuro dell'extreme black metal. L'album è ipnotico e velocissimo, passa dall' immediata violenza a situazioni spiazzanti di pura melodia ancestrale, velato di un sonorità etniche che restano sempre leggere senza mai affondare nel folk metal, accennandolo solo il tanto che basta per aumentare la curiosità dell'ascolto. Potenza, melodia, fraseggi e assoli di chitarre power divisi con una tastiera versatile ed estroversa, iperattiva e multiforme, una concezione astratta del folk, come se gli Stille Volk volessero essere i Gehenna con chitarre rumorose e melodiche in stile Agathodaimon. Un lavoro da assaporare tutto d'un fiato, senza respiro e lasciandosi trasportare dalla sua nera eterea concezione. Complicato come il prog, rumoroso come il black, sinfonico e veloce come lo speed metal, onirico e incontenibile come il folk metal. Un gioiellino assolutamente da ascoltare! (Bob Stoner)

(Le Crepuscule du Soir Productions)
Voto: 75

https://myspace.com/mutilanovagroupe

Krepuskul - Game Over

#PER CHI AMA: Metal sperimentale
Prodotto curioso quello propostomi dai Krepuskul, band di difficile catalogazione proveniente dalla Romania. L'album non è eccessivamente estremo pur avendo sonorità che richiamano il black, death e affini, e nonostante ciò il disco è di arduo ascolto a causa delle varie parti che difficilmente si incastrano tra loro e che portano l'opera in bilico tra l'avantgarde e il nonsense. E non nascondo che svariati ascolti sono stati insufficienti per assimilare completamente l'opera del trio rumeno. Un grande punto debole di questa pubblicazione è, come detto in precedenza, la mancanza di parti estreme: dopo un'introduzione che si poteva tranquillamente evitare, bisognerà infatti aspettare la quarta traccia "Fall" per avere una parvenza di movimento, dato che l'opera è quasi totalmente in mid-tempo. Un'altra song degna di nota, per le sue proprietà anti-sonnifere è "Voice", accoppiamento azzeccato con la precedente "Mediu Orient" che nonostante la sua peculiarità percussionistica, si rivela un po' troppo priva di sostanza, gran bel intermezzo in ogni caso. La parte centrale del disco si chiude bene con il singolo estratto "Hamsters", per giungere dopo un intermezzo alle due tracce di chiusura con la melodica "Awake" e la title-track. "Game Over" è un album abbastanza facile da analizzare, esattamente all'opposto del suo ascolto con le composizioni tutte simili tra loro, con strane parti mid-tempo di metal estremo con intermezzi esotici (a volte su tonalità e scale completamente differenti). La formula potrebbe risultare vincente se presente su alcune tracce ma purtroppo lungo il disco, ci troviamo alla loro sistematica applicazione; e lo stesso discorso dicasi riguardo i groove proposti. In definitiva un lavoro con molti spunti ed idee ma ancora completamente acerbo. (Kent)

(Self)
Voto: 65

http://www.krepuskul.com/

Xerion - Cantares das Loitas Esquecidas

#PER CHI AMA: Black Folk
In tutta onestà, non conoscevo il gruppo artefice del lavoro che mi appresto a recensire per voi. Basta poco, tuttavia, per capire che la penisola iberica è la fonte da cui traggono origine i titoli dei nove pezzi qui inclusi. La copertina dell’album fa presagire toni cupi fra melodie folk e quindi, date queste premesse, ero pronta all’ascolto. Come sempre, anche con gli Xerion, mi sono lasciata trasportare dalla mia più naturale inclinazione: fare paragoni fra le cose, in particolare fra la musica e tutto il resto. Ho provato a immaginare le tracce come se fossero una vacanza. Immaginate anche voi quindi, un viaggio in Galizia, luogo d’origine della band. Ma ditemi, vi è capitato di sognare delle ferie perfette che poi si riveleranno un flop? Sbagliare la prenotazione, arrivare nella stagione delle piogge o ritrovarsi con la gastroenterite, eccolo il quadro completo del mio paragone! Mi spiego meglio: dall’intro, un roboante temporale, l’album mi ha dato l’impressione che ci si potesse impegnare di più per onorare le origini celtiche della propria terra. Alla fine mi ritrovo un black metal melodico con spunti folk che risulterà essere poco convincente, non incisivo. Alcuni pezzi sono si affascinanti, come “O Espertar do Xerion” e “Nas Verdes Fragas de Amh-ghad-ari” perché vi si mescolano le sonorità incalzanti tipiche dello spirito latino con i più canonici dictat del black metal classico. Un tocco di personalità è dato dall’uso del galiziano, ma non trovo nulla che sia originale fino in fondo, quindi una potenzialità mal sfruttata. Nota di merito a Nocturno, ideatore di questa one-man-band nata nel 2001, che per questo lavoro è affiancato da altri tre musicisti: piacevoli le sue linee di basso e buona l’idea dell’album “circolare” con l’ultimo brano che richiama l’intro. La Galizia è un posto magico, ricco di quell’atmosfera ancestrale a noi tanto cara, e questo poteva essere reso in musica in modo migliore. Per fortuna non tutto è da buttare, una buona base c’è, ma se proprio vi va di prendervi una vacanza e ve ne andate in Galizia, per lo meno ci si aspetta di tornare pienamente soddisfatti. (Ar-Pia Scarpelli)

(Schwarzdorn Production)
Voto: 60

http://www.otronodexerion.com/