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domenica 29 maggio 2011

Alpthraum - Cacophonies from Six Nightmares

#PER CHI AMA: Black Ambient Funeral Doom
Ci sono generi, nel metal, che sfociano in importanti esperimenti sonori e le influenze sono talmente varie che spesso si fatica a ricavarne l’origine. Generi che esaltano e distruggono allo stesso tempo, che instillano una malinconia sottocutanea a tratti demistificata. Musica di nicchia, senza dubbio. Gli Alpthraum sono una di queste band. Impossibili da definire. È musica nera che più nera non si può. Dopo attenti ascolti mi sono ritrovato a riflettere sulla natura viscerale dei sentimenti che stanno alla genesi di un disco come questo, e, allo stesso tempo, ho cercato di comprendere le fondamenta che sottostanno a un genere tanto ricercato. Fondamentalmente “Cacophonies from Six Nightmares” dovrebbe (usiamo il condizionale) essere un album black metal. Almeno, da un calcolo quantitativo, le atmosfere tipicamente black risultano le più consistenti nel corso delle sei tracce. Un sound alla “Wolven Ancestry” tanto per intenderci, primitivo e animale. Non solo. L’uso artificioso di lunghissime pause e il pesante ricorso ad elementi ambient, formano un disco di rara complessità, e mi rendo conto che per i non addetti ai lavori può essere una sfida riuscire ad arrivare fino alla fine dell’ascolto in una sola volta. Il maggior punto a favore, che rimane però anche quello più problematico, resta il sapiente dosaggio di violento black ad un’atmospheric-doom (è davvero difficile rinchiuderlo in un’etichetta generica) che richiama alla lontana il sound dei Void of Silence. La sesta traccia dell’album (il sesto degli ultimi incubi cui allude il titolo) si dimostra una performance di sei minuti (che sia un caso?) in cui non compaiono chitarre o batteria. È l’inquietante soliloquio di una creatura indefinita, alternato a suoni e rumori che coinvolgono l’ascoltatore in un’atmosfera inconcepibile per la mente umana, quasi una nenia sacrale. Caos e silenzio. Caos e silenzio. Caos e silenzio. I lettori accaniti di Lovecraft, come lo è il sottoscritto, potranno trovare in quest’opera musicale il perfetto sottofondo per gli orrori dell’altrove, anche se, rimanendo in campo doom, gli Antichi rimangono patrimonio storico dei Thergothon. Sconsigliato a chi è affetto da tendenze suicide. (Damiano Benato)

(Kunsthauch)
Voto: 70

Samael - Lux Mundi

#PER CHI AMA: Celtic Frost, Rammstein, Laibach
Annunciato già da tempo come un ritorno alle vecchie sonorità di “Passage” ed “Eternal”, l’ultimo lavoro in studio dei Samael rivela senz’altro la volontà di riaccostarsi ad un sound che verso la seconda metà degli anni ’90 aveva portato la band svizzera a ricevere larghi consensi nel sottobosco del metal estremo. E’ ora lecito interrogarsi se questi intenti nostalgici bastino a ripercorre i fasti del passato, ma i dubbi si sciolgono abbastanza rapidamente, senza necessità di superare i primi quattro brani del disco. In “Lux Mundi” ritroviamo le medesime atmosfere apocalittiche degli album citati poc’anzi, le stesse ritmiche meccaniche ed un incedere marziale stilisticamente inconfondibile che si pone a metà strada tra black e industrial metal, tuttavia è la forza dei singoli brani a risultare quasi impalpabile. Non si può dire che nell’economia delle canzoni manchino il dinamismo e la capacità di concepire architetture musicali complesse, d'altronde siamo sempre al cospetto di un quartetto di musicisti più che navigati. Ciò che in realtà fatica ad emergere è l’energia, quello straordinario vigore sprigionato da vecchi cavalli di battaglia quali “Shining Kingdom”, “Liquid Soul Dimension”, “Year Zero” e “The Cross” (solo per citarne alcuni). Tralasciando l’interlocutorio “Above”, va aggiunto che i Samael avevano comunque raggiunto uno splendido equilibrio in album come “Reign of Light” e “Solar Soul”, entrambi contraddistinti da un approccio più innovativo, elettronico e commercialmente appetibile, per cui risulta incomprensibile o perlomeno deludente una virata verso schemi già ampiamente esplorati e sui quali risulta evidentemente difficile recuperare una rinnovata ispirazione. Nonostante l’ascolto più minuzioso dell’album faccia emergere un paio di episodi riusciti come “For a Thousand Years” e “In the Deep”, “Lux Mundi” non regge comunque il confronto con il passato e rassomiglia tanto ad una raccolta di b-side che non trova una dignitosa collocazione all’interno di una discografia che fino ad oggi aveva toccato livelli qualitativi eccellenti. (Roberto Alba)

(Nuclear Blast)
Voto: 60

sabato 28 maggio 2011

Zifir - Protest Against Humanity

#PER CHI AMA: Black mid tempo, primi Nachtmystium, Burzum
Ecco un album che ci si sente obbligati ad ascoltare per intero, un viaggio di sola andata da affrontare da soli attraverso nove agonizzanti stazioni di puro suono ipnotico. Non è una metafora campata in aria. L’intera opera appare davvero progettata come un itinerario attraverso i luoghi più bui (e puri) dell’anima. Si parte con un’intro strumentale, lenta e commovente, commutata in un abbandono definitivo dai luoghi dell’innocenza per immergersi a poco a poco in un sound più ostile, amaro, graffiante. Le chitarre ‘a zanzara’ sono le reali dominatrici di questo universo sonoro. Permeano ogni tonalità con la stessa frequenza con cui penetrano nel cervello di chi le ascolta. Ronzano indistintamente in passaggi lenti e veloci, violenti e melanconici rievocando a tratti i primi Nachtmystium, altrettanto drogati dall’onnipresenza sciamica. Gli Zifir assorbono elementi da molte band del genere black (io lo definisco con affetto spiritual slow black), riuscendo tuttavia a sperimentare e dare vita ad un interessante lavoro, dimostrando capacità e serietà nella composizione delle tracce, che pur riproponendo un sottofondo ipnotico non si dimostrano mai ripetitive. Sono dell’idea che sia necessario avere una conoscenza a priori di questo tipo di metal, altrimenti risulta impossibile apprezzarlo appieno e viene percepita solo un’accozzaglia di strumenti e voci sofferenti. Il risultato è ben altro. Queste band creano sinergia e non è possibile dire: “Ehi, senti questo ritornello!”. Il ritornello non c’è, non esiste. Ogni canzone deve essere ascoltata per intero nella sua evoluzione. Solo così si può comprendere, ad esempio, perché le tracce più lente e pseudo strumentali siano “Uncertain”, “The Poison From My Veins” e “Goat’s Throne”, rispettivamente la prima, la quinta e l’ultima. “Goat’s Throne”, in particolare, rappresenta in sintesi l’anima dell’intero album. Otto minuti di inospitalità in cui si passano in rassegna tastiere gotiche, voci pulite alternate a screaming e lamenti stile Burzum. Unica pecca, dal mio piccolo punto di vista, il titolo dell’album, che per fortuna non ha una title track. Non può esserci una protesta contro l’umanità, se quest’opera stessa parte dalla negazione di quello che la società umana comporta. Così come ogni opera d’arte del genere umano, qualunque sia il messaggio che intende veicolare, non avrebbe ragione di esistere se tale significato non venisse trasmesso. Apprezzo moltissimo la qualità di questa musica, ma la troppa estremizzazione dei testi a volte mi sembra superficiale e stereotipata. Ciò non toglie la qualità di un album come “Protest Against Humanity”, e quello che incarna: una selvaggia, carnale epifania. Tutta in ascesa. (Damiano Benato)

(Kunsthauch)
Voto: 80

giovedì 26 maggio 2011

Cult of Erinyes - Golgotha

#PER CHI AMA: Ritual Black Metal, Absu, Mayhem, Ondskapt
Ritualistic black metal, interessante definizione per questi sconosciuti Cult of Erinyes provenienti da Bruxelles. EP d’esordio datato 2010 questo “Golgotha”, fa da apripista al nuovissimo lavoro “A Place to Call My Unknown”. Apertura ambient affidata ai 3 minuti e mezzo di “Anima”, che fa delle atmosfere rituali il suo punto di forza; poi ecco scatenarsi l’inferno con “The Glowing Embers” che esplode in tua la sua veemenza black con una ritmica martellante di chiara matrice old school. I suoni non sono proprio il massimo, ma la furia black non cerca di certo suoni bombastici per scatenarsi; l’incedere delle ritmiche si avvicina notevolmente a quello del mitico “De Mysteriis Dom Sathanas” degli immensi Mayhem, con le vocals di Mastema che provano egregiamente a ricalcare quelle del buon vecchio Attila. Se devo essere sincero è proprio la parte vocale ad entusiasmarmi maggiormente in questo lavoro della durata di poco più di 15 minuti, dove l’aria sulfurea che si respira, si fa ancor più malsana e intrigante nella terza e conclusiva, “The Year All Light Collapsed”, che fa decollare qualitativamente la proposta del terzetto belga. Suoni rallentati, al limite del doom si intrecciano con un mood d’avanguardia (dimostrato anche dalle cleaning vocals) che sfocia in un finale suggestivo, un inno alla guerra, con il drumming di Baal davvero epico e le vocals gracchianti in marcia verso la vittoria. Peccato solo per l’esigua durata dell’EP, altrimenti sono certo che la band avrebbe meritato di più. Ora attendo l’ascolto del full lenght che segna l’esordio sulla lunga distanza per questo nuovo combo mitteleuropeo. Interessantissimi! (Francesco Scarci)

(Kunsthauch)
Voto: 70

lunedì 23 maggio 2011

Owl - Owl - English

#FOR FANS OF Brutal death
Kolf Christian must be a forge of ideas and above all must have plenty of free time to afford to have so many bands: Island, Valborg, Woburn House, Orbo, Slon, Centaurus-A, Kosmos Wald and now this latest creation, the Owl. Once again, helped by the loyal Patrick Schroeder, drummer on duty in several of its businesses, Christian creates this time a work that plunges into the darkest, more claustrophobic, intransigent and toughest death metal to hear, maybe also because of the endless duration of some songs. It begins with the "Conquering the Kingdom of Rain" and its 13 minutes of extreme sounds played on gloomy mid-tempo, distressing and at the end crawling like an extremely dangerous boa constrictor who is about to threaten and then grab its prey. In all this obsessive pace of guitars actually never that boring, are perhaps the dissonant sounds of the guitars which contribute to the darkening of the already gloomy by itself atmosphere, not to mention the growling vocals, which are making the proposal even more depressing. None of these hearings is easy to listen here, make up an excuse for yourselves soon; otherwise you too will end up being crushed in the deadly grip of the boa. From the “owl" this release probably only has those nocturnal sounds that are found in the finale of the opening track that gives room to a gloomy, brutal and pounding sound of the "Lost in the Melting Mountain Vaults Underneath of the Saints", a sort of psychotic version of Nile, merged with the delirious musical shrewdness of the visionaries Deathspell Omega, while the cavernous vocals of Mr. Kolf continue to haunt our worst nightmares. The suggestion of the Owl is proving increasingly deadly as it advances through listening and my poor ears are also strained by the long third track that continues to make palpable the feeling of death that comes out of in this fetid platter. At the fourth "Spell of the Ignis Fatuus That Lead to the impalpable Altar of Beasts", characterized by hyper fast blast beats, I almost thought that I got away with it because only a piece separates me from the end of this boring cd, but soon I realized that the conclusive "Threnodical Ritual at the Spectral Shores of the Eternal Sunset" lasts 30 minutes. Terrified by this discovery, I take a deep breath and I dive into the icy putrid waters that open the piece; I come across another sad discovery that in fact this half hour is made up only of ambient sounds, almost like one of those bookshop cd’s of the type “sea sounds”; troubling realization that destabilizes even more the hearing of this controversial work. Unfortunately I would not recommend this album to a much wider audience, but only to those who like extreme death metal sounds, only to be disappointed by the epilogue ambient. I do not know, hard to judge an album so psychotic, but on the other hand, by such a controversial guy like Christian Kolf, what could we expect? (Francesco Scarci – Translation by Sofia Lazani)

(Zeitgeister)
Rate: 65

Spuolus - Behind the Event Horizon

#PER CHI AMA: Space Funeral Doom, Helllight, Septic Mind
Il mio primo problema nel dover recensire questo cd è stato dover capire quale band stavo ascoltando, perché sulla copertina della release, non vi era alcun logo o titolo; fortunatamente girovagando per il web, sono riuscito ad individuare il tutto, grazie al contenuto cosmologico (la scienza che studia l’universo) riportato nel booklet. E cosi quello che ho fra le mani è l’introvabile (solo 500 copie stampate, che onore!) debut degli ungheresi Spuolus, che con il loro atmosferico black doom, affrontano i temi legati all’universo. Affascinanti a dir poco, perché i nostri (dovrei dire il nostro, visto che si tratta di una one man band), si spingono con le loro liriche verso concetti legati ai buchi neri e alla previsione della relatività generale. Intriganti le lyrics, altrettanto i suoni che fuoriescono da queste quattro infinite tracce, che raggiungono quasi l’ora di musica. La release si apre con i quasi venti minuti di “I Stand Nowhere” e non posso far altro che calarmi in questo viaggio spaziale alla ricerca dell’”orizzonte degli eventi”. Un synth apre il tutto delicatamente, per lasciar ben presto posto al misantropico e litanico riffing di Szabó Void, unico membro della band. La song è atmosferica, grazie al massiccio uso di synth, inquietante per quel suo incedere tipico del funeral doom, angosciante per le sue funeree ambientazioni, ma mi piace, non lo nego. I suoni apocalittici penetrano le mie vene con quel loro ossessivo e asfissiante incedere; dopo quasi dieci minuti, finalmente la song cambia ritmo, modificando il proprio giro di chitarra e rimango ancor di più catalizzato dalla morbosità dei suoni, dall’aria totalmente priva di ossigeno. Beh chiaro, ci stiamo spingendo verso i confini della nostra galassia, e i suoni che percepiamo finiscono per assumere connotati quasi alieni, ma non abbiate paura ad avvicinarvi agli Spuolus, potrebbe essere una interessantissima esperienza extraterrestre. La conferma della unicità della proposta musicale del combo magiaro, ci arriva anche dalla seconda titanica “Your Defencelessness”, che riprendendo i suoni della traccia posta in apertura, continua con suoni enigmatici, talvolta tribali, spaziali, unici, sinfonici, mi conducono oltre le “colonne d’Ercole” della galassia e qui la percezione extrasensoriale si fa più profonda. Le musiche, mantenendo quella melodia di fondo, ci mostrano angoli galattici sconosciuti. E il mio viaggio in compagnia di E.T. prosegue alla scoperta di suoni non di questo mondo, narrati in modo oscuro dal buon Szabó. Il funeral finisce per fondersi con l’avantgarde e la follia di act nordeuropei; il growling si trasforma in un cantato pulito sofferente, sono quasi condotto in uno stato catatonico. Forse gli alieni stanno manipolando la mia mente, perdo la coscienza, non capisco più dove mi trovo, cosa succede, i suoni continuano a scorrere come arcobaleni in cieli costellati da sette lune e quattro soli. Il mio viaggio continua e i miei sensi percepiscono cose che mai prima d’ora erano state provate: suoni sinistri, colori indecifrabili e sensazioni inusuali mi si parano davanti. Quando ritorno sul pianeta terra la sensazione è quella di far fatica a respirare, forse il ritorno all’ossigeno mi dà un po’ alla testa ma pian piano mi riabituo alla nostra atmosfera. Un viaggio unico, ma forse non da tutti affrontabile quello in compagnia degli Spuolus. Intergalattici! (Francesco Scarci)

(Kunsthauch)
Voto: 85

Lustre - Serenity

#PER CHI AMA: Black Ambient, primi Burzum
“Serenity” rappresenta l’EP di debutto datata ormai 2008, degli svedesi Lustre, one man band capitanata da Nachtzeit (Mortem Parto Humano, ex-Durthang, ex-Life Neglected, ex-Hypothermia). Due song per poco più di 21 minuti che ci mostrano luci e ombre di questo enigmatico personaggio, che comunque si è poi fatto conoscere con altri lavori assai interessanti, come “Night Spirit” e “A Glimpse of Glory”. L’avvio è affidato a “The Light of Eternity”, song che senza ombra di dubbio alcuna (e sfido chiunque ad affermare il contrario), si ispira a “Hvis Lyset Tar Oss”, del buon vecchio Burzum, nella sua versione più ipnotica: incedere lento, riffing ossessivo e ripetuto all’infinito, suggellato dalle strazianti vocals corrosive del factotum Nachtzeit. I 13 minuti della opening track poggiano interamente sul lavoro pesante dei synth accompagnati da liriche portatrici di naturistica oscura spiritualità, che alla fine si insinuano nel nostro cervello e ci spingono verso una sorta di abbandono onirico, che si concretizzerà nella successiva “Waves of the Worn”, traccia costituita da un mistico sintetizzatore che mi lascia presagire fin da subito, che per tutta la sua durata si muoverà su queste coordinate. E difatti non mi sbaglio: un’onda sinuosa attraverso le mie orecchie, mi spinge definitivamente verso il sonno più profondo. Difficile poter giudicare un cd con pochi minuti a disposizione, tuttavia mi sento di promuovere appieno la proposta musicale dei Lustre, in attesa di avere fra le mani i full lenght della band. Onirici! (Francesco Scarci)
 
(Self)
Voto: 65

Movimento d'Avanguardia Ermetico - Stelle Senza Luce

#PER CHI AMA: Depressive Black, primi Burzum, Lantlos
Devo essere sincero ed ammettere d’esser stato inizialmente affascinato da questo cd esclusivamente dal nome mistico della band e dal titolo della release. Poi l’ascolto ha fatto il resto. Eh si, perché quando “Stelle Senza Luce” apre le danze, ecco trasportarmi in un vortice senza speranza, in una strada senza uscita, catapultandomi d’improvviso in una vita senza senso. Questo è quello che ho respirato fin dalle note dell’iniziale “Decade di Isolamento e Aristocratico Distacco”, song che ci consegna finalmente una grande band italiana dedita ad un suicidal black metal, dalla forte vena malinconica. Il riffing zanzaroso eseguito con grande maestria, ci riporta ai gelidi boschi norvegesi, dove era solito trascorrere il suo tempo, in totale solitudine, il buon Varg Vikernes (Burzum). E proprio dalle sonorità del conte norvegese, i nostri traggono un po’ della propria ispirazione, senza tuttavia tralasciare richiami alla tradizione black depressive svedese (primissimi Katatonia e primi Shining). Tutto questo per confermarvi che il debutto della band italica, per quanto sguazzi all’interno di sonorità già proposte ampiamente nell’arco dell’ultimo ventennio, mostri una già carismatica personalità dei nostri, che emerge all’interno di questi cinque lunghi inni, dove a scorribande di glaciale black metal old school, si possono ritrovare frangenti atmosferici al limite del psichedelico (ascoltare la “liquida” “Ritorno alle Porte dell’Essere”) o aperture melodiche di gran classe (meravigliosa l’apertura di “Spazi Remoti di Abissi Interiori”), con delle vocals che urlano tutto il loro dissapore. Sono entusiasta dall’ascolto di questo cd (cosi come era avvenuto per i debutti di Mete Infallibili e Kalki Avatara, a dimostrare che le grandi band di black d’avanguardia non si ritrovano solo in Francia (Deathspell Omega, Blut Aus Nord e Pensees Nocturne) o in Germania (Lantlos), ma che anche in Italia esiste un interessante movimento nell’underground. Brava anche la russa Kunthauch a scoprire questi talenti; ora a voi il dovere di dare un ascolto a questo Movimento d’Avanguardia Ermetico. Mistici! (Francesco Scarci)

(Kunsthauch)
Voto: 80