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domenica 6 agosto 2023

Nunslaughter - Red is the Color of Ripping Death

#FOR FANS OF: Death Old School
Pretty cool Pittsburgh/Cleveland, Ohio based death metal. I was more than happy with this CD, my first one I owned of theirs. The music is what I appreciated the most and the vocals are atypical. They fluctuate which is a good thing that you don't get with standard death metal vocals. It's something to appreciate when artists are of a little variety based rather than the burly voices that you get from bands. I thought that the musical element was quite good as well. They make their riffs varying in intensity. And this one is I'd say a "screamer." Various degrees of fluctuation. While they're to me not good as an "70" rating, this album sure is good despite.

I thought that this was a pretty atypical death metal album that has a lot of highs and not so many lows. They vocals were a pinnacle and the guitars just took over and dominated. They went alongside well with the vocals.

This band kills it live and the studio recording of this one was top-notch. They were on top of their game on this one and there wasn't a time on here in the whole 35 minutes that was uninteresting or not entertaining. They slabbed their death metal in such a way that it was way happening and in no way "boring." Fluctuations in tempos, heavy down picked guitar riffs and an astounding production quality for Hells.

There's more and more bands signing on Hells Headbangers that are super underground that put forth way intriguing metal albums. They just have a way of making these death metal albums especially here on Nunslaughter that has been a total devastation. Really great production sound that did the band justice. It's helping the underground scene grow popularity and helping them get recognized. Tons of bands now on Hells kicking ass because of the label and mixing quality with a minimum amounts of flaws. Keep note on this band and other bands on this label to get justice where it needs to be! (Death8699)


The End of Six Thousand Years – S/t

#PER CHI AMA: Sludge/Post-Metal/Crust
Ci hanno messo un po’ per rimettersi in sella i The End of Six Thousand Years. Dopo un silenzio durato 11 anni, fatto salvo per un singolo uscito nel 2020, il quintetto italico formato da membri ed ex di Postvorta, Hierophant e Viscera///, ci spara addosso un EP autointitolato di quattro pezzi. Quattro caustici brani che si muovono nei paraggi melmosi delle loro band originarie. Questo almeno quanto si evince quando a decollare nel mio lettore trovo “Collider”, che parte sludgy al punto giusto, per poi dare un paio di scarburate pesanti, tra accelerazioni alla Ulcerate, rallentamenti di scuola post metal, ripartenze feroci, il tutto condito dalla selvaggia voce dell’ex Postvorta Nicola Donà. La proposta della band è corrosiva quanto basta anche e soprattutto, nei momenti più atmosferici o dissonanti del disco. Si continua a picchiare durissimo con le chitarre funambolicamente “svedesi” di “Endbearer”, un pezzo che vede una certa apertura melodica che finisce per collidere con certo retaggio crust/hardcore dell’ensemble nostrano. Tra continui cambi di tempo, melodie sghembe e vorticose raffiche di chitarra si arriva a “Voidwalker”, un pezzo che è un’altra mazzata nello stomaco, come se i Deathspell Omega suonassero sotto l’influsso malsano del crust, in una poderosa e dirompente avanzata di chitarre imbufalite. In chiusura la cover dei Today is the Day, ossia “The Man Who Loves to Hurt Himself”, in una rilettura del brano della band statunitense, distorta quasi quanto l’originale, a decretare quanto i The End of Six Thosand Years siano oggi incazzati, in forma e tosti più che mai. (Francesco Scarci)

Dark Fount – The Rebel

#PER CHI AMA: Raw Black
Dalla Cina con furore grazie al progetto solista di Li Tao (qui in realtà supportato da altri musicisti) che risponde al nome di Dark Fount. La one-man band di Tai’an ci propone, in questo EP intitolato ‘The Rebel’, un black metal mid-tempo, fatto di melodie angoscianti, stritolanti e paranoiche, completamente in linea con le tematiche depressivo-misantropiche del polistrumentista originario della provincia di Shandong. Non stupisce quindi se “Frozen Mist” si presenti come un pezzo dall’indolente passo, corredato da lancinanti latrati vocali ed improvvise e laceranti esplosioni chitarristiche. Nulla di particolarmente fresco e originale, ma comunque dotato di un certo alone apocalittico che non viene tuttavia replicato nella successiva title track, traccia più dritta e lineare, con un rifferama serrato e glaciale che ricorda i Blut Aus Nord più raw-black e che qui va a braccetto con uno screaming infernale. Niente di emozionante però, sia chiaro a tutti. La proposta del mastermind dagli occhi a mandorla, finisce per non esaltarmi, nemmeno nell’ultima “Death is Eternity”, per quanto provi a mettere in luce una ritmica marziale e un sound un filo più strutturato, che alla fine non sembra portare grosse novità. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2023)
Voto: 60

https://pestproductions.bandcamp.com/album/the-rebel

Andark - Regnant Aura

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Symph Black
Questa giovane band italiana proponeva, a loro detta, un extreme symphonic metal nella stessa vena di Hecate Enthroned e compagnia. Dopo una classica intro strumentale affidata a pianoforte e violini, opera della brava pianista Pandora, si possono trovare le altre due tracks, di discreta durata, che mostrano una buona affinità nell'intrecciare parti di piano e chitarra pulita a parti più veloci, anche se non estreme, dove domina una buona voce growl. Queste canzoni denotano, oltre la capacità del gruppo, la loro voglia di fare, nonostante i continui problemi di line-up del passato (che ne condizioneranno anche il futuro visto lo split successivo/ndr). Buona anche la produzione di questo 3-track Mcd autoprodotto. Le ultime righe le vorrei spendere sulla copertina: rispecchia perfettamente le trame emotive delle canzoni. Meritano qualche interesse almeno da chi segue questo filone del black metal.

Ancient Rites - Dim Carcosa

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Folk/Viking
L'ingresso di un tastierista nella band non poteva restare senza conseguenze: gli Ancient Rites si sono scostati alquanto dai lidi del thrash degli esordi, lasciando spazio cospicuo alla melodia, pur senza convertirsi con ciò al power metal (la voce di Gunther Theys è troppo roca per riuscire gradita ai fans di Rhapsody e Hammerfall). Ciò non toglie che 'Dim Carcosa' sia un ottimo album di heavy metal epico, avente, quale destinazione ideale, il pubblico dei Running Wild. Musicalmente parlando, il tutto risulta un po' troppo arioso e luminoso. Con sgomento, ci pare di udire talvolta assoli di chitarra alla Malmsteen associati a languidi coretti ("North Sea"). I testi trattano, con competenza, di temi storici (le lotte tra franchi e saraceni, la scorreria vichinga sull'isola di Lindisfarne) e mitologici. Il booklet contiene, oltre ai testi delle canzoni, interessanti testi esplicativi posti a commento di ciascuna di esse. Peccato che questi testi, stampati come sono in caratteri minutissimi, e per di più sullo sfondo di illustrazioni dalle tinte scure, risultino di lettura assai disagevole. Gli orfani di Bathory (quello di 'Hammerheart', si intende!), coloro che hanno apprezzato 'Arntor' di Windir e sono stati catturati dalle atmosfere marziali di 'Creed of Iron' (Graveland), e i discepoli di Falkenbach e Thyrfing procedano ad un attento ascolto preliminare prima di risolversi all'acquisto.

(Hammerheart Records - 2001)
Voto: 68

http://www.ancientrites.be/

sabato 5 agosto 2023

Nattehimmel - The Night Sky Beckons

#PER CHI AMA: Epic/Pagan Black
Non potevo fare finta di niente, gli In the Woods... sono stati una parte importante nella mia crescita di metallaro essendo state una delle band che più ho amato a metà anni ’90 e vedere che oggi si sono formati sono altre spoglie, rispondendo al nome di Nattehimmel, non può che rendermi felice. I fratelli Botteri (menti anche dei Green Carnation) sono tornati e questo ‘The Night Sky Beckons’ è il loro demo del 2022 che ha anticipato l’uscita di quest’anno, ‘Mourningstar’. Lo stile dei norvegesi si avvicina molto a quello di ‘Light of Day, Day of Darkness’ dei Green Carnation con l'aggiunta alla voce di J. Fogarty, un altro che non ha bisogno di troppe presentazioni, vista la sua militanza negli Old Forest, Ewigkeit, ex voce degli In the Woods... e The Meads of Asphodel. Un gruppo ben assortito di musicisti che lungo queste tre tracce, ci delizieranno con il loro prog pagan doom che in alcune parti, sembra trovare sfiati black metal, come nel black cosmico dell'iniziale "Astrologer" o nel riffing marcescente a metà di “Mountain of the Northern Kings”, laddove la voce di Mr. Fogarty assume sembianze screameggianti anzichè palesarsi in un formato epicamente pulito. La musica del quintetto anglo-norvegese si conferma di assoluto valore, con sterzate stilistiche tra parti doomish e stilettate black (in stile In the Woods…) come avviene nell’ultima e anche title track, che non fa altro che confermarci come i fratelli Botteri siano ritornati alle loro origini, e a quella speciale forma di black misticheggiante che mi aveva totalmente rapito ai tempi di ‘Heart of the Ages’ nel lontano 1995. Ora non mi resta altro che ascoltare il nuovo album. (Francesco Scarci)

(Hammerheart Records – 2022)
Voto: 74

https://hammerheart.bandcamp.com/album/the-nigh-sky-beckons 

venerdì 4 agosto 2023

Midnight - Let There Be Witchery

#FOR FANS OF: Black/Speed Metal
A truly likable band that has two genres mixed into one. They put on a good live show as well! I like the fact that they're a metal band that sounds just as they do without the likes of other bands. Unique riffs and songwriting. The vocals suit them well with the music too! I hope that they continue making newer and newer albums. This past tour with Mayhem they didn't steal the show but put on a great performance. I liked their entire set. They really have a lot of energy to them and the riff-writing for this studio release was top-notch. They know how to write some pretty great songs that captures like no other.

The riffs are the best part of the album! They totally light up the speakers and they've shown that they can continuously write music that is catchy and unique. The album is only about 34 minutes but the whole way through they kill it!

Some really wicked unique riffs on the guitar front. These guys just dominate and on purpose. They've demonstrated that as a few members that are in the band that they can be ultra creative. The leads are just somewhat of a drawback. But still, they dominate!

Production quality is also good. A really well rounded album all the way through! I'm glad that I picked this up and saw them live. I'm not familiar with their older stuff but it seems as though they got some similar ratings. I'm not surprised that this black/speed metal band has done well even with the lack of people that they have at their live shows. I'm happy that the album emulated their live show. The music is what stole the show for me. They totally know how to create good guitar riffs throughout. It's not likely that you'll hear a band that has these two different genres into one. Absolutely phenomenal! (Death8699)


giovedì 3 agosto 2023

Aeffect – Theory of Mind

#PER CHI AMA: Techno Death
Dopo una demo di soli due pezzi rilasciata nel 2022, tornano i britannici Aeffect con il loro album d’esordio che ingloba anche gli stessi due brani che li aveva visti debuttare. La proposta del duo inglese (che vede peraltro come precedenti band i Sarpanitum e gli Xerath) è un qualcosa che va vicino alle proposte delle vecchie band, ossia un death metal super ritmato che vede un utilizzo di super tonanti chitarra fin dall’iniziale “Patronage”, song che lascia intravedere anche i Meshuggah come principale fonte di ispirazione per i due musicisti, Mark Broster (basso, chitarra e voce) e Mike Pitman (il possente batterista ex Xerath appunto). Il sound è davvero pesante e distorto, mai veloce e costantemente supportato da un growling profondo. Impressionante sicuramente il lavoro dietro le pelli (Mike è mostruoso, ma questo già lo sapevo), e notevole è anche il lavoro un po’ sbalestrato delle linee di chitarra. Mi piacciono, hanno le palle, per quanto siano un po’ ostici da digerire, almeno al primo ascolto. Ci provano infatti a gestire la difficoltà di assimilazione, infarcendo il tutto con continui cambi di tempo e qualche melodia, ma in generale la musica inclusa in questo ‘Theory of Mind’ è davvero spigolosa. Forse ancor di più man mano che l’ascolto procede attraverso pezzi claustrofobici, a livello ritmico, come possono essere “Retraction”, spaventosa in quel suo ridondante ma ipnotico muro ritmico. Cosi come pure la successiva “Emergent Behaviour” che mostra una certa asperità nella sue sghemba intelaiatura metallica, in un sound in cui a mettersi in luce sono le sinistre parti atmosferiche che provano ad attenuare quel vigore metallico di cui è comunque intessuto il brano. Quello che emerge dopo aver ascoltato i primi tre pezzi, è sicuramente una notevole compattezza ritmica unita ad tecnica musicale sopraffina che si dipana attraverso una ridda di riffoni matematici come accade in “Leading to Decay”, un altro esempio di metallo ribollente che ha probabilmente il difetto di peccare in un’eccessiva ricerca di ritmiche scardinanti, quasi cervellotiche, sfumate qui da un semplice arpeggio che allenta quella tensione che fino a qui ha annichilito brutalmente i nostri sensi. La title track prosegue in quest’opera di stritolamento ritmico, guidato da un caustico moto sonoro, in cui emerge forte l’energico lavoro di basso, batteria e chitarra a creare un’architettura sonora, il cui effetto conclusivo sarà di privarci del tutto del respiro, quasi come se qualcuno ci avesse tirato un pugno sullo sterno che si riflettesse in una totale mancanza di fiato. “Manifest” è il pezzo forse più facile a cui accostarsi, complice una maggiore dose di melodia e una più ricercata costruzione delle atmosfere, anche se qui non mancano delle accelerazioni più furibonde che da altre parti, e la band non rinuncia a quel rifferama marcatamente obliquo e ai vocalizzi gutturali del frontman. Uno stridulo riffing iniziale apre invece “Acceptance”, un altro pezzo sghembo nel suo incedere ma soprattutto violento nelle raffiche di mitragliatrice sferragliate dalla batteria, che quasi va ad offuscare il cantato di Mark. Poi un bel po’ di atmosfera e via per l’ultimo giro affidato a “Dematerialise” e ad un incedere slow-motion orrorifico che non ha più niente da chiedere e niente da dare. Quella degli Aeffect è alla fine una buona prova, da masticare e digerire in più riprese, ma che lascia intravedere grandi potenzialità per il futuro, se la band sarà in grado di vedere al di là dei propri schemi precostituiti. (Francesco Scarci)