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#PER CHI AMA: Jazz/Rock
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Jazz, elettro jazz, acid jazz, classic jazz, improvvisazione, c'è proprio di tutto nel nuovo album del trio francese Mogwli, un exploit di colori e musica per un disco strumentale, sofisticato e dinamico, pieno di virtuosismi e congetture ritmiche singolari, alla maniera intricata dei Battles. Supportati da batteria, fiati e tastiere (le chitarre non sono ammesse in questo gioco di suoni), i Mogwli si sbizzarriscono nel ripercorrere e deformare teorie e strade di tanti generi e stili musicali diversi tra loro. Il sound è moderno, carico, con quel tocco cool alla The Smile, ed anche se qui, il jazz la fa sempre da padrone, sebbene possiamo parlare tranquillamente di trame ed intermezzi che guardano al progressive rock più eclettico ed istrionico, senza però perdere quel sound alternativo, che per tutto il disco ti rimanda, a volte nel mondo elettronico, sintetico e cosmico delle produzioni della Ultimae Records, a volte tra le follie compositive degli Art Zoyd, in altre occasioni si crede di aver a che fare con un presunto nipote di Edgar Varese, schizofrenico, volgarmente innamorato delle bizzarrie dei sopracitati Battles, con il gusto compositivo che distingueva i Medeski, Martin e Wood negli anni '90/2000. Quindi, momenti frenetici s'intrecciano a forme più contratte e sperimentali, oppure melodiche e armoniche, a volte il lato percussivo prende il sopravvento, per poi lasciar spazio ad un classicismo che è lontanissimo dal sound precedente, che improvvisamente cambia direzione verso una techno elettronica imitata perfettamente dai tre, senza campionatori o aggeggi simili. Insomma, stiamo cercando il bandolo della matassa, ma non lo troveremo, e i cambi di tempo spettacolari di "Lèviathan" non ci aiuteranno proprio ad identificare questa creatura sonora. In realtà il disco ha un sound veramente originale ed è ben costruito e ben prodotto, non ha una singola direzione sicura, tutto può accadere, nota dopo nota, canzone dopo canzone, un continuo esternare teorie sonore e ritmiche, messe in atto da tre superbi musicisti (basti guardare il video live - Mowgli, Murkiness. Festival JAZZ360 2019 - che trovate in rete per capire di che pasta sono fatti). Potremmo cercare di definirlo etichettandolo fusion/jazz/rock, ma ancora ci sarebbe da obiettare, perchè, in effetti, 'Gueule De Boa', letteralmente testa di serpente, che nasconde un po' anche il significato di postumo di una sbornia, ha l'onore di essere una vera e propria jungla sonora, che farà molto piacere agli amanti dell'avanguardia e del jazz meno ortodosso. Brani come "Dario", "Bicouic Orbidède" e "Sauge d'une Nuit d'ètè", dettano legge, ma tutto il disco risulta imprevedibile e godibilissimo, da ascoltare e riascoltare in continuazione, per coglierne l'enorme lavoro compositivo ed esecutivo che si nasconde dietro le geniali composizioni di questo trio transalpino. Ascolto doveroso per tutti gli amanti del prog e dell'avantgarde jazz contemporaneo. (Bob Stoner)