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mercoledì 17 marzo 2021

Iqonde - Kibeho

#PER CHI AMA: Math Rock/Post Metal strumentale
“Ma tu perché non ridi, non ti contorci dalle risate? Fammi vedere che sei felice!” Me lo chiedo anch’io perché non ci si possa perdere nel ridere ad oltranza, non ci si possa immergere nella tinozza del morso che scompone il viso ed ubriaca di quelle risate. Rivisito questa intro parlata per dare a “Ma’nene” una sonorità in parole altrettanto traboccante di ritmo, bassi, batteria, corpo e rettilinei svirgolati dal rock senza padroni. Iniziamo in questo modo 'Kibeho', album di debutto dei bolognesi Iqonde. Una song ribelle. E la ribellione continua con “Marabù”. Uno scettro di potere fa vibrare il metallo degli sgabelli di un bar di provincia, una sonorità propria di chi ammansisce il basso e manda in etere le corde dell’elettrica su ritmiche frenetiche. Esercizi di stile, di dita sulla tastiera. Volteggi tra i sensi. Corpi sospesi d’anima in un bondage di emozioni post e math rock. Circolare come un’ossessione l’epilogo del pezzo. Va poi on air “Edith Piaf”. Sono blindata nell’ascolto in un concerto privato. Immaginate una nicchia scavata nella roccia, la band in penombra. Ed ascoltate i suoni ridondare come un eco tra le pietre. Li si mescolano il sound, l’atmosfera, la musicalità tribale di questa traccia al contesto. Epilogo sotteso quasi silenzioso lo strisciare succinto delle dita sulle corde ferrose. Cambiamo vestito e contesto. È il turno di “Lebanshò”. Lentamente la musica sale in un tripudio strumentale che trova il suo apice al terzo minuto. Ferma la musica. Resto in attesa. Il silenzio traccia la sua strada della solitudine per tornare tra noi in una danza tribale rivestita da uno sfondo ricco di groove. Assai accattivante direi, ideale per le anime in dissidio tra il silenzio strumentale e la musica che fa muovere mente e carne. Passiamo a “Gross Ventre”. Avete mai sentito sulla pelle il brivido ed il fuoco contemporaneamente? Qualsiasi sia la vostra esperienza vibrante vi invito a farvi un giro su questa violentissima song. Terminiamo l’ascolto di questo album con “22:22”. Dissacrante in apparenza col suo prologo triviale estratto da 'Salò o le 120 giornate di sodoma', film del 1975 di Pasolini. Da me molto gradito! Le parole in musica che si propagano dalla cassa, dalle chitarre, dai silenzi intercalati sono pura convulsione sonora, ribellione ancora eppure accarezzano l’anima con un post metal impulsivo, il math rock e insana tribalità. La mia anima, gli Iqonde, l’hanno toccata e dipinta sicuramente. (Silvia Comencini)

Halter - Omnipresence of Rat Race [2020 Reissue]

#PER CHI AMA: Death/Doom
Quella di oggi è una release che abbiamo già recensito qui sulle pagine del Pozzo. Era il 2013 e 'Omnipresence of Rat Race' dei russi Halter usciva per la MFL Records, proponendo un sound all'insegna di un sound cupo tra un doom claustrofobico e qualche sfuriata di canonico death metal. Nel 2020 la Wroth Emitter Productions ha pensato di riesumare quel lavoro e aggiungervi ben quattro tracce anche se l'ultima, "Zone of Alienation 2020", è una rivisitazione della vecchia song contenuta nell'album originale. Per ciò che concerne invece i nuovi brani, per i vecchi vi invito invece di andarvi a rileggere la vecchia recensione, diciamo che proseguono sulla falsariga di quanto ascoltato in precedenza, sciorinando un doom persistente e dai tratti vintage soprattutto nella linea delle chitarra e in un growl decisamente soffocato. Questo quanto ascoltato in "Water Through My Fingers", visto che "Wintry Day" si pone come un incedere ipnotico, una lunga marcetta ansiogena che trova dei punti di interesse in uno splendido assolo centrale, che strizza l'occhiolino al rock settantiano, per poi tornare a quel delirante avanzare che se ascoltato a più riprese rischia di invogliare il suicidio. "Blank" in realtà sono 20 secondi di vuoto, mentre la già citata "Zone of Alienation 2020" è stata rimasterizzata in una tonalità più ribassata con il sound più pulito e attualizzato che rendono giustizia ad una song che nella sua versione primigenia forse mancava di una maggiore verve. Insomma questa Reissue è un bel modo per apprezzare il debut album del quintetto di Yaroslavl, qui con contenuti extra che portano la durata dell'album a sfiorare i 70 minuti. Ostici comunque. (Francesco Scarci)

lunedì 15 marzo 2021

Valse Noot – Utter Contempt

#PER CHI AMA: Noise Rock
I francesi Valse Noot sono in giro da un decennio e questo 'Utter Contempt' (il loro terzo lavoro, che arriva ben sette anni dopo la loro ultima fatica) è una piacevolissima scoperta. Il quartetto di Brest si immette nel solco di quelle band, penso ad esempio a Metz o Pissed Jeans, che hanno cercato di portare avanti un suono che ha i suoi riferimenti nel noise rock americano anni novanta, di capi scuola quali i grandissimi Jesus Lizard (la qual cosa, per il sottoscritto, è già un grosso merito), senza limitarsi alla mera emulazione ma provando a trovare una loro personale via espressiva. In questo caso i nostri cercano, in sette brani condensati in 30 potentissimi minuti, di portare il noise a lambire territori più vicini a certe divagazioni freeform, pur senza snaturarlo. Ecco quindi che la sezione ritmica si concede interessanti variazioni sul tema, mantenendosi nondimeno inesorabile e granitica, e se la prima parte della scaletta serve a scaldare i motori con brani più “quadrati” e dritti, nella seconda parte emerge un’interessantissima capacità di sperimentare e stupire, come in "Story of a Decadence", dove il caratteristico suono Touch and Go si fonde all’hard punk dei Motorhead, o in "Pigeonholed", dove l’incedere guerresco del basso si innerva di hardcore. In chiusura, la title track si concede anche qualche incursione di synth e un cantato di stampo screamo, per ribadire che nulla è precluso se fatto con le idee ben chiare Un disco sorprendente, fresco, dinamico e molto, molto potente. (Mauro Catena)

OJM - Live at Rocket Club

#PER CHI AMA: Stoner/Garage Rock
Gli OJM non hanno bisogno di presentazioni, essendo una delle band di culto negli ambienti stoner rock e nella psichedelia, e avendo una carriera alle spalle notevole con svariate release e performance che li hanno resi popolari in tutta Europa ed anche oltreoceano. La band vanta tour e collaborazioni importanti con artisti del calibro di Brant Bjork o Paul Chain e numerosi concerti assieme a band di fama internazionale. La compagine trevigiana è entrata di diritto nell'olimpo dello stoner rock del vecchio continente partendo dalla gavetta e sudando note da tutti i pori, mangiando pane e distorsioni fuzz per tanto tempo, coltivando il rito dell'esibizione live, credendo in essa come nella massima espressione del rock'n'roll, che doveva essere esplosiva, trascinante, acida, proprio come nella loro formula musicale. Quindi la Go Down Records, in collaborazione con la Vincebus Eruptum, decidono in questo 2021, a 10 anni di distanza da quell'evento, di dare alle stampe, in edizione limitata in vinile di sole 300 copie, l'intero live degli OJM al Rocket Club di Landshut, in Germania, donando ai fans della band un'occasione in più per riassaporare la grande energia, sprigionata sul palco e catturata da Martin Pollner nel lontano 2011, nel tour dell'ultimo studio album intitolato, 'Volcano'. L'act italico non si è mai sciolto, si è semplicemente preso una lunga pausa e questo disco ci delizia e accompagna, dopo tanto tempo di latitanza, nella riscoperta di un combo compatto, lisergico e allucinato, che traeva spunto dal garage dei The Fleshstones, quanto al mito degli Mc5, che osavano rivendicare una vena altamente psichedelica, riproponendo "Hush" dei primi Deep Purple, suonando ruvido e sporco come i primi Mudhoney. L'album si fregia della presenza di piano bass e organo elettrico, suonati da Stefano Paski, che risaltano il ricercato suono vintage, mentre il resto degli strumenti sputano fuoco e fiamme per una prestazione assai calda e sanguigna. Il solo difetto di questo disco, a mio parere, sta nella qualità che si avvicina più ad un buon bootleg live vecchio stile ponendosi pertanto inferiore alla qualità del precedente 'Live in France' del 2008 (prodotto da Michael Davis – Mc5), pur risultando essere un'ottima fotografia dell'ultimo periodo del gruppo, con molti brani estratti da 'Volcano' e, oltre alla già citata cover dei Deep Purple, con brani tratti dal precedente album in studio, 'Under the Thunder'. Un disco che farà la felicità dei fans degli OJM e del loro sound, averlo sarà un buon pretesto per completare la loro discografia oppure, per chi se li fosse persi fino ad ora, un ottimo motivo per scoprirli in tutta la loro irruente energia live. Un nuovo disco dal vivo che ci porta alla riscoperta di una grande band, stimata da molti musicisti di livello internazionale. (Bob Stoner)

venerdì 12 marzo 2021

Bear of Bombay - Something Stranger

#PER CHI AMA: Electro Rock
Bear of Bombay è il progetto solista nato dalla fervida mente del milanese Lorenzo Parisini, attivo dagli ormai lontanissimi anni '90. Il 5 febbraio di quest'anno, Bear of Bombay ha pubblicato il suo primo EP che lui stesso ha definito un viaggio in stile "psychodreamelectropop" attraverso le sonorità '80-90s. L'album, 'Something Stranger', disponibile su CD e in digitale, racchiude cinque tracce caratterizzate da una miscela di chitarre cariche di riverbero e delay, synth che tanto piacerebbero ai Perturbator e ritmiche semplici quanto incisive, come richiede il genere New wave. "Night tree" è l'opening track e primo singolo con relativo video pubblicato in anteprima a Novembre dello scorso anno. La traccia parte subito senza tanti orpelli e la pulizia delle linee melodiche di basso e di chitarra incorniciano molto bene la voce di Lorenzo, profonda il giusto e dalla più che buona pronuncia inglese. Il mood è volutamente svogliato, leggermente malinconico con delle semplici progressioni che fanno apprezzare una struttura musicale collaudata. Ad un certo punto ci si aspetta un'esplosione che non arriva e lascia l'ascoltatore in uno stato emotivo incerto e desideroso di continuare l'ascolto. "Lazy Day" entra adagio con i suoi 80 bpm e una struttura fatta di basso, organo hammond che omaggia gli anni '70 e il cantato che ricorda tanto le atmosfere di "Play" di Moby. Un brano chill out che chiama il sorseggiare di un buon cocktail dopo lavoro, magari accompagnato da una fumata che purtroppo rimane ancora illegale in certi paesi. L'EP chiude con la title track, dove la batteria sintetica ci catapulta nei primi anni '80 all'interno di un tubo catodico in cui ci muoviamo roboticamente avvolti dalle sonorità eteree dei synth. Un vortice lento ci fa viaggiare nello spazio, in un lungo break che continua a rotearci attorno anche quando la strofa con il cantato, riprende in maniera incalzante. Un bell'EP, sincero, semplice, e allo stesso tempo curato nei minimi dettagli che vi renderà nostalgici se solo avete più di trent'anni. Oppure vi avvicinerà a sonorità che i vostri genitori ascoltavano su casseta nell'intimità della loro cameretta o forse in qualche club sotterraneo e fumoso di cui vi hanno sempre tenuto all'oscuro. (Michele Montanari)

Fine Before You Came – Forme Complesse

#PER CHI AMA: Indie Rock
Come stavate voi con tutto quel daffare attorno. Dove eravamo quando il superfluo era all’ordine del giorno. Sarà banale, ma la musica che ho amato è la cosa che più di tutte mi dà il senso del tempo che passa, la misura dell’invecchiare. E quindi fa innegabilmente effetto rendersi conto che i Fine Before You Came (FBYC) esistono da ormai più di vent’anni (come ribadito dal loro nuovo sito fbyc1999.it – e anche il fatto che nel 2021 si parli di un sito internet come di una cosa nuova contribuisce a dare la misura del tempo che è passato e del fatto che non siamo davvero al passo coi tempi). E anche, a conti fatti, che ne sono passati ormai 12, di anni, da quello spartiacque generazionale che è stato 'Sfortuna'. In tutto questo tempo i testi di Jacopo Lietti si sono rivelati sempre “troppo perfetti”, al punto di essere fisicamente dolorosi, nel disegnare un passaggio ad una vita che si sarebbe voluta adulta (o che qualcuno lo avrebbe voluto per noi) ma che il più delle volte ha assunto soprattutto le forme scomode dell’indadeguatezza; e continuano a farlo, in modo al solito inesorabile, in quest'ultimo lavoro, nel quale rappresentano, a prima vista, l’unico elemento di continutità con il passato. Perchè 'Forme Complesse', che esce quattro anni dopo (di già? Possibile?) Il Numero Sette si discosta decisamente da quello che siamo abituati a considerare i FBYC. Innanzitutto nel modo in cui il disco viene distribuito (per la prima volta non è disponibile in download gratuito e nemmeno sulle piattaforme streaming) e poi, soprattutto, nella sua veste musicale, che abbandona i consueti territori che per semplicità definiamo posthardcore per una sorta di slowcore chiaroscurale. Eppure non ci stupisce granchè, un po’ perchè la strada intrapresa dalla band da 'Come fare a Non Tornare' in poi, passando per il live acustico al teatro 'Altrove', sembrava presagire uno sbocco di questo tipo, un po’ perchè l’utlimo anno ha cambiato le cose in un modo che forse non siamo ancora pronti a riconoscere fino in fondo. E 'Forme Complesse' è un disco cupo, a volte plumbeo, che affronta con precisione chirurgica quello che sentiamo nel profondo ma a cui non sapevamo dare un nome, una forma, un vestito. È un disco che si regge su contrasti in equilibrio, sempre sul punto di spezzarsi, tra grazia e rancore, fraglità e stoica resistenza, tra il terrore del vuoto e il tentativo di caricarsi il proprio mondo sulle spalle, senza mete precise, nonostante tutto. Musicalmente è un disco di arpeggi elettrici delicati e circolari, di lenti crescendo che non arrivano mai al punto di deflagrare, di linee di basso meditabonde, di ritmiche irregolari, intrecci vocali ed un cantato a metà tra il declamatorio dolente degli ultimi lavori e delicate, fragilissime melodie. È un disco bellissimo. Forse non l’avevo ancora detto. (Mauro Catena)

(Legno - 2021)
Voto: 83

https://fbyc.bandcamp.com/

lunedì 8 marzo 2021

Volvopenta - Simulacrum

#PER CHI AMA: Experimental/Post Rock/Noise
Quest'album parte con un sound soft, un post rock ambientale così carezzevole da rendere la pelle vulnerabile e le sensazioni sublimi per ognuno dei sensi. Quando s'inserisce la batteria poi, sento solo i piatti metallici che toccano l’inconscio, ed il cantato si mescola ai ripetuti di corde pizzicate. È la magia, la malia di "Kargus", la traccia d'apertura di questo 'Simulacrum', opera seconda dei teutonici Volvopenta. La premessa mi porta in etere a sognare. Mando on air "Tele 81". Sorprendente. Una seducente base ritmica evoca gli anni trenta. Un respiro affannoso in musica, lento. Momenti di voce che gridano la rivalsa alternati a loop sonori ipnotici. La batteria con il suo ferro fa sempre da subliminale. Lo stile è unico, assai originale. Sospende, lasciando i sensi xerostomici con la sete a volerne ancora. Quando parte la siderale "Barfly", le luci soffuse si spengono definitivamente. Scrivo nel buio, lasciando all’udito l’assoluto dei sensi. Molto, molto intenso il corpo di questa song, talmente intenso da materializzarsi. Qui la musica, un robusto post rock, diviene carne, sangue ed il buio si fa vista altrove. Provate l’esperienza. Scorre la musica come un fiume che leviga il proprio letto. Una cura. Un vello. Una sensazione che si rinnoverà anche in "Interlude 1". Un sorso di "Ghost" ed avrete nell'etere uno sperimentale retroattivo rivisitato di punk, rock, shoegaze e dark, il tutto servito in un solo calice. Ubriachiamoci insieme. Il secondo momento panoramico lo troviamo in "Interlude 2". Altra cura, altro rimedio per l’anima. Enantiomero dell’1. Complementare all’1. Graffia invece, vibra "One to Five". Imprevista. Futurista. Al contempo retro style con i suoi suoni elettrificati, ma nostalgici come un chiacchiericcio di foglie che vorticano nel vento lentamente. Un moto in musica circolare a tratti ellittico. Ora la nostalgia è la mia, per essere giunta all’ultima traccia, la strumentale "Flint". L’ascolto, la sigillo con un'iperbole ascendente in un ossimoro di musica dalle venature sanguigne, delicate, molto ben interpretate ed estremamente malinconiche. L’ascolto è per anime senza pace. La troverete. La musica è per musicisti senza stile. Vi ispirerete. La dolcezza è per chi come me si sente cullata tra le parole e la musica pregiata dei Volvopenta. (Silvia Comencini)

(Tonzonen Records - 2021)
Voto: 84

https://volvopenta.bandcamp.com/album/simulacrum

domenica 7 marzo 2021

Empyrium - Über den Sternen

#FOR FANS OF: Black/Doom/Folk
The German duo Empyrium is without any doubt one of the most personal and exquisite projects out there. The project, founded in 1994 in Bavaria (Germany), was from its early inception already a quite unique creature. Its personal and remarkably tasteful combination of neofolk influences and doom metal with epic touches, shocked the scene with it almost unbeatable inspiration and quality. Early works like 'A Wintersunset' and especially its sophomore masterpiece 'Songs of Moors & Misty Field', made this band a truly respected project. In this second opus the mixture of an intensely melancholic doom beauty and the folk influences was nearly perfect. Vocally, the band was also original with the combination of extreme vocals with baritone-esque voices, which gave an even stronger solemn and melancholic touch to its music. Afterwards, the band left behind the metal influences and focused sorely on folk and neo-folk sounds, which was a pity from a metalhead perspective, although the music continued to be very personal and excellent. With the band’s split-up, the classic members focused their efforts on new projects, though thankfully they returned some years ago with a slightly more modern yet tasteful opus 'The Turn of the Tides'. This effort didn´t receive a so warm welcome, although it pleased the fans in reasonable way.

Still, many fans deeply missed the early works of Empyrium and there was a cautious excitement when the band announced a new album entitled 'Über den Sternen', that was supposed to bring to black many influences from the classic works. This "back to the roots" is usually no more than a marketing strategy, but thankfully this hasn't be the case with Empyrium. I don´t imply that this is a replica of the early albums, but the influences are strong and completely present. A more modern touch in the production, already seen in the previous work, is still there, but as previously announced by the label, the doom metal and folk influences are back in a way we haven´t seen for a long time, and also the extreme vocals, largely missed by many metalheads. 'Über den Sternen' obviously tries to mix the most known two sides of Empyrium´s coin, the metal influences and the folk/neo-folk ones and they successfully do it. If I could complain about something from this album, it would be the following two aspects. Firstly, that the central part seems to be too focused on the softest and more folky influences, unbalancing the final result of the album. Secondly, maybe I had expected more shrieks based on my early impression from the first self-titled single. In any case, this is a magnificent album with many great tracks. The initial part is almost faultless with two compositions that bring us the best of their early works. The album opener "The Three Flames Sapphire", that has been presented with a beautiful video, is a perfect blend of the calmer and folk influenced side and the most metal one. The song evolves from its more folkie and melancholic start to a final heavier section as a delicate piece with a excellently executed ‘in crescendo’, just to end acoustically. The magnificent clean vocals with this baritone style and the undoubtedly nice flute are 100% Empyrium, and this means quality and style. The following track "A Lucid Tower Beckons on the Hills Afar" is a more metal oriented song, bringing back the best of Empyrium’s second and legendary album. The combination of extreme vocals, baritone voices and background vocals, alongside the always exquisite melodies, is a pleasure for the ears. The guitar lines vary from metal riffs to acoustic tones with elegance and naturalness as it happens with the intensity of the music. Doom metal and folkish music embrace together in a unique way. The central part of the albums focuses, as said before, much more on the folk side and though it does it with indubitable quality. The contrast with the rest of the album makes me feel think that another harder composition, would have been more than welcome between the purely calm songs like "Moonrise" and "The Archer". Its not a big deal, but I personally think that this would improve the overall impression and result of this album. The problem is not the neo-folk influenced tracks, but the impression that they are wrongly placed as they follow a song like "The Oaken Throne", which is still quite tranquil. The album recovers its initial momentum with the beautiful "The Wild Swans", once again the sophomore album’s greatness is back with an extraordinary track, that mixes with success the fury and the calm, the strength and the delicacy in one single composition. The album ends with the aforementioned self-titled song, that is undoubtedly a great way to end the album on a high. The final song summarizes all the trademark influences that have made Empyrium a so beloved and unique band. Pure elegance and beauty.

In conclusion, 'Über den Sternen' is an excellent work by Empyrium and aside minor complains from me side, this is a brilliant album. 'Über den Sternen' will make happy all Empyrium fans around the globe and should be a mandatory listen to all who like music made with taste. (Alain González Artola)


(Prophecy Productions - 2021)
Score: 85

https://empyrium.bandcamp.com/album/ber-den-sternen