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venerdì 29 maggio 2020

Yune - Agog

#PER CHI AMA: Indie Rock
Debut album in casa Yune (la Dea del Caos nel videogioco giapponese Fire Emblem, chissà se sia questo il riferimento), ensemble danese dedito ad un indie alternative rock. Questo almeno quanto si evince dalla opening track di 'Agog', intitolata "Ørkensangen", song melliflua che ci dice di metterci rilassati e farci cullare dalle atmosfere gentili che permeano la track. Soft è la ritmica, affidata ai docili tocchi di basso e flebile chitarra, accompagnati qui da synth e archi, ma soprattutto soft la voce calda del suo frontman, Tobias Sachse. Che il basso sia lo strumento portante dei nostri ce lo conferma anche la successiva "Odd One Out" (primo single, il cui video è stato girato in Marocco), un'esperienza meditativa in cui immergersi ampiamente e lasciarsi trasportare dal morbido refrain dei nostri, in una sorta di rivisitazione dei Radiohead più cerebrali. Cool. "Low" (il secondo singolo) guarda a sonorità decisamente più pop rock primi anni '90 (Talk Talk), sicuramente intimiste, in cui fermarsi a riflettere sul significato delle cose e degli eventi. Sicuramente non un ascolto complicato, complicato è semmai relazionarsi con i pensieri che da esso scaturiscono. Lo stesso dicasi per "Part 2", che con le sue dissonanze soniche sembra acquisire più un valore onirico e trascendentale. Non è un ascolto facile quello di 'Agog' e non tanto per il fatto che la musica qui contenuta sia difficile da ascoltare, è più per una questione meramente emotiva, le song smuovono infatti emozioni mai positive, sussulti, incanalano malinconie, evidenziano ombre nell'anima e nella mente, palesano fragilità interiori ("Maple") grazie ad un sound cosi melancolico che guarda allo shoegaze, alla psichedelia, all'elettronica, in un crescendo di intensità man mano che si procede nel suo ascolto, con il disco che sembra direttamente pulsare nei nostri petti al ritmo del cuore. In "Running Down The Hourglass" abbiamo il primo cambio di frequenze, con un sound meno decadente e più votato alla positività, forse per questo l'ho apprezzato meno, perchè meno in linea con gli altri brani del cd. Molto meglio infatti "Unna", in cui il mood nostalgico degli esordi trova punti di contatto con il post rock, crescendo sul finire in intensità elettrica, quasi una novità per i nostri. Le peculiari personalità dei cinque musicisti (un dottore, un idraulico, uno psichico, un comunista e un cane) si ricompongono e fondono ancora nel flusso ipnotico delle rimanenti tracce, la sexy "Copy of You", la pulsante "Gold" ed infine, nella più instabile e sperimentale "Far Gone", che sancisce le interessanti qualità di questi cinque ragazzi di Copenaghen, da tener assolutamente sott'occhio in ottica futura. (Francesco Scarci)

(Crunchy Frog Recordings - 2020)
Voto: 73

https://yune.bandcamp.com/album/agog-pre-order

domenica 24 maggio 2020

Esoctrilihum - Eternity of Shaog

#FOR FANS OF: Experimental Black Metal
Esoctrilihum is one of those obscure solo-projects where it is hard to find any information. We even don´t know when it was created, though the debut album was released only in 2017, so we can assume that it is a rather new project. Anyway, these last three years have been more than enough for this interesting solo project, created by Asthâghul, to release the impressive amount of five albums. Some may think that this amount isn´t that outstanding speaking about a one man band, especially if we take into account that the musician behind this project, seems to be sorely focused on this band, but Esoctrilihum’s has nothing to do with those simplistic and quite repetitive black metal projects. Moreover, I can safely say that this project´s music has a respectable amount of complexity and hours of work as the songs are long, varied and contain full of different details. In the debut album entitled ‘Mystic Echo from a Funeral Dimension’, Esoctrilihum played an occult black metal with strong atmospheric influences, where the compositions were convoluted and demanding. I personally enjoyed that album quite a lot and I tried to follow his next works. The subsequent albums showed a more experimental and even more complex side of this project, though this interest to experiment was already present in its first release. At any rate, the following works sounded more and more bizarre at times. Because of this and though I always respected Asthâghul`s very personal musical vision, I found the following albums as quite difficult works to enjoy.

When I read that Esoctrilihum was back with a new album entitled ‘Eternity of Shaog’, I was obviously curious to see what this new project could offer this time. As expected, this band´s music is not the easiest one to be digested and requires some adequate listenings to be fully understood. In any case, ‘Eternity of Shaog’ shows an interesting mixture of this already trademark experimentation and bizarre instinct, with some atmospheric and even epic touches, which irremediably remind me the debut album. For example, the second track entitled "Exh-Enî Söph (1st Passage: Exiled from Sanity)", successfully mixes those guitar riffs, which have a slight tendency to be experimental and the bizarre vocals, with some majestic keys and acoustic guitars. The mastermind manages to do it in a way, that it lets the song sounds majestic, yet unique in its nature. As it has been traditional with Esoctrilihum, the song is rich and varied in its structure, it continuously changes its pace and textures as it progresses during its almost nine minutes length. The subsequent track "Thritônh (2nd Passage: The Colour of Death)", shows a more aggressive face of the project and also a more prominent experimentation. It includes some intricated riffs and again the acoustic-esque guitars, which this time sound more experimental and tenebrous. As an addition, it includes a violin, a classic instrument that in Asthâghul’s hands even increases this feeling of experimentation and chaotic outlandishness. What I particularly found interesting in these tracks, and in general in the whole album listening experience, is how Esoctrilihum combines the complexity and extravagance with the atmospheric and even beauteous melodies, without breaking this basic nexus which every composition should have. As I already mentioned, Asthâghul integrates in a very interesting way the keys and the classic instruments like the piano or the violin, with the former one giving the stronger atmospheric touch, and the classic one playing in a more experimental way. The interesting use of these instruments fits perfectly well with the occult and chaotic spirit of Escotrilihum’s songs. Another highlight of the album is the track "Namhera (7th Passage: Blasphemy of Ephereàs)", with a super powerful pace and excellent guitars. But the strongest aspects of this song are the vocals performance and the key arrangements. The vocals have an interesting combination of aggressive vocals and enigmatic cleans voices, which sound in the background. On the other hand, the keys are even bombastic this time, making this song be the most epic one of this album.

In conclusion, Esoctrilihum managed a particularly interesting balance between its black metal roots and its experimental and bizarre tendency, forging an album which navigates between both sides and successfully reaches an equilibrium. This is by no means an easy album and it requires patience and careful listenings in order to enjoy this weird musical proposal. If the listener can do it, the album will be a very interesting musical experience for the most demanding fans of this occult and extreme form of metal. (Alain González Artola)


Smokemaster - S/t

#PER CHI AMA: Psych Rock
Gli Smokemaster arrivano dalla Germania, più precisamente da Colonia, con l’evidente missione di rendere felici tutti gli amanti del rock psichedelico e delle sonorità valvolari. Diciamolo subito: la passione per questo genere sembra davvero intramontabile, malgrado sia impossibile negare che il filone, sfruttato da un’infinità di formazioni provenienti da ogni parte del globo, abbia ormai esaurito la sua capacità di offrire materiale innovativo o, quantomeno, che non guardi costantemente al passato. Questi cinque ragazzi teutonici ne sono evidentemente coscienti e hanno costruito ciò che si rivela senza mezze misure un disco per nostalgici: si passa dal pezzo strumentale in stile My Sleeping Karma (per altro connazionali) “Solar Flares”, che ci stuzzica con le sue suggestioni kraut-rock, allo stoner-blues scuola Orange Goblin di “Trippin’ Blues”, mentre la lunga “Ear of the Universe” pesca a piene mani dall’hard-rock anni settanta, con tanto di organo hammond d’ordinanza e persino un’armonica ad enfatizzare il gusto retrò. Il lato B dell’album ripercorre grosso modo l’andazzo del precedente con l’aggiunta dell’escursione country di “Sunrise in the Canyon”; a spiccare sono però “Astronaut of Love”, brano mosso dal pulsante giro di basso e genuinamente stoner-rock, e “Astral Traveller”, divertente cavalcata psichedelica dalle intriganti ritmiche di batteria, infiniti solo di chitarra e liquidi effetti elettronici che si disperdono nell’etere. 'Smokemaster' è un ascolto piacevole e un ottimo compagno tanto per eventuali trip verso l’ignoto quanto per le lunghe e non sempre facili giornate che stanno caratterizzando il periodo del suo rilascio. È però un disco che si mantiene ostinatamente nella sicura ombra di opere del passato e rivolto ad una platea ben precisa, mentre per lasciare il segno occorrerebbe qualcosa di più. (Shadowsofthesun)

(Tonzonen Records - 2020)
Voto: 61

https://smokemaster.bandcamp.com/

VV. AA. - Solar Flare Records

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Noise
Un'altra compilation nelle mie mani questo mese, devo essere stato davvero cattivo negli ultimi tempi. Autori del misfatto questa volta i francesi della Solar Flar Records (supportata dalla Atypeek Music), che raccolgono qui 10 band del loro roster per testimoniare quanto portato avanti sin qui dall'etichetta e quanto dovrebbe prospettarsi roseo il futuro. Il cd si apre con il caustico refrain noise/post-hardcore degli statunitensi Pigs e della loro "Give It", estratta dall'album del 2012, 'You Ruin Everything'. Questo per dire che le tracce non sono proprio recentissime. I nostri torneranno più avanti con una più ritmata e convincente "The Life in Pink". Dei Sofy Major credo abbiamo abbondantemente parlato su queste stesse pagine, mentre non abbiamo mai avuto l'opportunità di saggiare il sound melmoso, schizzato e super fuzzato dei francesi Pord che, con "Staring Into Space", ci riportano al 2014: interessanti ma difficili da digerire senza un bel malox a supporto. Continuiamo col super ribassato sound dei Watertank e della loro "Pro Cooks", una combinazione di doom, noise e post-hc con voci molto (troppo) ruffiane, che mal si conciliano con i miei gusti, confermato anche dalla seconda "DCVR". Ancora chitarre sporche, voci abrasive e atmosfere psichedelicamente distorte con i Bardus, ma potete capire come sia difficile fare valutazioni sulla base di un pezzo, niente male comunque. Gli American Heritage fanno un punk hardcore inverinato che nelle due schegge a disposizione mostrano la verve abrasiva della band. I Fashion Week, per quanto fautori di un sound a tratti intrigante, alla fine non mi fanno proprio impazzire con il loro post grunge di scuola Smashing Pumpkins. Più strani i The Great Sabatini, con un punk noise hardcore all'inizio fastidioso, molto più interessante invece nelle linee più sludge della loro proposta. Ultima menzione per i Carne e "1000 Beers", estratta da 'Ville Morgue' (2013) che mette in mostra un post-hardcore dissonante che sembra ricongiungersi virtualmente al black destrutturato dei compaesani Deathspell Omega. In chiusura gli Stuntman e il loro devastante e irriverente hardcore, la forma più brutale di questo concentrato nerboruto di suoni tremendamente sporchi. (Francesco Scarci)

(Solar Flare Records/Atypeek Music - 2020)
Voto: S.V.

https://www.facebook.com/solarflarerecords

venerdì 22 maggio 2020

Meanwhile Project Ltd - Marseille

#PER CHI AMA: Alternative/Indie Rock
Sono passati alcuni anni dal precedente album del duo tedesco, molti live set ed esperienze umane che hanno portato i Meanwhile Project Ltd ad una maturazione più che compiuta, una sorta di rinascita artistica con numerosi spunti musicali presi in prestito da molteplici fonti sonore, tante idee per composizioni creative e colorate. Tanta è la qualità espressa in questa manciata di canzoni dai mille volti, raccolte assieme da un unico comune denominatore, l'indie rock in tutte le sue forme. A dire il vero, dentro questa scatola musicale ci troviamo di tutto, dall'alt country di "Marseille", che dona il titolo anche all'album, all'indie rock alla Deus del singolo "Selina", sorretto da atmosfere acide e luccicanti, e un sound imprevedibile e suggestivo, ai confini temporali con gli anni '70, capitanato da una malinconica marcetta di memoria doorsiana, e ancora che dire della splendida "Idols Shaking Hands". Lo spettacolo continua con "Insect Boy" che rincorre le romantiche e tempestose teorie canore del miglior Neil Young mixate ad una vena psichedelica astratta in puro stile Mercury Rev (incredibile la somiglianza vocale con Donahue e Young in questo brano). "Lost on Demand" ed "Emigrant" toccano il lato sentimentale ove sale in cattedra una certa ammirazione per il folk, complesso e raffinato, del miglior Nick Drake, con quell'arrangiamento fiabesco che esalta il lavoro in sottofondo fatto dagli ospiti/amici della Subway Jazz Orchestra che da questo punto del disco diventano veramente indispensabili al sound dei nostri. Il sax sospeso di "Tired Boy" e l'ombra del dark jazz di "Golden Sunrise" esaltano il suono e lo espandono in profondità ed espressività portandolo fuori dal tempo, costruendo una forma canzone originalissima e poco accostabile ad altre realtà. "Seventyheight" è un cortocircuito notturno che con le sue arie, ricorda le atmosfere rarefatte, delle composizioni dei Fleet Foxes, mentre la conclusiva "Ghost With a Toy" ci avvia alla fine del viaggio, rimarcando quel tocco di malinconia eterea che avvolge l'intero album. La premiata ditta Marcus Adam & Marcell Birreck ha sfornato un gioiellino tutto da ascoltare, valorizzato da un suono avvolgente, raffinato, un disco ragionato e ispirato, suonato, cantato e composto con grande maestria. Un grande disco di indie rock e finalmente, possiamo dire che il pop è diventato adulto. Ottimo lavoro! (Bob Stoner)

Daven - Frontiers

#PER CHI AMA: Prog Death
Premesso che è meglio sorvolare sulla banalità di un artwork di questo tipo, vi confermo che è molto meglio concentrarsi sulla musica della one-man-band statunitense. 'Frontiers' è il titolo dell'ultimo arrivato in casa Daven, un'artista che può vantare nella sua discografia ben sette EP, tra cui quello di oggi. Il genere proposto dal mastermind di Columbia in Missouri, è un colorito e particolare black death che si apre sulle note soffuse dei synth di "Hostile Life" che fungono un po' da intro apripista ad una traccia ben più complessa e strutturata, che ha il merito di svelarsi in modo sinistro. Dopo i synth d'apertura, ecco infatti un riff compatto e marziale, sul cui sfondo si alternano differenti spoken words che sembrano preparare il terreno all'arrivo di un sound che si rivelerà ben calibrato e ritmato, ove il cantato mostri finalmente la sua anima growl. Il pezzo si muove poi su un mid-tempo costruito da un rifferama di scuola meshuggahiana con in background leggiadre keys che costruiscono interessanti trame atmosferiche. Il risultato è alla fine piacevole, ma non ne dubitavo da uno che suonare in band (tra ex e attuali, ne vanta ben 12) ne fa verosimilmente lo scopo di vita. La seconda "Ship of Destiny"si muove invece tra un viking black e il death, non mostrando chissà quale grande inventiva ma suonando in realtà in modo semplice e pulito, con una buona vena melodica che dal break acustico di metà brano in poi, e pur mettendo in luce i punti deboli del musicista americano, ne evidenzia anche i punti di forza. "RD/RN" sembra un brano uscito da una qualche band prog rock anni '70, il che mi lascia alquanto spiazzato visto che sembra completamente scollegato da quanto ascoltato sin qui. Anche a livello vocale si assiste ad una vera trasmutazione del vocalist che qui canta un po' stile Alice Cooper. E arriviamo alla title track, una song che esibisce le influenze folk rock dello stato da cui proviene Mr. Daven, e in cui il duetto chitarra acustica e pianoforte, hanno un forte impatto strumentale. Poi il chitarrone elettrico, scuola Devin Townsend, viene in supporto, tessendo una buona trama chitarristica progressive, il tutto rigorosamente in chiave strumentale che non mi svela alla fine granchè di questo artista nord americano, avendomi mostrato in quattro tracce, quattro anime quasi del tutto differenti. Da tenere comunque monitorato, per capire dove Daven andrà a parare nell'immediato futuro. (Francesco Scarci)

Dead Prophet - Sounds of Enlightenment

#PER CHI AMA: Death/Grind
Ep di debutto per questa non troppo giovane band: formatisi infatti nel 2011 a Nowy Sącz in Polonia, dopo tre anni di attività, i Dead Prophet si prendono una pausa di altri 36 mesi fino al 2017, quando il trio ritorna in sella e si mette a registrare questo 'Sounds of Enlightenment'. Cinque pezzi di una ferocia inaudita che confermano come la terra di Behemoth, Vader e Antigama, sia luogo ideale dove sprigionare la furia di un terremoto. Fatta eccezione per l'intro, il lavoro è infatti uno schizofrenico dipinto di suoni techno death/grind che s'innescano da "Unexpected Suffering" e arrivano alla conclusiva "Mutilated Waltz", danzando sull'ubriancante vortice di un brutal death senza compromessi, con chitarre sparate alla velocità della luce e una voce caustica dietro al microfono. I nostri non solo divampano la loro energia con sfuriate death grind, ma si confermano abili giocolieri quando tirano il freno a mano per il classico testa coda e il rallentamento è li, dietro l'angolo, pronto subitamente a ripartire. Interessante la terza "Renunciacion of God" che a livello atmosferico (ridotto al lumicino sia chiaro) mi ha evocato i Nocturnus di 'Thresholds', mentre le ritmiche successivamente fanno l'occhiolino ai Morbid Angel più incazzati. E la gragnola di colpi prosegue anche sotto il martellare senza tregua di "Flakka", a confermare le qualità disumane del drummer polacco. Insomma 'Sounds of Enlightenment' è un biglietto da visita interessante per chi ama vedere il proprio naso grondare dai pugni ficcanti di band extreme death. (Francesco Scarci)



domenica 17 maggio 2020

Sole Perfundi - Car ils Seront Comme de la Cendre

#PER CHI AMA: Black, Burzum
La scena estrema francese continua a fare incetta di nuove promesse. Gli ultimi arrivati sono i Sole Perfundi, one-man-band di Tolosa, capitanata però da quel M.S che qui nel Pozzo si è già fatto vedere con l'altra sua creatura, gli Heir. La proposta della band di quest'oggi è all'insegna di un black caustico dai comunque forti connotati atmosferici, forti di un utilizzo spettrale delle tastiere in sottofondo. La voce del frontman, che pare provenire dalle viscere dell'Inferno, completano il quadro di una song che fa di un unico riff glaciale il suo punto di forza. Questa ridondanza ritmica finisce per stordire, quasi terrorizzare l'ascoltatore, soprattutto laddove il sound rallenta quasi a fermarsi in un enigmatico, rarefatto e dilatato momento di delirio corale, in cui oltre a stralunati arpeggi di chitarra, si presentano salmodianti cori esoterici. Questa era "Sol Justitiæ", l'opening track, mentre la seconda "Sole Perfundi" riprende con un black mid-tempo dalle tinte burzumiane, periodo 'Hvis Lyset Tar Oss'. Ancora un unico riff, su cui si agganciano semplici ma efficacissimi tocchi di tastiera, ed uno screaming crudo che si colloca alla perfezione in questo paesaggio di sconfinata desolazione, dove potersi perdere con la propria anima condannata alla dannazione eterna. L'ultimo scroscio post-punk sigilla alla grande un lavoro ancora interlocutorio, ma che se sviluppato intelligentemente, potrà regalare interessanti prospettive future. (Francesco Scarci)