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giovedì 3 aprile 2014

Aeris - Temple

#PER CHI AMA: Post metal strumentale, Jazz-metal, Math 
Il grande difetto del post metal strumentale (e di qualunque post-genere senza cantato, per inciso), l’ho già detto in passato, è la noia: anche un appassionato, di fronte a minutaggi infiniti di chitarra-basso-batteria che si ripetono fino all’ossessione con il solito trucchetto del veloce-lento-veloce, rischia lo sbadiglio automatico già a metà del primo ascolto. Fortunatamente, non è il caso di questo 'Temple' dei francesi Aeris: il quartetto d’oltralpe concentra in soli 28 minuti (avete letto bene: 28 minuti, quasi un record) una tale quantità di generi, sottogeneri e influenze da lasciare sbigottiti. Il lavoro è diviso in tre movimenti, per un totale di sette tracce. La opening track “Fire Theme” e la successiva “Rising Light” ruotano attorno ad un tema di memoria meshugghiana, condito da una potentissima sezione ritmica e una partitura di chitarra sulle note più alte che non può non ricordare i più famosi Gojira, anch’essi francesi. Incastonato tra le due tracce, il piccolo gioiello “Hidden Sun”, giocato su atmosfere drone (Sunn-O))) e Boris) di echi, feedback e violenza pronta ad esplodere. Le seguenti “Richard”, “Horizon” e “Robot” (tutte parti del secondo movimento), si spostano invece in territori più jazz-metal: gli strumenti sperimentano ritmiche meno aggressive ma altrettanto estreme nella costruzione, scale fusion e suoni tutt’altro che banali, dando prova della grande tecnica del quartetto d’oltralpe. Chiude il disco “Captain Blood”, vero capolavoro dell’album, capace di evocare le atmosfere dei primi King Crimson ripassati nel tritacarne del metal moderno: l’ossessività delle linee melodiche e la follia appena trattenuta degli assoli fanno da contraltare ad una sezione ritmica incredibilmente precisa e potente. Un parola anche sull’artwork, vera nota stonata del lavoro: la pur bravissima illustratrice Clémence Bourdaud non ha, a mio parere, uno stile coerente con quello della band, preferendo un tratto cartoon che, nonostante il soggetto inquietante (un vecchio prete, un cerbiatto, una donna col volto coperto e un piranha in una boccia), non riesce a rendere l’oscurità e il disagio della musica al suo interno. Non è un disco per tutti, non è un sottofondo da ascensore o da supermercato. 'Temple' è un album che richiede concentrazione, attento ascolto e predisposizione – anche e soprattutto perché dura (intelligentemente, direi) meno del solito. È un inno alla sperimentazione e alla creatività, in un genere che troppo spesso sforna mediocrità scopiazzate e dischi che si dimenticano al primo ascolto. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2013) 
Voto: 80 

martedì 1 aprile 2014

Nevroshockingiochi - Scena 2

#PER CHI AMA: Post Punk/Industrial
Dopo diverso rock nelle mille sfumature possibili, inserire un cd come "Scena2" ti scollega il cervello e ti de-localizza fisicamente. Alla stregua di una terapia d'urto basata su immagini forti e disagianti (vedi Arancia Meccanica), i NEVROSHOCKINGIOCHI (NSG) amano disturbare e colpire la materia grigia con suoni industrial/elettronici. L'album, il secondo dopo l'esordio del 2009, contiene dieci brani divisi in tre capitoli (attacco, pseudosoggettiva, totale), cantati, sussurrati e urlati rigorosamente in italiano. Componente fondamentale della band è il binomio teatro e musica che li ha visti impegnati in diverse collaborazioni, puntando su atmosfere che riprendono quotidianità, mescolata a malessere esistenziale. Infatti i testi sono sempre molto duri, come i suoni che si insinuano e a primo impatto creano uno stato di malessere profondo, simile ad un incubo senza fine. Cigolii, martelli pneumatici, fischi e tutto quello che la nostra società industriale può offrire, integrano la classica ritmica composta da batteria e basso, a volte talmente snaturati che si fatica a distinguerli. Chitarra e synth/campionatori si preoccupano di completate il delirio sonoro che mira ad insinuare un insano senso di malessere metafisico. La sezione cantata ricorda, per alcune sfumature, il buon Battiato e Morgan nel periodo Blu Vertigo, mentre i testi mirano più a ricreare emozioni con singole parole e brevi frasi che dare un senso all'intera traccia. Pezzi come "ciNECROnica" prendono spunto dalla scuola Depeche Mode e in continuo crescendo ritmico che diventa ipnotico, sostenuto da synth altrettanto magnetici. "Piccoli Omicidi Fatti in Casa" esordisce con un basso distorto che accompagna campionamenti industrial, mentre il vocalist alterna parlato ed urlato per dare enfasi ai passaggi critici della canzone. Preciso che considero quanto appena scritto una pura descrizione personale delle mie percezioni sensoriali. Un disco come questo non necessita di classificazioni o altro, ma di essere ascoltato e vissuto anche visivamente, come proposto dai NEVROSHOCKINGIOCHI. (Michele Montanari)

(Only Fucking Noise - 2013)
Voto: 70

Ocean Districts – Expeditions

#PER CHI AMA: Post Rock, God is an Astronaut, Team Sleep, Explosions in the Sky
Gli Ocean Districts vengono da Talinn in Estonia e ci porgono questo loro primo lavoro autoprodotto rilasciato i primi giorni del 2014, dal titolo 'Expeditions'. Il quartetto si muove agile nei meandri di una musica suggestiva completamente strumentale che attinge a piene mani sia da un certo metal psichedelico di nuova generazione che dal post rock. Niente di nuovo sotto la coltre di neve raffigurante la copertina perchè la commistione di generi è stata triturata da diverso tempo e da tante band sparse per il mondo anche se per questi ragazzi possiamo spezzare una lancia in più a loro favore, poichè tra le tracce, si sente una maturità raggiunta che la band sembra già veterana della scena, cavalcando agiatamente tutti gli scenari sonori offerti dai brani. Passando dalle soffuse atmosfere di chiara impronta post rock fino ad arrivare alle belle aperture di rock umorale piene di malinconia, dalla capacità visionaria e cinematografica, si sentono i profumi di ensemble come God is an Astronaut, This Will Destroy You, Explosions in the Sky, Team Sleep e il new metal emotivo dei Palms di Chino Moreno. In alcuni casi i nostri si divertono a mostrare anche i muscoli, come nella bella "Endurance", dove fanno uscire dal cilindro magico sonorità e somiglianze musicali di matrice stoner, quello europeo, quello space oriented degli olandesi 35007 che non a caso, potrebbero essere un buon punto di riferimento per comprendere il sound della band estone. Gli Ocean Districts conoscono il fatto loro e giocano le loro carte nel migliore dei modi, sicuri dei loro mezzi, carichi di buone idee e forti di una registrazione/produzione di tutto rispetto. Sicuramente conoscono i limiti commerciali di un simile lavoro ed il suo posto di nicchia, ma il coraggio di affrontare un sound di questo tipo è dimostrazione di carattere e maturità per la band e chissà se un giorno verranno scoperti e premiati dal grande pubblico! Album godibilissimo! Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 70

Amoral - Fallen Leaves & Dead Sparrows

#PER CHI AMA: Heavy Progressive
Lo ammetto, non sono mai stato un fan della formazione finlandese che calca la scena ormai da una quindicina di anni: troppo death oriented agli esordi, power nella seconda metà della carriera. Ebbene, quando per pura curiosità ho dato un ascolto a 'Fallen Leaves & Dead Sparrows' per capire se dovevo continuare a mantenermi alla larga dai nostri, l'istinto primario è stato quello di scrivere alla band e sono rimasto sorpreso nel ricevere un feedback quasi istantaneamente e dopo una decina di giorni vedermi recapitare il nuovo album nella mia cassetta postale. Il nuovo lavoro, oltre a presentarsi con una eccellente veste grafica, presenta anche delle novità a livello musicale che hanno fatto salire notevolmente il mio interesse. Quando "On the Other Side pt. I" si accende nel mio stereo, mi accorgo che qui di power metal non v'è traccia e tiro pertanto un bel sospiro di sollievo. La musica del combo di Helsinki segue la scia del rock progressivo, in cui ogni tanto compare qualche bel giro di chitarra di scuola finlandese (Children of Bodom) e che largo spazio concede alla fantasia dei suoi musicisti con un songwriting di tutto rispetto, in cui tutto è collocato al posto giusto, anche le vocals leggerine di Ari Koivunen. Non bazzicando troppo questa scena, non mi sarà facile darvi delle coordinate stilistiche per collocare la nuova proposta degli Amoral, ma quello che posso dirvi è che l'ho trovata brillante: "No Familiar Faces" è un bel brano rock, in cui accanto ad una graffiante ritmica, i due axemen si divertono a tessere ottimi assoli che giocano a rincorrersi l'un l'altro in caleidoscopiche scale che regalano sussulti di piacere. "Prolong a Stay" attacca con i suoi schizoidi giri di chitarra e con una potente componente orchestrale che fa posto ad un bel riffing corposo su cui si piazzano le vocals di Ari e addirittura cede il passo ad un infernale attacco in stile black, con tanto di blast beat. Ma è solo un fuoco di paglia, non temete. Il combo finnico sa come mantenere la soglia di attenzione elevata e lo fa con tutta una serie di accorgimenti tecnico-compositivi che ne impreziosiscono il risultato finale. "Blueprints" attacca con un bel giro di chitarra acustico che sembra miscelare il blues ai Guns'n Roses, e che mette in luce le capacità tecniche dell'assai dotato vocalist. Ancora un intro acustico, ed è il turno di "If Not Here, Where", lunga traccia di oltre nove minuti, che sembra suonare come una sorta di semi-ballad, tra intermezzi arpeggiati e uno stralunato riffing techno death, in cui l'eterea voce di Ari si schianta contro il growling di Ben Varon e in cui gli splendidi assoli finali vengono annientati da un micidiale assalto death. Non hanno paura i nostri di osare, mischiando il sacro col profano e fanno bene, perché quanto emerge dalle note di 'Fallen Leaves & Dead Sparrows' si rivela assai intrigante e originale e all'appello manca la strumentale e vibrante "The Storm Arrives" che mette in luce le esagerate qualità tecniche dei due chitarristi, evocandomi la proposta progressiva dei fratellini dei Cynic, i Gordian Knot. "See This Through" è apparentemente la ballad del disco, come andavano tanto di moda negli anni '80, con un assolo stile "November Rain" dei già citati Guns. Chiude il disco "On the Other Side pt. II", che mette in luce qualche influenza alternative a livello delle ritmiche e ripropone le growling vocals. Per concludere, 'Fallen Leaves & Dead Sparrows' si presenta come un lavoro decisamente rock, capace tuttavia di muoversi con ampia disinvoltura tra progressive e alternative ma che ogni tanto rigurgita anche schegge di un passato estremo. Intriganti, ma il sound andrà sicuramente meglio plasmandosi con le prossime release. (Francesco Scarci)

(Imperial Cassette - 2014)
Voto: 75

domenica 30 marzo 2014

Ellende - S/t

#PER CHI AMA: Black/Shoegaze, Alcest, Agalloch
Il vento soffia timido tra le fronde degli alberi in un paesaggio al limite della desolazione. Solo poche montagne circondano il rarefatto panorama. Questo è quanto dipinto dagli austriaci Ellende nel loro omonimo lavoro che ne rappresenta anche il full lenght d'esordio. Album che si apre con la semi acustica "Wind" che delinea alla perfezione la proposta del duo di Graz: un post black dalle tinte autunnali. La opening track apre con un bell'arpeggio malinconico che va evolvendosi in una traccia nostalgica in cui la componente black ferale (urla lontane e una ritmica serrata in stile Austere) ha la meglio su quella più ambient, solo in pochissimi frangenti. Segue "Berge", e lo shoegaze a la Alcest si palesa nel sound dei nostri andando a cozzare con le partiture più rozze del black cascadiano. Musica decisamente da pelle d'oca, in grado di emozionare l'animo anche dei più tenebrosi black metallers. Lukas (responsabile di tutti gli strumenti) e Anne (alla viola e violino) sanno come prenderci per mano e condurci nel loro mondo in bianco e nero, in cui la serenità riesce a convivere con una straziante malinconia. Un paradosso si, ma è il sentimento che si percepisce dall'ascolto di questo album incredibile. Echi armonici dei Katatonia di 'Brave Murder Day' si avviluppano al folklore degli Agalloch, intrisi da quell'amore per l'acustica che invece hanno gli inglesi Falloch. Eccoli i riferimenti principali che si possono ritrovare nella matrice musicale degli Ellende, ovviamente rivisti con una certa personalità e diverse buone idee. 'Ellende' non è un album lunghissimo, quindi non vi stancherete certo di ascoltarlo: sei brani, la cui durata media si assesta sui 7 minuti, in cui anche voi vi innamorerete delle struggenti melodie disegnate dagli archi, e meravigliosa a tal proposito la strumentale "Aus Der Ferne Teil I". "Feuer" è una song un po' più canonica, che non spinge mai sull'acceleratore e che vive i suoi momenti più emozionanti, quando il sound viene congelato su ritmi rallentati che emanano un profondo senso di disagio, complici anche le arcigne vocals di Lukas. Lo spettro post rock/shoegaze di Neige e soci aleggia assai percettibile sui nostri, ma non confondete il plagio dall'ispirazione. In questo lavoro assai importante è la formazione classica dei due musicisti austriaci che viene profusa in tutte le tracce qui contenute, anche nella lenta e depressiva "Meer" ove su un ritmica mid-tempo, i violini ricamano splendide e tenue melodie che ammorbidiscono la proposta del combo. A chiudere anzi tempo la release, arriva la seconda parte di "Aus Der Ferne Teil II", song più rabbiosa in cui coesistono tutte le componenti umorali di 'Ellende', quella estrema, l'anima eterea post rock, la classica, e una più spirituale neo folk, per un finale che conferma le enormi potenzialità degli Ellende, a cui mi sento di suggerire l'impiego anche di qualche clean vocals a placare l'ardore selvaggio delle malefiche scream vocals. Grande debutto. (Francesco Scarci)

(Talheim Records - 2013)
Voto: 80

http://www.ellende.at/

sabato 29 marzo 2014

Albinö Rhino – Return of The Goddess

#PER CHI AMA: Stoner/Doom/Psych Rock
Lo ammetto, ho qualche (grosso) problema con questo disco d’esordio dei finlandesi Albinö Rhino (attenzione alla “ö”, per non confonderli con i quasi omonimi americani Albino Rhino): la musica contenuta in questi 35 minuti di doom lisergico mi piace almeno tanto quanto ne odio l’assurda produzione. Sia che si tratti di una deliberata scelta di missaggio, sia che ciò sia dovuto alla povertà dei mezzi, questo disco è registrato in modo che definire dilettantesco equivarrebbe a fargli un grande complimento. Conosco persone che, nello scantinato di casa propria, riuscirebbero a tirar fuori una cosa che, al confronto, suonerebbe come 'The Dark Side of the Moon'. La batteria sembra sia suonata con i fustini di detersivo, le chitarre un ronzio sullo sfondo, e in generale la sensazione è quella di essere rimasti fuori dal locale dove il gruppo sta suonando: si sente qualcosa, e anche qualcosa di molto interessante, ma il punto è che siamo sempre fuori, sul marciapiede, al freddo… E il rimpianto è notevole, proprio perché quello che si intuisce lascia davvero sperare per il meglio: irresistibili riff, downtuned come si conviene, pezzi che sembrano validi e, ed è quello che li caratterizza maggiormente, un’attitudine psichedelico-lisergica davvero sorprendente. Nel brano d’apertura “Master Kush” fanno bella mostra di sé (o almeno così sembra, da quello che si riesce a cogliere) un wurlitzer e addirittura un theremin, ma i veri capolavori per me sono la title-track e “Mazar!”, con le loro acidissime chitarre wah contrapposte alle ritmiche marziali e le voci cavernose, quasi una versione doom degli Amon Düül II di 'Yeti'. A breve dovrebbe uscire il loro nuovo lavoro, e per farne un disco epocale, basterebbe che risuonassero questi stessi pezzi con qualcuno in grado di registrarli degnamente. Il voto non può quindi che essere una media tra l’ottima musica e la pessima resa sonora. Peccato. (Mauro Catena)

(Bad Road Records - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/albinorhinodoom

venerdì 28 marzo 2014

Enthroning Silence – Throned Upon Ashes of Dusk

#PER CHI AMA: Depressive black metal, Burzum, Yayla, Coldworld
La band piemontese attiva discograficamente sin dal 2002, interrompe un silenzio lunghissimo rimettendosi in pista con questo lunghissimo e drammatico album, datato 2013 e licenziato via Dusktone. Alfieri del genere depressive black metal, i nostri non si smentiscono e sfornano un album catatonico, malato, depressivo e colto al punto giusto. Chitarre dissonanti, zanzarose ed echi lontani di ritmiche aggressive, la voce in presenza sporadica e di cupo effetto, un'alchimia estraniante ed un sostrato di effettivo rifiuto del mondo così come lo conosciamo; sei pezzi che oscillano tra gli otto e i quattordici minuti racchiusi in un artwork dalle sembianze deliziosamente tetre. Un forte aspetto psicologico governa questo tipo di musica, una via di liberazione attraverso le lande del dolore infinito, la ricerca del vuoto che permette di creare qualcosa. Alla base di tutto questo si celano gli insegnamenti del più isolazionista Burzum ma anche di realtà diverse e meno famose ed altrettanto intriganti come Yayla o i Coldworld, anche se qui, a differenza delle composizioni della band tedesca, l'elettronica non c'è e nemmeno l'ambient. Certamente coesiste una matrice atmospheric black che accomuna questi progetti così diversi. Il sound è alla deriva del miglior black sotterraneo e non mostra compromessi presentandosi come un lungo funereo cammino di riflessione, carico di delusione e rammarico che comunque nasconde una grossa vena romantica nel suo essere così drammatico, una sorta di reinterpretazione sonora del 'Dracula' offerto nell'interpretazione di Klaus Kinski, con lo stesso effetto isolazionista che la colonna sonora del film curata dagli Popol Vuh riusciva a dare. Drammatico, sepolcrale e illuminato. (Bob Stoner)

Valdur - At War With

#FOR FANS OF: Blackened Death Metal, new Behemoth, Acheron, Kult ov Azazel
Initially starting off along a similar route but diverting slightly for a few albums, California Blackened Death Metal act Valdur return for a crushing third opus that actually pulls off their original style fairly competently if not exactly bristling with originality. Weaving a path that recalls modern Behemoth to a tee, from the rapid-fire drumming overloaded with blastbeats and clashing cymbals to an alternating series of charging high-speed riffing with the intent of utter devastation regardless of casualties or injuries along the way or a more melodic style incorporating tremolo-picked variations in a less-chaotic-but-still frantic tempo, deep slaughtering vocals and a darkened, sinister vibe, this all feels like the most infamous plays in the Poles playbook and doesn’t really offer up much deviation in the attack. The few cases of deviation occur due to their more traditional Black Metal leanings which cause a surprisingly coherent mesh with the more modern influences and results in a heavy atmosphere to surround the material when it’s not in full-on blasting mode, the lengthy mid-tempo dirges and elongated rhythms seemingly borrowed from Acheron to allow for a more straightforward assault than expected. While this does in fact produce a good sense of intensity and ferocity throughout the album, borrowing liberally from those two does tend to leave this one feeling a little like a rehashing of Behemoth leftovers covered by Acheron and Kult ov Azazel and really knocks some points off for the unmistakable feeling of familiarity present in the band. That still doesn’t take away from the songs themselves, which are quite enjoyable at times. After a brief intro to get things started on the right path, proper first track "Conjuring the Fire Plagues" is pretty indicative of what to expect with its bombastic drumming, scorching riff-work and rapid-fire tempos careening throughout the piece, while still delving into cacophonous-sounding patterns reminiscent of the retro Death Metal revival scene and throwing some thrash in a few places, all the while maintaining a dark, ominous vibe with the riffs and drum-work. A slightly-slower but still similar march is employed in "Death Winds Will Cleanse" while "The Calm Before War" and "Hammer Pit" offer up more rousing, up-tempo stylings. The sprawling, multi-sectioned epic "At War with the Old World" is a highlight as well, maneuvering through a blinding series of tempo changes, mood variations and a dynamic set of riffs to keep the track from becoming a lumbering chore to get through. The album’s weak-link is the back-to-back brief tracks "Incantre" and "Vast," as the former merely come off like leftover riffs that were stuck on to make this a proper length release with their one-note blasting and minute, barely-noticeable pattern changes that don’t do much of anything dynamic and the latter being a worthless mid-section interlude. Even still, the band is at the most extraordinarily competent at this style so it does regain a little favor with its precision attacks and engaging skill-set, and that does make for a better-than-expected if slightly familiar effort. (Don Anelli)

(Bloody Mountain Records - 2013)
Score: 70

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