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sabato 12 marzo 2011

Nakaruga - Nakaruga


Band di giovanissima formazione quella che ho fra le mani: i Nakaruga, band svizzera del Canton Ticino, si è infatti formata solamente nel 2008, rilasciando nello stesso anno questo Mcd omonimo di 5 pezzi. Forti di una solida pregressa esperienza musicale, il sestetto di Lugano ci aggredisce con il loro sound moderno e ficcante, futuristico e industriale, una piccola perla per tutti coloro che amano sonorità cibernetiche vicine ai maestri di sempre Fear Factory o per tutti coloro che amano i suoni ipnotici di scuola “Meshugghiana”. L’ensemble alpino parte subito alla grande con “Nakatomy Warzone”, song che evidenzia subito le eccelse qualità di questi ragazzi: ottime le ritmiche, altrettanto buone le vocals ad opera del duo Thomas e Idris Davide che alternano il cantato growling a quello pulito, interessanti gli inserti di matrice elettro-industrial all’interno di un contesto assai grooveggiante. L’entusiasmo è già alle stelle già dalla prima song, interessante anche per quelle sue ambientazioni oscure di sottofondo. La seconda “Youth in the Matrix” attacca con le sue ritmiche sincopate di chiara matrice svedese, con il cantato che gioca un ruolo primario nella struttura delle song e il finale che evidenzia chitarre ribassate estremamente potenti. “Converter” è decisamente la migliore song del lotto: tempi dispari, melodie psicotiche grazie anche alle ottime orchestrazioni create dalle efficaci partiture tastieristiche (accattivanti anche nella quarta furente traccia) che sul finale del brano minacciano la fine del mondo. Da un punto di vista lirico, i nostri analizzano poi il pattern e i comportamenti dell’uomo nei confronti della vita di tutti i giorni. Questo è un piccolo antipasto di quello che sarà il full lenght schedulato per metà 2010 e già, devo ammettere, ho un po’ di acquolina in bocca… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 75

lunedì 14 febbraio 2011

Ygodeh - Dawn of the Technological Singularity


Sono ancora senza fiato, dopo aver affrontato questa cavalcata che mi ha lasciato senza respiro; è stato un po’ come aver percorso la maratona di 42 km in poco meno di mezz’ora. Questo è l’effetto che mi ha lasciato l'ascolto dei 26 minuti scarsi di “Dawn of the Technological Singularity” dei lettoni Ygodeh, vera sorpresa giunta alle mie orecchie sul finire del 2010 e solo ora recensito su queste pagine. Il cd si apre con una sorprendente intro che ha immediatamente catalizzato la mia attenzione con i suoi suoni irruenti e sintetici, ricordandomi la follia dei finlandesi The Wicked (andateveli a cercare senza fare domande!). “Thus is the Will of the Swarm” è il primo vero pezzo del cd, un attacco frontale di sinistra cattiveria, con una base ritmica esplosiva e travolgente, che trasuda talmente tanta adrenalina da farmi saltare all’impazzata. Chitarre cigolanti sorrette da un mostruoso lavoro alla batteria, che mette in mostra l’enorme perizia tecnica di questi quattro pazzi deathsters provenienti dalla repubblica Baltica; e a metà brano un intermezzo cyber death da incubo (nel senso positivo del termine) e avanti per essere ricatapultati nella bolgia infernale del proprio sound, prima del sofferente finale. Non ci crederete, ma dopo 5 minuti di musica mi ritrovo già stremato, come se un carro armato fosse passato sul mio corpo stritolandomi sotto i suoi cingoli mortali. “Lord of Rays”, dedicata allo scienziato Nicola Tesla, è un altro capolavoro di techno death, dalla forte vena melodica, contaminato da influenze cibernetico-industriali nonché da atmosfere orchestrali, che trova il suo grande pregio nel non avere alcun punto di riferimento ben preciso nel panorama metal e nel non darci alcun punto di riferimento, sconvolgendoci con dei suoni di una incantevole brutalità: mi piacerebbe dirvi che gli Ygodeh suonano come se i Death avessero deciso di ispirarsi al sound dei Dimmu Borgir, piazzandovi al suo interno delle reminiscenze stile The Kovenant, ma la mia descrizione vi sembrerebbe alquanto delirante e lo capisco, però questo è ciò che sentono le mie orecchie anche con la quarta “The Red Plague”, che inizia in modo alquanto particolare con un coro quasi operistico e un sound assai criptico e oscuro, con il growling di Feka mai sopra le righe e anzi parte integrante nella matrice musicale dei nostri, che ancora una volta danno grande prova della propria instabilità mentale; quanto adoro questo genere di gruppi che amano stravolgere i sacri crismi, fottersene di tutti i dettami classici e distruggere ogni regola del gioco. Signore e signori benvenuti nel psicotico mondo degli Ygodeh! Che dire poi di “Before the Skies are Painted Black”, altra gemma incastonata in questo lavoro di tecnologica singolarità, giusto per parafrasare un po’ il titolo del cd. In questa song emerge un’altra forma di sperimentazione della band dell’ex repubblica sovietica, che va a miscelare il death con forme post hardcore, infarcite di elettronica (mi viene da citare gli americani Honour Crest). Ancora elettronica ad aprire “Matrix Cracked”, song il cui ritmo è dettato dai sintetizzatori e dal drumming impetuoso di VadoLL: sono tramortito, è inutile nasconderlo, dalla totale irrazionalità e imprevedibilità della proposta di questi sconosciuti (e spero ancora per poco) Ygodeh. Basta, fidatevi delle mie parole, qui c’è musica di alta classe, che merita anzi, ha il diritto di non passare inosservata; case discografiche non abbiate il timore di investire su questi quattro giovani scalmanati perché vi garantisco che ci sarà da divertirsi davvero ascoltando le acrobazie sonore che il combo di Daugavpils ha da offrire. Era da tanto che non sentivo musica di tale caratura, quindi non siate sciocchi e andatevi a cercare, senza il benché minimo dubbio, questo cd! Sono passati i 26 minuti e io mi ritrovo stremato steso sul pavimento. Immensi! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 90

lunedì 24 gennaio 2011

Cyber Cross - Mega Trip


Secondo lavoro per i patavini Cyber Cross, dopo l’interessante debutto di un paio d’anni fa, intitolato “Ira”. Ebbene, continuando sulla stessa scia del precedente platter, la band di Padova continua a sciorinare suoni che traendo spunto un po’ dall’industrial, fuso con il cyber death, riescono a catalizzare l’attenzione degli ascoltatori, anche se ho la vaga impressione (perché questo è l’effetto che “Mega Trip” ha avuto su di me), che la sua longevità non sia delle più lunghe e che si esaurisca molto in fretta la voglia di mettere il cd nel proprio lettore stereo. Comunque sia, partendo dalla title track, il cd si lascia piacevolmente ascoltare, con un sound mai troppo devastante, pregno di groove e con delle vocals che forse rappresentano il vero punto debole dell’act veneto. Interessanti già da subito le atmosfere da incubo che i nostri sanno creare, peccato per quella voce sguaiata che secondo me non rende giustizia ad un lavoro che forse meriterebbe maggiore attenzione. Si passa ad “Aggressive Side” e l’alone di oscurità che pervade l’intera release si conferma quanto mai solido e macabro, facendomi addirittura arrivare a scomodare un paragone con le sonorità degli svizzeri Sadness. Nella terza “Black Dynamite” mi sovviene un non so che dei Ramstein, anche se la classe dei tedeschi è mille volte superiore ai nostri che di strada ne dovranno fare parecchia per ottenere un po' d’attenzione da parte dei media. “Mega Trip” non è un lavoro malvagio, ma neppure tutto questo concentrato di idee meravigliose che possano indurci a considerare questo lavoro indispensabile per la nostra collezione di cd. Diciamo che il punto di forza di questo nuovo lavoro è senza dubbio la facilità d’ascolto ossia quanto velocemente le songs riescano ad isipregnare nei nostri circuiti neuronali, facendoci sobbalzare dalla sedia in headbangers sfrenati, ma altrettanto veloce sarà la capacità di dimenticare un lavoro che se non per qualche raro spunto di vivacità, dettata dall’adozione di qualche inusuale trovata, non finisce altro che peccare di scarsa personalità. Senza alcun dubbio preparati tecnicamente e coadiuvati brillantemente da un’ottima produzione che ne esalta la potenza dei suoni, i Cyber Cross devono ancora trovare una loro ben precisa identità, tanto è vero che il mio pezzo preferito risulta essere “Noir”, una song che mi sarei aspettato di trovare più su un disco dei Love/Hate piuttosto che su un cd di musica un po' più estrema. Comunque sia, i nostri raggiungono abbondantemente la sufficienza, complice la loro ecletticità di fondo nel proporre la loro musica, capace di passare da sonorità hard rock anni ’80 a pezzi di cibernetica memoria (The Kovenant docet) o altri in cui è più una componente prettamente swedish death metal a farla da padrone (stupefacente il riffing di “Regression”). Suggerimento: chiarirsi un attimo le idee giusto per capire da che parte stare e a chi poter offrire un lavoro come questo, che di sicuro si rivelerà di difficile appeal per gli amanti dell’extreme music e altrettanto complicato da ascoltare per gli amanti di sonorità più classic metal. Complimenti comunque per aver osato, forse troppo! (Francesco Scarci)

(Crash & Burn Records) 
voto: 70

lunedì 17 gennaio 2011

Aneurysm - Shades


Verona - Italia: gli Aneursym sono una delle storiche band della città di Giulietta e Romeo da più di quindici anni, ma ha all’attivo solo un demo e un cd autoprodotto e ormai datato 2002, intitolato “Aware”. Il sound del quintetto scaligero, partendo da una base techno thrash, riesce a sciorinare 15 buoni brani (in realtà 9 tracce più 6 intermezzi) di musica abbastanza varia ed originale. Grazie anche ad un’ottima registrazione, il combo veneto ci attacca con un muro sonoro bello compatto, che gioca alternando sapienti mid tempos a cavalcate thrash (reminescenza di quei begli anni ’80 ormai andati), sorrette da un eccellente lavoro alle chitarre, non disdegnando però, e qui è forse racchiuso il bello del Cd, fughe in territori alternative (di chiaro rimando ai System of a Down, soprattutto per ciò che concerne l’utilizzo delle vocals), atmosfere cibernetico-industriali, grazie alla buona performance di Stefano alle tastiere, e momenti claustrofobici di “Meshuggahana” memoria, come capita in “Quagmire”. Da rilevare poi l’apparizione di Hansi Kursch (vocalist dei Blind Guardian) in veste di ospite nella meravigliosa “Reflection”, dove le vocals del leader della band tedesca, si rincorrono a quelle di Gianmaria, in un climax ascendente da brividi. Il resto di “Shades” scivola via che è un piacere, con le songs che s’imprimono facilmente nella nostra mente, per quelle gustose melodie, quella giusta dose di cattiveria, per i brillanti assoli di Peter e per la sapienza palesata di saper variare nel momento giusto i brani con scelte più o meno azzeccate. Un paio di song oscure, dalle strutture complesse, chitarre chirurgiche e la voce di Gianmaria, che spesso fa il verso a quella di Serj Tankian, completano un disco che si chiude con la malinconica “Real Ease”, brano che sancisce l’esplosione di una nuova ottima band, nel panorama italiano...(Francesco Scarci)

(Old Ones Records)
Voto: 75

martedì 28 dicembre 2010

Fear Factory - Obsolete


La guerra tra macchine e umani continua! Ricordo che quando ho avuto il cd fra le mie mani, ero scettico. Dopo “Soul of a New Machine” e “Demanufacture”, mi sono detto: “mmm... mi sa che questo concept non mi piacerà come gli altri due”. Ho guardato l’artwork del grandissimo Dave McKean in copertina e mi sono deciso ad ascoltarlo. Ha girato subito bene, i Fear Factory avevano sfornato (ricordo che era il 1998) un nuovo album fedele al loro stile, ma non uno pseudo-clone. Idealmente una release che chiudeva una trilogia con i due precedenti, quindi ne segue il solco, tuttavia mostrando una sua personalità. Mi sbilancio: una sua originalità. Procede con una sua linea e le canzoni si alternano piacevolmente dando una sensazione di non ripetitività, non semplicissimo considerando il genere. Undici tracce di un eclettico industrial metal con forti infiltrazioni elettroniche, tra cui si alternano pezzi molto duri (“Hi-tech Hate”, “Edgecrusher”) a pezzi più melodici (“Descent”). Interessante l’evoluzione del cantante Burton C. Bell, che riesce ad alternare sempre più parti growl ad altre più pulite in maniera efficace. Gli altri componenti rimangono a ottimi livelli di esecuzione, forse meno tirati che nei lavori precedenti: non fraintendete, spaccano lo stesso. La chitarra di Dino Cazares, in particolare, suona più bassa del solito. La finezza dell’album risiede nella commistione sempre più profonda con i suoni elettronici: davvero più ricercati che nei lavori precedenti. Il risultato migliore di tale miscela si può trovare nella bella (ma non velocissima) “Resurrection”: davvero si ha la sensazione di perdersi e ritrovarsi. I testi sono coerenti con il concept dell’album: la guerra tra macchine e umani. Sebbene già presente in precedenza, in questo lavoro si concretizza e si dispiega completamente in tracce come “Securitron”, “Smasher/Devourer” e “Obsolete”. Quest’ultima davvero manifesto di questo lavoro. Da notare la finale “Cars”, cover dell’omonimo pezzo del 1979 di Gary Numan che partecipa anche a questa interpretazione. Come riportato all’inizio, menzione speciale per tutto l’artwork di quest’album, veramente coerente con la parte musicale ma per nulla scontato. Confermatissimi! (Alberto Merlotti)

(Roadrunner)
Voto: 75

sabato 4 dicembre 2010

Kenos - X-Torsion


Devo essere sincero, i Kenos non sono mai rientrati tra i miei ascolti preferiti, pur avendoli seguiti fin dai loro esordi a livello di demo, con il famoso “Rigor Mortis”. A distanza di tre anni dal precedente “The Craving”, mi avvicino ancora una volta con titubanza alla loro proposta musicale per recensirli, ma dopo aver infilato il loro cd nel lettore, mi trovo nella situazione di dover verificare se effettivamente quelli che sto ascoltando siano realmente i Kenos. Già dall’iniziale “Room Sexteen” infatti, il quintetto mi stupisce per la modernità dei suoni, la freschezza della proposta, l’utilizzo di female vocals e di ritornelli accattivanti, ma che diavolo è successo? Per carità sono felicissimo, mi ritrovo addirittura a fischiettare le magnifiche melodie della opening track. L’inizio di “2012 Omega Assimilation” mi richiama per le sue vocals i Cradle of Filth, ma poi l’impianto musicale è più propriamente thrasheggiante, (anche se dentro di me vorrei dire rockeggiante) nel suo incedere iniziale, per poi esplodere in un susseguirsi di emozioni, con le vocals di Alessio Giudice che si alternano tra il lugubre (Dani Filth docet), il clean, il growl e l’evocativo, mentre le ritmiche si rincorrono impazzite in un intricata mistura di rock schizofrenico, supportato da arrangiamenti orchestrali, direi magistrali. Non so cosa sia successo alla band ma il risultato è a dir poco sorprendente. La terza “Encounter” fa un po’ il verso ai godz svedesi Meshuggah, pur mostrando qualche segno di cibernetica provenienza. Una piccola pausa con “I Remember” ed ecco i nostri tornare a segnare il passo con la title track e incendiare l’aria. “X-Torsion” è un altro esempio di come i nostri siano stati in grado di evolvere il proprio sound nel corso di questi anni e della loro innata capacità di saper miscelare la furia del death con i tecnicismi del prog e decine di altre contaminazioni derivanti dalla musica elettronica, come pure dal classic metal (“in “Bitchswitch” i nostri giocano a fare un po’ gli Iron Maiden di turno, song che rientra tra le mie favorite) o al cyber stile Fear Factory. Finalmente, la band ha fatto il colpo gobbo e questa volta il loro cd non è da lasciarselo scappare in alcun modo. Ritmiche assassine alternate a riff raffinati, momenti atmosferici, giravolte progressive, sfuriate black, ballad acustiche, rock’n roll, schegge elettroniche e tanto sano groove, convivono tutti insieme in questo interessantissimo lavoro, che finalmente consacra una band dalle grandi potenzialità, mai completamente esplose a mio avviso, ma che con questo “X-Torsion” centra finalmente l’obiettivo. Bravi, graditissimo come back! (Francesco Scarci) 

(My Kingdom Music)
Voto: 75

sabato 2 ottobre 2010

Preternatural - Statical


“Non esiste Paradiso. Non esiste Inferno. Esistono solo questo mondo e il suo oscuro riflesso... e noi non sappiamo, in quale di questi, siamo”. Con questa frase (liberamente tradotta dal sottoscritto) si apre “Statical”. Un incipit su cui il mio parroco avrebbe qualcosa da ridire, per nulla rassicurante, ma illuminante su quello che si ascolterà. Non amo menare il turibolo, però questi lituani Preternatural sono notevoli e un po’ mi fa rabbia pensare a quanti gruppi metal interessanti vengano dai paesi dell’est, e a quanti pochi dall’Italia. Partiamo, formazione della band di Riga (con la “R”, mi raccomando): Serg (voce e chitarre), Volod (chitarre), Den (basso), Gin (batteria) e Euge (tastiere e campionatore). Questo album mi ha colpito subito: ben prodotto, sound cristallino, si sente tutto egregiamente bene. La voce del cantante è adatta al genere, mai particolarmente monotona grazie a momenti più melodici, ma una certa ridondanza non si evita. Le chitarre sono ben suonate, spesso tirate ma non eccessive in assoli stucchevoli o troppo tecnici. La batteria non è da meno, con ritmi velocissimi che si alternano a cambi di tempo più lenti con una naturalezza invidiabile. Il suono del basso un po’ si perde, nascosto dagli altri strumenti, ma il livello anche qui è alto. Le tracce sono undici e di primo acchito ho pensato fossero troppe; mi ero preparato ad certo livello di stanchezza e di mancanza di idee verso la fine disco. Invece, sebbene qualche spunto in più sarebbe stato il benvenuto, le canzoni scivolano via che è un piacere. Sono potenti, tirate e trovo piacevoli alcune parti in cui si sfiorano addirittura le sonorità black. Mi piacciono inoltre il contributo delle tastiere e l’uso del campionatore in quegli stacchi dalla velocità, che permea le songs. Questi inserti non snaturano il lavoro e sono in grado di sottolineare alcuni momenti più melodici, aperture più lente e inizi di canzoni. Apre l’album ”Timewarp” molto tirata, ma forse debole rispetto ad altre più convincenti. Ascoltate “Lunar Cry”, in cui i suoni sintetici all’inizio si amalgamano poi con altri più metal e melodici senza quasi accorgersene. Nella seguente “Mirror Beast” si trovano esempi di come le tastiere esaltino una parte più lenta, senza che la forza del pezzo si perda; molto evocativa anche “Statical”. Mi colpisce “Needles Around Your Heart”, per l’abilità dei nostri ad unire diverse ritmiche senza mai stancare. Chiude l’album una ben fatta cover di “Enjoy the Silence” dei Depeche Mode. Una buona parola per il booklet con i testi completi, per il design grafico e in particolare per le foto dei componenti. Un album piacevole. Bene bravi bis! (Alberto Merlotti)

(Aghast Recording)
voto: 80

sabato 25 settembre 2010

Illidiance - Synthetic Breed

#PER CHI AMA: Cyber Death, The Kovenant, Fear Factory
Da più parti indicati come la migliore cyber metal band russa, gli Illidiance con questo Mcd di cinque pezzi (più un live video), confermano effettivamente le proprie eccellenti doti musicali. Formatisi appena nel 2005, e già con due full lenght alle spalle e diversi concerti di supporto ad act quali Rotting Christ, Deathstars e Grave Diggers, con “Synthetic Breed” i nostri vogliono regalarci un gustoso antipasto in attesa dell’uscita (speriamo prossima) del loro terzo cd. Musicalmente parlando possiamo collocare il quartetto di Rostov sul Don a cavallo tra le l’electro death dei The Kovenant e il cyber thrash dei Fear Factory. Si parte alla grande con “Cybergore Generation”, song di notevole spessore, in cui il combo russo mette in luce il proprio bagaglio tecnico-compositivo: un potente attacco frontale, arrembanti synth, gustose melodie, l’alternanza di clean vocals con il growling di Dimm “Xyrohn”, la indicano come la migliore traccia dell’Ep, mostrandoci fin dall’inizio di che pasta sono fatti questi russi. Si prosegue con “Infected”, song più ritmata, che mi ha ricordato le ultime cose dei nostrani Ensoph, per quelle sue atmosfere esoterico-futuristiche. La terza “Mind Hunters” conferma le buone cose sentite fino ad ora: ritmiche schizzate su basi melodiche industrial cibernetiche che ci travolgono con quei suoi catchy riffs e per le sue vibrazioni elettroniche capaci di infettare l’ascoltatore. “Razor to the Skin” esordisce molto in stile Kovenant, ma poi prosegue con la sua furia high-tech. Un plauso particolare va fatto ai due vocalist, bravissimi come impostazione vocale, altrettanto bravi nel saper alternare il cantato growl e clean. Chiude la bonus track, “Cybernesis”, trionfante marcia di chiusura per un lavoro che conferma effettivamente le qualità di una band che non conoscevo, ma che è stata in grado di conquistarmi fin dal primo ascolto. Da tenere sotto stretta osservazione! (Francesco Scarci)

(Hellcome to Dollywood Records)
Voto: 75
 

Id:Vision - Plazmadkacs

#PER CHI AMA: Black Symph, Industrial, The Kovenant, Dodheimsgard
Eh già, continuo a ribadirlo: dall’est Europa in quest’ultimo periodo stanno arrivando sempre più prodotti di ottima qualità musicale ed estremamente curati nei dettagli. Dalla Bielorussia ecco arrivare gli Id:Division ossia la risposta est europea a Kovenant o Dodheimsgard. Già a partire da un entusiasmante digibook rigido con un booklet ricco di testi e ottima grafica, il sestetto di Minsk ci spara in faccia il loro peculiare death/black infarcito di sonorità techno-industrial. Ragazzi, che botta! La macchina da guerra Id:Vision è una sorta di panzer impazzito che ci travolge con i suoi suoni cibernetici, tanto da sembrare di ritrovarsi all’interno di un videogame con effetti stordenti che penetrano le nostre menti facendoci impazzire. La musica dei nostri è estremamente frenetica, non ci lascia via di scampo per un solo attimo, spingendoci solamente ad un headbanging furioso. “Doden Force Division” e “Disphenoid’s Equilibrium” sono due cavalcate, dove il metal estremo dei nostri, si fonde con dei suoni elettronici capaci di lacerare i nostri timpani. Poi parte “Nietzsche Trilogy”, un trittico di brani dall’incedere costantemente al limite della follia e con techno beat dal vago sapore danzereccio: sembra di essere quasi in discoteca in preda ad acidi nebulizzatori del nostro cervello e poi ancora dentro ad un flipper, tanti sono gli effetti ubriacanti che si susseguono nei minuti di questa trilogia. Siamo a metà cd e non capisco più nulla a causa di tutti questi suoni, che finiscono per allontanare la band da qualsiasi banalissimo paragone. Un momento di respiro con “Deathcamp Prelude” e poi con “Decagon Deathcamp” scattano nuovamente le visioni post-apocalittiche della band bielorussa, con gli stravaganti sintetizzatori che dipingono quadri desolanti di morte, la voce che per un attimo abbandona il suo cantato corrosivo per farsi più androide (e poi umana nella successiva “I.N.R.I.”) e le ritmiche sembre vibranti, cariche di quel groove che ha reso famosi compagini ben più note come Fear Factory o Strapping Young Lad, a battere il tempo. Grande sorpresa quindi per un gruppo che non conoscevo ma che con la sua musica, un mix perfetto tra il black sinfonico e il synth rock dei Ministry, sicuramente dovrà cogliere la vostra attenzione. Funambolici! (Francesco Scarci)

(Haarbn Prod.)
voto: 75