Sono ancora senza fiato, dopo aver affrontato questa cavalcata che mi ha lasciato senza respiro; è stato un po’ come aver percorso la maratona di 42 km in poco meno di mezz’ora. Questo è l’effetto che mi ha lasciato l'ascolto dei 26 minuti scarsi di “Dawn of the Technological Singularity” dei lettoni Ygodeh, vera sorpresa giunta alle mie orecchie sul finire del 2010 e solo ora recensito su queste pagine. Il cd si apre con una sorprendente intro che ha immediatamente catalizzato la mia attenzione con i suoi suoni irruenti e sintetici, ricordandomi la follia dei finlandesi The Wicked (andateveli a cercare senza fare domande!). “Thus is the Will of the Swarm” è il primo vero pezzo del cd, un attacco frontale di sinistra cattiveria, con una base ritmica esplosiva e travolgente, che trasuda talmente tanta adrenalina da farmi saltare all’impazzata. Chitarre cigolanti sorrette da un mostruoso lavoro alla batteria, che mette in mostra l’enorme perizia tecnica di questi quattro pazzi deathsters provenienti dalla repubblica Baltica; e a metà brano un intermezzo cyber death da incubo (nel senso positivo del termine) e avanti per essere ricatapultati nella bolgia infernale del proprio sound, prima del sofferente finale. Non ci crederete, ma dopo 5 minuti di musica mi ritrovo già stremato, come se un carro armato fosse passato sul mio corpo stritolandomi sotto i suoi cingoli mortali. “Lord of Rays”, dedicata allo scienziato Nicola Tesla, è un altro capolavoro di techno death, dalla forte vena melodica, contaminato da influenze cibernetico-industriali nonché da atmosfere orchestrali, che trova il suo grande pregio nel non avere alcun punto di riferimento ben preciso nel panorama metal e nel non darci alcun punto di riferimento, sconvolgendoci con dei suoni di una incantevole brutalità: mi piacerebbe dirvi che gli Ygodeh suonano come se i Death avessero deciso di ispirarsi al sound dei Dimmu Borgir, piazzandovi al suo interno delle reminiscenze stile The Kovenant, ma la mia descrizione vi sembrerebbe alquanto delirante e lo capisco, però questo è ciò che sentono le mie orecchie anche con la quarta “The Red Plague”, che inizia in modo alquanto particolare con un coro quasi operistico e un sound assai criptico e oscuro, con il growling di Feka mai sopra le righe e anzi parte integrante nella matrice musicale dei nostri, che ancora una volta danno grande prova della propria instabilità mentale; quanto adoro questo genere di gruppi che amano stravolgere i sacri crismi, fottersene di tutti i dettami classici e distruggere ogni regola del gioco. Signore e signori benvenuti nel psicotico mondo degli Ygodeh! Che dire poi di “Before the Skies are Painted Black”, altra gemma incastonata in questo lavoro di tecnologica singolarità, giusto per parafrasare un po’ il titolo del cd. In questa song emerge un’altra forma di sperimentazione della band dell’ex repubblica sovietica, che va a miscelare il death con forme post hardcore, infarcite di elettronica (mi viene da citare gli americani Honour Crest). Ancora elettronica ad aprire “Matrix Cracked”, song il cui ritmo è dettato dai sintetizzatori e dal drumming impetuoso di VadoLL: sono tramortito, è inutile nasconderlo, dalla totale irrazionalità e imprevedibilità della proposta di questi sconosciuti (e spero ancora per poco) Ygodeh. Basta, fidatevi delle mie parole, qui c’è musica di alta classe, che merita anzi, ha il diritto di non passare inosservata; case discografiche non abbiate il timore di investire su questi quattro giovani scalmanati perché vi garantisco che ci sarà da divertirsi davvero ascoltando le acrobazie sonore che il combo di Daugavpils ha da offrire. Era da tanto che non sentivo musica di tale caratura, quindi non siate sciocchi e andatevi a cercare, senza il benché minimo dubbio, questo cd! Sono passati i 26 minuti e io mi ritrovo stremato steso sul pavimento. Immensi! (Francesco Scarci)
(Self)
Voto: 90
Voto: 90