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sabato 24 settembre 2022

Death - Scream Bloody Gore

#FOR FANS OF: Death Metal
Seems to be between Possessed '7 Churches' to Death's 'Scream Bloody Gore' where the conflict is which album founded the genre of death metal wholeheartedly? I'd have to say Death, especially well talked about on the Death By Metal documentary is that Possessed '7 Churches' was a bit "sloppy" and Death's 'Scream Bloody Gore' was "tighter". I'd have to agree with this synopsis. The music on here is raw, heavy and straightforward. Chuck did a great job on 3 avenues: vocals, guitar and bass Chris on drums. They practiced a shit-ton to get this album out and made. They had to go through some loopholes before finally making a recording on Combat.

Whether this is your first experience with Death or not, one view is this: Chuck did not make any album sound the same. 'Leprosy' was close but you could hear from that recording the songwriting progression. And different lineup as Chris was let go of his drum duties handed over to Bill Andrews ('Leprosy' and 'Spiritual Healing'). They acquired Terry Butler on those two recordings also on bass. 'Scream Bloody Gore' is nothing polished but the sound wasn't so raw that you couldn't make out the guitar riffs. And as Jim Morris from Morrisound Recordings says "Chuck is talking to you in the riffs." You'd better believe that!

The album itself is about 45 minutes and it's just brutal. Chris wanted to stay in the band but Chuck was already moving on. A lot of death metal bands keep producing the same records over and over, Chuck wanted to progress as a musician. So he never really fit that mold to playing death metal exclusively throughout his musical career. This album set the tone for other death metal bands like Morbid Angel, Deicide, Malevolent Creation, et al to move into this category. I think that the fact that he always thought "metal is metal" and it shouldn't follow in categories which now there are numerous categories of metal. He was opposed to these "categories."

These guys practiced and practiced for this to get made and out to listeners. What to expect in addition to what I said: "Zombie Ritual", what a great song! It's fast, it's catchy, but like all the songs on here. Other people have commented that this album is "boring" and just the same thing over and over. But those are the people who aren't really listening. The production isn't the best, but it was good enough for Combat and even though this album was initially turned down, they found someone that could put in the time to make the recording even though he didn't know what the band members talked about in this genre (Courtesy of Death By Metal documentary). Check it out! (Death8699)


(Combat Records/Relapse Records - 1987/2016)
Score: 90

https://death.bandcamp.com/album/scream-bloody-gore-deluxe-reissue

lunedì 19 settembre 2022

Anders Buaas – The Edinburgh Suite

#PER CHI AMA: Prog Rock
I dischi strumentali dei chitarristi di estrazione hard-prog non sono esattamente la mia tazza di tè, per cui mi sono approcciato a questo lavoro con una dose di diffidenza giustificata solo dai miei pregiudizi, anche se titolo e foto di copertina mi facevano comunque sperare in qualcosa di interessante (ho una mia teoria sulle copertine dei dischi, secondo la quale dischi belli possono avere copertine orribili ma non ho ancora trovato dischi orribili con belle copertine). Comunque sia, il norvegese Anders Buaas non è esattamente un ragazzino, e sa il fatto suo, tanto come chitarrista quanto come compositore e arrangiatore. Dopo una vita da turnista in band norvegesi e dopo aver accompaganto in tour gente del calibro di Paul Di Anno, da qualche anno ha intrapreso una carriera solista di cui questo rappresenta il sesto capitolo. Dopo un lavoro in tre parti sulla caccia alle streghe del sedicesimo e diciassettesimo secolo, uno di improvvisazioni chitarristiche e uno dedicato alle carte dei tarocchi, 'The Edinburgh Suite' è una lunga suite, appunto, divisa in due parti di circa venti minuti ciascuna. Accompagnato da una band di assoluto valore (basso, batteria, tastiere, percussioni e vibrafono), Mr. Buaas, che si rivela chitarrista di rango e dal bellissimo suono, ci regala un album davvero godibile ed estremamente curato in ogni passaggio e ogni particolare, riuscendo a passare con grande naturalezza da atmosfere acustiche e sognanti al folk britannico, al jazz, al prog metal, senza farsi mancare passaggi più tipicamente prog dominati dai synth. E riesce a farlo senza indulgere in eccessivi “sbrodolamenti” (il primo vero assolo di chitarra elettrica arriva dopo circa 10 minuti) e, cosa ancora più importante, riuscendo a tenere le varie parti della suite insieme con invidiabile coerenza e senso della misura. Davvero notevole poi la sua attitudine per le melodie “catchy”, epiche ma non fastidiose, quasi da colonna sonora. In definitiva, questa 'The Edinburgh Suite' è il primo disco del genere al quale riesco ad arrivare in fondo senza un malcelato senso di fastidio, da molto tempo a questa parte. Ottima sorpresa. (Mauro Catena)

Bloodshoteye - An Unrelenting Assault

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Deathcore
Un urlo in pieno stile Phil Anselmo, ai tempi d’oro dei Pantera, apre il secondo cd dei canadesi Bloodshoteye, intitolato 'An Unrelenting Assault'. Effettivamente quello della band nord americana è un vero e proprio assalto ai nostri padiglioni auricolari, un attacco deathcore al nostro cervello con il puro scopo di fonderlo. La cosa incredibile, che balza subito all’occhio leggendo la line-up del combo, è che il growling brutale profuso è ad opera di una donna, tal Jessica. Amici, l’avvenente singer ha una voce cattiva, profonda e intensa, anche quando, nei rari frangenti di tranquillità, la utilizza nella sua forma pulita e sussurrata. L’act dell’Ontario suona poi una sorta di metalcore in stile tipicamente americano, imbastardito e incattivito da un brutal death di derivazione sempre di origine statunitense: riff taglienti come rasoi costruiscono la base del disco; veloci blast-beat e l’oscuro vocione di Jessica completano il quadro di un lavoro non propriamente avveniristico ed originale. 'An Unrelenting Assault' è un lavoro monolitico che già verso la sesta traccia inizia a stancare ed annoiare il sottoscritto, che comunque imperterrito va avanti per ascoltare le evoluzioni canore della bella cantante. C’è da dire una cosa a sostegno della band: ossia il tentativo di costruire brani complessi che si discostino dall’ondata metalcore americana; grind, thrash, hardcore e techno death confluiscono infatti nelle note di questo cd. Per il resto, i Bloodshoteye avrebbero solo potuto sfiorare la bravura dei Killswitch Engage, non fosse altro che si sono sciolti dopo il successivo album complice il fatto di una incapacità di distinguersi dalla calderonica massa di band che suonava questo genere. (Francesco Scarci)

Ablaze in Hatred - Deceptive Awareness

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Funeral Doom
Un po' di sano doooom per le nostre orecchie, di quello maggiormente orientato al funeral e l’apocalittico, di quello nordico e ben fatto. E i nostri esecutori sono i finlandesi Ablaze in Hatred, band lappone, formatasi nel 2004, che giunse al tanto sospirato debut in un paio d'anni grazie alla Firebox Records. 'Deceptive Awareness' raccoglie sette brani dal sound funesto, marziale e devoto alla pesantezza più totale. Sette lunghe track, che demoliranno i nostri padiglioni auricolari, con il loro incedere malinconico e mortale, che preannuncia inevitabilmente la fine dell’umanità. A differenza dei compagni di scuderia, i Doom:Vs, il quartetto di Helsinki è forse meno atmosferico, più diretto e brutale, pur proponendo un sound che comunque si avvicina al side project di Johan Ericson dei Draconian. 51 minuti di musica deprimente, caratterizzata dai riff lenti, mastodontici e al tempo stesso melodici delle due asce, dal growling cupo e minaccioso di Mika Ikonen e dalle ariose tastiere atte ad impreziosire il sound dei nostri. La band finlandese si rifà agli insegnamenti dei Katatonia (era 'Dance of December Souls'), per quel suo abbinare tragiche melodie al tetro death doom. “When The Blackened Candles Shine” è il brano meglio riuscito del lotto, con i suoi nove minuti e passa, capace di coniugare egregiamente la lezione impartita dai maestri del passato, My Dying Bride e gli stessi Katatonia, al sound di Swallow the Sun e Daylight Dies in primis. 'Deceptive Awareness' non mi fece sicuramente gridare al miracolo, ma lasciava ben sperare in un futuro prossimo, che dopo 'The Quietude Plains' nel 2009, ahimè non ha più visto i nostri affacciarsi sulla scena. Gli Ablaze in Hatred hanno concepito un lavoro intenso, energico e cupo di funeral doom che potrà soddisfare tutti gli amanti di questo genere di sonorità e non solo. Un ascolto consigliato a tutti. (Francesco Scarci)

(Firebox Music - 2006)
Voto: 66

https://www.facebook.com/ablazeinhatred

domenica 18 settembre 2022

Grá - Flame Of Haephestus

#PER CHI AMA: Black Melodico
È un 7" quello che dovrebbe fungere come gustoso antipasto del nuovo album degli svedesi Grá. In attesa di godere di una più lunga e articolata release del duo di Stoccolma, ecco quindi 'Flame Of Haephestus', un side A ed un side B, dove gustarci la title track nel primo lato e "Stella Polaris" nel secondo. L'attacco è all'insegna di un black mid-tempo dove a mettersi in luce è senza ombra di dubbio la melodia di fondo delle chitarre e la voce di Heljarmadr (vocalist vi ricordo, dei Dark Funeral). Un giro di orologio e poi si scatena l'inferno con un maelstrom ritmico che evoca proprio la band madre del frontman. Poi la musica dei nostri si fa più lenta, cupa e minacciosa con un ampio spazio affidato al tremolo picking delle chitarre e ad una ritmica qui molto thrashy, con il basso bello pulsante in background. Poi è una grandinata sonora che mi ha evocato anche un che degli Old Man's Child. Il secondo pezzo apre con un lungo arpeggio che lentamente va gonfiandosi di intensità ma in realtà mai debordando, bensì mantenendosi in rigoroso assetto melodico-strumentale fino alla fine, aumentando contestualmente quel desiderio evidenziato inizialmente, di avere finalmente dopo quattro anni da quel meraviglioso 'Väsen', un lavoro decisamente più corposo. (Francesco Scarci)

sabato 17 settembre 2022

Stellar Tomb - Antimatter Fluids of Creation

#PER CHI AMA: Cosmic Black
Contiene giusto un paio di pezzi quello che è il debut EP dei catalani Stellar Tomb. In realtà trattasi di one-man-band, guidata da Femto, uno che ha già bazzicato le scene in sella a nomi dell'underground quali Bastard of Loran, ARNA o Aonarach, giusto per citarne qualcuno. I due brani si aprono con il cosmic black di "Antimatter Fluids of Creation" che dà anche il titolo a questa release. La song ci lancia in un un tunnel spaziale e in quello che è il vorticoso sound del mastermind di Barcellona. Ritmiche tiratissime ma atmosferiche almeno fino a metà brano quando, il black viene soppiantato da sonorità elettroniche su cui si stagliano le oscure vocals del polistrumentista, per poi ripartire da qui, con synth e linee di chitarra al fulmicotone ma di totale godimento melodico. Difficile a credervi viste le velocità raggiunte davvero portentose, ma ammetto di essermi goduto non poco questo primo pezzo. Il secondo, "Absolute Chaos", dà voce al titolo stesso offrendo un caotico esempio di black dirompente che, dopo essersi scaldato per 45 secondi, si ammorbidisce in sonorità più mid-tempo, per poi offrire, nel corso dello stesso, un saliscendi di pura violenza. Il dischetto s'interrompe bruscamente con questa song, quando in tutta franchezza avrei desiderato averne di più. Le premesse sono buone (il voto si mantiene volutamente basso in proporzione all'esiguo numero di brani) ma auspico di sentirne a breve davvero delle belle. (Francesco Scarci)

1/2 Southern North - Narrations of a Fallen Soul

#PER CHI AMA: Occult Doom Rock
Della serie Les Acteurs de L’Ombre Productions colpisce ancora, ecco arrivare gli evocativi 1/2 Southern North con un esempio di dark doom occulto. ‘Narrations of a Fallen Soul’, primo capitolo della one woman band greca guidata dalla sacerdotessa IDVex Ifigeneia, si apre con la lunghissima “Alpha Sophia” che prova a darci le prime indicazioni della proposta dei nostri. Oltre dodici minuti di suoni oscuri, compassati, esoterici, psichedelici, deliziati dalle vocals della frontwoman ellenica. Il sound dei 1/2 Southern North mi ha evocato quello dei californiani Lotus Thief, abili miscelatori di psych rock, ambient, space, post e un non so che di black metal. Qui ci troviamo al cospetto di un’artista che si muove su coordinate similari e che fa sicuramente della propria voce l’elemento portante e distintivo che va poi a poggiare su atmosfere orrorifiche che vedono peraltro la presenza di una sgangherata partitura di violino nella title track a cura di Efraimia Giannakopoulou, una dei tanti ospiti che popolano questa release. “Hearts of Hades” affida la sua parte introduttiva ad una declamazione in greco che poggia su suoni di flauto e tamburo. L’effetto è sicuramente particolare, soprattutto quando la voce della cantante si fa più suadente, anche se otto minuti di questo tipo rischiano di frantumare i neuroni anche dei più stoici. E la ridondanza sonora è uno dei must di questo lavoro: ascoltatevi la parte introduttiva di “Breastfeed Your Delighful Sorrow” e ditemi se anche voi come il sottoscritto avete perso la pazienza dopo i primi 60 secondi. Poi il brano evolve in un crescendo melodico accattivante, tra parti atmosferiche, altre arpeggiate, ma che tuttavia rischia di stancare per la sua eccessiva durata, un’altra peculiarità di un disco che raggiunge I 67 minuti di durata con pezzi che si assestano tra gli 8 e i 12 minuti. L’unica eccezione è rappresentata da “Song to Hall Up High”, storica song dei Bathory dei tempi di ‘Hammerheart’, riletta completamente in chiave avanguardistica dai nostri, ma mantenendo intatta l’epicità dell’originale, “sporcandola” semmai di influenze noise/droniche. A completare il quadro delle canzoni incluse in questo disco, ci sono ancora l’inquietante “Elegy of Hecate”, forse il brano più sperimentale e progressivo del lotto che mi ha evocato peraltro anche un che dei Thee Maldoror Kollective di ‘Knownothingism’. Infine, gli oltre 12 minuti di “Remnants of Time”, un pezzo che ammicca addirittura al jazz e in cui a trovare posto sarà questa volta il sax di George Kastanos. Quello dei 1/2 Southern North è alla fine un lavoro davvero ambizioso, concettualmente interessante ma decisamente ostico musicalmente parlando, che pertanto necessiterà di svariati ascolti per essere assimilato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions/Satanath Records/Fog Foundation - 2022)
Voto: 68

Heat Fandango – Reboot System

#PER CHI AMA: Psych/Noise Rock
Già da qualche tempo ci troviamo ad avere a che fare con dischi che sono in qualche modo figli del lockdown, del distanziamento sociale o, comunque lo si voglia chiamare, di quella cesura nella vita di molti che è stato l’annus horribilis 2020. Ci sono dischi che sono nati “per colpa” (o merito) del lockdown nonostante questa cosa sia arrivata a prendersi gran parte della nostra vita sociale. 'Reboot System' fa molto probabilmente parte di questa seconda categoria: registrato tra marzo e maggio 2020, forzatamente “a distanza”, non è chiaro se i brani fossero stati scritti e provati prima, “in presenza” (inquietante quanto certe espressioni, altrimenti orribili e cacofoniche, siano ormai entrate nel nostro lessico quitidiano) dalla band al completo. Comunque sia, Tommaso Pela, Marco Giaccani e Michele Alessandrini hanno registrato questo loro esordio ognuno a casa propria ed il risultato finale è davvero di ottima fattura. I tre hanno all’attivo una lunga militanza nell’undergound marchigiano e portano in dote indiscutibile perizia tecnica, idee chiare sulla direzione da intraprendere e sul suono che vogliono avere. Le radici sembrano affondare con decisione nel garage rock americano in stile Fleshtones, ma il suono non è mero revival e cerca nuove strade, affiancando chitarra twang a synth taglienti e una sezione ritmica potente e precisa, di stampo quasi wave. E gli episodi migliori sono proprio quelli in cui la commistione tra queste due anime, quella garage e quale wave, viene esibita e spinta in maniera scoperta ("Controlled", "Guilty"). In definitiva, un disco che è una bella boccata d’aria, meno di 35 minuti molto divertenti e mai banali. Rimane la curiosità di capire se e quanto gli Heat Fandango suonino diversi visti dal vivo, tutti insieme sullo stesso palco. (Mauro Catena)

(Bloody Sound Fucktory - 2021)
Voto: 74

https://bloodysound.bandcamp.com/album/reboot-system  

Unità di Produzione - Antropocene

#PER CHI AMA: Alternative/Indie Rock
Sebbene il nome scelto da questo trio bergamasco richiami un brano di 'Tabula Rasa Elettrificata', l’album che portò i CSI a dominare le classifiche per una breve ed irripetibile stagione (cose che succedevano negli anni '90 anche in Italia), e nonostante il cantato salmodiante e declamatorio faccia venire in mente in più di un passaggio lo stile di Giovanni Lindo Ferretti, sarebbe ingiusto, oltre che sbagliato, derubricare gli Unità di Produzione a semplice clone della band emiliana. Gli UdP cantano in italiano e il loro panorama stilistico di riferimento rimanda dichiaratamente agli anni '90, ciononostante, i tre riescono a tenersi equidistanti, se non proprio a smarcarsi, dai più ingombranti modelli della scena alternativa italiana di quel periodo. Oltre ai già citati CSI, vengono in mente soprattutto i Marlene Kuntz, per lo stile vocale e i testi ricercati vicini allo stile di Godano, e i Massimo Volume, per l’aspetto musicale, un post-hardcore piuttosto scuro e squadrato, con chitarre vorticose e una sezione ritmica precisa e potente. Il risultato finale risulta comunque sufficientemente personale e il lavoro, nel complesso, è interessante. 'Antropocene' è un album che si propone come una riflessione sulle derive dell’uomo e della tecnologia, uno sguardo rassegnato su una società incapace di riconoscere il proprio ruolo, perché in contrapposizione con l’ambiente. Titoli ("Tecnocrazia", "Estetica del Declino", "Overture al Fallimento") e testi dipingono uno scenario scuro e privo di vie d’uscita, anche se a volte qualche scelta stilistica suona come forzatamente altisonante e poco spontanea. Peccati veniali, alla fine dei conti, per un album di spessore. Forma e sostanza, per dirla, ancora una volta, con Ferretti. (Mauro Catena)