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lunedì 9 maggio 2022

Foul Body Autopsy - Shadows Without Light, Pt​​.​​2

#PER CHI AMA: Melo Death, In Flames
Avevo recensito i Foul Body Autopsy in occasione della prima parte di questa trilogia denominata 'Shadows Without Light', non potevo esimermi dal recensire anche il secondo capitolo che si presenta con la medesima formula del precedente lavoro, ossia tre differenti versioni dello stesso brano, normale, la strumentale synth remix e la più catchy hybrid remix. "Shadows Without Light, Pt​.​2" conferma quanto avevo già sentito nella Pt.1, ossia un death melodico di scuola svedese (In Flames docet) senza troppi fronzoli, senza troppa ricercatezza sonora, solo tanta melodia messa a servizio di ritmiche vertiginose, piacevolissime da ascoltare, su cui si innestano i synth e le growling vocals di Tom Reynolds, la mente dietro a questo progetto. L'unico dubbio che mi pongo dopo aver ascoltato anche le altre due versioni della traccia, è se non si poteva mettere questo brano, il precedente e quello che sarà incluso nel terzo capitolo, della stessa saga, su uno stesso dischetto, un EP magari, o un cd, anzichè farne una chiavetta fredda e anonima? (Francesco Scarci)

Felvum - Fullmoon Mysticism

#PER CHI AMA: Black, Darkthrone
I Felvum sono un trio ucraino da poco formatosi (e mi domando come sia possibile data la situazione d'emergenza in Ucraina), dedito ad una primitiva forma di black metal. 'Fullmoon Mysticism' è un EP di quattro pezzi rilasciato ancora nella mitica cassetta, che si apre con "Forest Unknown", un brano che sembra catapultarci di 30 anni indietro nel tempo e collocarci geograficamente in quella Norvegia che vedeva spuntare come funghi band del calibro di Immortal, Enslaved, Darkthrone, Ancient e Burzum, giusto per darvi qualche connotazione stilistica. Si perchè quello del trio è un black fatto di ritmiche lineari e zanzarose, dotate di un pizzico di melodia, di un gracchiante cantato e poco altro. I riff si ripetono infatti dall'inizio alla fine del primo pezzo in modo quasi stereotipato, per poi riprendere nella successiva "Blooming", quasi un copia incolla della precedente. Ahimè, il medesimo giro di chitarra prosegue imperterrito anche nella title track, con lo screaming di Felnone a vomitare il proprio disprezzo per il mondo. Qui, una variazione al tema ce l'abbiamo anche con un riff thrash metal di derivazione darkthroniana che interrompe quell'ipnotico e quasi fastidioso incedere delle chitarre. A chiudere troviamo "Spell of Purity", l'unico pezzo che modifica quella ripetitiva e raggelante ritmica, regalandoci forse i tre minuti più originali del nastro. Un po' pochino. (Francesco Scarci)

Circle of Chaos - Forlorn Reign

#PER CHI AMA: Death Metal
Se Atene rappresentò la culla della cultura, Stoccolma può senza ombra di dubbio essere definita la culla del death metal. La città ha infatti dato i suoi natali, tra gli altri, ad Entombed, Bloodbath e Dismember e proprio dalla capitale svedese arrivano anche questi Circle of Chaos. Il genere? Manco a dirlo è death metal nudo e crudo, dotato di una discreta vena melodica. 'Forlorn Reign', la terza fatica del quintetto scandinavo, che conta nelle sue fila ex componenti di Carbonized ed Abused, ci spara in faccia a mille all'ora la propria onesta proposta di death old school, che vede pochi tratti di originalità sia chiaro, ma che da un punto di vista tecnico-compositivo-distruttivo, sembra alquanto ispirato. Questa almeno l'impressione che ho avuto durante l'ascolto della roboante "Fires of Armageddon", un brano che ci prende a schiaffoni tra un riffing serrato e compatto, un growling incisivo, un drumming dirompente ed una componente solistica davvero con le palle, che con le sue derive melodiche (di scuola statunitense), rende più accessibile il pezzo. Non si può dire altrettanto della successiva title track che, minacciosa e torva, assembla tuttavia nella sua ritmica un'inaspettata sezione acustica che sembra richiamare più un pezzo hard rock che di metal estremo, il che cattura definitivamente la mia attenzione, grazie anche a ritmiche sghembe, ululati del vocalist in bilico tra scream e growl ed un finale caotico che mi ha rievocato "Raining Blood" degli Slayer. Si continua a correre veloci sui binari del death senza compromessi con "The Great Rite", un'altra traccia al fulmicotone che non fa certo prigionieri. Tuttavia, la band è abile nel cambiare repentinamente il proprio mood, passando da ritmiche selvagge a momenti più ragionati che in questo caso mi hanno ricordato lo straordinario 'Once Sent from the Golden Hall' degli Amon Amarth (peraltro un'altra band di Stoccolma, guarda caso). Il disco alla fine si muove su queste stesse coordinate anche nei successivi brani mettendo in fila momenti di grande devastazione ad assoli di un certo spessore. Ci provano i nostri a partire in modo più atmosferico in "Embracing Chaos", tra l'altro con una sezione ritmica piena, tortuosa e tonante, a cui dare seguito poi con un mid-tempo più compassato. Complice forse una durata più significativa (quasi sette minuti), che non consentirebbe la sopportazione di cotanto dolore inferto. Quando i cinque vichinghi decidono di pestare sull'acceleratore però, non ce n'è per nessuno e ci spazzano via con cotanta furia, accarezzandoci poi nuovamente con una raffinata sezione solista che a più riprese emerge dal caos primordiale costruito dalla band. Efferato l'attacco di "Spectral Disease" e siamo solo al giro di boa, visto che ci sono altri sei pezzi ad attenderci con altrettanta determinazione atta a frantumarci le ossa, tra potentissime ritmiche, acuminati assoli e spaventose vocals. Ci sono anche le song in lingua madre, la graffiante "Förödelsens Tid" con un assolo da paura e "Óveður", dove sperimentare ancora partiture acustiche, a dare risalto alle qualità dei nostri. Un intermezzo strumentale, "Age of Chaos" e si arriva all'epilogo affidato a "New Order", l'ultimo veemente atto di questo 'Forlorn Reign': qui il frontman si diverte a giocare con l'effettistica della voce, mentre le chitarre tratteggiano ancora una volta ritmiche forsennate e assoli taglienti come rasoi, a sancire l'eccelso lavoro fatto dai nostri a livello strumentale. Sull'originalità poi ribadisco, c'è ancora spazio al miglioramento. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/The Ritual Productions - 2022)
Voto: 70

https://satanath.bandcamp.com/album/sat346-circle-of-chaos-forlorn-reign-2022

domenica 8 maggio 2022

Remote - The Great Bong of Buchenwald

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Buchenwald fu uno dei più importanti campi di concentramento e sterminio durante la Seconda Guerra Mondiale, argomento non proprio simpatico in questo periodo storico. Tuttavia, la presente uscita si riferisce ad un album, 'The Great Bong of Buchenwald', rilasciato in realtà nel 2014 dalla Bad Road Records e ripreso lo scorso anno dall'Addicted Label per promuoverlo ad un pubblico ben più ampio, non ha nulla a che fare con il nazismo essendo focalizzato sull'uso delle droghe. Quello dei Remote, band originaria di Kaluga che da poco abbiamo recensito anche con la loro release 'The Gift', è infatti un altro disco rimasto nascosto nel cassetto e che propone, come già raccontato in precedenza, un mix ostico e corrosivo di sludge, psych e doom, che trova nel death l'unico punto di contatto grazie ad un growling vetriolico. Il trio comunque si diletta nel muoversi tra i generi sopraccitati con spunti più o meno interessanti che vedono nelle esplosioni chitarristiche o in assoli lisergici ("150"), forme più o meno indovinate della loro espressione musicale. Non mi avevano entusiasmato con 'The Gift', non lo fanno certo oggi, anche se devo ammettere che alla fine, ho apprezzato maggiormente questo lavoro rispetto a quello che sarà il successivo. Complice una serie di brani che i nostri mettono in fila con maggior convinzione, ossia l'allucinata "Doped" tra stoner e psichedelia, la successiva "Pandemonium", entrambe nel loro incedere, evocano un che degli americani Bongzilla e ovviamente degli Eyehategod che già avevo evidenziato in 'The Gift'. Per il resto, i nostri sono buoni mestieranti, che non hanno certo inventato l'acqua calda, ma che comunque sanno come mettere in fila tre note sensate, soprattutto nella conclusiva "Ashes to Ashes", ubriacante emblema desert stoner doom dei Remote. Ultima mezione con plauso, alle sempre meravigliose copertine dei dischi, oniriche. (Francesco Scarci)

(Bad Road Records/Addicted Label - 2014/2021)
Voto: 65

https://remote-band.bandcamp.com/album/the-great-bong-of-buchenwald

Transnadežnost' - Monomyth

#PER CHI AMA: Kraut Psych Rock
Visioni cosmico stroboscopiche per i Transnadežnost', band originaria di San Pietroburgo e dotata del nome verosimilmente più impronunciabile al mondo. Fatte le dovute premesse, perchè non domandatemi domani come si chiama questa band, non saprò rispondervi, andiamo a dare un ascolto a 'Monomyth', album di debutto uscito nel 2018 e dedito a sonorità space prog rock strumentali. Questo almeno quanto certificato dall'opener "Pacha Mama". La successiva "Ladoga" sembra infatti portarci in altri mondi, dilatati e lisergici, oscuri e magnetici, suonati peraltro con un certo spessore tecnico compositivo. Chiaro, poi manca una voce a guidarci nei meandri di questa release e per me spesso questo costituisce un problema, ma mi lascio comunque ammaliare dalle sonorità a tratti anche arrembanti che i nostri hanno da offrire nel loro sperimentalismo sonoro. Intanto si prosegue nella conoscenza della band russa e in "Kailash" si sconfina in suoni orientaleggianti che sembrano condurci a meditazioni mantriche di natura buddista, comunque inserite in un robusto contesto rock sofisticato dotato di una bella cavalcata finale. Quando accennavo agli sperimentalismi, ecco che "Star Child" mi viene in aiuto con un assolo di sax (che ritornerà anche nel finale) inserito in un atmosferico e seducente contesto musicale jazz/blues. "Huldra" sembra invece proseguire quel percorso psichedelico-meditativo-desertico messo in scena in "Kailash", con la sola deroga che qui troviamo finalmente una voce a prendersi la meritata scena. Certo, non proprio una performance memorabile, ma comunque accresce il tenore della proposta dei nostri. "Chewbacca" è un breve ma suggestivo pezzo prog rock (che mi ha peraltro evocato i Porcupine Tree) pronto ad introdurci a "Day/Night", il brano più lungo ma anche strutturato di 'Monomyth', quello in grado di combinare tutte le sfaccettature del quartetto russo, addizionate di una componente doom che ben s'incastra nelle allucinate derive stoner, kraut, tribal, prog, space, jazzy rock dei Transnadežnost' che vi ingloberanno in quest'ultimo ipnotico e delirante viaggio. (Francesco Scarci)

Ketamine - 25​.​807²

#PER CHI AMA: Sludgecore, Eyehategod
Avete idea di cosa faccia 25​.​807²? 666.001.249. Che sia un caso che i primi tre numeri siano il numero del diavolo? Mah, ragionateci sopra. Nel frattempo, andiamo a scoprire quello che è stato l'unico lavoro dei californiani Ketamine e di un disco che è stato concepito molto indietro nel tempo (1996, dopo di che la band si è sciolta), con '25​.​807²' a rappresentare il testamento della band americana, rilasciato però solo nel 2017. Che quello che abbiamo tra le mani sia un sound datato, lo si evince dalle note iniziali dell'opener "Chameleon", un brano che sembra identificare in Eyehategod e primi Neurosis, le principale fonti di influenza del quartetto di San Francisco. Suoni sporchi e melmosi quindi, vocals al vetriolo, un rifferama che farà la gioia di chi ama sludge/doom e per chi avrà la voglia e la pazienza di riscoprire un qualcosa che forse 25 anni fa poteva sembrare anche originale ma che, dopo una svalangata di release nel medesimo ambito, lo fanno sembrare ahimè soltanto assai vetusto. Non vorrei sembrare quello che giunge a conclusioni affrettate, però i pezzi sciorinati uno dietro l'altro, non mi hanno entusiasmato più di tanto. "Food Chain" è ridondante nei suoi suoni quanto basta, "Golden Boy" mi evoca i fantasmi di Scott Kelly e compagnia, "Apocrypha" è una ruvida ed ostica scheggia strumentale, mentre "Blood Money" mette a dura prova i nostri sensi con oltre otto minuti di suoni sempre più difficili da digerire (lo stesso dicasi dei nove minuti e mezzo della noisy "Hurricane Head") all'insegna di un doom angosciante e paranoico. "Half Ass" è un pezzo spacca (mezzi) culi mentre "Quitter" ci riporta nei meandri di uno sludge claustrofobico. In chiusura "Kid Fuck", quella che dovrebbe essere l'esclusiva bonus track del cd, ma che appare piuttosto uno scherzo di cattivo gusto, di cui avrei fatto volentieri a meno. Sembra infatti registrata nello scantinato di casa mia con una qualità sonora che dire imbarazzante è quasi farle un complimento. Mah, ai posteri l'ardua sentenza mi sembra il commento conclusivo più appropriato per una release come questa. (Francesco Scarci)

(Bad Road Records - 1996/2017)
Voto: 60

https://badroad.bandcamp.com/album/25-807

Strange Horizon - Beyond the Strange Horizon

#PER CHI AMA: Stoner/Doom, Saint Vitus
Gli Strange Horizon devono il loro moniker ad un brano dei Reverend Bizarre incluso nell'EP del 2003, 'Harbinger of Metal'. Questo riferimento vi deve sin da subito portare a riflettere quale genere possa offrire il trio norvegese di quest'oggi, che con 'Beyond the Strange Horizon', arriva al tanto agognato debutto. "Tower of Stone" apre le danze con un riffone doomish che ingloba nel suo sound anche una buona dose di stoner, psichedelia e proto-hard rock, che vi catapulterà indietro nel tempo di oltre 40 anni. Penso infatti a gente del calibro di Pentagram, Count Raven e ovviamente gli immancabili Black Sabbath. Certo, a differenza di quest'ultimi, la band di oggi prova ad azzardare un filo di più, inserendo sul classico robusto rifferama, anche una voce femminile. Più paranoica e originale, almeno da un punto di vista vocale, la successiva "Fake Templar", con un incedere lento e lisergico che chiama in causa i Saint Vitus, mentre uno straordinario assolo si mette in mostra a metà del brano, punto da cui ripartirà poi un riffone super fuzzato. Decisamente più ordinaria "The Final Vision", un pezzo che non aggiunge granchè al sound proposto, fatto salvo un bell'assolo bluesy nel finale. Attacco doomish per "Divine Fear", e al suo ampio spazio introduttivo concesso alle chitarre su cui si inseriranno le vocals di Qvillio, qui non particolarmente convincenti nelle parti più acute. Rullata di tamburi ed è tempo di "They Never Knew", un brano di cui ho apprezzato maggiormente il lavoro al basso di Lindesteg, con le parti strumentali che si confermano sempre di buon livello, anche se in certi casi risultano non troppo ispirate. È il caso della successiva "Chains of Society", song un po' troppo impastata e ancora un po' carente a livello vocale. Per sentire qualcosa di convincente, dobbiamo arrivare alla conclusiva "Death in Ice Valley": doom di scuola britannica per quello che è il pezzo più lungo del lavoro (oltre nove minuti), eteree voci femminili, ampi spazzi concessi al basso e un po' tutte le cose migliori degli Strange Horizon (assoli inclusi) che confluiscono in quest'ultimo brano che evidenzia pregi e difetti della band originaria di Bergen. Un ascolto è quanto meno dovuto se il doom rientra tra le vostre passioni. (Francesco Scarci)

giovedì 5 maggio 2022

Illa - The Body Keeps the Score

#PER CHI AMA: Metalcore/Groove Metal
È una bella ondata thrash metalcore quella che ci investe con "Regrets", traccia d'apertura dei danesi Illa e del loro EP, 'The Body Keeps the Score'. La band, originaria di Albertslund, deve il suo nome all'antico norreno e al significato di malattia della parola ILLA. I nostri ci prendono quindi a mazzate in faccia con un sound solido e compatto che miscela ai generi sopraccitati anche hardcore e groove metal, affrontando in queste quattro tracce il tema della malattia mentale. E cosi, nell'iniziale "Regrets" si parla di ansia, la corrosiva "True Self" tratta il superamento delle cose passate, la title track dello stress post traumatico, mentre la conclusiva e veemente "Wastelands", fronteggia il tema della depressione, tutti delicatissimi argomenti peraltro, che mai avrei pensato di affrontare con bordate di chitarra devastanti, growling vocals, e ritmiche dinamitarde, semmai con sonorità più intimistiche e malinconiche. Fatto sta che questa è la visione dei nostri e noi non possiamo far altro che dargli un ascolto. (Francesco Scarci)