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sabato 26 marzo 2022

Once Human - Scar Weaver

#FOR FANS OF: Groove Metal
This album didn't strike me initially as something pivotal in the groove metal scene, but it kind of wore on me. I have utmost respect for the band and their music, it's just not my favorite genre. They firstly sounded a bit metalcoreish but they're not. The music is quite good, reminds me a little of Pantera's 'Far Beyond Driven' with differing vocals. The songs are slow and catchy and the vocals are decent. It's female vox on this one and she does quite a good job in that department. This album also reminds me a little bit of Djent style riff-writing, but not quite there. Not to be confused with Meshuggah-esque type of guitar playing.

I dug most of this release minus the fact that they're a little atypical for my taste. The guitars (aside from Djent) were pretty catchy and noteworthy. I didn't have much of a negative thing to say about them. They're just weird, I suppose. I like the clean vocals when they exhibited them though both formats they were good! The production quality was also good, too. This band is just an acquired taste. I only took off points when I felt that the music seemed to get way "out there." But for the most part, I enjoyed this.These guys make quality groove metal. Some songs remind me (again) of Pantera's song "Shedding Skin."

Why am I giving this a "B-" then if I'm speaking so highly of their performance? I'm not liking the music as much as I should I suppose. There aren't many leads (if any) and the music could've been a little better. The rhythms seem to go on for an eternity nothing really happens and then BOOM! The next song plays. I think though the vocals went in tandem with the music. That's the good part of the album. They really did a good job with keeping it groovy and shouting vocals in agreement with the songs. I would definitely refer listeners to hearing this if they're open minded about different genres of metal.

Overall, I like this band. I'm not sure how much of them are coming out with more new releases in the future but I sure hope so! They are a talented band and I'm sure it took a while to formulate music for this release. And make it into their own despite the similarities to Pantera or not. The vocals are outstanding and the music is better than average. I think that if they can bump it up in the music department then I would've given this a better rating. All in all, it was a good purchase for me and my collection. I'm looking forward to many a more albums in the future by them to own! Take a listen! (Death8699)


(earMUSIC - 2022)
Score: 75

https://oncehumanofficial.com/

martedì 22 marzo 2022

Kryptograf – The Eldorado Spell

#PER CHI AMA: Stoner/Psichedelia
Bisogna ammettere che ascoltando il nuovo disco dei Kryptograf, si ha proprio l'impressione di tornare indietro nel tempo, perchè il vintage rock, imbevuto negli anni settanta di questi giovani musicisti indipendenti norvegesi, ha tutte le caratteristiche e la vitalità per rinverdire i suoni e gli eroi di un'epoca che mai sarà dimenticata dagli amanti del rock. Il quartetto di Bergen si destreggia egregiamente in un groviglio di spunti acidi, freschi, credibili e moderni, giocando con lo stoner, esaltandone i toni 70's e psichedelici, riuscendo nella difficile opera di presentare un lavoro che risulti contemporaneamente, derivativo, originale ed attuale. L'attualità la offre una più che valida produzione, che permette a tutti i suoni di entrare in circolo nel modo migliore. L'originalità invece la dona la loro visione personale dello stoner, assai ritmico e legato a suoni compressi, dilatati quel tanto che basta per dare quella giusta dinamica retrò, per cui non si ha mai la sensazione che la band si spinga veramente verso qualcosa di heavy anzi, prevale un mood quasi primordiale volto a rispolverare i fantasmi sonori dei Black Sabbath di 'Technical Ecstasy', senza spingere mai sui bassi, o senza imitare i Kyuss e gli Electric Wizard. Le chitarre suonano riff ricercati che in più circostanze ricordano le particolari atmosfere create dal mitico Martin Barre (Lucifer's Hand) e in generale, si trovano a proprio agio tra le coordinate più elaborate del suono (prendete ad esempio gli effetti usati per le voci) come fossero una restaurazione moderna di quel folgorante debutto che fu l'omonimo album di Captain Beyond del 1972. Nel comporre posso dire che i nostri sono dei virtuosi (ascoltate il brano "Aphodel") con un grande talento nel mescolare e rianimare quei suoni lontani nel tempo, e dotati di una forte personalità che li porta a proporre una canzone come"The Eldorado Spell" dove la batteria sembra uscita da una canzone dimenticata per decenni in un cassetto nella scrivania dei The Doors con quelle sue atmosfere acide, psichedeliche ma con risvolti al limite del progressivo. Quando la band calca la mano sulla vena stoner, come accade in "The Spiral", la magia di questo genere si riaccende ed sebbene preferisca la band in un contesto più progressivo e curato, la musica si apre a visioni allucinogene nello stile dei Frozen Planet...1969 o dei mai dimenticati Core di 'Revival', i Kal-El o le visioni acide dei Kadavar, gli Sheavy o gli Half Man. Per gustarvi la band e verificare con i vostri occhi ma soprattutto con le vostre orecchie le capacità di questo giovane quartetto, cercate su youtube la loro performance live "OrangeJams w/ Jam in the Van", avrete modo di apprezzare ancora di più la band ed il loro nuovo imperdibile album. (Bob Stoner)

lunedì 21 marzo 2022

Gloomy Sunday - Introduction To The Apocalypse

#PER CHI AMA: Sludge, Eyehategod
La scena di Gothenburg ce la ricordiamo un po' tutti per band del calibro di In Flames e Dark Tranquillity, giusto per fare due nomi a caso, eppure nel sottobosco della cittadina svedese, si nascondono anche altre realtà che con il genere dei due colossi citati, hanno ben poco a che fare. I Gloomy Sunday in 'Introduction To The Apocalypse' ci propongono infatti uno sludge doom di scuola americana. Le danze si aprono con le spoken words di "Let Sleeping Corpses Lie" a cui segue un riffing marcescente (dotato tuttavia di un certo groove) accompagnato da una voce bella caustica, per una proposta che potrebbe evocare gli Eyehategod, deprivati della classe di quest'ultimi ahimè. La band scandinava prova a metterci del suo tra cambi di tempo repentini, rallentamenti doomish ed improvvise riaccelerazioni, ma la proposta puzza di vecchio e stantio, peraltro con una registrazione a tratti casalinga. Provo a skippare alla successiva "The Bastards Won't Let Me Die" ed un'altra riproposizione cinematografica (almeno suppongo) apre il brano tra un riffing scarno, sporco e bastardo, quasi quanto la voce del frontman Jari Kuittinen. I brani nel loro incedere tra l'incazzato e il melmoso, evidenziano retaggi hardcore che tuttavia faticano a sollevare le sorti di un lavoro che vede gli unici spunti interessanti nell'assolo psichedelico della title track o in quello più psicotico e hard rock della successiva "Bad Trip Life". In chiusura "Cracking Up" dà l'ultima spallata ad un lavoro con non troppe velleità da palesare e che rischia di non interessare nemmeno ai fan del genere. (Francesco Scarci)

Gangrened - We Are Nothing

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
Risale ad un anno fa (era l'aprile del 2021) l'ultima release dei finlandesi Gangrened intitolata 'Deadly Algorithm' che rappresenta il debutto su lunga distanza per la band originaria della terra dei mille laghi. Tuttavia, oggi ci apprestiamo a recensire un lavoro rilasciato ben più indietro nel tempo, quel 'We Are Nothing', uscito sul finire del 2014 per la Bad Road Records. Il quartetto finnico ci presenta un trittico di pezzi per 25 minuti di musica tondi tondi (niente male per un EP) all'insegna di un melmoso sound che parte dai lunghi riverberi iniziali della soffocante "Lung Remover", con quel suo doom claustrofobico a metà strada tra funeral e sludge, tanto per capirsi. Quindi preparatevi ad un incedere lento e pesante tra harsh vocals, riffoni flemmatici come un bradipo nano e atmosfere plumbee da giorno dei morti. Insomma, nulla di nuovo all'orizzonte in un paese come la Finlandia dove band quali Skepticism, Shape of Despair e Thergothon sono stati grandi precursori del genere. E gli oltre 12 minuti dell'opening track sono difficili da digestire se non siete dei grandi fan di questo stile musicale che in taluni passaggi mi ha evocato anche un che dei primissimi My Dying Bride. Spoken words aprono la seconda "Them", una song più graffiante per quel che concerne la porzione vocale, quasi prossima all'hardcore, mentre la musicalità della band si perde in un riffing capestro che non apporta nulla ad un genere che penso sia stato ormai perlustrato in lungo e in largo. La seconda parte della song peraltro si trasforma in un attacco frontale all'arma bianca che ha ben poco da mostrare di cosi rilevante. In chiusura "Kontti", nei suoi quattro minuti scarsi, ci dà l'ultima caustica botta di questo insulso lavoro sebbene mi metta una certa curiosità nell'ascoltare la nuova release, annunciata da più parti come più sperimentale rispetto a questo lavoro. Dategli un ascolto e fatemi sapere. (Francesco Scarci)

(Bad Road Records - 2014)
Voto: 58

https://gangrened.bandcamp.com/album/we-are-nothing 

Bjørn Riis - Everything to Everyone

#PER CHI AMA: Prog Rock, Porcupine Tree
Partiamo da un paio di assunti: sono un grande fan degli Anathema versione prog rock ed ho amato il precedente 'A Storm is Coming' del musicista norvegese (co-fondatore degli Airbag), quindi ammetto di aver aspettato con certa trepidazione l'uscita della nuova release del buon Bjørn Riis. Fatte queste dovute premesse, ecco apprestarmi ad infilare nel lettore questo 'Everything to Everyone', quinta release ufficiale per il polistrumentista scandinavo e sei nuovi pezzi a disposizione per saggiarne lo stato di forma. "Run" attacca in modo roboante, per poi assopirsi, dopo un paio di minuti di inattese sgroppate di rock duro, in atmosfere soffuse, delicate e malinconiche che pescano qua e là dai chitarrismi gilmouriani dei Pink Floyd. Non c'è voce nella traccia d'apertura, solo tanta atmosfera che avrà modo di evolvere in un sonico turbinio finale. La voce calda e magnetica di Bjørn arriva con la seconda "Lay Me Down", e quasi dodici minuti di carezze e melodie, in cui il frontman duetta con Mimmi Tamba, cantautrice norvegese, mentre le sonorità si muovono sempre nei pressi di un soffuso prog rock cinematico, fatto salvo in taluni frangenti (quelli che fatico un po' più a digerire) in cui Bjørn e i suoi ospiti (membri di Airbag, Wobbler, Caligonaut, Oak e molti altri), si lanciano in riffoni decisamente più robusti. Ma è l'aspetto più psichedelico del talentuoso chitarrista degli Airbag che prediligo, quello che chiude la seconda traccia attraverso una lunga deriva di pink floydiana memoria con un assolo davvero notevole. Ancora la voce di Bjørn in apertura di "The Siren", song dai forti tratti malinconici che mi ha evocato ahimè pesantemente "You and Me", tratto dal precedente lavoro. "Every Second Every Hour", un'altra maratona di oltre 13 minuti, ha un che degli Anathema nel suo incipit arpeggiato e nella voce quasi affranta del vocalist. La song scorre come un film in bianco e nero, tra passaggi di grande malinconia e variazioni nel cantato che conferiscono un po' più di incertezza al brano, anche nell'oscuro break centrale che sembra tagliare il pezzo in due differenti segmenti, di cui il secondo è quella più strumentale, con ampio spazio ceduto al virtuosismo chitarristico. Un beat elettronico, in compagnia di una chitarra arpeggiata, apre "Descending", una discesa spirituale negli abissi dell'anima dell'artista norvegese, deprivata però di ogni componente vocale. La voce di Bjørn in compagnia della bravissima Mimmi, torna nella title track che va a chiudere il disco (attenzione che nella versione digisleeve ci sono anche due bonus track), in quella sorta di duetto uomo-donna che contraddistingue ogni benedetto album degli Anathema. A differenza della band inglese poi qui, metteteci una grande perizia tecnica, ottimi assoli e tanta, tantissima passione che sottolinea ancora una volta la performance di Bjørn Riis e compagni. (Francesco Scarci)

Endless Dive - A Brief History of a Kind Human

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
'Una breve storia del genere umano', ecco cosa ci vogliono raccontare i belgi Endless Dive in questo loro secondo album. Una storia iniziata nel 2016 con la pubblicazione dell'EP omonimo di debutto e proseguita nel 2019 con 'Falltime' e che arriva oggi a questo 'A Brief History of a Kind Human', un lavoro all'insegna di un post rock strumentale, contaminato da derive elettroniche e ambientali. Come quelle che si sentono nell'apertura affidata a "Blurred", una traccia che raccoglie fondamentalmente tutti i dettami del genere e li fonde in un'unica song, che si muove tra intriganti e arrembanti linee melodiche interrotte da un break ambient nel finale. Tutto molto interessante, ma lasciatemi dire, anche piuttosto scontato, questo perchè capisco già dove la band voglia andare a parare. Attenzione, questo non significa che i brani non siano ben suonati anzi, la title track attacca con sonorità quasi post punk ad esempio, ma poi va a finire nei classici anfratti post rock, quelli sentiti una miriade di volte e che ora stentano a conquistarmi. Il disco si muove su queste coordinate  per tutta la sua durata, evocando nei momenti più pesanti ("Elevator to Silence" ad esempio) i Pelican o pure i Cult of Luna. "Ingeborg" è invece un breve intermezzo acustico, mentre "Archimboldi" divampa con tutta la sua imprevedibile furia hardcore che evolverà dopo 90 secondi in suoni ben più tiepidi e nuovamente votati ad un post rock intimista prima di tornare a ingranare la marcia a 90 secondi dalla sua fine. Ipnotico il gioco di chitarre di "Tropique Triste", ma in tutta sincerità, non mi ha entusiasmato più di tanto. Ancora linee di basso post punk nella conclusiva "Au Revoir" e forse queste finiscono per essere gli elementi che più ho apprezzato in questo disco che necessita di una ancor più elevata dose di personalità per prendere le distanze da un filone che dir saturo è dir poco. (Francesco Scarci)

giovedì 17 marzo 2022

Megadeth - Dystopia

#PER CHI AMA: Speed/Thrash
Un megariffing speed-thrash monocromatico e acefalo infarcito di scale originali quanto una barzelletta raccontata da Malmsteen; cetriolate di basso-batteria praticamente ogni volta che si può e, per incorniciare il tutto, la consueta perizia vocale degna di un camallo portuale scagazzato da un gabbiano. La formula, inspiegabilmente vincente da oltre trent'anni, è destinata stavolta a funzionare (invero egregiamente) per un periodo non superiore ai primi trenta secondi di "The Threat is Real". Il resto di questo scialbo 'Dystopia', verosimilmente assemblato ad esclusivo appannaggio dell'autore, ha l'unico scopo di rendere noti l'opinabilissimo concetto mustainiano di melodia ("Poisonous Shadows"), il discutibilissimo concetto mustainiano di classic rock ("Post American World") e l'eccepibilissimo concetto mustainiano di surf-punk ("The Emperor"). Un lavoro che vi suggerisco di mettere nel vostro lettore come soundtrack della prova finale dei campionati mondiali di sbadigli. (Alberto Calorosi)

(Tradecraft - 2016)
Voto: 50

https://www.facebook.com/Megadeth

Delirium - L'Era della Menzogna

#PER CHI AMA: Prog Rock
Sensibili oggi come allora a certe suggestioni contemporanee, i Delirium pubblicano un concept sui mali del mondo moderno tematicamente affine a 'Lo Scemo e il Villaggio', forse persino più sdegnoso, ma dal respiro decisamente più ampio e trasversale per stili musicali e riferimenti temporali. Chitarrismi rocciosi Thrak-crimsoniani flirtanti con certo prog-metal alla Tangent e Transatlantic ("L'Inganno del Potere"), trascinanti inni incazz-folk a metà tra la PFM in tour con De André e l'Eugenio Finardi più muscoloso ("Fuorilegge"), ma anche sciagurati scivoloni trip-pop in aroma di BMS anni ottanta ("L'Angelo del Fango"), poi ancora i Toto non-troppo-Lukateriani di "Basta", i Genesis dopo-che-sono-rimasti-in-tre de "La Voce dell'Anima", o la rabbiosa "L'Era della Menzogna" che dà il titolo al lavoro e che suona proprio come suonerebbe una "You Can Leave Your Hat On" eseguita dai King Crimson di 'Red'. Se avete fretta, potete cominciare con la conclusiva "Il Castello del Mago Merlino", che riassume mirabilmente tutto questo, con in più un pizzico di Porcupine Tree e l'immancabile chitarrismo "gilmouriano" a sfumare il maestoso finale. Oppure potete lasciare perdere: il prog italiano non fa per voi, se siete gente che ha fretta. (Alberto Calorosi)

(Black Widow Records - 2015)
Voto: 63

https://www.facebook.com/DELIRIUM-IPG-654167274667891/

domenica 13 marzo 2022

Archvile King - À La Ruine

#PER CHI AMA: Black/Thrash, Windir, Aura Noir
Della serie "quando non so cosa fare creo una one-man-band", ecco arrivare l'ennesima proposta dalla Francia con il classico polistrumentista a offrire la sua visione black del mondo. Lui si chiama Nicolas N. Baurus e arriva da Nantes con il suo progetto Archvile King, supportato dalla ormai super potenza Les Acteurs de l'Ombre Productions. 'À La Ruine' ci spara in faccia otto pezzi nudi e crudi che sembrano rievocare i fasti norvegesi della fiamma nera degli anni '90. Strana la scelta di aprire però con "Chroniques du Royaume Avili", un pezzo fuorviante dove figura la delicata voce di una gentil donzella, per poi lasciare spazio alla furia black di "Mangez Vos Morts" (incentrata sul tema della peste causata dalla perdizione morale del genere umano), sparata a tutta velocità su incandescenti e marcescenti linee di chitarra zanzarose che disegnano trame elementari piuttosto melodiche nel loro incedere travolgente. La cosa si ripete anche nella successiva "Celui Qui Vouvoie le Soleil", con un black thrash che certamente poco aggiunge al panorama odierno, ma che francamente trovo gradevole per le sue melodie ed un equilibrato uso di violenza e di una certa epicità. Magari le grim vocals del frontman non saranno il massimo ma il disco si lascia ascoltare con una certa facilità, complice anche qualche break acustico qua e là che ci consente il tempo di rifiatareo e rigettarci poi nella mischia. "Atroce" attacca con una certa placidità tra un riffing in sottofondo pronto ad esplodere dopo un minuto di attesa. Poi, solo furia estrema che in questo caso ammetto non mi abbia granchè conquistato. I ritmi continuano ad essere vertiginosi anche in "Dans la Forteresse du Roi des Vers" (interessante l'epico ma breve assolo in chiusura di scuola Windir) e, saltata la semiacustica e strumentale title track, anche nelle tumultuose (e dal piglio post-black) "Vêpre I" e "L'Artisan", altri due esempi di melodia messa a disposizione di una ferocia inaudita che pecca, a dire il vero, di carenza di originalità. Se i brani sin qui erano stati cantati in francese, c'è spazio anche per una bonus track in inglese, "Cheating the Hangman", un pezzo che a livello ritmico potrebbe essere accostabile ai Megadeth con lo screaming black, stile Aura Noir per intenderci. Insomma, in 'À La Ruine' sento buone idee (soprattutto nella prima metà del disco) che trovano però più di qualche limite in fatto di originalità, un tema su cui lavorerei maggiormente nel prossimo futuro per evitare di essere risucchiati in quel vortice infinito di band che propongono un canovaccio più o meno simile. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 66

https://archvileking.bandcamp.com/album/la-ruine