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martedì 15 maggio 2018

Žen - Sunčani Ljudi

#PER CHI AMA: Kraut Rock/Math/Shoegaze/Indie Rock
La quarta uscita della band croata degli Žen, riafferma il valore intrinseco della musica proposta da questo ensamble sperimentale, tutto al femminile, devoto e dedito fin dagli esordi alla musica alternativa. Dal 2009, infatti le quattro croate si occupano di indie psichedelia, romantica ed oltreconfine, proponendola in varie forme audio-visive con messaggi umanitari non indifferenti (date un occhio ai loro video su Youtube). 'Sunčani Ljudi' è forse l'album più sognante e delicato della loro discografia, calcando a pieno la psichedelia di certi The Flaming Lips, senza rinunciare a qualche apertura math/post-rock da cui possiamo trarne la radice del loro suono, divagazioni shoegaze e il dream pop alla Cocteau Twins di 'Milk & Kisses'. Voci angeliche immacolate ed astratte, strutture sbilenche care al Rock in Opposition (una sorta di avant-prog/ndr) si mostrano in più di un'occasione, sonorità sempre al limite del post tutto, senza mai perdere il confine dell'orecchiabilità, della melodia e dell'estro allucinogeno più radicale. Il canto in lingua madre rende poi il tutto più interessante ed intrigante, dal bellissimo cantato a più voci alle atmosfere più epiche e malinconiche. Difficile stabilire quale sia il brano più caratteristico ma sono rimasto colpito dalla bellezza di "Četiri Tri Pet Dva", che ammalia con la sua atmosfera mistica, profondamente folk, frullata in un contesto ritmico contorto e colorato, veramente una traccia splendida. "Opet Gange" risuona come un miscuglio tra l'alternative rock e ancora il Rock in Opposition, mentre lo shoegaze alla Curve e gli indimenticabili My Bloody Valentine sono evocati in "Sonična Taktika", un ottimo brano lisergico, di forte impatto ma anche tra i più normali in fase compositiva di quest'album. Lo stile trasversale dei brani, mi spinge ad un paragone di tutto rispetto con le ragazze delle The Raincoats ed anche se qui non parliamo di post punk, l'attitudine e l'approccio alla musica appare il medesimo, per l'appunto, trasversale nei confronti dei vari generi musicali. 'Sunčani Ljudi' alla fine risulta come un lavoro altamente emotivo, carico di momenti ipnotici e sognanti, aperture post rock da manuale (leggi primi Mogwai) e un'originalità al di sopra della media. Oserei dire una fantastica e piacevolissima scoperta. Ultima menzione per "Lov Na Crne Tipke", una favola, che dal minuto 2:40 spolvera un'escursione cosmica degna del miglior Alan Parsons Project. Una gang di donne geniali di cui non ci si può non innamorare. Disco da avere! (Bob Stoner)

(Moonlee Records/Un Records/Vox Project - 2017)
Voto: 80

https://xzen.bandcamp.com/album/sun-ani-ljudi

Indicative - III _ awake | existence | decline

#PER CHI AMA: Post Hardcore/Post Rock strumentale
Si muovono tra gli Shellac, i My Sleeping Karma e i Tool questi Indicative, formazione palermitana post math rock, attiva dal 2010. Arriva a noi il disco 'III _ awake | existence | decline' grazie alla Qanat Records, realtà che si occupa di scovare e conservare le perle musicali dell’underground palermitano e alla Pistacho, label indipendente anch’essa attiva sul territorio palermitano. Quest'ultima prova in studio ha le sembianze di un flusso di coscienza ruvido e intenso, pochi spiragli di luce filtrano da un cielo di nuvole bianche che ondeggiano sornione spinte dalle correnti d’aria. È come un collage di paesaggi sonici, accostati per forma, colore e sensazione e intervallati da sporadici interventi di sample vocali e registrazioni di parlato. Gli ambienti più dilatati possono sembrare quasi free jazz come nella ben riuscita "We Get What We Deserve", mentre le parti più intense possono arrivare a cavalcate stile crossover a ricordare i Deftons e gli Incubus come in "Human Consciousness". Anche se il progetto è strumentale, una menzione merita l’utilizzo delle voci a supporto delle canzoni: principalmente si tratta di suoni eremitici di stampo mistico, oppure delle sbraitate piene di dolore a disturbare l’armonia delle epiche composizioni degli Indicative che ne guadagnano in varietà sonora ed espressività. Le chitarre sono aggressive e taglienti e il ruolo del basso è quasi a sostituzione della voce solista mancante; le ritmiche invece sono forse le più variegate a livello creativo, non si risparmiano tempi dispari, sincopi e doppio pedale. Il pezzo più interessante per quanto mi riguarda è "Dissolution" che vede l’utilizzo di ritmiche elettroniche, oltre alle suddette voci e al metodo compositivo a “landscape”, caratteristico della band. Siamo di fronte ad una realtà valida e collaudata, formata da elementi caparbi e prolifici, convincono le skill tecniche e compositive della band seppur creda che gioverebbe una contaminazione più pensante con altri tipi di strumenti, magari che non ricadano nei canoni del post rock, come in parte già fatto nel disco, per arricchire i già variegati soundscapes e renderli ancor più unici. In conclusione, gli Indicative sono una band italiana che può distinguersi e far parlare di sé, vi consiglierei di tenere gli occhi aperti nel caso doveste vedere locandine che riportano il loro nome; vivamente consigliati agli amanti del post rock e progressive atmosferico. (Matteo Baldi)

lunedì 14 maggio 2018

Mormânt de Snagov - Depths Below Space and Existence

#PER CHI AMA: Black/Death
Terzo album dal 2010 a oggi per i blacksters finlandesi Mormânt de Snagov, quartetto originario di Turku, messo sotto contratto dalla label rumena Pest Records. Chissà se c'è una qualche correlazione tra il monicker proprio in lingua rumena che sta per "la tomba di Snagov" (dove Snagov è la città rumena che ospita le spoglia di Vlad Tepes) e la scelta dell'etichetta di assoldare questi paladini del black. A parte le mie digressioni mentali, andiamo a commentare questo 'Depths Below Space and Existence', nuovo capitolo di una discografia che vanta anche un paio di split album, un EP e una compilation. Beh, chi come me si aspettava una forma di black originale, date le origini della band, verrà un po' deluso, visto che la proposta dei nostri è in realtà piuttosto convenzionale, con otto brani diretti e veloci che sembrano essere influenzati dal black di stampo svedese (per ciò che concerne linee di chitarra taglienti e screaming vocals), sbecchettato da attacchi di death assai aggressivo di scuola americana (la ritmica in stile Suffocation di "Stories Untold" lo dimostra) e da contaminazioni più sperimentali ("Resist" e la stessa "Stories Untold" nel suo break acustico centrale, ma anche nelle sue schegge impazzite di jazz). Poi il resto del disco scivola su pezzi tipicamente black, con uso e abuso di blast beat, chitarre in tremolo picking, qualche fortunosa variazione al tema, come la doomish "Battle Neverending", il mio pezzo preferito, cosi carica di atmosfere spettrali e la conclusiva "The Roots of Grief", un altro brano in cui le velocità non sono fini a se stesse e che mi danno una visione dei nostri più distaccata dagli stilemi e dai cliché tipici del black made in Sweden. C'è certamente ancora tanto da lavorare, ma idee buone, sparse qua e là nel corso di questo 'Depths Below Space and Existence' ce ne sono, basta solo cercarle con attenzione e assoluta cautela. (Francesco Scarci)

mercoledì 9 maggio 2018

Gigantomachia - Atlas

#PER CHI AMA: Epic Death Metal, Bolt Thrower
"La Tauromachia" inneggiava un De Luigi un bel po' di anni fa quando impersonava il cinico Guastardo. Perché questo incipit? Perché leggendo il monicker di questi italiani, ossia Gigantomachia, il primo assurdo pensiero che mi è venuto in mente è stato quello del comico italiano a Mai Dire Gol. Certo il significato dei due termini è piuttosto simile, nel primo caso si riferiva al combattimento tra bovini e uomini, nel secondo a quello dei Giganti contro gli Dei dell'Olimpo. Me ne rendo conto, sto digredendo e sottraendo tempo prezioso ai frusinati Gigantomachia che arrivano al loro debutto grazie al supporto dell'Agoge Records, attraverso un disco potente di death (piro)tecnico, epico e potente, volto a raccontare la rivolta dei Giganti contro gli Dei. 'Atlas' apre con un'intro che ci conduce proprio a questo tema, "Rise of Cyclop", e che prepara il terreno alla prima tempesta affidata all'oscura "Eye of the Cyclop", una traccia arrembante che mette in mostra le caratteristiche del quintetto di Alatri: ritmica pesante ma dotata di un discreto pattern melodico, la coesistenza tra growling e screaming vocals, una cupa atmosfera di fondo creata da ottimi arrangiamenti. Si passa a "Liberate the Titans", song spigolosa, complice una matrice ritmica il cui suono è assai vicino a quello del cingolato di un carro armato. La traccia è pachidermica nel suo incedere, sebbene i cambi di tempo dovrebbero aiutare a renderla più leggera, niente da fare, è solo l'assolo finale a sollevarci per una ventina di secondi dalla monoliticità di un suono davvero pesante, che per certi versi sembra richiamare quello degli inglesi Bolt Thrower. E che continua ad essere pesante e minaccioso anche nella successiva "Immortal", in cui il giro di chitarra iniziale si rivelerà piuttosto ipnotico e ridondante almeno fino a quando strali di luce nella notte (le chitarre) prendono il sopravvento e rompono ancora una volta una proposta che rischia di peccare in eccessiva coriaceità. Più convincente "Aldebaran", un po' più dinamica e carica di groove, e comunque sempre brillante in fase solistica. "Leviathan" è un'altra song che evidenzia suoni solidi e pesanti, che peccano ancora un pochino in fase costruttiva ma che nella fase solista, trovano invece ottimi spunti. La title track è decisamente più compassata, anche se il riffing "panteroso" conferisce una certa verve al brano che comunque non travalica mai in fatto di velocità. Ultimo plauso per la conclusiva "Scylla & Cariddi", ove ancora una volta, la mitologia si mette a disposizione della musica per un'ultima cavalcata di progressive death dalle tinte epico-sinfoniche che sigilla una performance più che soddisfacente da parte di questa neo band italica. (Francesco Scarci)

Confine - Incertezza Continua

#PER CHI AMA: HC/Punk/Grind, Negazione, Napalm Death, Rostok Vampires
Dieci canzoni in poco meno di 15 minuti? O è grind in stile 'Scum' dei Napalm Death o poco ci manca. Quello proposto dai Confine in questa 'Incertezza Continua' è un bell'esempio di hardcore italico, di quello che richiama i Negazione di fine anni '80 ("La Favola di Dio"), di quello cantato in italiano e che vede scorrere nelle vene una bella dose di punk ("La Tesi" mi ha peraltro ricordato i teutonici Rostok Vampires) e che non si nega nemmeno una qualche scheggia grind in tributo ai paladini inglesi di Birmingham (ascoltare "Pargolo" per capire) o che evoca un certo thrashcore marcione (tipo nel riffing corposo di "Franco"). La band veneziana alla fine cattura la mia attenzione con quei pezzi brevi, diretti, talvolta anche carichi di una buona dose di groove (leggasi il chorus di "Infamia" o "Magone"), sprigionando tutta la loro rabbia attraverso testi incazzati e ritmiche coriacee o al fulmicotone ("Maurizio IV" e "Pozzo Strada"), non disdegnando poi nemmeno momenti più ritmati ("La Mia Recita" o la conclusiva title track). Al termine dei dieci brani, la sensazione è quella di essermi ascoltato un disco di durata normale (diciamo sui 40 minuti), complice un'intensità e densità di fondo sorprendente e invece no, non siamo andati oltre al quarto d'ora. Incredibile. (Francesco Scarci)

(Disimpegno Records/Dischi Bervisti - 2018)
Voto: 70

https://confinehc.bandcamp.com/album/incertezza-continua

Emphasis - Black Mother Earth

#PER CHI AMA: Post Metal/Post Rock
Giusto per confondere, la introduttiva "Muna" erompe con discrezione carsica, successivamente conturbata da un coro femminile ultraterreno, invero collocabile tra goth, doom e il coro delle voci bulgare per come abbiamo imparato a conoscerlo nel pippero. La tavolozza post rock inzaccherata di stilemi mostrata invero con una evidente baldanza, in "Captains of North" rivela invece pregi e difetti di una composizione sì consapevole (le tinte epiche di "The Quiet Roads" sono indiscutibilmente efficaci), senz'altro trascinante (è il caso, ammettiamolo delle progressioni black-imperatoriali di "Black Slit", poi convergenti asintoticamente verso la successiva "Rivers Unders", assieme alla quale compone una sorta di mini-suite) eppure solo saltuariamente originale. Semplicemente disdicevoli le due voci: un growl pre-adolescenziale la prima e una specie di gorilla con una cassaforte sulla pancia (la stessa timbrica del Fantozzi antifrastico che che esclama "Ma com'è umano lei...", se avete modo di ricordarvela), la seconda. L'album, eminentemente strumentale, sarebbe una sorta di messa in scena musicale delle atmosfere dell'omonimo romanzo dello scrittore croato Kristian Novak, conterraneo della band, e sarebbe stato realizzato nientemeno che col contributo del Ministero della Cultura croato. E sti cazzi non lo vogliamo aggiungere? (Alberto Calorosi)

martedì 8 maggio 2018

Misanthropic Existence - Death Shall Be Served

#PER CHI AMA: Death/Black Old School
Altro "ripescaggio" da parte della Aesthetic Death che ripropone un disco degli inglesi Misanthropic Existence uscito originariamente autoprodotto nel gennaio 2017. Ultimamente però le scelte dell'etichetta britannica non mi stanno del tutto convincendo e la riproposizione di questo lavoro bestiale, la trovo francamente superflua. Come mai sono cosi tranchant nei confronti di quest'album? Perchè 'Death Shall Be Served' non aggiunge assolutamente nulla ad una scena davvero stantia come quella estrema: 64 minuti sparati a mille, votati ad una violenza primordiale che un tempo faceva clamore, notizia e forse destava un bel po' d'interesse, ma che oggi, in tutta sincerità, trovo obsoleta, old-school e alquanto noiosa. Se il disco fosse durato una mezz'ora, probabilmente sarei qui a parlarvi di una promettente band proveniente da Worchester che ha provato ad emulare col loro debut, gente del calibro di Slayer o Marduk, nelle loro opere più famose e decisamente dalle brevi durate. Invece mi ritrovo a commentare un lavoro monumentale di death/black/grind della durata che supera di gran lunga l'ora, no grazie è troppo. Mi limiterò a dire che il sound del terzetto inglese è ignorante in tutte le sue 11 tracce incluse. Sono estremi, blasfemi, marcescenti, probabilmente anche beceri nei testi che sembrano orientati al più ovvio e scontato dei temi, il satanismo. Le velocità sono sparate ai mille all'ora, sovrastate nel loro caos sonoro da uno screaming indiavolato che non lascia scampo. Difficile identificare un brano piuttosto di un altro, data la monoliticità in toto di un cd a dir poco brutale che affonda le sue radici nel death metal svedese di metà anni '90. Potrei dirvi solo che sorbirsi pezzi come "War-Torn Earth and Blood Soaked Skies" (che va oltre i 12 minuti) e "Humanicide" (quasi 8) è impresa non indifferente. Only the braves! (Francesco Scarci)

Anathema - The Optimist

#PER CHI AMA: Experimental Rock, Radiohead
Vostra nonna sa bene che se il sugo è un po' balordo, bisogna abbondare col soffritto. E sa anche che se viene a mancare l'ispirazione, l'artista avveduto abbonda col mestiere. Agli Anathema riconoscono anche i detrattori una formidabile versatilità stilistica (cfr. la notturno-strombettante coda simil-jazz di "Close Your Eyes", dove la ialina Lee Douglas trova stavolta la sua migliore dimensione), una crescente abilità atmos/tronica (le grossolane intemperanze EDM della introduttiva "Leaving it Behind"; le goffe j-m-jarrettate del pessimo strumentale "San Francisco", vagamente reminescente della comunque eccellente "Endless Ways") e soprattutto la capacità di creare certe emozionali-emozionanti progressioni intrise di tensione (di nuovo "Endless Ways"; il pianoforte che muta in chitarra elettrica nel narrare il tema di "The Optimist", inizialmente me-tapino-sospirante poi astutamente ed efficacemente progr/essiva; il manieristico quasi-interamente-strumentale "Springfield", avveduto primo singolo dell'album). Per tacere poi del tanto vituperato pop da classifica, saggiamente dosato, giusto per mettere al sicuro il risultato (cfr. gli Spandau Ballet abbagliati di "Can't Let Go" o la Enya che visita uno zuccherificio di "Ghosts"). Sarebbe stato avventato aspettarsi altro da questo. Ma di più, un poco di più, quello sì. Del tutto pretestuosi gli accostamenti ad 'A Fine Day to Exit', di cui questo 'The Optimist' sarebbe un sedicente sequel. (Alberto Calorosi)